28 febbraio 2013

Le foto di Panorama e la giustizia pugliese


Riepiloghiamo la storia. 
Il 31 ottobre del 2012 il Gup Susanna De Felice assolveva Vendola perché “il fatto non sussiste”. 
Vendola era imputato assieme alla Dr. Lea Cosentino per “abuso di ufficio”. Erano accusati di aver riaperto i termini di un concorso per la nomina di un primario, per dar modo di partecipare ad un altro concorrente che poi avrebbe vinto il concorso. 
Vendola e Cosentino si erano rimpallate le responsabilità. Al momento del processo, però, con rito abbreviato, dinanzi al giudice monocratico e con sentenza inappellabile, i due imputati ritiravano le reciproche accuse. 
Dopo qualche giorno l’edizione locale di Repubblica darà notizia di una lettera riservata dei magistrati dell’accusa, i pm Desirèe Digeronimo e Francesco Bretone, indirizzata ai vertici delle Procure e del Tribunale barese. E’ un mistero come Repubblica sia venuta in possesso dell’esistenza di questa lettera riservata. 
Nella lettera i due PM sostenevano che Il Gup avrebbe dovuto astenersi dal giudizio in quanto amica della signora Patrizia Vendola, sorella del Governatore pugliese. 
Alla luce dei fatti, delle testimonianze e delle foto, l’esposto appare un atto dovuto. Non avevano altro mezzo i due PM per far rilevare l’opportunità dell’astensione del Gup. La forma, inoltre, appare rispettosa del codice di procedura penale. 
La notizia, però, provocava una rapida reazione in Procura a Bari. Un gruppo di magistrati esprimeva solidarietà alla De Felice e censura per la lettera della Digeronimo. Se ineccepibili appaiono la forma e la fondatezza della lettera riservata, deve averla pensata diversamente la sezione barese dell’ANM che ha chiesto al CSM il trasferimento per incompatibilità ambientale della PM Desirèe Digeronimo. 
Di questa e d’altre questioni si sta ora interessando anche la Procura di Lecce, competente per le indagini sugli uffici giudiziari di Bari. La Procura salentina ha raccolto anche i due esposti-denuncia per diffamazione della Dr. Digeronimo contro Repubblica e contro Vendola.
In seguito a questi fatti, il PM Desirèe Digeronimo ha dovuto astenersi dai procedimenti in corso sulla Sanità pugliese. 
Non è una buona notizia per i pugliesi. 
La rivista Panorama ha aperto un’inchiesta giornalistica. In un’intervista, la sorella di Vendola ha confermato i ripetuti incontri a feste e cene con la De Felice. Nell’ intervista è stata ipotizzata anche la possibile esistenza di foto che ritrarrebbero il Governatore col suo giudice. 
La Pm Digeronimo, magistrato che ha come stella polare la legalità e che non guarda in faccia a nessuno aveva così visto giusto. L’indignazione di quanti, dopo l’assoluzione di Vendola, le avevano inviato SMS, chiedendole come potesse accadere, era ben che motivata. 
Escono le foto e Vendola minaccia querele a Panorama. 
Querele per cosa? 
Cosa deve fare un giornale se non denunciare gli abusi? 
Cosa se non smascherare i prepotenti, gli impuniti, gli ipocriti, i mammasantissima? Vendola parla di macchina del fango. 
E del fango che è sulla faccia dei pugliesi per l’indecenza con cui è stata gestita la sanità pugliese? 
E dei costi che i pugliesi stanno pagando per togliersi il fango dalla faccia? 
Nessuno deve darne conto? 
Nell’edizione di Panorama in edicola, il cronista racconta che gli sono state mostrate altre foto, alcune più recenti in cui il giudice De Felice ha incontrato la sorella di Vendola. La data - sostiene Panorama - risalirebbe al 1 maggio del 2012. Solo pochi mesi prima della sentenza e pochissimo tempo prima che al giudice fosse affidato il procedimento.
Nell’articolo si cita un signore che avrebbe incontrato il cronista e offerto le foto. Tutto, però, avvolto nel mistero, a partire dall’identità di questo signore. Non sono note la provenienza delle foto e la legittimità del possesso. 
Il cronista di Panorama racconta d’aver poi incrociato per le strade di Bari lo stesso signore che passeggiava in compagnia di Patrizia Vendola. 
La prudenza non è mai troppa e il cronista conclude il suo pezzo riflettendo: “gioco o doppio gioco? In ogni caso non è divertente”. 
Figurarsi come si stanno divertendo i pugliesi! 
Vito Schepisi

27 febbraio 2013

I giudizi degli elettori



Alcune riflessioni vanno fatte.
Queste elezioni, se è vero che destano inquietudine per la mancanza di una soluzione politica che impatti contro la crisi economica e sociale dell’Italia, è vero anche che hanno fatto un po’ di chiarezza.
I risultati elettorali hanno, infatti, ridimensionato le smisurate esposizioni di alcuni politici sempre in primo piano e hanno sfrondato quelle foglie del fico che nascondevano i presunti attributi di alcuni assieme alle ipocrisie e ai falsi pudori di un esercito di finte verginelle.
Qualche risposta queste elezioni l’hanno si data.
Hanno ridimensionato pesi e valori, hanno segnalato le contraddizioni ed hanno condannato uomini e partiti.
In fondo in fondo c’è sempre un giudice fuori dall’Ordinamento Giudiziario italiano.
Gli elettori, quando è stato il loro turno, hanno emesso anche qualche inappellabile giudizio. Ed è proprio sui giudizi, questa volta, più che sui contenuti e sulle scelte, è sugli uomini, che appare ora opportuno soffermarci.
Sui personaggi, sui loro pregi, sulle loro virtù - se ce ne sono – e, soprattutto, sui loro difetti che non mancano mai in nessuno. A volte le caratteristiche umane possono aver origine persino dai nomi. Perché i nomi sono spesso la conseguenza delle cose, com’è scritto nelle “Istituzioni” di Giustiniano. Così la pensavano i nostri antenati. La commedia degli equivoci, che è buona parte della commedia italiana, riviene proprio dalla nostra antica cultura latina.
Da dove iniziare?
Iniziamo dalla tavola da cui, spesso, passano i destini del mondo. E dove lo metteremmo, infatti, un Buttiglione, se non sulla tavola? Tra qualche tempo, ad esempio, quando si parlerà di Buttiglione, qualcuno penserà ad una grossa bottiglia con dentro vino di cantina. Non è che la cosa abbia troppa importanza, ma un buon vino di cantina sulla tavola ci fa la sua onesta e bella figura, Buttiglione sulla tavola invece non faceva pensare a niente di buono.
Oltre che dalla tavola, i destini del mondo passano da un arredo della casa, il letto, che non serve solo al riposo, ma anche a battaglie di grande impegno. Cosa, allora, tra qualche tempo, la gente potrà pensare di un Italo Bocchino? Per tutti, resterà sempre quella parola che non è elegante far passare sulla bocca delle signore, ma che nella pratica crea immenso piacere e nei pensieri di letto stimola indicibili sensazioni morbose.
Fini, invece, sarà ricordato per quel politico “Che fece per viltade il gran rifiuto”, ma all’incontrario. Non come Dante Alighieri disse di Celestino V, che rinunciò al trono pontificio per mancanza di coraggio, ma per chi, in mancanza di altre qualità, restò attaccato alla sedia più alta di Montecitorio, senza possederne meriti e legittimità morale, contraddicendo persino i suoi impegni assunti pubblicamente in video con gli italiani, oltre che gli impegni politici assunti con gli elettori.
L’ironia fa la sua parte e se fini sono i pensieri di chi ha ambizioni, fini-ti diventano i sogni di chi vuol troppo.
Di Granata e Briguglio cosa dire se non che il nulla si elide come lo zero non preceduto da numeri? Di doppio zero che servano a qualcosa si conoscono solo i cessi e la farina.
Ora mi tocca parlare di Di Pietro e di Ingroia, cercando di non beccarmi la querela. Il primo si è trascinato tutta una catena d’orrore parlamentare. Il suo Mariuccio si è giocato al video poker anche il partito, il resto l’ha fatto la gestione immobiliare della Srl con cui gestiva i rimborsi elettorali, l’opacità di una gestione familistica e la smascherata ondivaga furbizia levantina. Non gli mancheranno 4 mura ed un tetto sotto cui dimorare.
Ingroia, invece, deve avere pensato che l’attacco tentato al cuore dello Stato, respinto dalla Consulta, potesse essere sufficiente per farlo passare per un’eroica vittima di un sistema di potere, e così riscuotere crediti sufficienti tra chi mira a colpire il cuore dello stato per far precipitare il sistema di democrazia liberale. C’è stato, però, chi l’ha preceduto: Grillo.
La differenza tra i due è che Grillo fa ridere, Ingroia, invece, fa piangere.
Devo scusarmi con le altre inutilità non citate. E’ evidente che la storia non parlerà mai di loro.
Vito Schepisi

26 febbraio 2013

Niente giochi. Si faccia ciò che vuole il Paese



Ora non si facciano giochi.
Il PD ha avuto un vantaggio sul Pdl dello 0,36% alla Camera.
Ha 340 deputati, come aveva sperato ostacolando la riforma del “porcellum”.
Alla Camera ha il 55% dei seggi.
Al Senato, però, il gioco non gli è riuscito ed è minoranza.
Sono dati di cui Bersani deve tener conto. Sappia, però che oltre il 70% degli elettori italiani non ha fiducia nel PD.
Bersani è ben lontano dal 50% più un voto che in democrazia legittima.
Il porcellum, pensato per un sistema bipolare, diventa perverso in un quadro politico frastagliato.
Fatte queste premesse bisogna riflettere sull'incarico.
Due le scuole di pensiero:
- incarico al partito più votato (vigeva con il sistema proporzionale);
- incarico alla coalizione più votata (più consono al sistema bipolare).
Prevarrà l'incarico a Bersani. E forse è bene che sia così. Potrà scegliere per una soluzione di pacificazione nazionale. Non venga, però, a dire che ha vinto qualcosa, perché non ha vinto niente. Vedremo se il PD saprà uscire dall’idea della catena di montaggio che si snoda sul territorio nazionale e che produce appalti, posti di comando e gestione del potere.
La cosa più importante è il programma di governo. Butti quello farlocco che ha. Per avere i voti del Parlamento deve partire dalle riforme condivise: la riforma dello Stato, ad esempio.
La seconda parte della nostra Costituzione non consente la governabilità e mortifica il principio costituzionale della sovranità popolare. Perché non pensare di far lavorare il Parlamento alle modifiche dell'assetto rappresentativo dello Stato? Magari non proprio democrazia diretta, come vorrebbe Grillo, ma sistemi che rendano attuabili le indicazioni degli elettori.
Il taglio dei parlamentari farebbe felice tutti gli italiani. Ed ancor di più lo sarebbero se si tagliasse una camera, cosa che potrebbe trovare attuazione con la riforma delle autonomie locali, creando un consiglio nazionale delle autonomie composto dalle rappresentanze degli eletti nelle regioni. Anche le prerogative della Presidenza del Consiglio, per rendere più snelli i provvedimenti del Governo, senza ridurre i rapporti di fiducia con il Parlamento, andrebbero riviste.
Tutti lamentano il peso della burocrazia sui cittadini e sulle attività economiche. Se il limite è la legalità, è anche possibile farla rispettare, senza vessazioni e senza atteggiamenti da stato di polizia.
I privilegi e gli abusi sono le cose che più irritano. Bisogna tagliare e stroncare le caste. Non si possono vedere, mentre il popolo è in difficoltà, doppi stipendi, doppie pensioni e vitalizi ottenuti senza contribuzione.
L’ordinamento giudiziario italiano è fanalino di coda nel mondo per efficienza. Bisogna riformarlo. Non è giusto, però, che quando se ne parla provino ad arrestare qualcuno per strozzargli la voce.
Trovare su queste cose in Parlamento una maggioranza che s’impegni a risolverle in 6 mesi non dovrebbe essere difficile. Subito, invece, sarebbe da ricercare una maggioranza che abbatta l'IMU sulla prima casa. Le risorse siano ricercate nel taglio delle spese dello Stato. Di economie ce ne sarebbero tantissime da fare. E’ più giusto tagliare privilegi, ritrovare la fiducia delle famiglie, spingere sui consumi con l’allargamento dei redditi, frenare la chiusura delle piccole attività commerciali, anziché tutelare redditi e spese improponibili di manager e di alti funzionari dello Stato, senza dimenticare la RAI, le cui spese sono un pugno sugli occhi della povera gente.
Si provveda ad aumentare con urgenza le pensioni minime, oggi al di sotto di 500 euro.
Anche nelle imprese commerciali i privilegi non devono più esistere. Si pensi alle cooperative che svolgono attività d’impresa e che godono di privilegi fiscali. E che dire della pressione fiscale? Con il carico di tasse che si ha in Italia non ci può essere impresa e sviluppo.
L’Italia, infine, deve ritornare ad essere una parte importante dell’Europa, senza che sul suo territorio sconfinino i moralismi interessati di burocrati senz’anima.
Il Parlamento ritrovi la sua unità per guidare la resistenza dei paesi dell’area mediterranea contro la politica del rigore che sta distruggendo il bel “sogno” liberale dell’Europa unita.
Bersani si faccia avere l’incarico e vada in Parlamento per parlare agli italiani. Se sarà sincero e se parlerà puntando al cuore dell’Italia potrà governare.
In caso contrario tutto sarà molto difficile.
Vito Schepisi



24 febbraio 2013

Votare per battere le svolte autoritarie



Ve la ricordate l’Italia del preambolo?
Eravamo agli inizi egli anni ’80 ed il centrosinistra era entrato in crisi.
Nessuno degli obiettivi annunciati da Moro e Fanfani con l’apertura a sinistra negli anni 60, era stato raggiunto.
L’Italia usciva dal decennio delle contestazioni. Il centrosinistra era diviso e l’Italia era governata a macchia di leopardo (Bersani non li smacchiava ancora).
Negli anni 70 Le Brigare Rosse avevano seminato nel Paese lutti e inquietudini: per la sinistra erano i “compagni che sbagliano”.
Due anni prima era stato assassinato Aldo Moro.
Il Pci alternava le sue maschere di partito di lotta e di governo.
Anche l’idea della solidarietà nazionale era fallita.
Il PSI di Bettino Craxi con la politica dei due forni irritava la Democrazia Cristiana e la costringeva a subire.
L’ambiguità creava tensioni e divideva.
Al Congresso di Roma del 1980 usciva così vincitrice l’ala moderata della Democrazia Cristiana. Arnaldo Forlani vinceva il congresso sulla base di un “preambolo”, elaborato da Donat Cattin, che costituirà la base del documento finale su cui convergerà la maggioranza del partito.
Lo chiamarono il “preambolo Forlani”. Il documento, determinante per la vittoria congressuale, si poteva riassumere in un solo concetto: mai più con il Pci.
Le letture sono state diverse, ma il “preambolo” dette vita ad un periodo delicato della storia italiana. Gli anni 80 furono quelli del CAF (Craxi, Andreotti, Forlani). Vennero fuori gli scandali, il sistema delle lobby e delle lottizzazioni. Venne fuori il volto della gestione del potere che aveva coinvolto il sistema di una democrazia bloccata, priva com’era di un vero confronto politico costruito sull’alternanza, come, invece, avveniva in tutte le altre democrazie occidentali.
Le responsabilità erano da ricercare nella radicalizzazione del confronto politico. La propaganda comunista si faceva capillare, casa per casa. Le enormi disponibilità economiche di una parte (i soldi di Mosca) motivavano la sollecitazione dei finanziamenti illeciti anche dall’altra. Nei partiti non centralisti, però, salvo poche eccezioni, la corruzione si allargava anche all’arricchimento personale.
Si scoprì così che la politica italiana, attraversata dal sistema delle tangenti, si frammentava per la lotta del potere, creando questioni politiche, e si ricompattava in difesa degli spazi conquistati. Un modo che spesso coinvolgeva insieme maggioranza e opposizione, come un perfido gioco delle parti.
L’Italia, il futuro, gli stessi diritti dei cittadini passavano in secondo piano rispetto alla gestione del potere e alle strategie dello “status quo ante”. Tutti i reati, fino a tutto il 1989, furono poi cancellati con l’amnistia del 1990, votata dal pentapartito e dal Pci. Si salvò così il Pci. Anche allora la causa del male, anzi il male in assoluto, per lo sviluppo liberale e democratico dell’Italia, per i suoi inganni e per le sue ipocrisie, si è sfilato dal giudizio della storia.
La Dc del preambolo passava così dalla sofferenza intellettuale di Aldo Moro, preoccupato per la tenuta del sistema, al trionfo della strategia di potere delle correnti democristiane. Nel 1980, con il preambolo Forlani, la DC aveva provato ad uscire da una fase di drammatici e laceranti avvenimenti storici degli anni 70.
Nel 1976 alle elezioni politiche, Montanelli - quando sembrava che il Pci potesse essere il primo partito italiano – diceva agli italiani “turiamoci il naso e votiamo DC”, fotografando la sintesi schietta, come era nel carattere del giornalista, della tensione politica del momento.
Nel 1977 le proposte di Berlinguer per l’alternativa democratica, lanciate in una serie di articoli su “Rinascita”, aprivano brecce in una DC, uscita vincitrice dalla sfida per il primato nel 1976, ma assolutamente debole, incapace di un’iniziativa politica vincente. Gli italiani si dividevano sul “compromesso storico”.
Nel 1978, il rapimento e l’uccisione di Aldo Moro scuoteva l’Italia. Le Brigate Rosse rapivano lo statista pugliese il 16 marzo, mentre alla Camera si votava la fiducia al governo Andreotti, il primo senza il voto contrario del PCI.
Sul fallimento di questa esperienza, nel 1979 arrivavano le elezioni politiche anticipate con la DC che ripristinava le distanze elettorali con il Pci.
Nel 1980 il Congresso DC del preambolo Forlani: mai più con il pci.
Sembra preistoria, o sembra ieri, ma la storia è come un cerchio che gira attorno alle cose. E’ che la storia siamo sempre noi. Si dice così perché, se è vero che cambia tutto, dalla fanciullezza ai capelli bianchi, è anche vero che i protagonisti sono sempre gli uomini, i popoli, le scelte, le idee, le aspettative, le delusioni, le rabbie, il rancore, la fiducia, la speranza.
Non c’è niente che resti fuori da queste sensazioni. La storia le percorre, entra nella vita degli uomini, aggiusta, devasta, modifica, attenua, sviluppa, accende le passioni. Ed è anche per questo che si fanno sempre gli stessi errori.
Oggi si è dinanzi alle stesse questioni di ieri, ma in un quadro ancor più deteriorato. Sarà una questione epocale, come il passaggio da un’era all’altra, ma l’Italia non riesce a liberarsi delle illusioni alternative.
Come se la democrazia non fosse già un sistema di cose sgangherate, ma inevitabili, c’è ancora chi ne trova i difetti senza saper proporre soluzioni diverse. Ma non c’è alternativa alla democrazia. Non sempre piace ciò che produce, ma non esiste niente di meglio.
Cosa si può fare? Si deve andare a votare anche turandosi il naso, senza rischiare avventure. Se è giusto, e lo è, chiedere trasparenza e giustizia, non è giusto rischiare la democrazia e il futuro.
Si deve andare a votare ricordando che il preambolo della democrazia non cambia: è sempre mai più svolte autoritarie.
Vito Schepisi
 

23 febbraio 2013

Io voto per la Rivoluzione LIberale



E’ il momento di riflettere sul voto per darne un significato, senza consumarlo nell’inutilità.
La retorica delle occasioni spingerebbe a sostenere che la scelta questa volta sia fondamentale. Si vedono in prospettiva le linee di una svolta epocale. Forse è così, ma non si vota sulle suggestioni. Si vota per scegliere.
Ogni idea ha la sua dignità, purché sia nell’interesse dell’Italia e se ha capacità d’essere condivisa. Non hanno dignità la violenza, l’odio, la sopraffazione, la denuncia senza idee, il voto strumentale, le pratiche clientelari, i ricatti, le minacce, le promesse fumose, l’inganno.
Le scelte poi vanno rispettate, quali esse siano.
Al momento si hanno due ipotesi che si confrontano tra loro con possibilità di successo.
Una è quella di Bersani che, calato il sipario di Renzi, ripropone la sinistra con Vendola, senza aver rottamato nessuno, né Prodi e né D’Alema, né Amato e neanche la Bindi.
L’altra è quella di Berlusconi, senza Fini e senza casini e Casini, che ritorna a battere sul tam tam della rivoluzione liberale.
“Tertium non datur” per dirla con Plauto.
Non esiste un’altra soluzione. Il resto è inganno. Tante suggestioni, tante denuncie senza idee di soluzione, tanti rancori e dispetti, tanti tentativi di conquistare nicchie di spazi politici, come se il vento dell’antipolitica non ci sia mai stato, anche tanti espedienti per ottenere i finanziamenti pubblici e giochi politici per ritagliarsi ruoli di condizionamento in cambio di spazi di potere.
C’è anche chi spera in un risultato contraddittorio per offrirsi a salvare la Patria.
C’è anche chi, per farsi aiutare a sottomettere l’indipendenza nazionale, si fa sostenere da improponibili personaggi istituzionali stranieri che, in un vuoto di dignità e di orgoglio di chi ha il dovere di garantire la sovranità nazionale, si sono sentiti autorizzati ad intromettersi nelle questioni elettorali italiane.
Tra chi propone un modello per il governo della Nazione, questa volta le differenze di programma sono abbastanza chiare. Anche la campagna elettorale, seppur nella confusione e nelle grida, ha fatto si che emergessero con sufficiente chiarezza.
Il centrodestra propone una politica di sviluppo attraverso la riduzione della pressione fiscale, il taglio delle spese, la burocrazia amica, il rilancio delle piccole e medie imprese, il sostegno ai redditi delle famiglie, l’occupazione, l’aumento delle pensioni minime, l’inviolabilità fiscale della prima casa, la rivisitazione dei sistemi di riscossione delle imposte per calmierare la prepotenza e le degenerazioni di Equitalia, le riforme dell’architettura rappresentativa ed istituzionale dello Stato,  la rinegoziazione in Europa dei patti del’Unione.
La sinistra propone, invece, rigore fiscale, patrimoniali, aumento della spesa, politiche più permissive sull’immigrazione, unioni civili se non matrimoni gay, nessuna rivisitazione dei patti con l’Europa.
Chi ha idea di votare per altri, se non per Bersani o Berlusconi, ad esempio per Monti o per il movimento di Grillo, finisce solo col favorire l’uno o l’altro dei due, ma certamente, per ovvi calcoli matematici, l’opposto della scelta politica che avverte più vicina. 
Per chi tiene ad una scelta moderata per l’Italia, per ostacolare la deriva velleitaria, per uscire dallo squilibrio di un’Europa germanocentrica, per riformare il Paese, per dar voce alle domande del popolo senza distinzioni e classismi, perché arrivi la rivoluzione liberale che liberi risorse, fantasie e speranze, il voto al centrodestra dovrebbe essere scontato.
Io voto, infatti, per la rivoluzione liberale.
Vito Schepisi

19 febbraio 2013

Nella Puglia del poeta-governatore, il record dei debiti con i fornitori


Tra le cause scatenanti delle difficoltà delle piccole attività economiche in Italia ci sono i crediti che le aziende non riescono ad incassare dalla P.A. 
La piccola e media impresa, mentre è tartassata da tributi e oneri, ha crediti pubblici che non riesce ad incassare. 
Molte non ce la fanno. Chiudono e licenziano il personale. 
Con le banche che si guardano bene dall'assumersi l'impegno di anticipare i crediti, non hanno come poter sostenere il ciclo produttivo, né come poter pagare gli operai, le tasse, le spese di gestione e quelle per la sopravvivenza delle loro famiglie. 
Ed è così che si scopre che in Puglia la poesia non è "nei fatti", come vorrebbe, invece, dar ad intendere con i suoi slogan, smentiti appunto dai fatti, il governatore-poeta Vendola. 
UN CHIACCHIERONE! 
La Puglia dai mille rivoli di spesa in eccesso, come per i costi di una sanità da terzo mondo, pagata dai pugliesi come se fossero cliniche private svizzere, è, invece, così parsimoniosa solo con i suoi fornitori. 
La Regione dalle spese per inutili festival del cinema, per le sedi nella Capitale e all'estero, per i contributi a pioggia per gratificare l'effimero, per la pubblicità istituzionale (del Presidente), per la corte dei miracoli dei beneficiati, per i viaggi, per i lussi e persino per una nuova sede faraonica in costruzione, è, invece, tanto taccagna dal ritrarsi dal pagare i suoi fornitori o, nell’uso del gergo locale, dal pagarli a babbo morto. 
Si scopre così, pur senza tanta meraviglia, che la Puglia "migliore" di Vendola è al primo posto, ma all'esatto contrario dell'eccellenza, per i suoi debiti arretrati verso i fornitori. 
La somma complessiva dei debiti non pagati è da brivido: 10,1 miliardi di Euro, oltre 2 volte e mezzo, cioè il 250%, dell'IMU sulla prima casa di tutta l'Italia. 
Cose da pazzi! 
La preoccupazione è che la spesa in Puglia non si fermi. 
Se fosse così semplice liberarsi dall’incubo, basterebbe dire ai pugliesi di votare per Vendola, per toglierselo dalle balle in Puglia, sebbene certe cose richiamino per istinto l’uso di altri metodi. Non è, però, così semplice. Dietro di lui c'è una fila di famelici pretendenti. Meglio invitare gli elettori ad aprire gli occhi, per non trovarsi prima o poi in brache di tela. Meglio invitare i pugliesi a bocciarlo. 
Nessuna croce per lui sulle schede elettorali per poter mettere una croce sulla follia. 
Nella Puglia che non paga i suoi debiti, di contro, i suoi abitanti pagano le addizionali Irpef al massimo, pagano le accise sugli idrocarburi (trasporto e riscaldamento), pagano i ticket sulle ricette, sulle analisi di laboratorio e sui medicinali, pagano anche l'acqua più cara d'Italia, dopo il referendum che Vendola ha cavalcato sostenendo che i prezzi sarebbero stati ridotti del 7%. 
Un bugiardo. 
I pugliesi ricevono in cambio la mancanza di trasporti adeguati, un'agricoltura esanime ... a terra, l'artigianato che scompare, le imprese che chiudono, i disoccupati che aumentano, le pale eoliche che deturpano il territorio (cui prodest se paghiamo l'energia più cara delle altre regioni meno invase da questi terribili mostri ambientali?). 
E, per non farsi mancare nulla, la Puglia ha anche gli impuniti sempre più arroganti. 
Vito Schepisi

17 febbraio 2013

Grillo stimola e inquieta


Beppe Grillo fa presa più che per ciò che propone, per ciò che denuncia. 
Le sue proposte sono confuse, senza capo, né coda. Fanno leva su ciò che non funziona - in Italia è molta cosa – e le sue soluzioni stanno nel mezzo tra le novazioni irrealizzabili e le ricette antistoriche. 
Grillo lo sa bene: il suo obiettivo è raccogliere il voto di protesta globale. Un consenso che abbracci un arco di opinioni straordinariamente contraddittorio. 
E’ persino evidente l’inutilità politica di questa impresa. Si raccolgono voti per farne cosa? A che vale mettere il Parlamento nell’incapacità di discutere con la necessaria serenità sulle riforme irrinunciabili per l’Italia? 
Emerge anche un nuovo modo di far politica, prima di lui accennato solo da Di Pietro, seppure in modo più familistico e confuso, fatto di partiti gestiti da società d’affari.
L’iniziativa di Grillo è gestita come un prodotto commerciale che si presenta sul mercato cogliendo opportunisticamente la presenza della domanda. 
Finirà col fare il gioco di quei poteri, le caste, che nella confusione perpetuano la loro arrogante e spavalda inamovibilità. 
Grillo è riuscito laddove nessuno sarebbe stato capace e dove nessuno avrebbe mai osato. Ha stimolato contemporaneamente, convogliandoli in un unico fronte, i nostalgici dei regimi autoritari ed i centri sociali. Ha intessuto, tra loro, le matasse dei fantasiosi pensatori di soluzioni preindustriali e quelle dei fautori della tecnologia esasperata; ha fuso nell’odio i tifosi dell’olio di ricino e gli sprangatori delle forze dell’ordine; ha coinvolto insieme nei sogni i nostalgici dei segnali di fumo e gli smaniosi degli smartphone. 
In Grillo e nel suo staff prevale l’idea sconvolgente su tutto, ma senza l’idea finita di soluzioni praticabili con un preciso costrutto. Tutto è immaginazione, con punte di fantasia distruttiva. 
Grillo è il Marcuse italiano del terzo millennio. Con le dovute distanze intellettuali tra i due, Grillo appare come chi sostiene che il futuro sia negli emarginati, ma la sua più grossa contraddizione è che di questa società repressiva, evocata da Marcuse, lui è parte integrante. 
L’Italia è una frazione di un mondo che viaggia sui rapporti economici, sugli scambi commerciali, sui trasporti, sulla produzione industriale, sulla conquista di nuovi mercati, sulla bilancia commerciale. Non è, però, che cambiando il modo di vita degli italiani si cambia il mondo. Non scherziamo! 
E’ con il mondo moderno che l’Italia deve sempre fare i suoi conti. La presunzione e l’egocentrismo concettuale possono essere la tomba della nostra civiltà. Non possiamo pensare ad un’Italia autarchica che faccia scelte in controtendenza. L’Italia ha bisogno di stare in alleanze politiche e militari, come tutte le altre nazioni. Non si scherza sul futuro delle prossime generazioni. Un’Italia isolata nel Mediterraneo diverrebbe un avamposto per tutti i fondamentalisti autoritari del mondo: un cavallo di Troia nel fortilizio della civiltà occidentale. Non dimentichiamo mai il “si vis pacem para bellum” di Cicerone. 
Anche la banalità del “lavorare di meno per lavorare tutti”, vecchio arnese del populismo marxista, è uno slogan mutuato dagli anni ‘70, come se nella dialettica laburista non fosse già superata l’idea operaista che vedeva il profitto come variabile indipendente dell’impresa.
Non si può, però, non cogliere il messaggio del “grillismo”. C’è un’Italia da cambiare e bisogna farlo con urgenza. Occorrono riforme che diano credibilità e autorevolezza al Paese e alle sue Istituzioni. Un Capo dello Stato, ad esempio, che la nostra Costituzione vorrebbe al di sopra delle parti, che va negli USA a fare una marchetta elettorale per la sua creatura, difendendone il fallimento, non si può vedere. 
La corruzione, inoltre, è una piaga che rischia di andare in cancrena. Non è, però, come sostiene Grillo, solo una questione di generazioni, quanto, invece e soprattutto, è una questione di riforme. Deve mutare il modo in cui questo Stato è organizzato e gestito. Questo nostro Paese è incrostato dai poteri intramontabili arroccati a difesa dei particolarismi e dei privilegi. 
La nostra democrazia, ancora, si ferma al giorno delle elezioni, poi non esiste più. I poteri e lo Stato sono arroganti e oppressivi. Spaventano! Chi è eletto in Italia si sente, poi, autorizzato a fare i cazzi propri, senza dar conto a nessuno, quando non anche si preoccupa di allargare il proprio potere e di perpetuarlo. Chi vince le elezioni non è in grado di governare, perché impedito dal Parlamento e dalle caste annidate nei servizi dello Stato.
L’art.67della Costituzione, infine, da essere un presidio per la dignità del parlamentare, perché nello svolgere il suo mandato risponda solo ai suoi elettori, è stato trasformato in licenza di far di tutto, compreso mettersi in vendita, trasformando il Parlamento, anziché luogo di democrazia, in una macelleria nazionale in cui si vendono le scelte degli elettori come se fossero tagli di carne. 
Grillo pone il suo indice contro la parte più inguardabile del nostro Paese. Da comico ha la capacità di farlo in modo irriguardoso ed efficace. Il segreto del suo successo politico, pertanto, più che su ciò che propone, è su ciò che denuncia. 
E’ incredibile quanto l’arte della scena in questi casi diventi credibile! 
Vito Schepisi

16 febbraio 2013

Lettera aperta a Michele Emiliano


Il portavoce dell'Associazione RinasciBari, Giovanni Giua, promotore del Comitato "Salviamo Via Sparano", dopo che il sindaco Emiliano ha reiterato la proposta di restyling della via più nota del quartiere murattiano di Bari, cuore del commercio e della socializzazione barese, nonostante le 3.000 firme contrarie raccolte tra i cittadini baresi, ha scritto una lettera aperta al Sindaco Michele Emiliano.

Caro Emiliano, 
sono settimane che i cittadini ricevono notizie contrastanti circa l’annunciato restyling di Via Sparano e tu, seppure ripetutamente sollecitato, non hai chiarito lo stato dei fatti.
Riepiloghiamo: al progetto della Salimbeni migliaia di cittadini si opposero motivatamente.
Tale progetto già partiva col piede sbagliato con l’intenzione di fare di Via Sparano una strada “museo” invece della strada “salotto” come da tradizione secolare. 
Nei rendering presentati sbigottiva l’assoluta mancanza di sedili a meno che non si vogliano definire tali quei cubetti di cemento che appaiono disseminati sul percorso. 
Via le palme, alla cui ombra diverse generazioni hanno sostato, e la strada trasformata in una pista desolata, assolata e raggelante allo stesso tempo con lo scopo dichiarato di farne un cannocchiale che permetta la vista della Stazione da Piazza Chiurlia. 
Per raggiungere tale risultato ottico, naturalmente, bisognava abbattere anche gli alberi centrali di Piazza Umberto, cosa che non piaceva a nessun barese. Strada “museo”, ci si chiedeva, e con quali opere d’arte e con quante speranze di sopravvivenza a vandali e writers? 
A fronte di queste giustissime rimostranze, in una riunione presso la sala della Giunta di Bari con l’assessore dell’epoca, Simonetta Lorusso, con commercianti e col comitato “Salviamo Via Sparano” (che portava una raccolta di oltre 3000 firme contrarie al progetto) e con l’architetta Salimbeni si arrivò alla conclusione che l’amministrazione avrebbe chiesto un progetto rivisitato che tenesse conto di alberi, palme, sedili idonei e “piazzette” di riunione. 
A 6 anni da quella riunione viene ripresentato con grande enfasi lo stesso progetto inviso ai cittadini. Magari adatto a qualche rarefatta città nordica ma non certamente per una città del Sud solatio. 
Leggo da un quotidiano cittadino che l’architetta in questione è stata convocata dalla Sovrintendenza per chiedere chiarimenti e che avrebbero concordato per varie modifiche che, a quanto si può solo ipotizzare, potrebbero essere la classica “toppa peggiore del buco”
Rimane il “cannocchiale”? Ci sarà alberatura? Saranno divelte le palme? Esiste un conto complessivo del costo delle opere necessarie per pareggiare strada e marciapiede, rifare la pavimentazione, rifare il sistema di caditoie dell’acqua piovana, rinnovare l’illuminazione, aggiungere i corridoi sotterranei per i servizi? 
Quali e quante “opere d’arte”, infine, saranno collocate, a che costo e con quali contratti assicurativi? Siamo sicuri che i fondi a disposizione siano sufficienti? 
Stupefacente poi l’intenzione (o pio desiderio) di avviare i lavori per la fine dell’anno in piena campagna natalizia con una sicura ricaduta negativa sulle vendite degli ex-ricchi commercianti di Via Sparano. 
La mia sommessa richiesta è di dare una risposta certa a queste domande e di convocare una nuova riunione anche col comitato “Salviamo Via Sparano” per discutere sul da farsi. 
E’ chiedere troppo? 
Affettuosamente Giovanni Giua 
Comitato “Salviamo Via Sparano”.

15 febbraio 2013

Il meteorite Monti


Un meteorite, la notte scorsa, ha impattato la terra, nella zona degli Urali in Russia. L’impatto con l’atmosfera ha provocato esplosioni che hanno sfaldato la massa meteoritica. Le schegge si sono diffuse in un territorio molto vasto, compresi alcuni centri abitati, causando danni e ferendo 400 persone.
Tutto sommato è andata bene. 
Un impatto con un centro abitato avrebbe causato una catastrofe. 

Si pensi, in Italia, ai danni causati dall’impatto del meteorite Monti con il nostro territorio così densamente abitato. 
Questo è un elenco provvisorio dei danni del Prof. Mario Monti in Italia: 
- il debito pubblico nel terzo trimestre del 2012 è cresciuto al 127,3% del Pil, contro il 119,9% del terzo trimestre 2011, con un aumento secco del 7,4%, e doppiando la soglia dei duemila miliardi di Euro; 
- il Pil è sceso da 1.579,659 miliardi di Euro di fine 2011 a 1.564,640 miliardi di euro al 31 dicembre del 2012; - le previsioni per il 2013 vedono (per ora) il Pil in flessione dell’1%; - senza manovre sugli investimenti e sulla disponibilità degli italiani da destinare i consumi la corsa al ribasso del Pil non si potrà fermare;
- la pressione fiscale è aumentata dal 42,55% del Pil (dato 2011), al 44,71% del Pil (dato 2012) e continua a salire avvicinandosi al 46% ; 
- se il Pil non torna a crescere, la pressione fiscale che è ricavata dal rapporto delle entrate sul Pil è destinata ad aumentare;
- chiudono migliaia d’imprese. Nel 2012, dai dati Unioncamere, hanno chiuso i battenti 364.972 imprese in Italia; 
- la disoccupazione giovanile, nel 2012, ha raggiunto il record del 37,1%; 
- la produzione industriale nell’anno orribile di Monti è calata del 6,7%; 
- le tariffe aumentano; 
- le previsioni per il 2013 annunciano ancora altre difficoltà per i cittadini italiani; 
- i conti degl’esodati non tornano; 
- l’Italia s’impoverisce e il ceto medio rasenta l’area della povertà; 
- c'è una confusione da pazzi dappertutto; 
- non c'è niente che oggi sembri serio in Italia; 
- le banche, gestite dal personale della politica, comprano altre banche pagandole (con i soldi dei risparmiatori) 4 volte il loro valore e nessun responsabile politico finisce in galera; 
- le stesse banche, per nascondere i disastri e mantenere il controllo della gestione, erigono una cortina di fumo emettendo e piazzando sul mercato titoli strutturati su derivati spazzatura che finiscono per truffare gli ignari risparmiatori; 
- per salvare dalla bancarotta il terzo gruppo bancario italiano si spendono 3,9 miliardi di Euro, pari ai soldi tolti dalle tasche degli italiani per l'IMU sulla prima casa; 
- i magistrati italiani, colti da un moralismo che scavalca i confini nazionali, vanno all’assalto delle imprese pubbliche italiane che negoziano commesse all’estero, e l’Italia perde miliardi di Euro di ricavi preziosi per l’economia nazionale, mettendo a rischio migliaia di posti di lavoro; 
- un numero imprecisato di suicidi causati dallo stress di piccoli imprenditori, a corto di risorse economiche, con le banche che tagliavano i fidi, impossibiliti a pagare gli stipendi ai loro operai, i contributi e le tasse. 

Il meteorite Monti dice di aver salvato l’Italia e chiede di poterla continuare a salvare, dopo essere “salito” sul comodo seggio di Senatore a vita regalatogli - senza il consenso degli italiani - dal Presidente Napolitano. 
Il no degli italiani dovrebbe essere gridato. 
Vito Schepisi

14 febbraio 2013

L'Italia che ci aspetta



L’Italia è diventata una casa circondariale a cielo aperto.
Più precisamente in Italia si ha la sensazione di stare in un luogo a metà strada tra un carcere ed una discarica pubblica.
Nella casa circondariale con le sbarre virtuali vivono a piede libero i cittadini con i loro problemi quotidiani che non interessano a nessuno.
C’è persino il timore di parlarne per evitare la possibile accusa di disfattismo che, come nel ventennio, di fatto è diventato reato.
Oggi sono finiti i colpi di testa, le grillate, le manifestazioni di piazza, i cortei.
Non ci vuole più di tanto per trovarsi nei guai. La libertà di parola è garantita dalla Costituzione, all’art. 21, ma “come ogni libertà ha i suoi costi”. L’ha detto il Presidente del Consiglio Bersani e l’ha confermato l’ex Presidente della Repubblica Napolitano: “bisogna parlare, ed in modo rispettoso, solo se invitati”.
Persino il nuovo Capo dello Stato, Romano Prodi, ha detto qualcosa a riguardo, ma nessuno l’ha capito. E non è servito il ricorso a Sircana per la traduzione, questi è impegnato in misteriose ricerche per strada, nelle periferie di Roma. Sollecitato dalla stampa, ha interrotto per un attimo le sue ricerche per consultare il Bignami del buon presidente, ma non ci ha trovato niente di simile.
Per timore di rappresaglie i cittadini non si sentono più liberi di esprimersi e sono costretti a subire; si sentono privati dei loro diritti, vessati dallo Stato con l’imposizione d’imposte e gabelle e sono alla mercé di una classe dirigente burocratico-politica che stabilisce tutto per loro.
Ogni giorno passano sulle tv pubbliche (quelle private sono state abolite col dpr sul riordino delle frequenze) i consigli sugli acquisti. Sono diversi da prima, ora sono disposizioni perentorie su cosa mangiare, su che film vedere, su che giornale leggere, su quali contenuti televisivi orientarsi, sugli atteggiamenti considerati corretti, se andare in vacanza e dove, sulla formazione dei figli. Da qualche giorno, suggeriscono anche quali opinioni si possano esprimere liberamente.
Si sente dire in giro, ma non ci sono conferme ufficiali, che sia stato messo insieme un pool di scienziati per fare ricerche sulla lettura del pensiero con lo scopo di realizzazione un congegno capace di leggere ciò che pensiamo.
Sono molto preoccupato sapeste quanti cattivi pensieri che ho!
In Italia, è così che si precorre il futuro e si coltiva la ricerca scientifica.
Lo Stato stabilisce anche quali aziende devono produrre e quali no, decide chi può andare in pensione, mentre è ancora in vita, e chi no. Per non incidere sulla spesa, la consulente del ministero del Welfare, Elsa Fornero, in uno studio elaborato con il senatore a vita Monti, ha redatto una nuova proposta di riforma delle pensioni.
La proposta si apre con la seguente premessa: “Sarebbe auspicabile che i lavoratori italiani andassero in pensione come atto conclusivo della propria esistenza”. Dai sindacati un silenzio tombale.
Un Paese regolato, insomma, senza che niente sia lasciato al caso. Uno Stato che ci fa nascere e ci fa morire quando vuole. Il costo della sanità, infatti, non è economicamente sostenibile, e le cure mediche sono riservate solo a chi è utile.
Chissà perché utili sono sempre loro!?
Gli abitanti vivono intimiditi dai poteri, sono spiati, con i telefoni sotto controllo, ma ci stanno facendo l’abitudine. Il tecnico bocconiano Mario Monti, braccio destro di Bersani, sostiene che sia “meglio vivere cento giorni da pecora anziché solo uno per non viverne più”. L’aforisma non è suo, glielo ha suggerito Angela Merkel. Si lei la Kulona!
Sul decreto sulle intercettazioni è stata posta la fiducia ed è legge dello Stato già in vigore da tempo. Stabilisce, come suggerito da Fini, che sia nella discrezione del giudice intercettare chi vuole, senza dar conto a nessuno.
Subito dopo la pubblicazione del Decreto sulla G.U., con un tempismo senza precedenti, tutti i telefoni in uso al Cavalier Berlusconi ed alle persone a lui vicine, contemporaneamente per iniziativa di tutte le procure d’Italia, sono stati messi sotto controllo.
Ora capita che anche gli intercettatori s’intercettino tra loro.
“Sulla legalità - ha sostenuto l’ex PM Ingroia - non si può pensare a risparmi, e due orecchie ascoltano meglio di uno”.
“L’autonomia dei magistrati è una cosa seria. O c’è o non c’è, e se c’è deve essere rispettata”. Anche questo è un pensiero profondo. Non è mio. L’ha espresso il nuovo ministro della Giustizia, con l’interim agli Interni, Antonio Di Pietro.
C’è chi dice che in Italia sia stato instaurato uno stato di polizia. Grillo è in galera da tempo, come è in galera Sallusti (gli hanno prorogato di 48 mesi il soggiorno in galera, come se fosse l’ammortamento di un mutuo) e come lo è, in carcere, anche Giulianone Ferrara.
Feltri è in clinica psichiatrica, invece, dopo che gli è venuto lo schiribizzo di capire dove sono finiti i duemila miliardi di debito dello Stato. Belpietro è emigrato. Di lui non si hanno più notizie. C’è un mandato di cattura internazionale spiccato contro di lui: è accusato d’istigazione alla disobbedienza civile.
Travaglio dirige il carcere di Regina Coeli a Roma. Santoro, tornato alla Rai, è stato inviato in Uruguay per un’inchiesta sui Tupamaros.
Oscar Giannino, invece, vestito da giullare, assieme ai suoi tre gatti, intrattiene, e l’aiuta a fare i compiti, il bimbo adottato da Vendola assieme al consorte, (o alla consorte?). Moglie? Marito? … diamine, questa nuova legge sui matrimoni omosessuali non l’ho ancora capita!
C’è chi mi chiede … e Pannella dov’è? L’ultima segnalazione è di qualche mese fa. Era in sciopero della fame, dinanzi a Montecitorio: protestava contro la fame in Italia. La polizia l’ha arrestato e portato a Rebibbia. Dicono che per qualche giorno dalla sua cella si siano sentite le sue grida di protesta. Poi ha scioperato anche la sua voce.

Anche l’attività sessuale è monitorata. Da qualche tempo è stato istituito per legge il conta scopate. E’ un “cip” - è scritto così nella versione ufficiale del decreto del Governo - che viene inserito nei genitali per conteggiare la frequenza dell’attività sessuale dei cittadini. Ma, come accade di solito in questo campo, la malizia fa circolare voci che non si sa quanto siano o non fantasiose.
I sussurri sostengono che serva alla tracciabilità delle scopate: per poter poi introdurre una nuova tassa, variabile a seconda se il rapporto viene consumato nell’ambito familiare o fuori.
A proposito di tracciabilità, è stato abolito il denaro ed è stato sostituito dalle carte di credito e dal pago bancomat. Monti, Bersani e i banchieri gongolano. Dall’espressione del volto e dai rumori che gli sono usciti dalla bocca, invece, non si è capito come la pensi il Capo dello Stato. Quando parla il Presidente Prodi non si capisce mai niente e Sircana, il suo portavoce, è sempre impegnato nelle periferie di Roma. Chi l’ha incontrato racconta che si ferma ripetutamente vicino a soggetti di colore con atteggiamenti e abbigliamento femminile, ma con tratti un po’ mascolini.
I vertici dello Stato con i loro “entourage” oggi in Italia godono di uno “status” diverso dai comuni mortali. Appartengono ad una classe sociale che chiamano “Politburo social finanziario”. Hanno l’immunità e possono scopare e trafficare alla grande. E Berlusconi si morde le mani.
Per la gioia di Casini si sono ricompattate molte famiglie: per timore d’essere tracciati, sono diminuite di molto le corna. Senza denaro a nero, è diventato anche difficile mantenere le amanti.
In serie difficoltà sono le donne: devono prestare attenzione a mantenersi distanti dalle residenze dell’ex Premier Berlusconi. Tutte quelle, infatti, che capitano nel suo raggio di azione sono fermate e interrogate dalla polizia perché si ha il sospetto che Berlusconi si sia procurato all’estero un congegno per falsificare il “cip” della tracciabilità e della conta delle scopate.
Sembra che funzioni allo stesso modo del congegno che hanno utilizzato gli amici di Prodi alle politiche del 2006, per ribaltare la conta dei risultati elettorali che li vedevano perdenti, e che poi hanno vinto per 24 mila voti.
Si ha voce che si stia organizzando un comitato femminile di protesta clandestino chiamato “Se non la do ora, non la darò mai più”, capeggiato da Nicole Minetti.
Ci sono già alcuni arresti fra le attiviste più combattive, mentre l’eroina Nicole si è data alla clandestinità.
La polizia sta fermando, per l’identificazione, tutte le donne con le tette fuori misura. Figurarsi che la polizia è così pignola e le maglie sono così strette che hanno fermato anche la rosibindi.
La combattiva parlamentare si è sbottonata la camicia, tra il terrore dei poliziotti, e sotto aveva ancora la maglietta con su scritto “non sono una donna a sua disposizione”.
Le hanno subito creduto! Nessuno ci teneva a fare ulteriori controlli su di lei!
In questi giorni, il Parlamento, dopo la recente sentenza della Consulta, che ha giudicato la legge conta scopate lesiva della libertà sessuale dei praticanti il “sesso progressista”, su proposta del deputato Vendola, sta discutendo la modifica della legge.
La nuova formulazione, in discussione presso la commissione per le pari opportunità della Camera, escluderebbe (si usa il condizionale perché nel testo è comparsa, per caso, una postilla per escludere dai controlli anche la pedofilia, ed è bloccata in commissione in attesa di una relazione tecnica) dall’obbligo della conta tutto il mondo alternativo, cioè quello definito sessualmente corretto, come stabilito dalla recente riformulazione degli articoli 29, 30 e 31 della Costituzione Italiana.
L’obbligo previsto dalla legge, infatti, era stato ritenuto lesivo della libertà privata, art. 13 della Costituzione, e in conflitto con la legge Concia-Vendola-Grillini sull’omofobia.
In Italia è cambiato tutto. Dicono che è in atto la rivoluzione “liberale”, per liberare l’Italia da chi si mette di traverso e dà fastidio.
Come per tutte le rivoluzioni, il processo è lungo e la strada è piena d’insidie e di ostacoli. Qualche problema lo sta creando, ad esempio, Giuliano Ferrara.
La cella assegnata gli sta stretta ed ha problemi ad entrare nel vano adibito a bagno. Non ci passa e non si trova un vasino alternativo di misura adeguata. Sta facendo lo sciopero della fame. E’ al quinto giorno.
I funzionari pubblici italiani, però, sono l’eccellenza del Paese. L’ha dichiarato il nuovo ministro della Funzione Pubblica Matteo Renzi, nell’annunciare che il direttore del carcere s’è rivelato geniale, trovando subito la soluzione: Ferrara dovrà mettersi a dieta.
I problemi dell’Italia erano tutti qui!
Come abbiamo fatto a non capirlo da subito?
Vito Schepisi