24 ottobre 2007

Con toni pacati

Anche questa volta il Presidente Prodi è riuscito a salvare il suo Governo. L’ha salvato nelle forme costituzionali, con un voto di scarto al Senato e grazie ai soliti senatori a vita. Quello che conta però, più dei numeri e della legittimità etica di utilizzare i voti di senatori “non eletti”, per superare l’ostacolo di una maggioranza che al Senato non c’è, è il clima politico che si è andato creando.
Oramai il 2007 volge al termine. E’stato un anno pieno di fatti da ricordare, alcuni straordinari, come le anomalie atmosferiche, il gran caldo, un’estate meteorologica lunghissima ma anche vissuto in un clima politico che si è fatto rovente.
Tra le tante questioni che dividono il mondo politico, come è giusto che sia nella dialettica maggioranza/opposizione, ve ne sono ancora di più all’interno dello schieramento di maggioranza. Lo scontro che puntualmente si accende, spesso in termini e modi dirompenti tra le componenti politiche e gli uomini di questo governo, finisce col svilire la serietà e l’autorevolezza di tutte le Istituzioni.
Anche gli interventi tardivi del Presidente della Repubblica, e persino quelli che sono venuti a mancare, non giovano a ripristinare il rispetto delle forme che, come si afferma nelle questioni giuridiche, sono spesso sostanza nel perseguire i fini di una entità nazionale democratica dove la civiltà del confronto prevalga sui modi barbari ed arroganti.
Una preoccupazione in più, in Italia, è la litigiosità e le divergenze programmatiche all’interno della maggioranza. Criticità che si intersecano con le altre questioni irrisolte, anzi aggravate proprio dall’immobilismo di questo governo: si aggiungono così al debito pubblico record ed alla obsolescenza delle strutture istituzionali, oltre che alla ricerca da tempo di un sistema elettorale che assicuri governabilità e responsabilità.
Chissà quanti italiani lucidi e riflessivi rimpiangono ora la riforma costituzionale bocciata lo scorso anno da una consultazione referendaria in cui i vinti, come sempre accade, sono saliti sul carro dei vincitori, all’insegna della discontinuità con Berlusconi, per respingere proprio quella riforma della politica invocata da sempre dagli italiani!
Sin dalla realizzazione di questo Governo, tra Mastella e Di Pietro s’è creata una conflittualità che è andata oltre la politica e le scelte. L’ultima diatriba, che li ha visti coinvolti sulla questione del PM De Magistris e della Procura di Catanzaro, è stata stoppata con l’intervento diretto di Prodi. Ma la disistima reciproca continua a covare, esiste un’evidente incompatibilità tra i due, e spesso si ha l’impressione che la lotta sia principalmente rivolta alla ricerca di visibilità, a discapito del raziocinio e della tolleranza.
La situazione conflittuale richiamata è la cartina di tornasole della fragilità di questa maggioranza, e stabilisce per di più che non si vedono sintomi del ripristino del confronto, seppur serrato, ma civile e pacato tra le forze politiche che danno vita alla coalizione del centrosinistra. Anche la fiducia di Prodi al Guardasigilli viene letta come l’obbligo del Presidente del Consiglio a non volgere le spalle a colui che gli ha tolto le castagne dal fuoco giudiziario, per il suo coinvolgimento nella questione degli affari poco chiari in Calabria con i fondi europei, su cui De Magistris stava indagando.
Sulle questioni del lavoro e sugli “scalini” della riforma delle pensioni le divergenze, tra sinistra radicale, ancorata a vecchi schemi ideologici, e le forze della sinistra moderata, esistono e rappresentano rotture reali, sebbene camuffate. Si sono viste centinaia di migliaia di persone scendere in piazza a Roma sotto i vessilli di forze politiche con responsabilità di governo a manifestare contro le scelte dello stesso governo.
Il clima non è dei migliori e nessuno sembra disposto a fare un passo indietro. La confusione rischia di accendere gli animi più dirompenti, alimenta l’antipolitica, crea disorientamento e preoccupa perché allontana la capacità di lavoro dell’esecutivo e non pone soluzione alla crisi della politica, richiamata da D’Alema appena qualche mese fa, anzi l‘aggrava.
Se si va diffondendo la sensazione d’aver vissuto un anno particolare che a memoria d’uomo non si ricorda, è anche vero che si stenta a ricordare un disfacimento così pesante della stima dei cittadini verso la nostra classe dirigente. C’è la sensazione che la vecchia politica s’aggrappi alle maniglie dell’omertà, come gli anziani ai maniglioni nella vasca da bagno per non scivolare.
E’ in questo clima che le persone responsabili, consapevoli d’essere motivo di scontro e d’aver fallito nell’impresa di costruire un cartello elettorale contro una persona, ma senza una vera e credibile proposta politica, avrebbero tutto da guadagnare prendendo atto d’aver sbagliato e lasciando le redini di un Governo ormai in balia delle beghe personali tra ministri. L’Italia democratica, i cittadini con le loro idee anche differenti, il buonsenso vorrebbero che si passasse la mano.
Le stagioni della politica sono come quelle meteorologiche: a volte sono anomale. Alla fine, però, la natura, che è “la ragione” della metafisica, prevale: all’estate segue l’autunno e poi l’inverno per arrivare alla primavera ed al ripristino della buona stagione.
Presidente Prodi, ci consenta un appello con toni pacati. Iniziano i primi freddi, è arrivato l’autunno, ed è arrivato anche il suo, l’Italia le chiede di mettersi da parte: ora c’è anche Veltroni, il nuovo. Lasci a quest’ultimo, se capace, il compito di affrontare l’inverno e ricondurre la politica al tepore della primavera. Lo lasci provare! Per farlo, però, coerentemente e senza condizionamenti, c’è bisogno che lei si metta da parte: l’Italia ha anche bisogno di una sinistra che sia presentabile!


Vito Schepisi

http://illiberopensiero.ilcannocchiale.it/
http://blog.libero.it/vitoschepisi/

http://www.loccidentale.it/node/8155

20 ottobre 2007

Le due sinistre italiane


Ma questa sinistra ha proprio una vocazione masochista! In una fase politica molto delicata per le sorti di un governo frastornato dall’antipolitica e dall’immobilismo, indeboliscono consapevolmente la credibilità, già seriamente compromessa, di Prodi e della sua maggioranza.
Nelle coalizioni di governo le espressioni più marginali e minoritarie sostengono soluzioni di bandiera, compatibili però con un indirizzo più largo, ma non possono pretendere, come è accaduto, d’essere partecipi in modo prevalente nella proposizione di scelte politiche. Ed è proprio questa pretesa che è alla base della crisi propositiva di Prodi e del governo di centrosinistra.
C’è una parte del Paese che ha perso la fiducia verso questo esecutivo proprio per le accentuazioni su scelte contraddittorie e senza senso e per indirizzi, in economia, miranti all’aumento della spesa ed alla maggiore pressione fiscale. Un percorso quest’ultimo che ha moltiplicato le difficoltà senza aver risolto alcuno dei problemi sul tappeto. Le scelte volute prepotentemente dalla sinistra radicale favoriscono prevalentemente gli effetti dell’incremento esponenziale del fabbisogno, mentre riducono le potenzialità produttive per la contrazione degli investimenti, rischiando così di creare effetti dirompenti sugli equilibri economici del Paese.
Una maggioranza credibile, di solito, perfeziona nel confronto interno quegli accenti sulle opzioni politiche delle espressioni minoritarie che, il più delle volte, sono dettate da esigenze di visibilità miranti a soddisfare il proprio elettorato di nicchia. Nei tempi passati il dissenso minoritario alzava la voce e chiedeva la verifica sull’attuazione del programma, oppure vertici sulla sua nuova definizione, non scendeva nelle piazze come se fosse opposizione.
Si ha idea che la sinistra radicale per costituzione non si senta mai forza di governo ma sempre e comunque di opposizione. La formazione culturale e le opzioni ideologiche condizionano lo sviluppo dei metodi e delle scelte verso soluzioni piuttosto singolari in cui prevale l’assolutismo proprio del pensiero marxista nell’ottica, per fortuna remota, di un potere gestito nelle forme chiuse di principi precostituiti, e senza margini per il confronto ed il pluralismo.
La manifestazione di oggi sul “protocollo welfare” non ha senso ed è contraddittoria persino con i principi di democrazia diretta, tanto sbandierati dalla stessa sinistra radicale. Fino a qualche tempo fa, infatti, era la stessa area politica che riteneva necessaria la partecipazione di pensionati e lavoratori alle scelte nel mondo del lavoro. I sindacati hanno promosso un referendum a cui hanno partecipato col voto milioni di lavoratori e la scelta è stata massiccia a favore del protocollo già siglato tra governo e parti sociali.
In sede di trattative nello scorso luglio il confronto è stato serrato. Tra le diverse sigle sindacali, e nella maggioranza di governo, si sono rischiate persino clamorose rotture per le diverse accentuazioni sulle questioni del precariato e sulle modifiche alla legge Biagi sul lavoro. Per alcuni è stata certamente una soluzione sofferta, una scelta, però, che i lavoratori alla fine hanno accettato. L’iter percorso, per il rispetto della democrazia diretta, sarebbe già più che sufficiente. Ora quello che emerge è solo la prepotenza della sinistra più estrema perché si vuole che al 19% dei voti contrari sia riconosciuto una sorta di diritto di veto, tale da rimettere in discussione gli accordi già sottoscritti.
Si ha l’impressione che la sinistra di piazza di oggi sia alla prova dei muscoli contro quella sinistra di gestione che domenica scorsa aveva celebrato la sua enfatica prova di democrazia partecipata, aprendo nelle città italiane le urne del PD e di Veltroni a quanti volessero dar prova di fiducia al nascente nuovo soggetto politico di centrosinistra. A stretto giro di posta, infatti, a Veltroni arriva la risposta del leader di Rifondazione Comunista Giordano, che invece sostiene che quella di oggi sia “una giornata decisiva per scuotere il Governo e dimostrare il peso della sinistra”. Una prova di forza tutta a sinistra nel principio, tutto marxista, dell’egemonia.
La sovraesposizione mediatica del successo nei numeri della nascita del nuovo Partito Democratico aveva ottenuto l’effetto di smorzare il clamore dell’antipolitica di Grillo e della contestazione al sistema. Lo stato maggiore dei costituenti il PD aveva organizzato l’evento con l’idea di rilanciare la sinistra moderata, in crisi di identità e di consensi. L’aspirazione di Veltroni e compagni era rivolta a far emergere che la crisi della politica potesse risolversi con la nuova proposta di una forza politica moderna ed europea. Si voleva far emergere la rappresentazione di una credibile sinistra di governo che avesse finalmente messo da parte le spinte massimaliste. Una forza riformatrice rivolta al futuro e che fosse riuscita ad accantonare le utopie di forme di società che si reggessero senza l’impegno delle diverse componenti sociali, e che avesse assimilato la necessità del rispetto delle regole economiche, oltre all’ esigenza di regole di mercato nel mondo della produzione e del lavoro.
La manifestazione di oggi ci riporta però alla realtà di una sinistra di lotta, spesso irrazionale, contraddittoria ed all’occasione esacerbata e violenta. “E’ giusto scendere in piazza – sostiene ancora Giordano - perché altrimenti la sinistra scompare” e Sgobio dei Comunisti Italiani sostiene che "la manifestazione di oggi non è contro il governo: stimolarlo a fare di più e meglio significa rafforzarlo. Chi dice il contrario è in malafede”. Si ripresenta così una sinistra alternativa che rincorre la contestazione al sistema, che si smarca dalle responsabilità per inseguire la piazza e la gestisce caricandola di tensioni. Si sceglie così la strada della piazza in cui prevalgono le forme gridate della proposta politica. Si dà vita ad una kermesse in cui si sviluppano componenti diverse che si spiegano tra lo spettacolo e la contestazione animata, tra satira e rabbia, tra parole d’ordine ed illusioni. Una sinistra senza un visione d’insieme, inattendibile e confusionaria, più incline al folcrore che alla serietà di governo: inaffidabile e politicamente senza futuro.

Vito Schepisi

15 ottobre 2007

Salutiamo il Partito Democratico

L’avvio del Partito Democratico si è consolidato con un successo di partecipazione del popolo della sinistra moderata.
Al di là del balletto delle cifre il risultato c’è stato e la macchina organizzativa ha funzionato con successo. Questa volta non sono state le primarie eccessivamente gonfiate di due anni fa volute da un signore che, senza un partito e scelto per l’insostenibilità di altre candidature, scottato dal complotto a suo danno nel 1998, condizionava la sua partecipazione alla cosiddetta investitura popolare.
Anche nel 2005, come oggi per Veltroni, alle primarie non c’è stata partita. Nessuna vera competizione ma solo uno strumento per offrire visibilità e “carisma” ad un personaggio allora assolutamente privo di capacità propulsiva.
Si dice che le idee camminano sulle gambe degli uomini, ed a volte sono proprie le caratteristiche di queste gambe che rendono le idee interessanti e vincenti. Questi arti devono saper correre e frenare, spingere e saltare, trascinare e radicarsi, perchè ferme sul terreno della storia facciano si che le idee che trascinano siano poderose e vincenti. Quando non ci sono uomini che abbiano queste caratteristiche ci si affida ad espedienti diversi per pompare carisma e rendere visibili anche i brocchi con le gambe molli. E’ stato il caso di Prodi dove lo spessore era talmente inconsistente da aver prima inventato le primarie, con un candidato che si sapeva già vincente, e poi da averlo anche gonfiato nel risultato, per farlo percepire come un candidato credibile. Lo stesso metodo commerciale che si adotta per un prodotto di consumo dove la forza indotta della pubblicità, ottenuta con il martellamento sulle qualità del prodotto, supera di gran lunga la forza propria della qualità del prodotto stesso.
Questa volta, invece, è sembrata una convinta partecipazione del popolo della sinistra compatibile. L’idea politica di un movimento di opinione che nutre speranza di vedere avanzare una sinistra con connotati europei e che sia propulsiva per le riforme ed il soddisfacimento delle istanze sociali. Una sinistra che non sappia solo correre dietro ai miti fumosi di una rivoluzione radicale, già sconfitta dalla storia, e soprattutto, è da auspicare, non impegnata in sole cieche fughe in avanti. Una speranza che possa maggiormente giovare alla crescita della coscienza democratica, purché ponga finalmente il confronto sul piano delle cose e non dei miti e delle illusioni che spesso si rivelano deludenti e dannose.
E’ d’uopo auspicare che, abbandonate le politiche della delegittimazione e della superiorità antropologica, il nuovo soggetto politico sappia avere la capacità concettuale del confronto tra scelte di modelli democratici e liberali su cui indirizzare il cammino del Paese a prescindere dalle maggiori accelerazioni sulla pista dello sviluppo economico o della solidarietà.
La storia d’Europa e dell’Occidente ci hanno dimostrato che non è il discrimine tra le politiche sociali e quelle dello sviluppo il confine tra l’umanesimo e l’egoismo, anzi il contrario perché le une e le altre si integrano nelle scelte e nelle alternanze di gestione per assicurare continuità allo sviluppo ed alle esigenze sociali.
Il risultato di queste primarie, soprattutto in termini di partecipazione, ha avuto la valenza di una rivincita contro un sentimento diffuso che sembrava volesse emarginare la presenza di una sinistra moderata ostaggio della sinistra radicale. Una rivincita anche contro quell’opposizione antisistema che si andava allargando nel Paese e che rischiava di confinare la proposta politica di Prodi, Padoa Schioppa, Dini e Mastella tra le ganasce di una ipotetica tenaglia: una morsa soffocante tra l’opposizione vera del centrodestra e le opposizioni costruite all’interno dello stesso tessuto politico-elettorale che avevano concorso a compattare intorno a Prodi il necessario consenso per prevalere nelle ultime elezioni politiche.
Si può dire che più che l’uomo, investito dal compito di dar concretezza ad una nuova proposta politica, abbia vinto la capacità di sapersi stringere attorno ad una speranza di nuovo. Veltroni ha ottenuto il consenso che punto in meno, punto in più, tutti sapevano e si aspettavano. Del resto era stato messo a quel posto per ottenere questo risultato e per rilanciare le speranze sopite e mortificate dell’elettorato della sinistra moderata.
Il partito Democratico ha voluto offrire alla sinistra ed al suo popolo la speranza del rilancio e della coerenza che i partiti, compattati e fusi nella nuova realtà, avevano disperso sia per l’ inconsistenza della proposta politica che per i deludenti risultati di gestione.
L’augurio di ogni democratico, benché scettico e disilluso, deve ora essere quello di vedere consolidare questo nuovo soggetto politico intorno ai valori della Politica con la “P” maiuscola, nella consapevolezza che ove questa venga a mancare a rimetterci sarà sempre il popolo e la sua libertà.
Salutiamo, pertanto, con questi auspici, il nuovo Partito Democratico.
Vito Schepisi

http://blog.libero.it/vitoschepisi/
http://illiberopensiero.ilcannocchiale.it/

11 ottobre 2007

Tutti bocciano Prodi

Dalle bocciature plurime che provengono da ogni parte, non si può certo pensare che la manovra finanziaria trovi soltanto i consueti commenti negativi dell’opposizione. E’ un coro di tante voci che si diffonde, tutte a ripetere le stesse note, come un rindondare di campane con il loro suono cupo e monotono. Dalla Corte dei Conti, alla Banca D’Italia, dalla Commissione Europea, alla Associazione degli Industriali, alla Confcommercio, tutti a sollevare obiezioni, a segnalare carenze, a denunciare l’inadeguatezza e l’inconsistenza delle linee economiche del Governo per il prossimo esercizio finanziario.
Come si fa ad ignorare e liquidare con spallucce seccate un grido di allarme che proviene da organismi neutrali, a volte e spesso persino indulgenti con questo governo e la sua maggioranza? E’ come se all’esame per la maturità il docente interno sollecitasse i candidati ad approfondire la letteratura italiana del 900 ed i candidati facendo spallucce si limitassero ad approfondire il solito Leopardi. Ebbene è questo ciò che fa il nostro Presidente del Consiglio, ricorre alla spesa, non taglia le tasse e fa lievitare il debito pubblico e poi mostra fastidio per le critiche ed i suggerimenti, anche se provenienti da fonti amiche.
Veltroni, prossimo leader del PD e azionista di maggioranza della coalizione di governo, sostiene che ci sia una sorta di sfiducia nel Paese. In più occasioni ha rilevato i limiti assai vessatori della pressione fiscale, la mancanza delle riforme, la carenza di segnali di discontinuità con l’andazzo intrapreso, nonostante la crescita di sentimenti di antipolitica. Di recente il Sindaco di Roma ha chiesto persino un rimpasto di Governo e la riduzione di ministri e sottosegretari, ricevendo risposte seccate. Ha persino suggerito iniziative per ridurre il debito pubblico attraverso l’alienazione di beni demaniali inutilizzati.
Tutti i suggerimenti sono risultati però “di corto respiro” per Prodi.
C’è chi sostiene, come il commissario europeo Almunia, che l’Italia abbia perso un’occasione per riprendere il controllo dell’economia del Paese, e c’è chi, come Prodi, ha persino perso l’occasione per poter dire che in fin dei conti le sue ricette danno i frutti auspicati. Aveva un extragettito che poteva essere destinato a realizzare due obiettivi considerati da tutti primari: ridurre le tasse e ridurre il debito. Non ha fatto né una cosa e neanche l’altra. Anzi, il contrario!
Per inseguire le pressioni ed i ricatti della sinistra radicale “il tesoretto” è andato a finanziare la nuova spesa corrente. Anche la rivisitazione della Maroni che ha modificato lo scalone in scalini, posticipando di 18 mesi l’entrata a regime dell’aumento dell’età pensionabile, comporterà una spesa di 10 miliardi di euro nei prossimi tre anni, costi che andranno ad aggiungersi alla spesa corrente.
Per avere un’idea di ciò che sta facendo Prodi con i conti dello Stato, si potrebbe pensare all’immagine di un paziente bisognoso di trasfusioni, a cui gli si andasse a chiedere di donare il suo sangue.
L’Italia è in procedura di infrazione per deficit eccessivo e se non riuscissimo ad uscire da questa morsa l’esazione da pagare per l’infrazione ci sarebbe fatale. Nonostante questo pericolo, però, si ha l’impressione che l’interesse maggiore sia quello di tenere legata la maggioranza per sostenere il governo, costi quel che costi. Ed i costi ci sono!
Il rischio Italia viene avvertito nei mercati finanziari globali. I titoli pubblici italiani hanno, pertanto, tassi più alti e gli interessi sul debito pubblico crescono e costituiscono ulteriore spesa che va ad alimentare inesorabilmente il nostro debito.
La Banca d’Italia, col Governatore Draghi, avverte che il buon andamento delle entrate potrebbe anche fermarsi, come potrebbe fermarsi o rallentare la crescita, e che l’Italia col debito record in Europa avrebbe fatto meglio ad approfittare del tempo buono per le entrate e la crescita per alleggerire i suoi conti. Prodi però, stizzito a Bruxelles sostiene che “la politica economica del mio governo, la decide il mio governo!”.
Gli italiani da qualche tempo hanno stabilito che questo governo non li rappresenti più. L’hanno reso evidente nel corso delle ultime amministrative, lo hanno dimostrato fischiando Prodi dappertutto. Nei sondaggi rilevati da più fonti, Prodi ed il suo governo sono in discesa libera, ed anche al Senato sulla sfiducia a Visco la sua maggioranza ha retto grazie ai voti dei senatori a vita.
Perché gli italiani non dovrebbero poter dire: il governo del nostro Paese lo decidiamo noi?
Per coerenza con quanto sostiene sulle legittimità nel decidere, si faccia da parte e sia chiamato il Paese a decidere.
Vito Schepisi
http://blog.libero.it/vitoschepisi/
http://illiberopensiero.ilcannocchiale.it/

09 ottobre 2007

La Curva di Laffer

L’infelice uscita di Padoa Schioppa in Tv, nella trasmissione su Rai 3 di Lucia Annunziata, in cui ha sostenuto che “dovremmo avere il coraggio di dire che le tasse sono una cosa bellissima”, fa ricordare il Ministro delle Finanze dei governi Prodi, D’Alema e Amato dal 1996 al 2001. A quel tempo, a chi denunciava l’impennata della pressione fiscale il Ministro replicava dicendo che il suo gabinetto era sommerso da fax che, al contrario, esprimevano soddisfazione per l’aumento delle tasse. Il Ministro in questione, poco credibile, forse un po’ fanfarone e arrogante, è l’attuale Vice Ministro dell’Economia, il Vice di Padoa Schioppa, il tanto discusso, e descritto come un vampiro, Vincenzo Visco.
Sembra quasi che non sia un caso che Tommaso Padoa Schioppa e Vincenzo Visco siano ora insieme al Ministero dell’Economia.
Le tasse non sono una cosa bellissima. A volerla dire tutta, c’è molto di meglio che pagare le tasse. Anche se a ciascuno può essere dato, nei limiti del lecito, ciò che è l’oggetto del proprio desiderio, c’è un limite a tutto. Assecondare la follia può arrecare danni incalcolabili ed a volte irreparabili. Il prelievo fiscale, oltre un certo limite, mortifica gli investimenti, l’impegno, il coraggio, il rischio, il lavoro.
Le tasse da pagare, però, sono un dovere civile. Sarebbero da porre sull’altro piatto di una ipotetica bilancia per far lievitare diritti e servizi. La logica vorrebbe che più alta sia la pressione fiscale e più alta debba essere anche la qualità e la quantità dei servizi fruibili. Nei paesi del nord Europa è così. Sempre la logica vorrebbe che siano elargiti con più soddisfazione i sacrosanti diritti, che sia diffusa tra i cittadini più tranquillità e sicurezza, che ci sia più efficienza, più ricchezza per il popolo, più fruibilità del tempo libero, buona amministrazione, ordine, pulizia, giustizia più rapida ed imparziale.
Con la contribuzione fiscale dei cittadini ci sarebbe da chiedere la tutela del nostro patrimonio artistico e paesaggistico, la sua valorizzazione come investimento produttivo per il turismo e l’occupazione. Anche chiedere la realizzazione di infrastrutture più simili al modello europeo che a quello africano non dovrebbe rappresentare una ingiustificata pretesa. C’è in Italia un giacimento di preziosità da valorizzare e da mettere in condizioni di realizzare ricchezza, ma mancano i collegamenti viari, e quelli ferroviari sono una vergogna per pulizia e puntualità; mancano le strutture ricettive, manca la sicurezza e soprattutto manca la presenza e l’autorità dello Stato.
Il Ministro, in televisione, ha parlato dei costi dei beni indispensabili che il gettito fiscale finanzia. Tra i costi ci sono anche quelli della politica che i cittadini dubitano che siano tra gli indispensabili e questo governo, di cui Padoa Schioppa è ministro per le questioni economiche, li ha dilatati e ne ha moltiplicato i fruitori. L’aumento della spesa nel 2007, per 15 miliardi di Euro, non solo appesantisce il debito pubblico complessivo e produce per il futuro ulteriori oneri finanziari, mentre sarebbe da ridurre l’esposizione complessiva e da alleggerire così il costo degli interessi sul debito, ma è anche sottratta agli investimenti che, al contrario della spesa improduttiva, rendono ricchezza ed occupazione.
L’uscita del Ministro dell’Economia, tra le altre cose, ci riporta alla mente anche la teoria economica di Arthur Laffer. Quando, infatti, si parla di soddisfazione e di felicità nel pagare le tasse non possiamo non pensare che anche in questo campo, come in tutte le questioni, ci sia il punto di svolta: il limite oltre il quale non si sopporta più. La Tolleranza di Voltaire è apprezzabile se rivolta alle idee ed al pensiero, non al sacrificio ed alle vessazioni. In tutte le cose esiste il punto di rottura. Quando, ad esempio, il lavoro da essere piacevole e soddisfacente diventa sacrificio e stress; quando il piacere da essere rilassante, estatico e travolgente diventa ozio e noia; quando la buona cucina da essere gustosa e profumata diventa nauseante e pesante. Perché non dovrebbe esistere il punto di rottura, il limite della tolleranza, il margine della svolta quando si parla di prelievo fiscale?
La "Curva di Laffer” prende il nome dell'economista Usa che convinse Ronald Reagan ad inserire nel suo programma, alla vigilia delle presidenziali del 1980 negli USA, la diminuzione delle imposte dirette, scelta che contribuì alla sua elezione a Presidente degli Stati Uniti d’America.
Arthur Laffer teorizzò la presenza di un punto (assi cartesiani) d'incrocio tra i valori delle ascisse(aliquota fiscale) e delle ordinate (entrate fiscali) in cui l'aumento delle imposte (aliquota) fungerebbe da disincentivo alle attività economiche, determinando di conseguenza minore gettito fiscale. Nella sua dimostrazione grafica l’economista americano dimostrò che lo stesso gettito fiscale può essere ricavato con due aliquote differenti: ipotesi, quindi, che renderebbe del tutto inopportuna e controproducente l’utilizzo di quella più alta.
La teoria ci induce anche a convalidare l'idea che la maggiore pressione fiscale, in definitiva, scoraggi anche l'emergere delle attività sommerse e favorisca di conseguenza l’evasione.
La soddisfazione di Padoa Schioppa, pertanto, per essere virtuosa dovrebbe esser direttamente proporzionale anche a quella dei contribuenti: in caso contrario se non sadomasochista risulterebbe velleitaria e folle.
Vito Schepisi

04 ottobre 2007

Piccoli Andreotti crescono

Piccoli Andreotti crescono. Il tessuto è lo stesso: la Roma sorniona che osserva fuori le mura e vede un’Italia riottosa e divisa e sorride sapendo di poterla dominare col motto di sempre “divida et impera”. Nei secoli, dai tempi dell’Impero Romano fino ai nostri giorni, con piccole differenze nel linguaggio e nei metodi ma con la stessa idea secolare che le debolezze di tanti possono essere la forza di coloro che le sanno gestire.
Da Andreotti lo divide la profondità, la cultura, l’intelligenza, l’estrazione formativa ma a Veltroni non difetta la furbizia, l’ecumenismo, la strumentalità, l’indefinitezza delle scelte, la permeabilità e la duttilità. Il Sindaco di Roma si appresta ad essere investito leader della sinistra post comunista e post democristiana. Il PD unisce ora i due contenitori di un potere una volta spartito, tra maggioranza ed opposizione, mentre si impoveriva l’Italia. Per anni comunisti e democristiani hanno devastato il Paese, lasciando infrastrutture obsolete e servizi da terzo mondo. Lo hanno saccheggiato alimentando quel debito pubblico, lasciato in eredità alle generazioni future, che oggi frena la crescita e assorbe i sacrifici degli italiani. L’Italia è entrata nell’Euro dimezzando il potere d’acquisto della lira, svalutata giorno dopo giorno, e soffocando il Paese con un cumulo di tasse su tutto.
Oggi agli italiani lo Stato assorbe sei mesi del lavoro di un anno. La pressione fiscale è al record in Europa: è pari al 43,1% del Pil. E’ come un masso che schiaccia i cittadini onesti, puntualmente chiamati almeno una volta l’anno a subire le “angherie” della legge finanziaria. La legge di bilancio, spacciata come un insieme di provvedimenti utili e necessari a risolvere le iniquità del Paese, finisce sempre, invece, per alimentare le sofferenze degli italiani. Un insieme di tasse e gabelle e di angherie fiscali che assottigliano fiducia e credibilità, sviliscono la politica e fanno nascere la protesta contro il sistema.
Ritornano e sono copie pessime di un copione già visto. Ritornano con un sorriso accattivante ed i modi cortesi, pronti ad essere d’accordo con tutti ed a fare le scelte di sempre. Una stretta di mano al Presidente di Confindustria, un sorriso ai leader sindacali, la concertazione, sentimentalismo e buoni propositi e tutta la retorica dei buoni modi. Il primo impegno, quello di sempre, quello che funziona e non guasta: l’apertura alla partecipazione femminile nelle scelte e negli impegni della politica, naturalmente riaffermando la preziosità del loro apporto.
Il candidato alla segreteria del PD non indica una scelta, non prende una posizione su niente. Usa una parola in difesa delle scelte etiche della Chiesa, un’altra per ribadire le ineludibili scelte laiche dello Stato; sostiene il Governo ma nello stesso tempo dà l’impressione di puntare al suo superamento, si mantiene decisamente alla larga dalle questioni che oggi dividono in due il centrosinistra, se non lo stesso PD.
Gode del sostegno dalla grande stampa. Nessuna riga di osservazioni scomode o di interviste pungenti: i media più diffusi riportano nei minimi dettagli ogni buon proposito dell’eroe nascente del centrosinistra. Lo fanno passare come l’uomo nuovo che spazza la vecchia politica: una via di mezzo tra la continuità della tradizione democratica e la nascente protesta antipolitica, tra il socialismo democratico europeo ed il popolarismo solidale.
Basterebbe lui, e solo lui, ad interpretare tutto il confronto democratico tra le opzioni ideali, come sintesi di una dialettica evolutiva del pensiero del ventunesimo secolo!
Anche con il comico genovese che in queste ultime settimane ha voluto interpretare le disillusioni del Paese, i suoi rapporti si mantengono cauti e prudenti. Le affermazioni appena più coraggiose vengono immediatamente ritrattate e smentite. Il suo motto è non farsi coinvolgere in niente, impedire che contro di lui ci si possa schierare.
Veltroni è la fiera dell’ovvio. Ha lo stesso metodo soporifero dell’Andreotti di un tempo. Un pensiero per tutti, senza nemici apparenti: con gli Usa e con gli arabi, con Israele ma equivicino. Una volta a sinistra, nei cortei che frequentava Veltroni, si usava dire “né con le brigate rosse e nè con lo Stato”. Caduto il muro i post comunisti per affacciarsi al Governo si sono dovuti porre a favore dello Stato. Se non fosse per questa ragione, anche in questo caso Veltroni avrebbe evitato di fare una scelta.
Mancano pochi giorni alle primarie del 14 ottobre ed ecco il colpo di scena: “la voglio in squadra”- sembra abbia detto riferendosi alla signora Berlusconi. Ci avrà pensato per qualche giorno, si sarà consigliato con i suoi collaboratori e forse sondato il terreno. Il colpo di teatro, l’apertura alla moglie del suo contendente alla leadership del Paese. Un uomo di spettacolo, con c’è che dire! Dal giorno della sua kermesse al lingotto, all’ultima uscita su Veronica Lario, una sola steccata sulla firma per il referendum sulla legge elettorale. Solo in quell’occasione si è fatto prendere in castagna.
Come nella commedia dell’arte! Tanta popolarità, battute ad effetto e colpi di scena, molto presenzialismo. Troppo poco per riempire un vuoto di indirizzo politico, abbastanza per essere acclamato in modo plebiscitario come leader del PD.
Vito Schepisi