17 febbraio 2013
Grillo stimola e inquieta
Beppe Grillo fa presa più che per ciò che propone, per ciò che denuncia.
Le sue proposte sono confuse, senza capo, né coda. Fanno leva su ciò che non funziona - in Italia è molta cosa – e le sue soluzioni stanno nel mezzo tra le novazioni irrealizzabili e le ricette antistoriche.
Grillo lo sa bene: il suo obiettivo è raccogliere il voto di protesta globale. Un consenso che abbracci un arco di opinioni straordinariamente contraddittorio.
E’ persino evidente l’inutilità politica di questa impresa. Si raccolgono voti per farne cosa? A che vale mettere il Parlamento nell’incapacità di discutere con la necessaria serenità sulle riforme irrinunciabili per l’Italia?
Emerge anche un nuovo modo di far politica, prima di lui accennato solo da Di Pietro, seppure in modo più familistico e confuso, fatto di partiti gestiti da società d’affari.
L’iniziativa di Grillo è gestita come un prodotto commerciale che si presenta sul mercato cogliendo opportunisticamente la presenza della domanda.
Finirà col fare il gioco di quei poteri, le caste, che nella confusione perpetuano la loro arrogante e spavalda inamovibilità.
Grillo è riuscito laddove nessuno sarebbe stato capace e dove nessuno avrebbe mai osato. Ha stimolato contemporaneamente, convogliandoli in un unico fronte, i nostalgici dei regimi autoritari ed i centri sociali. Ha intessuto, tra loro, le matasse dei fantasiosi pensatori di soluzioni preindustriali e quelle dei fautori della tecnologia esasperata; ha fuso nell’odio i tifosi dell’olio di ricino e gli sprangatori delle forze dell’ordine; ha coinvolto insieme nei sogni i nostalgici dei segnali di fumo e gli smaniosi degli smartphone.
In Grillo e nel suo staff prevale l’idea sconvolgente su tutto, ma senza l’idea finita di soluzioni praticabili con un preciso costrutto. Tutto è immaginazione, con punte di fantasia distruttiva.
Grillo è il Marcuse italiano del terzo millennio. Con le dovute distanze intellettuali tra i due, Grillo appare come chi sostiene che il futuro sia negli emarginati, ma la sua più grossa contraddizione è che di questa società repressiva, evocata da Marcuse, lui è parte integrante.
L’Italia è una frazione di un mondo che viaggia sui rapporti economici, sugli scambi commerciali, sui trasporti, sulla produzione industriale, sulla conquista di nuovi mercati, sulla bilancia commerciale. Non è, però, che cambiando il modo di vita degli italiani si cambia il mondo. Non scherziamo!
E’ con il mondo moderno che l’Italia deve sempre fare i suoi conti. La presunzione e l’egocentrismo concettuale possono essere la tomba della nostra civiltà. Non possiamo pensare ad un’Italia autarchica che faccia scelte in controtendenza. L’Italia ha bisogno di stare in alleanze politiche e militari, come tutte le altre nazioni. Non si scherza sul futuro delle prossime generazioni. Un’Italia isolata nel Mediterraneo diverrebbe un avamposto per tutti i fondamentalisti autoritari del mondo: un cavallo di Troia nel fortilizio della civiltà occidentale. Non dimentichiamo mai il “si vis pacem para bellum” di Cicerone.
Anche la banalità del “lavorare di meno per lavorare tutti”, vecchio arnese del populismo marxista, è uno slogan mutuato dagli anni ‘70, come se nella dialettica laburista non fosse già superata l’idea operaista che vedeva il profitto come variabile indipendente dell’impresa.
Non si può, però, non cogliere il messaggio del “grillismo”. C’è un’Italia da cambiare e bisogna farlo con urgenza. Occorrono riforme che diano credibilità e autorevolezza al Paese e alle sue Istituzioni. Un Capo dello Stato, ad esempio, che la nostra Costituzione vorrebbe al di sopra delle parti, che va negli USA a fare una marchetta elettorale per la sua creatura, difendendone il fallimento, non si può vedere.
La corruzione, inoltre, è una piaga che rischia di andare in cancrena. Non è, però, come sostiene Grillo, solo una questione di generazioni, quanto, invece e soprattutto, è una questione di riforme. Deve mutare il modo in cui questo Stato è organizzato e gestito. Questo nostro Paese è incrostato dai poteri intramontabili arroccati a difesa dei particolarismi e dei privilegi.
La nostra democrazia, ancora, si ferma al giorno delle elezioni, poi non esiste più. I poteri e lo Stato sono arroganti e oppressivi. Spaventano! Chi è eletto in Italia si sente, poi, autorizzato a fare i cazzi propri, senza dar conto a nessuno, quando non anche si preoccupa di allargare il proprio potere e di perpetuarlo. Chi vince le elezioni non è in grado di governare, perché impedito dal Parlamento e dalle caste annidate nei servizi dello Stato.
L’art.67della Costituzione, infine, da essere un presidio per la dignità del parlamentare, perché nello svolgere il suo mandato risponda solo ai suoi elettori, è stato trasformato in licenza di far di tutto, compreso mettersi in vendita, trasformando il Parlamento, anziché luogo di democrazia, in una macelleria nazionale in cui si vendono le scelte degli elettori come se fossero tagli di carne.
Grillo pone il suo indice contro la parte più inguardabile del nostro Paese. Da comico ha la capacità di farlo in modo irriguardoso ed efficace. Il segreto del suo successo politico, pertanto, più che su ciò che propone, è su ciò che denuncia.
E’ incredibile quanto l’arte della scena in questi casi diventi credibile!
Vito Schepisi
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1 commento:
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