28 agosto 2007

Le Primarie del PD: una commedia all'Italiana



Le primarie del partito democratico mettono in scena la madre di tutte le fiction. Anche i contendenti alla guida del partito della sinistra ulivista interpretano le parti dei protagonisti e delle comparse nello scenografia di una commedia tipicamente all’italiana. Sia sufficiente il percorso a ritroso della nascita di questa nuova entità politica per comprendere la falsità tipicamente post comunista di una esigenza strumentale, più che ideale e programmatica, di un nuovo partito che si predispone ad essere il contenitore tipico di vecchie abitudini e di strategie trasformiste che abbiamo imparato a conoscere dal dopoguerra ad oggi. Nella commedia i protagonisti hanno le stesse gambe su cui già hanno camminato le teste di uomini con idee vecchie e desuete, persino chiome imbiancate nell’esercizio di un protagonismo politico che va dagli epiloghi del fascismo all’assimilazione del neo comunismo. Trovare Scalfaro tra i protagonisti della cosa nuova della sinistra è inquietante prima che desolante. C’è chi dice che la continuità è garanzia di democrazia e condizione di un percorso della storia che adegua la politica all’esigenza dei tempi e della società che si evolve mantenendone i valori. Tutto vero! Ma qua il discorso è diverso! Nel caso del partito democratico a nessuno conviene portare bagagli di un passato imbarazzante. Non c’è tradizione e cultura in quei luoghi che meriti d’essere recuperata. Anche l’egemonia culturale del vecchio pci, a conti fatti, non è stata che la sintesi del fallimento del pensiero politico dominante nella seconda metà del secolo scorso. Era rappresentata da un ceto intellettuale che non ha saputo o voluto guardare con equilibrio e dignità le realtà che si contrapponevano alle democrazie occidentali. Una casta intellettuale che non ha saputo interpretare e promuovere le scelte economico-programmatiche che servissero a garantire sicurezza e benessere alle giovani generazioni. Uomini imbevuti di cieco furore ideologico, sfociato spesso in violenza, ed utilizzati a sostegno delle spinte corporative dei sindacati favorendo precarietà, disoccupazione, tensioni sociali e l’impoverimento del Paese. Un mondo della cultura sempre attento a gareggiare in prontezza nel sottoscrivere i richiami del regime alla condanna spesso dell’onestà, del buonsenso, della giustizia e dei principi etici e culturali di un popolo intero. Uomini spesso cinici e vili che a guisa delle tre scimmie, in cui una non guarda, l’altra non parla e la terza non sente, si rincorrevano a teorizzare alienazione e sociologia. Si indicavano i vizi del capitalismo, si demonizzava il profitto e si spacciava per arte e cultura anche l’espressione più becera purché ossequiente alle parole d’ordine di intolleranti fautori di regimi dispotici.
I giochi sono fatti ed ai neo-comunisti è stata anzitempo assegnata la guida. La scelta è caduta su Veltroni per le note difficoltà di altri notabili DS e perché era l’unico con una sua popolarità che poteva esser spacciato per nuovo. La sintesi tra Ds e Margherita rappresentata da Prodi, forte di una collocazione apparentemente autonoma ed equidistante, è venuta meno con il tracollo della popolarità del professore emiliano. Questa è la chiave di lettura di un accordo di vertice stabilito da tempo per sdoganare la trasformazione dei neo comunisti e di quanti, uniti nella Margherita, hanno perso da tempo una loro identità. E per spiegare tutto questo, già stabilito a tavolino, è stata rappresentata la kermesse del Lingotto a Torino e la competizione in atto, per la guida del nuovo partito, che si dispiega senza esclusione di colpi. Si è voluto anche il sacrificio di concorrenti alla guida del PD che hanno il compito di perdere (saranno certamente ricompensati), utili a dimostrare che si tratta di una competizione democratica, un po’ come avveniva nei paesi dell’est europeo prima della caduta dell’impero sovietico. Si è assistito persino alla discesa di candidati che vogliono solo mettersi in mostra e di provocatori un po’ patetici e comici.
Le prime pagine di giornali da mesi riportano un finto confronto in cui si dibatte del nulla e dell’uovo di Colombo. C’è già chi dice che tutti avrebbero potuto farlo ma che Veltroni l’ha fatto con impegno e serietà. Cosa non si sa! Come è sempre stato nel suo caso: un personaggio che non si ricorda per nulla di preciso ma che si pone come il contenitore di tutte le virtù. Si sa che per Veltroni servono meno tasse per tutti ( anche per Totti?), serve più ordine e più controllo nelle città, uno sguardo anche alla questione settentrionale, più flessibilità nel lavoro, dialogo con il Paese reale e persino l’adozione dello stile Sarkozy . Sembra quasi Berlusconi. Si sa che ritiene fondamentale recuperare i valori del mercato e dell’economia ma naturalmente coniugati con le esigenze del sociale; serve anche rispettare i diritti, salvaguardare le minoranze, rispondere ai bisogni, garantire i diversi ma senza venir meno ai principi dell’etica. Tutto sembra sia per immagini, proposte concrete zero. Solo immagini da buon conoscitore di fiction.
Si ha l’impressione di un gioco delle parti, di una commedia all’italiana in cui si adeguano situazioni e personaggi, ed anche la stampa, al bisbiglio della gente, con la spasmodica ricerca di assecondarne gli umori. Prodi, ormai fuori gioco, si preoccupa di motivare i concorrenti di Veltroni. Ha interesse ad indebolirlo e rallentare il processo della caduta del suo Governo. E’ consapevole che Rutelli e Veltroni, se quest’ultimo registrerà un successo personale convincente, saranno pronti a scaricargli addosso tutte le responsabilità di una stagione politica deludente e resa precaria da una maggioranza instabile. Il dramma è tutto dei cittadini italiani perché questa commedia è rappresentata sulla scena di una Nazione con tanti problemi, a discapito degli interessi e dei bisogni del Paese.
Vito Schepisi

27 agosto 2007

Politica e Storia

Dal suo punto di vista ha ragione il leader della Cdl Silvio Berlusconi a sostenere che il Partito Democratico costituisce una novità interessante sullo scenario politico italiano. Da esperto di comunicazione sa bene che il modo peggiore per osteggiare una espressione politica è quella di criminalizzarla e di ricercarne elementi di pregiudizio. E’ capitato farlo alla sinistra. La variopinta “gauche” italiana dai primi anni ‘90 è scivolata per aver contrapposto alle proposte di un’Italia più moderna, più efficiente e più liberale la delegittimazione dell’avversario politico.
La sinistra è crollata, sgretolata come il muro di Berlino. Era forte di rendite di posizioni che andavano dalla sperimentata ossatura della sinistra democristiana, quella cattocomunista, quella del compromesso storico, all’inossidabile organizzazione del vecchio pci; dalle istituzioni occupate, ai gruppuscoli politici di varia estrazione; dalla Rai lottizzata, al 90% dei quotidiani e dell’informazione stampata; dai sindacati oligarchici, a larghi strati del commercio e dell’industria pubblica e privata. La sinistra ed i poteri consolidati, esercitati spesso come clave contro “gli intrusi”, contro coloro che cantavano fuori dal coro, sempre pronta a far quadrato intorno alla “casta”, ha dovuto piegarsi dinanzi alla dirompente presa di un partito nuovo, guidato da un imprenditore di successo, vittima di una campagna di delegittimazione e di criminalizzazione fuori da ogni ragionevole misura. Negli anni gli italiani hanno dovuto constatare che più si accentuava la canea, il coro orchestrato dai soliti noti, e più emergeva la falsità di un castello di accuse che, se vere, avrebbero fatto di Berlusconi il criminale più efferato di tutti i tempi.
Il compromesso storico che ai tempi di Moro e, dopo il suo assassinio, con Andreotti e Berlinguer era arrivato a sfiorare il 75% dell’elettorato italiano, ora con il PD si barcamena per uscire dalla nicchia di un 25% di consensi popolari. Un patrimonio di voti disperso con il crollo delle illusioni di uno stato in cui era solo necessario essere iscritti all’anagrafe per poter continuare a tirare a campare alle spalle del prossimo. La casta ha voluto consapevolmente frenare la trasformazione del Paese, ha sguinzagliato l’artiglieria pesante per impedire l’adeguamento dell’Italia allo stile ed ai modi dell’Europa evoluta.
Fu definito “salvaladri” il decreto del liberale Alfredo Biondi che richiamava il rispetto della civiltà giuridica dinanzi all’esercizio della tortura giudiziaria osannata sia dai giornali “politicamente corretti”, sia dalla destra forcaiola e sia dalla sinistra giustizialista. La proposta di riforma delle pensioni del primo governo Berlusconi fu osteggiata fino all’inverosimile, tra bugie e contraddizioni, da una sinistra spavalda che incoraggiata dalla magistratura e dalla stampa, espressione dei poteri forti del Paese, e con il contributo miserevole di un Capo di Stato, il peggiore di ogni tempo, dette origine ad un vero anche se non cruento colpo di stato. Sarebbe interessante ripercorrere la storia di quei giorni e la storia del conseguente ribaltone che portò Dini a capo di un Governo del Presidente, dopo che con la Lega, i Popolari ed il Pds, e sotto la regia del Presidente Scalfaro, si era programmato il ribaltamento delle indicazioni democratiche dell’elettorato italiano. La riforma delle pensioni, se compiuta, avrebbe segnato una svolta e contribuito a contenere la voragine della spesa pubblica italiana. Il controllo del debito avrebbero consentito all’Italia di entrare in Europa con un’economia più stabile ed un valore di conversione della lira, rispetto all’Euro, tale da scongiurare la penalizzazione dei lavoratori sottoposti in tempi brevissimi alla perdita secca del valore dei loro salari.
Ricordare i danni che la sinistra italiana ha recato, e quelli che subiranno le giovani generazioni su cui si è scaricato col debito pubblico l’onere delle follie di ieri e di oggi, deve essere un dovere civile perché in economia niente accade per caso: i nodi vengono al pettine e gli errori si pagano. Pochi esempi del passato, anche recente, tipo l’ultima finanziaria, sarebbero sufficienti per stabilire non solo la scarsa credibilità, per le bugie che diffondono, ma anche la pericolosità della loro politica, spesso fatta di compromessi che aggirano le questioni, rinviano le decisioni e comportano quasi sempre maggiori spese.
Se ha ragione il leader della Cdl ad essere attento ai percorsi diversi di questa sinistra e di mostrarsi interessato alle svolte più moderate e riflessive che ne provengono, un osservatore politico, al contrario, non può limitarsi a guardare al presente senza rendersi conto che questo è un percorso che è partito da lontano e che ha i suoi riflessi almeno nel recente passato. Mentre un leader di partito ha il dovere del rispetto degli avversari e pensa al confronto, quale strumento di coinvolgimento di fasce più larghe, e lo ritiene necessario al processo di gestione e di partecipazione democratica, un cittadino che fa le sue scelte non può limitarsi a guardare all’oggi senza che l’esperienza passata abbia almeno un margine di effetto nell’esercizio delle sue opzioni. Pensare addirittura al futuro senza che il presente ne possa apparire propedeutico per i politologi sarebbe una grave omissione. Se Berlusconi svolge il suo ruolo e si convince che il miglior modo di essere un uomo di stato sia quello di porsi disponibile al confronto e di valutare per quello che appare il nuovo soggetto politico, per un osservatore della politica non possono sfuggire altri elementi di valutazione.
La storia è inesorabile e colloca ogni circostanza nel suo giusto ambito, alla lunga è sempre così, anche se nell’immediato è scritta da coloro che ne controllano i tipi. La forza di uno statista è quindi quella di porsi al di sopra delle passioni e delle ragioni del presente per dirigersi verso quelle della storia. Uno statista guarda ai risultati ed alle mete politiche da raggiungere in ottiche di medio e lungo periodo, si esalta nella ricerca dell’allargamento della base democratica e spesso ha il compito di sorvolare sugli episodi che emergono nell’immediato, benché sintomatici.
Il Partito Democratico, sebbene infarcito di contraddizioni e per quanto mal rappresentato in quanto espressione di manovre di vertice, e nonostante l’imbroglio per i democratici di origine socialista, liberale e cattolica, nella storia rappresenterà l’evoluzione post comunista, la Bad Godesberg dei socialcomunisti italiani in cui si laverà definitivamente il peccato originale d’essere figli di un secolo dominato dai regimi oppressivi ed illiberali in cui per storia personale, per cultura e per indole si erano più o meno consapevolmente immersi e da cui ne hanno ricavato tratti della loro cultura e del loro metodo. Lo spocchioso D’Alema ed il liberal-leninista Veltroni, il demagogo Fassino ed il bilioso Visco, il centralista Prodi e la dossettiana Bindi si preparano a rivoluzionare la biblioteca di casa e rinnegando Marx, Stalin e Togliatti la riempiranno di libri di Piero Gobetti , dei fratelli Rosselli, di Salvemini e Fortunato e qualcuno, come si è visto, persino di Einaudi.
Per gli osservatori politici che privilegiano la verità storica alla più o meno volutamente distratta correttezza intellettuale, però, resteranno sempre ex comunisti ed ex integralisti. Resteranno quelli che negli anni ’70, per formazione e cultura, hanno rincorso il compromesso storico con l’obiettivo di spartirsi il potere. Resteranno le espressioni fondamentali di dottrine confessionali con forte valenza illiberale.

26 agosto 2007

Il Senatore Guzzanti querela Bonini, D'Avanzo e Travaglio per diffamazione


MITROKHIN: HO QUERELATO BONINI D’AVANZO E TRAVAGLIO PER DIFFAMAZIONE
17 Agosto 2007
Quando ho promosso un’azione giudiziaria civile di danni per diffamazione da parte dei signori Travaglio, Bonini e D’Avanzo per alcuni loro articoli, qualcuno - specialmente sui blog nemici - ha avuto da ridire sostenendo che io avrei avuto paura a citare in giudizio i predetti signori affinché possano rispndere penalmente del loro operato.
Avendo trovato l’obiezione fondata ho dato mandato allo Studio Giordano di presentare querela per diffamazione contro i sunnominati giornalisti e ho appena ricevuto comunicazione che la querela è stata assegnata ad un pubblico ministero per le indagini preliminari.
Adesso posso dire soltanto che mi affido alla magistratura in cui dichiaro di avere piena fiducia.
Sono convinto che non tanto io, quanto il popolo italiano abbia bisogno di verità. Ricordo anche che quando io mi presentai il 1 dicembre 2005 alla televisione privata (dalemiana) “Nessuno Tv” diretta dal bravo Mario Adinolfi ( http://www.marioadinolfi.ilcannocchiale.it/”) io narrai tutti i dubbi che avevo fino a quel momento documentato sul passato del professor Romano Prodi e i suoi presunti rapporti con organismi speciali della vecchia Unione Sovietica.
La mia intervista, come riferisce Adinolfi, fu ripresa dal britannico Indipendent. Il giorno stesso Romano Prodi rilasciò alle agenzie una dichiarazione in cui si diceva che “Questa volta a Guzzanti risponderanno i miei legali”. Ma i legali di Prodi non si sono mai fatti vivi, con mia grande frustrazione.
Fu così che nel mese di dicembre 2006, un anno dopo e dopo la morte di Litvinenko, dagli studi Rai di RaiNews 24 io rivolsi un pubblico appello al Presidente del Consiglio Prodi affinché mi querelasse, allo scopo di fare agli italiani, noi due insieme, io e lui, il più bel regalo di Natale e cioè una promessa di cercare e mostrare la verità, tutta la verità e nient’altro che la verità.
Purtroppo la mia accorata e sincera richiesta, espressa in modo rispettoso e persino amichevole, cadde nel vuoto e non fui querelato.
Nel maggio scorso raccolsi una feroce intervista a viso aperto del grande intellettuale in esilio Vladimir Bukovsky e la pubblicai sul Giornale. Il giorno successivo un comunicato alle agenzie di stampa annunciava che l’editoriale L’Espresso, editore di Repubblica, aveva dato mandato a due importanti studi legali, di agire nei confronti di intervistato e intervistatori.
Non se ne è più saputo nulla.
Di conseguenza, ho ritenuto un mio dovere, a prescindere da quanto riguarda l’eventuale risarcimento del danno subito, proporre alla Magistratura, in cui ho fiducia, di voler esaminare almeno alcuni aspetti della grave e complessa vicenda.
Vi sarò grato se vorrete esportare questo annuncio sui blog amici e meno amici, affinché la notizia almeno nella blgosfera sia pubblica.
Avverto inoltre tutti che ho difficoltà di collegamento e che quindi riesco a regolare il blog quando posso, ma spero da lunedì di tornare alla normalità comunicatva.
Un caro saluto a tutti
Paolo Guzzanti
Accolgo volentieri l'invito del senatore Guzzanti. Finalmente una querela vera ... e speriamo che sia utile alla conoscenza della verità. Ho già scritto su questo blog, nel dicembre dello scorso anno, sulla questione Mitrokhin. Ho scritto che temevo che nella maggioranza e tra coloro che oggi ci governano ci possa essere anche chi, ai tempi della guerra fredda, ha tradito il Paese.
Vito Schepisi

01 agosto 2007

Cosa succede nell'Udc?


Il deputato eletto nell’Udc Cosimo Mele, coinvolto in un festino con “signore” a pagamento, e sembra anche con l’uso di droghe, ha rassegnato le dimissioni dal partito per non coinvolgere la formazione politica di Cesa e Casini nella sua squallida storia personale. “Non mi dimetto da deputato – ha però detto - anch’io sono un uomo, con le mie virtù e le mie debolezze. Noi politici siamo uomini come gli altri, anche a noi capita di sbagliare”. Uomini come gli altri ha detto: che faccia tosta!
Sarebbe però il caso, se fosse possibile, che l’intera Udc rassegnasse le dimissioni, e non solo Cosimo Mele. In quel partito c’è più di uno che è uscito di testa. Chi per un verso e chi per un altro interpretano la realtà in modo un po’strano se non addirittura in modo quasi folle. Ad iniziare da Casini e prima di lui Follini (nomina sunt conseguentia rerum) che predicavano la discontinuità e la ricostituzione della prima repubblica in cui il condizionamento, il ricatto e la mediazione la facevano da padroni. Anche l’attuale legge elettorale, lacunosa e lacerante, oltre che criticabile per aver tolto all’elettore la facoltà della scelta è un parto di questi soggetti dal pensiero un po’ labile. A conti fatti, è il caso di dirlo, è da considerare una vera fortuna che non sia stata reintrodotta anche la preferenza.
Ora ci si mette anche Cesa che, già discusso per le intercettazioni in Calabria, pretenderebbe di aumentare i compensi dei parlamentari, vittime della solitudine. Il leader dell’Udc ritiene che con il soldo che hanno i parlamentari non possano permettersi il congiungimento con la famiglia a Roma, ammesso che siano quelle le loro intenzioni. Per il segretario Udc sarebbe questa la ragione che vede costretti alcuni parlamentari a rivolgersi, come ha fatto Mele, a signore a pagamento (profumatamente pagate), magari in un elegante albergo di Via Veneto a Roma.
C’è da restare indignati, oppure pensare che non sia una cosa seria. Le idee di Cesa non solo sono inopportune, e questa non sarebbe una discontinuità perché, considerato il personaggio, non potrebbe assolutamente essere il contrario, ma anche poco serie e decisamente provocatorie. Supposto che non sia serio il comportamento ed il pensiero di un leader di partito, come chiederemmo a Fassino di dimettersi per abuso del suo ruolo ed esercizio di attività estranee alle sue responsabilità politiche, così anche a Cesa dovremmo chiedere di rassegnare le dimissioni. Non è possibile, infatti, apprendere senza indignarsi tesi così provocanti come quelle del segretario del partito cosiddetto di centro.
I tempi cambiano ed il consociativismo che un tempo consentiva di prendersi gioco degli elettori e delle loro scelte è un fatto passato. Con la “conventio ad excludendum” della prima repubblica, con cui venivano messi fuori dal gioco coloro che non cantavano nel coro e si tiravano fuori dal conformismo e dal politicamente corretto, era possibile, salvo variazioni minime, il mantenimento dello “status quo ante” a prescindere sia dal contenuto che dal metodo dell’azione politica.
La politica della prima repubblica, dopo il primo periodo post fascista, dalla fine degli anni 60 aveva i ruoli già assegnati. Maggioranza ed opposizione si confrontavano, senza farsi del male, per poi riconvergere sulle pratiche clientelari e sul gioco delle parti, in uno scenario in cui il Parlamento era luogo di ratifica di accordi già presi altrove e serviva a rappresentare la sceneggiata di una democrazia che in Italia non è mai stata compiuta.
I tempi, come si diceva, sono cambiati e sarebbe il caso di cambiare i protagonisti della politica e soprattutto sostituirne i mestieranti. Sarebbe necessario, infatti, selezionare il personale deputato ad esercitare gli strumenti della democrazia ed impedire che a rappresentare le istanze del popolo siano individui di scarso spessore: furbi, intrallazzati ed amanti della bella vita a spesa di altri. A rappresentare i cittadini vorremmo che ci andassero solo persone serie, trasparenti e preparate . Vorremmo che svolgessero la loro missione gratuitamente, senza percepire un centesimo che non sia per spese documentate e necessarie al proprio mantenimento nella sede di attività, e con il solo rimborso di viaggio ed anche in classe economica perché bisogna essere seri e parsimoniosi con i soldi della collettività.
Invece abbiamo personaggi furbi, intenti a svolgere attività diverse ed a perseguire obiettivi di arricchimento, di nepotismo e di occupazione di spazi di potere e di gestione. Alcuni, come si è visto con l’On. Cosimo Mele, anche ad attività edonistiche, sconvolgendo l’interpretazione del ruolo pubblico che invece gli elettori hanno loro assegnato.
Si ha l’impressione che alcuni perdano il senso della misura. Sono troppi i privilegi e le disponibilità economiche per un lavoro che il più delle volte non ha niente di esaltante e concreto, perché si risolve nel premere il tasto ed approvare o respingere a comando leggi e mozioni, a seconda se siano funzionali ai disegni di una strategia politica ovvero dell’altra.
Altro che aumento delle indennità! Nessun medico ha detto loro d’essere parlamentari: se vogliono farlo sia a titolo gratuito, salvaguardando solo il reddito di lavoro pregresso; altrimenti tornino a casa per ricongiungersi con la famiglia e per ritornare a prendere atto di quella che per gli altri è quella quotidiana realtà che sembra che alcuni parlamentari abbiano perso di vista.
Vito Schepisi