30 luglio 2006

Quando una maggioranza diventa un regime

Siamo ai margini della interruzione dei lavori parlamentari. Posti per il momento alle spalle i problemi di una maggioranza che al Senato tale non è e che si regge sui voti determinanti dei senatori a vita, è ora di accantonare per un attimo indignazione e propositi bellicosi e riflettere. Tra le riflessioni più serie certamente v’è quella di valutare la dimensione politica dell’attuale Presidente del Consiglio. Valutare la sua capacità di governare non è solo un esercizio critico di chi non condivide ma deve essere più un modo di partecipare al dibattito democratico. Il solo esercizio del voto, se fosse limitato a scelte di campo su uomini e coalizioni, sarebbe un limite alla maturazione democratica del Paese. Il confronto sui contenuti e le scelte di governo devono essere anche elemento di partecipazione e di condivisione. La politica non è un campionato di calcio dove la squadra del cuore va sostenuta “per fede”. La politica è una grande arena in cui si cimentano gli attori protagonisti per dare un’immagine di concretezza alla interpretazione della realtà. Una grande scena in cui gli spettatori offrono al primo interprete l’imprimatur della rappresentazione emotiva e realistica della trama. Questi, come da copione, deve abbattere ogni male e liberare gli animi da ogni pericolo e preoccupazione: deve infondere le sue sensazioni di società finita. L’attore protagonista deve far vivere la scena, darne un senso, aprire scenari di concreta realizzazione. Fuori dai riferimenti allegorici, dal leader della coalizione di governo ci si aspetta contenuti che facciano girare l’economia; che diano lavoro e tranquillità alle categorie più deboli; che creino nel paese pacificazione sociale; che rendano tranquille le giornate dei contribuenti; che diano a ciascuno tanta consapevolezza e dignità da nutrire un consapevole orgoglio nazionale. Sta avvenendo tutto questo? Le dichiarazioni di Prodi prima sul carattere “sexy” della sua maggioranza parlamentare e poi sulla “illusione” della minoranza del 50% del Paese di vederlo cadere in Parlamento, denotano non solo un infantilismo preoccupante, ma anche una tale dose di indifferenza verso il buon senso da far convenire tanti commentatori, non certo solo quelli con simpatie per la Cdl, sulla considerazione di una dose eccessiva di ineffabile arroganza.
Appare evidente, e la questione del rifinanziamento delle missioni dei militari italiani all’estero ne hanno dato motivo di maggior convinzione, che la politica estera del Paese sia fuori controllo. Alcuni arrivano ad affermare che ve ne sia più di una: quella a valere per il Parlamento e per gli alleati di Governo e l’altra per i rapporti con gli altri paesi. D’Alema ha dovuto coniare il termine “equivicinanza” per rendere accettabile, o parzialmente contestabile, la politica estera dell’Italia sulla scena mediorientale ed in particolare sull’inarrestabile conflitto arabo-israeliano. Non si riesce ancora a capire se tale termine si riferisca anche al preoccupante nuovo conflitto Israele- Hezbollah. L’equivoco sull’equivicinanza ha fatto si che i seguaci del “Partito di Dio” libanese vedano nell’Italia un interlocutore privilegiato per negoziare una tregua ed un eventuale scambio dei prigionieri. L’equivicinanza in questo caso verrebbe vista come una mascherata posizione di vicinanza all’aggressione degli Hezbollah ad Israele la cui reazione è sembrata al governo italiano eccessiva. Non è necessaria una profonda riflessione per capire che se invece di un’aperta condanna degli Hezbollah viene contestata una reazione eccessiva degli israeliani si è già operata una malcelata scelta di campo. Alla precedente politica estera dell’Italia, chiara, con espressioni di adesione o di condanna e con inequivocabile adesione strategica dell’Italia ai valori della diffusione della libertà e della democrazia in ogni parte del mondo, si è passati alle posizioni equivoche, mediate, alle vicinanze strategiche alla confusione dei ruoli e dei principi. La politica estera italiana ritorna ad essere inattendibile e poco seria. Il vertice di Roma, del resto, basato sugli equivoci e ignorando i principali responsabili del riacceso conflitto, non poteva che avere le conclusioni avute: un enorme fallimento. Può in queste condizioni l’Italia sobbarcarsi l’onere di perseguire, con l’invio di militari italiani, il disarmo della fascia del libano confinante con Israele? Se si inviassero i nostri militari in Libano in queste condizioni sarebbe pericoloso ed immorale: si capirebbe, purtroppo, anche quale pacifismo si va praticando da alcune parti della nostra sinistra.
Le scene quotidiane a cui abbiamo assistito in Parlamento e nel dibattito politico danno ancora la misura di una preoccupante disarticolazione di una maggioranza che è tale e numerica solo se tesa ad occupare spazi di potere, ad individuare in Berlusconi il pericolo, ad occupare poltrone e far crescere la spesa. Su tutto troneggia un volto ineffabile con i tratti somatici della mancanza assoluta di serietà. E’ stato definito un’opera buffa, un cervello piatto, una testa quadra, una mortadella. Si è proclamato “il primo della classe”; ha tendenze sessuali un po’ particolari poste le sue emozioni erotiche per l’ “hard core” parlamentare di una maggioranza sul filo del rasoio. Alcuni non lo vogliono al taglio del panettone e lo vorrebbero far precipitare sulla finanziaria lacrime e sangue da 35 miliardi di euro: cadrà certo sulle sue contraddizioni; sulle sue e su quelle di una coalizione divergente su tutto. Tanto divergente, troppo per essere una vera maggioranza parlamentare.
Intanto le più alte cariche istituzionali, Presidenza della Repubblica e Presidenza del Senato, hanno già iniziato a diffondere i loro distinguo. Basta con la fiducia su ogni cosa e spogliazione del Parlamento della sua funzione di dibattito e di formazione delle leggi. Napolitano e Marini, eletti a colpi di maggioranza e consapevoli, quindi, di un ruolo che è costantemente sottoposto alla “riserva” della loro credibilità istituzionale, per essere i rappresentanti di tutto il Paese, lanciano costantemente moniti al Presidente del Consiglio perché nel Paese non si diffonda la convinzione che questa maggioranza del 50% si stia trasformando in un regime.
Vito Schepisi

18 luglio 2006

Prodi indecente - Ma perché il Presidente del Consiglio non interroga lo spirito di Al Zarqawi?

Grande idea quella di Prodi. Il presidente del Consiglio ha telefonato oggi al segretario generale della sicurezza iraniana, Ari Larijani, e, dopo averlo fraternamente informato sull’andamento del G8 in corso a San Pietroburgo, gli ha chiesto di svolgere una mediazione sulla crisi fra Israele e il gruppo terrorista degli Hezbollah, armati e finanziati dallo stesso Iran oltre che dalla Siria. Ma perché nessuno ci aveva pensato prima! Quella di rivolgersi all’Iran per fare da mediatore in una crisi internazionale su cui è stampata come una croce uncinata la responsabilità dell’Iran stesso è, da parte del presidente del consiglio Prodi, un’idea indecente, va da sé. Inutile richiamare il precedente di Monaco e della lunga letale ignavia europea di fronte al riarmo della Germania hitleriana e alla sua proclamata volontà di guerra. Qui, va da sé, siamo di fronte a un atto di irresponsabilità, di complicità e di vigliaccheria nei confronti dell’Iran del dittatore islamonazista Amahdinejad, a un tradimento dei legami che uniscono le democrazie europee a Israele e a una obiettiva pericolosa inadeguatezza personale.E però l’idea potrebbe essere rilanciata con vantaggio in altre situazioni drammatiche. Prodi potrebbe ad esempio chiedere al successore di Provenzano di intervenire per porre fine al controllo mafioso del territorio siculo; oppure chiedere a Bin Laden di partecipare alla gara di appalto per la ricostruzione delle Torri Gemelle; o, valorizzando le sue note competenze specifiche, interrogare lo spirito di Al Zarqawi per farsi indicare la località in cui si trovano sequestrati i soldati israeliani rapiti dagli Hezbollah
Marco Taradash
da Affari Italiani

Politica economica: povertà di idee del Centrosinistra

L’incremento delle entrate tributarie del 13,50%, su base annua, del primo semestre 2006, pari a 20,3 miliardi di Euro in più è “sicuramente riconducibile, per quanto riguarda l’IRES (imposta sul reddito), al prevalere degli effetti di ampliamento delle basi imponibili e dei prelievi mirati a carico delle imprese”. Queste parole non le ha pronunciate Tremonti o Berlusconi e neanche il sottoscritto, ma le ho riportate dalla relazione del Presidente della Corte dei Conti Staderini in audizione a Montecitorio il 14 luglio u.s. Ma non sono solo queste le indicazioni di Staderini. Il Presidente della Corte dei Conti non si è limitato ad analizzare i successi della politica economica del Governo Berlusconi, ma ha lanciato allarmi e denunciato limiti e carenze sulla stessa politica economica del centro-sinistra. Riferendosi al Dpef, la Corte dei Conti precisa che: “non fornisce indicazioni puntuali sulla natura e sulle dimensioni dei possibili interventi di contenimento della spesa o di incremento delle entrate che comporranno la manovra della prossima Finanziaria”. Anche le conclusioni della commissione Faini sono state oggetto di sostanziali perplessità. La Corte dei Conti, infatti, per bocca del suo supremo organo rappresentativo, ha messo in risalto gli scostamenti con il Dpef presentato dal Governo, affermando che in sostanza (gli scostamenti) sono tali da “consentire proiezioni meno allarmanti sulle prospettive di finanza pubblica”. Staderini ha di seguito ammonito il nuovo governo sul rischio che “il buon esito delle entrate” possa essere assorbito dalla spesa corrente. Soffermandosi sull’assunto del Dpef in cui le imposte indirette avrebbero avuto una sostanziale prevalenza su quelle dirette nel periodo del governo Berlusconi, il Presidente della Corte dei Conti ha affermato che “ la riduzione dell’incidenza delle imposte dirette sul Pil è stata compensata parzialmente dall’aumento del peso dei contributi sociali” ed ha commentato la maggior crescita delle imposte dirette, in misura nettamente prevalente, rispetto a quelle indirette (+18,4% contro il +7,9%) sostenendo che sembra stabilirsi “ una tendenza che se confermata porterebbe a una ricomposizione del prelievo in senso inverso a quello ipotizzato dal Ppef per il periodo chiusosi con il 2005”, contraddicendo così le ipotesi del centro sinistra di mancanza di progressività nelle imposte. Staderini non ha mancato di analizzare l’accusa mossa sempre dall'Unione che contestava le politiche di bilancio di Tremonti con il postulato che i condoni e le sanatorie abbiano fatto precipitare il gettito e favorito elusioni ed evasioni. Staderini ha lamentato “l’assenza di una strategia di contrasto all’evasione”, ricordando anche che la Corte dei Conti ha promosso un indagine per stabilire se, come ha sempre affermato il centro sinistra, il condono abbia o meno incoraggiato l’evasione. Dal taglio del discorso del Presidente dell’Organo della magistratura contabile, in audizione al Parlamento, appare evidente che anche l’odioso postulato dell’Unione in cui si fa prevalere l’ipotesi che Berlusconi abbia tolto “ai poveri” per dare “ai ricchi” è una delle tante falsità infami che si vuole affermare per quello che sembra essere solo una grande povertà di idee.
Vito Schepisi

Le ragioni di Israele da "Affari Italiani" di Alessandro Luigi Perna

Il Libano e la Palestina non vogliono fare la guerra civile. La conseguenza è che gli israeliani li invadono perché non hanno alternative. Facendo un grosso favore proprio a Libano e Palestina.
Guardiamo in faccia alla realtà: se il medio oriente è di nuovo in guerra non è colpa degli israeliani. Ma della mancanza di coraggio morale e etico del governo Palestinese e Libanese. Che non vogliono fare la guerra civile pur sapendo che è necessaria. Ma che fan pagare le loro scelte - la pace interna - a Israele. Consentendo rispettivamente alle milizie senza controllo di Hamas e degli Hezbollah di attaccarlo. E Israele non può che rispondere. A buon diritto: quello dell'autodifesa. Assicurando paradossalmente un futuro migliore a Palestina e Libano, oltre che a sé stessi.
Partiamo da Gaza e dalla Palestina. La maggioranza della popolazione - almeno formalmente - decide di dichiarare guerra ad Israele eleggendo il governo Hamas, movimento con braccio politico e militare che nega il diritto di Israele ad esistere. Poi i miliziani di Hamas bombardano Israele e rapiscono un suo soldato. Tocca al governo palestinese, retto dal braccio politico di Hamas, condannare gli attacchi dei propri miliziani, che ormai agiscono per conto proprio, e fermarli anche a rischio di una guerra civile.
Hamas non lo fa: i suoi leader sono intelligenti e sanno che le guerre sporche è meglio farle fare agli altri. Ma sanno anche di non avere la coscienza pulita: infatti ne loro ne Abu Mazen dichiarano guerra ad Israele esplicitamente come era naturale aspettarsi. Preferiscono attendere l'ovvia risposta israeliana - l'invasione. L'attacco dell'esercito di Tel Aviv gli consente di fare la vittima. E nello stesso tempo è lo strumento per liberarsi una volta per tutte delle milizie armate ribelli senza agire in prima persona. Non appena accade, sanno che Israele si ritira e il negoziato riparte. Insieme alla pace e al futuro della Palestina.
Libano del sud, terra degli Hezbollah, movimento terrorista comandato e armato dall'Iran (con l'aiuto della Siria) che siede in parlamento a Beirut. Così la terra dei cedri ha deciso di porre fine a 16 anni di guerra civile: non disarmando una delle parti in causa perché avrebbe significato fare un'altra guerra civile. Anzi: accogliendola nel governo con tanto di ministri. Solo che questo significa avere un esercito tutto privato all'interno dei propri confini che non risponde all'autorità nazionale. Il gioco funziona finché l'esercito autonomo non si mette in marcia, poi se ne perde il controllo.
Che è appunto quello che è successo. Al che il governo libanese di Fouad Siniora ha due strade davanti a sé: o dichiara guerra ad Israele, o dichiara guerra agli Hezbollah. Ha fatto la scelta più semplice: non ha dichiarato guerra a Israele e neppure agli Hezbollah. Tanto di cappello: in questa maniera se Israele vince le milizie sono disarmate senza guerra civile. Se Israele perde nessuno può accusarlo di aver colpito alle spalle gli Hezbollah - che in qualche modo sono pur sempre fratelli anche se Caini.
A questo punto gli Israeliani non stanno agendo solo per loro stessi, ma anche per conto terzi. Ne sono coscienti e lo fanno nell'unico modo possibile: con efficacia militare. Perché la posta in gioco è alta e lo sanno. Infatti se vanno fino in fondo e sconfiggono i bracci armati di Hamas e Hezbollah finalmente escono dall'accerchiamento e assicurano un periodo di pace ai loro confini. Fouad Siniora da Beirut e Abu Mazen dalla Palestina con l'intero governo di Hamas sulla vittoria israeliana ci hanno scommesso il futuro. E adesso aspettano che il casino finisca per raccoglierne i frutti politici.
Alessandro Luigi Perna
da "Affari Italiani"

17 luglio 2006

Riflessioni sulla ragione

Non esiste una verità assoluta.... in ogni cosa. Non esiste in termini teocratici e neanche in principi razionali. Tutto ciò che viene rappresentato come "panacea" in verità è un modo per portare il discorso dalla propria parte.
Nel tempo l’aver seguito vuoi il cristianesimo, o ancor prima i simboli religiosi egiziani, gli dei dell’antica Grecia, o il ritualismo azteco, o la religione musulmana ovvero buddista o ancora il protestantesimo corrisponde ad un potere che si diffonde, assieme alla superstizione popolare, alle suggestioni alle esigenze politiche, alle follie. Come tutto questo è vero per l’esigenza di dare risposte spirituali, a volte etiche, ai mezzi, ai comportamenti, ai principi, alle leggi è anche vero per offrire illusioni, condivisioni, giustificazioni ideologiche, strumenti di propaganda a coloro che conducono quei principi e quelle idee. Illudersi che se ne possa fare a meno, dunque, è soltanto utopico.
C’è chi pensa alla anarchia come principio per essere distaccato dalle scelte, o per giustificare il voler essere fuori dal sistema. Si pensa, forse, in questo modo che l'esser anarchici non abbia in se una forzatura delle cose tale da dar giustificazione etico-politica al comportamento nel tempo dei suoi praticanti? Nessuna scelta può essere immune da censure se si esplica a danno di altri!
Nessuna teoria, neanche quella nichilista, ovvero atea ha in se un principio universale. Quest’ultimo trova, e solo può trovare, motivo di confronto e di vicinanza nella ragione, sempre che sia intesa come capacità di esprimere buon senso.
Una cosa è dimostrare a un uomo che è in errore, un'altra metterlo in possesso della verità.
(John Locke)
Tutto ciò per affermare in termini più articolati che nessuna cosa è perfetta ed ha in se su ogni aspetto ogni cosa accettabile. Tutt’altro ogni cosa ha tanti difetti, lede interessi di tanti, privilegia quelli di altri: sposa metodi e tesi degli uni e condanna le stesse cose di altri. Accende gli animi o li mortifica.
E’ vero dunque che anche il principio di libertà è apparente: la libertà non è altro che la capacità di ciascuno di esprimerla nei principi ma, non sempre, però, è contenuto acquisito da ciascuno. Le leggi anche sono una forma di limitazione della libertà: sono paletti all’abuso ma anche strumenti di sudditanza e di obbligo. La libertà come principio assoluto sarebbe una grande conquista ma anche lo strumento della più feroce tirannia. In ogni cosa come una medaglia ogni verso implica il suo rovescio.
L’avere una democrazia liberale, se da una parte ci induce ad accettare un volere diffuso dai più o da coloro che influenzano, dall’altra ci difende da coloro che impongono un volere di pochi e che hanno gli strumenti per imporlo. E’ questa la ragione che , spesso, ci fa dire che il sistema della democrazia ha in se il virus della imperfezione ma è l’unico che ce ne indica la medicina per combatterlo.
Vito Schepisi

13 luglio 2006

Israele: Lela è una mamma di Gerusalemme.

Lela è una donna energica e spigliata, ha 45 anni ed è sposata, vive da 23 anni (1983) in Israele a Gerusalemme, è impiegata ed ha 3 figli. Il più grande ha 18 anni e presta il servizio militare, ne avrà per 2 anni e 8 mesi. Tanto è il periodo della ferma in Israele, ridotto quattro mesi fa, era di 3 anni interi. Nata in Italia parla correntemente 4 lingue: italiano, inglese, francese ed ebraico. Mi dice subito: “ma non ho tempo!…cosa vuol scrivere?….conosce le nostre ansie, le nostre angosce?…cosa vuole che le dica?” Cerco subito di tranquillizzarla, le parlo in italiano con voce calma, cerco subito di farmi accettare come amico di Israele e del suo popolo. Le dico che comprendo le angosce di un popolo che la storia ha voluto sempre in pericolo, le dico che ha un modo ed un sorriso tranquillo di donna saggia e coraggiosa. Le parlo dell’Italia e delle sue contraddizioni, mi chiede della sua terra, mi racconta le sue origini e la sua scelta al seguito del marito israeliano che ha raggiunto in Israele poco più che bambina per amore, per vocazione, per fede. Ama l’Italia, la sente sempre come la sua patria , ama Israele la sente come la sua vocazione. Mi chiede di Venezia e di Milano e poi ancora del sud, del suo mare, del sole. Mi chiede di Napoli e dei napoletani mi parla della simpatia per Napoli e della semplicità dei suoi abitanti, dei modi, del loro cuore. Le racconto ogni cosa che penso le faccia piacere, tutto ciò che mi viene in mente e capisco che ha bisogno di sentir parlare della sua Italia. Gli occhi le si inumidiscono, sorride mentre inarrestabili sulle sue guance scivolano lente gocce di lacrime. Mi dice di avere ancora i suoi familiari in Italia, a Milano, una sorella, la mamma e tanti, tanti amici ancora. So che sarà difficile far emergere il suo stato d’animo quando le parlerò di Gerusalemme e della sua vita in una città di “frontiera” tra pericoli ed incomprensioni, tra guerra e vita quotidiana. Avvertirò la sua angoscia quando Le parlerò del figlio sotto le armi, ancora un ragazzino con tanta voglia di vivere in pace come tutti i suoi coetanei nel mondo civile. Le chiedo del clima in Israele, Le chiedo del mare, delle sue nuove abitudini. Mi chiede lei di cominciare e mi dice subito: “guardi che io rispondo solo alle domande a cui vorrò rispondere”. La ritrovo sulla difensiva, mi accorgo della sua diffidenza e glielo faccio notare e mi dice che a volte la diffidenza salva una o più vite umane. Le sorrido e Le do ragione. Mi sorride e posa la sua mano sulla mia e mi dice: “mi scusi”.
Lela è là pronta a rispondermi è più distesa, cordiale, serena.

Lela mi dica ha spesso paura?

Lela: la prima paura e' stata per la guerra nel golfo. Non sapevamo ancora come sarebbe stata coinvolta Israele...i miei primi 2 bambini avevano 4 e un anno. Hanno distribuito le maschere antigas a tutti e per i piccoli, una specie di incubatrice, una cosa chiusa di plastica. Ricordo la fila...ricordo che il pomeriggio ero in ufficio e mi chiamarono dal consolato italiano, offrendomi il ritorno in Italia con i bambini...il volo partiva alle 6 di mattina il giorno dopo…non ho dormito tutta la notte...andare, salvare me e i bambini...o restare a fianco di mio marito...il pensiero che lo avrebbero richiamato alle armi...e sarei rimasta sola...decidemmo insieme di partire, per un po' di tempo… e vedere come si sarebbero sviluppate le cose. Alle 2 di notte del 15 dicembre a Milano, ero nel mio letto di sempre, dove ho sognato da bambina, dove ho sognato Israele ed il mio amore, mia mamma mi sveglia per dirmi...''é scoppiata...accendi la tv” ....ricordo che insieme guardammo le immagini dei bombardamenti...le lacrime scendevano...ero preoccupata per Eli, mio marito, ..per Israele… Rimasi in Italia per 2 o 3 settimane, poi decisi di tornare. Il pericolo non era così grande per Israele e non richiamarono mio marito alle armi. Tornai a Gerusalemme con i bambini....a volte sentivamo le sirene dell’allarme e ci rinchiudevamo nella camera ''sigillata'' con le maschere. I bambini ritornavano a casa da scuola e poca gente lavorava. Finalmente finì la guerra...e ritornò la vita normale. Normale per noi qui in Israele: in Italia è diverso.

Le manca l’Italia?

Lela: mi ha fatto piangere quando mi ha parlato dell’Italia. A volte avverto un desiderio intenso, come una sete di sentire parlare della mia Italia. Si! La sento sempre la mia patria, mi lascio spesso andare ai ricordi degli odori, dei colori, delle persone. L’Italia con la sua cultura, la sua lingua, la sua musica. L’Italia dei miei amici, della famiglia, della sua cucina e poi….la pizza. Ogni volta che vengo in Italia, faccio il pieno di tutto e mi sento assetata di vedere di sapere e nostalgica dei luoghi della mia infanzia, delle mie prime amicizie di cuore, del calore della gente. Ma sento Israele anche la mia patria, non seconda alla mia Italia. Ad Israele mi lega la gente, il sole, il patriottismo, il coraggio e la caparbietà, la tecnologia, il mare, la cultura, l'aria pulita, il coinvolgimento di tutti per quello che sempre succede qui, la cordialità con i vicini di casa, la solidarietà della gente….un comune sentire…sempre ….in ogni circostanza. E’ la terra dove sono nati i miei figli…dove sono diventata adulta ed ho maturato le mie gioie, la mia felicità ed a volte le mie angosce.

Si è mai sentita serena e tranquilla?

Lela:Ricordo appena arrivata in Israele, 23 anni fa, andavo con mio marito a gironzolare per la città vecchia a Gerusalemme, nel quartiere arabo. Era così pittoresco, romantico, colorato, profumi di oriente...amo moltissimo questa parte della città, mi sentivo libera, in pace. Nessun problema con la gente. Ci sentivamo sicuri...poi iniziò l'intifada e l'odio arabo verso gli ebrei rifiorì.

Si è mai sentita minacciata da vicino…aggredita?

Lela: una volta eravamo in macchina...e cominciarono a tirarci i sassi....ero terrorizzata...

Il terrorismo come lo vive? Lo teme?

Lela: mi fa rivivere nei ricordi la seconda intifada...ancora più intensa della prima. Le bombe, gli autobus che scoppiano, i terroristi che colpiscono ogni luogo della nostra vita quotidiana, le stragi, il sangue, i morti e le immagini alla tv . Per ore, spesso, sono rimasta attaccata alla radio e alla televisione con le lacrime che sgorgavano. Spesso penso a miei figli alla loro tenerezza alla fragilità; penso alla loro voglia di vita, ai loro giochi e poi la spensieratezza, la semplicità della loro espressione. Nei loro occhi vedo, come in tutti i bambini del mondo, la voglia ed a volta la fretta di diventare adulti. Questa è Israele lo scriva: un Paese semplice e laborioso dove tutto e tutti sono uguali a tutto e tutti nel mondo. Un Paese che fatto dopo fatto, crimine dopo crimine, volta pagina e continua a vivere consapevole di tutto... anche che cedere, lasciarsi andare, significhi arrendersi e preparare la propria disfatta.

C’è qualcosa che la irrita più di altre? Intendo situazioni che la preoccupano!

Lela: Le immagini di bambini all'asilo e alle scuole arabe che vengono cresciuti ed educati nell'odio verso Israele e verso gli ebrei: queste sono cose che mi angosciano e mi lasciano di stucco. Una cultura fondata sull’odio, e nutrita di odio, è contro ogni sentimento religioso qualsivoglia religione sia. Da questa cultura, penso, sarà difficile uscire. Ci vorranno generazioni per mutare convinzioni maturate e radicate nelle loro radici. Tutto questo certo mi preoccupa.

Quando esce per la strada avverte la tensione?

Lela: Gli agenti della sicurezza sono dappertutto in ogni bar, dinanzi a musei ai centri commerciali. I controlli minuziosi alla gente che entra. Per noi è divenuta quotidianità….ma quando ci penso come faccio a non avvertire la tensione! Per fortuna col tempo tutto questo è rientrato nella nostra vita quotidiana …non ci facciamo caso più di tanto. Sa noi abbiamo una dote. Una dote che abbiamo maturato negli anni, sulla nostra pelle ed è la convinzione di saper e poter fiutare il pericolo. Abbiamo un sesto senso che ci avverte delle situazioni di pericolo.

Mi parli dei suoi figli e del grande sotto le armi

Lela: mio caro amico dobbiamo sforzarci a far si che la nostra vita sia normale e che tale appaia. Non so se mi capisce, mi scusi, comprendere il nostro mondo a volte è più difficile di quanto non si creda. Sa i nostri figli, che come tutti i figli del mondo vanno in discoteca a divertirsi, a volte vanno e muoiono ...ed ora Roy, mio figlio grande, alle armi...ogni cosa che succede a Gaza...mi riempie di angoscia...sarà lì? Nonostante tutto, però, la vita continua...cerco di respingere la paura e di agire normalmente altrimenti sarebbe la loro vittoria...

Finisce così la mia intervista con Lela, tra le lacrime ed il pensiero al figlio militare di leva. E’ la storia di una mamma israeliana, di una donna coraggiosa, forte, audace. Le dico, senza esserne convinto, che forse un giorno tutto finirà. Un giorno la ragione prevarrà e la tolleranza tra i popoli imporrà il reciproco rispetto. Mi sorride e mi dice: “ho paura che quel giorno non verrà mai”! Abbasso lo sguardo…non so che dire… e le stringo la mano.
Vito Schepisi
Intervista con Lela

06 luglio 2006

Specchietti per le allodole

Vorrei proprio vedere se le sbandierate liberalizzazioni serviranno a ridurre le tariffe o solo a modificare i soggetti deputati all'esercizio delle prestazioni. Vorrei vedere se gli interventi su banche ed assicurazioni favoriranno un più conveniente e meno conflittuale rapporto con la clientela. In proposito vorrei che fosse chiaro che i tassi di interesse sui conti correnti difficilmente potrebbero subire diminuzioni in quanto già ai minimi in assoluto e, per capirci, rasenti lo zero. Sui conti esposti, di contro, implicano la copertura da parte del cliente: cosa che non è quasi mai possibile nei 60 giorni.
Sono specchietti per le allodole.
Altrettanto lo sono sulle tariffe minime e massime delle prestazioni legali. L'avvocato, come il medico non sono prodotti di mercato: necessitano del cosiddetto rapporto di fiducia e difficilmente in questo caso si contratta il costo della prestazione. Sarebbe stato più opportuno, per ridurre le spese e snellire le attività dei tribunali, limitare le durate delle controversie legali.
Per i passaggi di proprietà di auto, moto e barche, ciò che viene meno e che sarà sostituito dai diritti di segreteria dei comuni è il costo per l'autentica della firma, circa 25 euro, non l'imposta di registro di diverse centinaia di euro.
Anche questo provvedimento, così come diffuso, è uno specchietto per le allodole ed appare offensivo nei confronti dei cittadini in quanto sbandierato come importante liberalizzazione. Ben diversa è la parte del decreto priva di enfasi liberalizzatrice, inserita senza alcun clamore, non diffusa dagli organi di informazione e tenuta a lungo riservata: quella che dà facoltà di istituire un controllo capillare su transazioni economiche di ogni tipo e di imporre un'imposizione fiscale, nelle transazioni immobiliari, non più sui valori catastali degli immobili ma sui valori di mercato.
Nessun clamore, inoltre, sull'aumento dell'imposta di registro e sulle locazioni finanziarie, nè sull'aumento e l'indeducibilità dell'IVA che non più recupearata dalle imprese si riverserà sugli acquirenti degli immobili.
Si pigia così il pedale del freno sullo sviluppo immobiliare delle aree urbane con la inevitabile conseguenza dell'aumento dei costi degli immobili e delle locazioni.
Vito Schepisi

Tempo di vacanze

A Prodi consiglierei il Polo Nord.....
...per "testa quadra" consiglierei il polo nord o comunque un'estate da trascorrere in luogo fresco. Non vorrei che dopo diversi... colpi di testa... si prendesse anche un ...colpo di sole!
Vito Schepisi

05 luglio 2006

L'Italia batte la Germania 2 a 0

Abbiamo visto i giocatori italiani cantare l'Inno di Mameli, abbiamo sentito gli italiani presenti allo stadio cantarlo a squarciagola. Abbiamo visto Prodi con la sua faccia da "stupido del villaggio" accanto alla signora MerKel, muto mentre gli italiani nello stadio davano un'impronta sonora della loro presenza. Abbiamo sentito i fischi dei tedeschi contro la squadra italiana, contro i suoi giocatori, abbiamo visto la signora Merkel cantare l'inno tedesco, mentre il nostro "primo della classe" manteneva la sua faccia stranita. Molti italiani in televisione si sono vergognati di lui, della sua faccia indecente e stereotipata, della sua mancanza di coraggio. In campo, invece, "caricati" dai fischi tedeschi, incitati dalla consapevolezza di essere italiani veri, incoraggiati dall'orgoglio di saper essere italiani i nostri giocatori a lottare. La squadra azzurra in campo, presente, pallone su pallone con il coraggio e l'impeto dei gladiatori in un'arena ostile, con correttezza, con lucidità, malgrado ogni amarezza, come sanno fare gli italiani. Il primo goal di Grosso ci fa dimenticare tutto, anche "l'opera buffa", senza anima e col "cervello piatto", seduto lì in tribuna. Il goal di Del Piero ci fa capire che vale sempre la pena di continuare a lottare!
Vito Schepisi

04 luglio 2006

Rilanciare il Partito delle Libertà

Leggendo gli editoriali di Battista e di Romano sul Corriere della Sera qualche riflessione è opportuno farla. Non si può non tener conto dell'attività della UDC, Iniziata con la segreteria Follini, che aveva ed ha come scopo ultimo quello di far scendere Berlusconi dalla sella. Casini ed i suoi si sentono pronti a sparigliare le carte. L'obiettivo è quello di porre sulla scena politica la centralità delle forze moderate che guardano ai valori del cattolicesimo ed alla politica sociale. Una riedizione in sostanza del centro sinistra fine anni sessanta. Rifletto sullo spirito con cui Aldo Moro delineava la sua strategia politica e m'accorgo che Tabacci e Follini hanno la sua stessa visione: trovare con il contendente politico un compromesso di gestione. Convinto come sono che le forze moderate hanno dalla loro parte la forza della ragione e del buonsenso e che lo sguardo a sinistra alimenta gli interessi di bottega, ritengo che battersi contro questa strategia sia opportuno. Ben si sa, infatti, che le politiche popolari riscuotono un consenso spontaneo, mentre le politiche ragionate critiche e dissensi e ben conosciamo il gioco delle parti portato avanti dalla sinistra demagogica ed opportunista. La nostalgia è quella: essere con tutti contemporaneamente, facendo finta di battersi fino all'ultimo respiro contro lo stesso potere da loro controllato.
Premetto, come ho avuto modo di dire già in altre occasioni, che non sono per il mantenimento a tutti i costi della leadership di Berlusconi, quanto per il mantenimento di una politica coerente e compatibile con le risorse economiche, con lo sviluppo, con la collocazione internazionale e con i principi ispiratori della civiltà giuridica e sociale. Ancora molto è da fare nel Paese per far si che lo stato sociale ceda il passo alla società civile e garanzie di questo tipo non ce ne sono affatto nella strategia UDC. Berlusconi e Forza Italia devono prendere l’iniziativa, forte e decisa, devono rinunciare alla ricerca di consenso degli alleati per la spallata al Governo Prodi. Non arriverà mai! L’UDC sarà sempre pronta a correre in soccorso della maggiornza con giustificazioni sulla falsariga dell’interesse del paese. Ora di non voler abbandonare i nostri soldati inviati dalla precedenza maggioranza a portare la pace sui territori di guerra e poi appellandosi alla strategia dell’opposizione costruttiva. Non hanno interesse Follini o Casini alle elezioni anticipate che possano riportare Berlusconi alla guida del Governo: devono prima di tutto assolvere al loro compito di demolire la leadership del Cavaliere. Devono strizzare l’occhio ai loro attuali competitori. Prodi e Rutelli ed un po’ meno Mastella, che vedrebbe vacillare il suo ruolo di spartiacque, sono lì ad attenderli per un grande centro che guarda a sinistra e che li affranchi dai condizionamenti troppo sbracati della sinistra alternativa. Il partito dei Democratici di Sinistra diverrebbe, per Rutelli in particolare, non più l’azionista di riferimento della maggioranza di centro sinistra ma l’interlocutore paritetico.
Forza Italia ed il suo leader, dunque, devono prendere in fretta l'iniziativa di unificare con una formula propulsiva e dinamica il centrodestra. Devono denunciare le schematizzazioni ed i ghetti ideologici ed affermare che il progresso richiede politiche libere e che il benessere ha bisogno di sviluppo. La politica sociale non si ottiene con lo stato sociale ma con la consapevolezza dei doveri di ciascuno. Affermati questi principi rilanciare il partito unico delle libertà, affrontando anche distinguo e defezioni. Meglio chiarire tutto e subito anziché farlo nel tempo e… lasciarsi lentamente demolire.
Vito Schepisi

02 luglio 2006

Il metodo

E’ opinione diffusa definire anticomunisti tutti coloro che si oppongono e che non condividono l’attuale maggioranza parlamentare. Spesso definirci tali è nella premessa di coloro che ci accusano di essere legati a vecchi preconcetti e di correre dietro a miti del passato. Sento ripetere spesso da costoro, con aria di sufficienza, che è caduto il muro di Berlino e che parlare di comunismo oggi è fuori tempo e luogo.
Appare chiaro che mi considero perfettamente in linea con coloro che si definiscono anticomunisti. Avrei solo da correggere l “anti” . Non vorrei, infatti, che la mia posizione come quella di tanti, fosse interpretata come una posizione di antagonismo acritico.
Non è così. Il nostro antagonismo è ragionato ed è basato su approfondimenti culturali a 360° , ed ancora su conoscenza della storia, sulla nostra attitudine filosofica ad analizzare i fatti ed il pensiero ed infine su di una grande capacità di dialogo e di confronto. Non starò qui, infatti, a ricordare la storia dei finanziamenti e della presunta ‘diversità’ etica dei vecchi, nuovi e post comunisti, come loro hanno fatto per affermare la loro diversità morale. L’antiberlusconismo, infatti, è frutto di mancanza di cultura e di mancanza di argomenti politici.
E’ stato facile in Italia puntare il dito contro un uomo ricco e fortunato. Berlusconi, ancora, è uomo poliedrico, ha una sua dimensione civile ed umana, usa un linguaggio chiaro e non ermetico, è diretto e spontaneo. Le sue "gaffes" sono divenute famose ma anche argomento di accuse sulla inadeguatezza a rappresentare il Paese. Il confronto politico spesso si è soffermato su frasi o parole usate più che sui contenuti che pure vi erano ed a volte di grande spessore. Il suo modo di essere persona, individuo, semplice e umano spesso ha prestato il fianco a feroci critiche e ad una satira quasi esclusiva e costruita su misura, a volte più con l'intenzione di far male che di sorridere.
Non direi quindi anticomunismo, piuttosto "acomunismo". Io non penso, infatti, che si possa esprimere ed esaurire il proprio pensiero politico sull’antagonismo verso qualcosa, nel caso in questione il comunismo. Penso invece che sia il pensiero politico, l’idea che si ha della società, i valori in cui si crede che si contrappongano al comunismo: ovvero l’essere, in definitiva, non comunisti.
Vorrei ancora ricordare che il comunismo, come il fascismo, oltre ad essere stata ideologia totalitaria ed antiliberale ha rappresentat0, ed io aggiungerei rappresenta, soprattutto un metodo. Quello comunista è stato ben delineato da Lenin. Il leader marxista sovietico predicava, infatti, per i paesi dove la rivoluzione non avesse cambiato ed abbattuto lo stato borghese, l’occupazione degli spazi di controllo dei poteri e la penetrazione capillare nella società civile. Per dirla in chiaro magistratura, università, cultura (stampa e diffusione letteraria). Tutto questo in Italia è stato fatto mentre democristiani e socialisti si impadronivano degli enti a partecipazione statale; nominavano Presidenti e consiglieri di amministrazione dappertutto; irizzavano merendine e panettoni, automobili ed autostrade; si impadronivano della gestione di enti; esercitavano il controllo economico di imprese di ogni tipo per assicurarsi i finanziamenti che mantenevano la costosa attività politica e la costosa ed agiata vita di coloro che 'lavoravano' con la politica. I comunisti hanno pur fatto altrettanto: hanno creato una rete di capillare controllo economico del territorio con la Lega delle Cooperative; hanno utilizzato in esclusiva nelle regioni e comuni governati da loro i servizi offerti dalla rete produttiva e manifatturiera della lega; hanno allargato il loro intervento nel campo dei servizi; hanno occupato banche ed anche spazi nella finanza; hanno quasi monopolizzato l’editoria. La differenza è consistita nell’esistenza di una strategia contrapposta: occupare il governo del Paese.
I post comunisti hanno fatto anche di più. Hanno trovato un piccolo uomo "utile idiota" da gettare come esca ai tanti sprovveduti che hanno creduto di votare per un moderato, pensando che fosse un baluardo contro ogni pretesa neo comunista e che, invece, non conta un bel niente e lascia agli eredi di Togliatti libertà di spadroneggiare a piacimento.
Ritorniamo al metodo. Questo, è da dire, non si esaurisce nell’occupazione della società ma si sviluppa nel tentativo di omogeneizzazione di ogni espressione, nel linguaggio stereotipato, nella criminalizzazione di chiunque non si adegua, nel tacciare di pazzia tutti coloro che osano contrapporsi. Il metodo è sempre quello e poi l’emarginazione, l'emergere del loro complesso di superiorità, la supponenza e l’indifferenza verso i problemi dei cittadini, mai considerati come tali ma solo come massa da manovrare in modo cieco e dispotico.
Quello comunista è un metodo alla pari di un teorema matematico. Una regola risolutrice per adempiere la loro missione, al pari di una fede cieca, in cui prevalgono non gli uomini o i popoli ma prevale la ragione della loro ideologia. Per raggiungere questo obiettivo passano come una schiacciasassi su tutto: comprimono, cervelli, idee, buonsenso, speranze; ripetono fino all’ossesso le loro bugie, fino a farle sembrare verità; negano evidenze e si contraddicono ma si arrampicano sulle loro contraddizioni come un velista sulle gomene della sua barca a vela; fiutano il vento e l’assecondano per poi utilizzarlo; conquistano l’onda per poi cavalcarla. A volte sono tutto ed il perfetto contrario e poi mistificano, trasformano, infieriscono con il pugno di ferro dai luoghi del loro potere conquistato.
vito schepisi

01 luglio 2006

Federalismo/ Le Lega pronta a trattare con i Ds

da "AFFARI ITALIANI" Venerdí 30.06.2006 16:57

Gli sguardi si fanno sempre più intensi, gli scambi sempre più fitti. Che tra Ds e Lega qualche affinità ci fosse si sapeva. Però adesso le avance del Botteghino al Carroccio sembrano quelle dell’amante focosa nel momento della crisi matrimoniale.
La Lega sta attraversando un momento non facile, da cui dovrà uscire a forza, con uno strappo deciso. E i Ds continuano a corteggiarla rispetto ai temi del federalismo. Linda Lanzillotta ha lanciato la palla del federalismo fiscale. Chiti e Violante si sono fatti avanti per proporre trattative. Fassino e Maroni hanno partecipato ad un convegno insieme.
Lo stesso Maroni, parlando a una trasmissione radiofonica, ha fatto sapere che “Non c'è alcuna proposta che la Lega sta per fare alla sinistra, sono le solite esagerazioni dei giornali - ha detto Maroni - noi siamo uniti e compatti nella CdL ma, questo è vero, attenti a capire se c'è una disponibilità dall'altra parte”. E poi ha aggiunto: “Noi stiamo nella CdL e se qualcuno la mette in crisi non siamo certo noi, ma altri partiti. CdL sí o CdL no non è all'ordine del giorno dell'agenda politica leghista. Siamo attenti però a chi dialoga sulle riforme anche dall'altra parte dando per scontato che Berlusconi a questo dialogo è aperto”.

Il che significa, con un po’ di analisi: siamo pronti a parlare di ciò che ci interessa più di ogni altra cosa: il federalismo. E se l’Udc e Forza Italia non ci seguono, allora…Ovviamente, il terreno delle discussioni e delle trattative è fragile. Bossi e i suoi vogliono capire bene quali sono le intenzioni dei Ds. E i più cauti tirano il freno. “Ora il Centrosinistra ci sembra molto debole per poter fare delle riforme. Anche se a una parte dei Ds e della Margherita sembrava che potesse andare bene anche votare sì al referendum – spiega Angelo Alessandri, presidente federale del Carroccio – c’è un’altra parte che non vuole cambiare nulla e la parte più riformista ha difficoltà a lavorare a un tavolo serio perché deve fare i conti con la parte che le riforme non le vuole”.
Secondo Alessandri, “oggi un tavolo di trattativa non è credibile – dice – concretamente si potrà fare ben poco, però non possiamo fare finta che non ci sia un problema e una discussione sul federalismo. Noi abbiamo fatto un miracolo, ovvero abbiamo mantenuto ciò che avevamo promesso, realizzando un pacchetto di riforme. Sul federalismo siamo intenzionati a continuare”. Il presidente federale conferma la disponibilità del Carroccio a trattare sulle riforme anche con la sinistra. lega tutto ciò che riguarda il federalismo è d'attualità, che ne parli la destra o la sinistra, se faranno proposte concrete ben vengano.
Il pallino adesso lo hanno quelli al governo. Se vogliono possono far partire un processo loro responsabilità”. La Lega c’è, quindi. E di fronte a proposte interessanti potrebbe non tirarsi indietro. I Ds sembrano averlo capito e si stanno facendo sotto. Nuovi amici crescono…

da "Controvento" di Mario Volpati - Affari Italiani

Non tutti i muri sono uguali. E nemmeno le vittime
Sabato 01.07.2006 10:57

Colpisce la sostanziale indifferenza che ha accolto in Italia la notizia della "esecuzione" di Eliahu Asheri, il ragazzo ucciso con un colpo alla nuca dai terroristi palestinesi che lo avevano rapito mentre faceva l'autostop. Non è vittima casuale di un attentato, o di una sparatoria: eliminato perché ebreo. Eppure per i grandi quotidiani di casa nostra la notizia non merita neppure un richiamo in prima pagina. Che sia vera l'accusa che lancia Il Foglio (stampa che collabora con il Centrosinistra nel mettere la sordina al Medio Oriente, per non aggiungere motivi di rottura tra Prodi, Fassino e Rutelli e la sinistra radicale già schierata contro la presenza degli italiani in Afghanistan)?

Fa meditare anche la polemica sul Muro di Cisgiordania. Magdi Allam, che almeno è andato a vederlo, testimonia che ha evitato molti lutti, tra gli israeliani e anche tra i palestinesi. Ha ridotto; cioè, le incursioni kamikaze. Quello che però fa strabiliare è il confronto che si fa con il Muro di Berlino. Molti "riformisti" di oggi non pare - se la memoria non ci inganna - che lo abbiano deprecato mai nei quasi 30 anni della sua lugubre carriera. Le cronache politiche non serbano memoria di dichiarazioni sdegnate, per dire, di D'Alema, Fassino, Veltroni o Macaluso "a muro in piedi". Una volta caduto, certo, la musica è cambiata: tutti a far legna.

La differenza vera, infine, è un'altra: quello di Berlino serviva a tener prigionieri i tedeschi dell'Est (tanto che centinaia di sfortunati fuggiaschi caddero vittime dei vopos, i "poliziotti del popolo"). Quello di Cisgiordania non chiude nessuno dentro. Cerca solo - e ci riesce in parte - di chiudere "fuori" i kamikaze. Se proprio si vuol cercare un paragone storico, è parente semmai del Vallo di Adriano o della Muraglia Cinese. Ma forse la vera colpa non sta in "che cosa" è, ma in "chi" l'ha fatto. Tant'è vero che persino il ritiro da Gaza, deciso da Israele e voluto da Sharon, per molti democratici presunti è un atto contro la pace.