25 luglio 2008

Dopo il Lodo Alfano, sia consentito al Governo di lavorare

Con la firma del “Lodo Alfano” il Presidente Napolitano ha reso legge in vigore il provvedimento che tutela le quattro più alte cariche istituzionali ed esecutive dello Stato.
Una firma che sancisce almeno due successi della democrazia rappresentativa:

- l’azione di un Capo dello Stato garante dell’efficacia delle istituzioni e fedele interprete della volontà del Parlamento e dei cittadini;

- la supremazia del potere popolare su quello esercitato dalla magistratura, pur conservando alla funzione giurisdizionale la prevista autonomia.

Quando si parla di democrazia s’intende, o si dovrebbe intendere, per l’appunto questo.
Come, infatti, ci si può proclamare democratici ed antifascisti quando le funzioni dello Stato, interpretando male i limiti della propria autonomia, vengono utilizzate per sovvertire la sovranità popolare?
Non vuole essere retorica quella di ribadire che l’autonomia della magistratura debba riferirsi alla capacità di essere indipendente dai diversi poteri, ma anche dalle ideologie o dalle correnti politiche.
Un magistrato che senta come suoi nemici alcuni politici non è un servitore dello Stato che esercita la sua funzione nell’interesse del popolo, ma un appendice piuttosto disgustosa di partiti e fazioni e per di più extraparlamentare: una terza Camera che vaglia l'operato dell'esecutivo, priva però del suffragio popolare. Una magistratura siffatta, a giusta ragione, è definita persino eversiva.
Come non ricordare certi episodi di giustizia spettacolo e l’uso “violento” delle prerogative inquisitorie del carro armato giudiziario con le sue implicazioni politiche sulle scelte elettorali e sull’opinione pubblica? Di Pietro osannato come un eroe per la sua ferocia!? E come può essere ignorata la mortificazione mediatica verso presunti colpevoli, molti successivamente risultati innocenti, spesso vittime di denigratorie campagne di stampa per indagini "misteriosamente" sfuggite al segreto istruttorio?

Nel 1994 è stato persino montato un “ribaltone” elettorale con un “avviso di reato”, misteriosamente “notificato” dal Corriere della Sera al Capo del Governo italiano in carica, mentre era impegnato a Napoli in un vertice internazionale sulla sicurezza. Per quella accusa Berlusconi è risultato innocente. Ed innocente il leader del centrodestra è risultato per tutte le altre accuse per le quali è stato oggetto di “avida” attenzione da parte di una magistratura sempre più visibilmente agguerrita ed intransigente contro di lui.
Non manca la solita retorica della sinistra giustizialista sulle prescrizioni. Circola su tutti i siti di sinistra in internet l’elenco di tutti i processi intentati al Presidente del Consiglio, dove appaiono giudizi estrapolati da contesti più ampi delle sentenze di assoluzione, tali da far apparire comunque la presenza di una colpa, e dove vengono riportate le prescrizioni come se fossero condanne non comminate.
C’è un maestro di stralci di atti giudiziari che appaga i sogni giustizialisti di una sinistra senza una precisa strategia e miseramente contigua all’antipolitica che con l’antiberloscunismo ha trovato la sua miniera d’oro.
L’antipolitica, del resto, non è altro che un qualunquismo perfido e cattivo che si affida all’indole forcaiola di quel popolo che affoga le proprie frustrazioni nell’attribuire a qualcosa o qualcuno le responsabilità della propria mediocrità.
L’intervenuta prescrizione, invece che un limite della macchina giudiziaria, è diventata una colpa dell’imputato. Molti ignorano che invece è uno strumento utilizzato da alcuni magistrati, interessati più a lasciar sospeso il giudizio che a dimostrare l’innocenza dell’imputato e la relativa sua assoluzione. Una prescrizione di solito sopraggiunge quando mancano le prove sufficienti per dimostrare la colpevolezza dell’imputato, o quando i processi vengono trascurati dalla macchina giudiziaria, e quest’ultimo caso non è proprio attribuibile ai processi contro Berlusconi.

Finalmente dunque il “Lodo Alfano” che sottrae alla magistratura militante le armi per battersi contro il capo della maggioranza. Finalmente per porre fine ad una guerra che dura ormai da 14 anni, e cioè da quando il leader di centrodestra ha scippato dalle mani di Occhetto e della sua “macchina da guerra” il governo del Paese.
C’è in Italia un gusto masochista di farsi del male.
Sono state utilizzate le funzioni dello Stato, più che per promuovere la splendida immagine italiana nel mondo, per renderla incerta ed inquietante. Si è permesso persino ad un politico della sinistra belga, attuale presidente del gruppo parlamentare socialista nel Consiglio Europeo, di offendere e villanamente infangare il nostro Paese quando Berlusconi, allora Capo del Governo italiano, s’accingeva ad inaugurare il semestre italiano della Presidenza del Consiglio Europeo.
La sinistra italiana in contiguità con l’ala giustizialista della magistratura e sulla base di una lotta politica protesa unicamente a scalfire l’immagine dell’avversario politico, utilizzando soprattutto le sue vicende giudiziarie, non si è sottratta in alcun momento dall’utilizzare la stampa ed il personale politico di paesi stranieri.
Questo modo di agire ha una sola parola per essere definito: viltà!
La sinistra italiana si comporta come la classe politica dei paesi dell’Est europeo sotto il socialismo “reale”, quando si sopprimeva l’avversario politico attribuendogli pesanti ed impopolari reati, ovvero facendolo passare per folle, o ancora rendendolo vittima di un incidente mortale per eliminarlo fisicamente.
Anche con il decreto sicurezza si è tentato di applicare gli stessi metodi della denigrazione: come se l’Italia, invece di un problema di clandestinità e di inadeguati controlli per i flussi extracomunitari, avesse problemi di xenofobia e di razzismo.
I partner dei paesi europei dove, invece, vigono controlli rigidi e maglie chiuse con severità per frenare l’immigrazione clandestina, ispirati dai soliti (anti)italiani hanno persino intentato una censura alle nuove norme del decreto sicurezza, anche se la nuova legislazione permette di rendere più efficaci i controlli e persino conformi alle direttive della stessa comunità europea.
La lealtà del confronto politico è venuta meno da tempo.
Se qualcuno pensava che la sinistra fosse cambiata, sbagliava previsione.
Sarà per questo che la sinistra in Italia si è sfaldata e continua a sfaldarsi, perdendo credibilità ed elettori, mentre il Paese avrebbe bisogno di una sinistra propositiva e democratica per rendere effettivo il principio della democrazia compiuta e dell’alternanza.
Vito Schepisi

11 luglio 2008

Emergenza Giustizia

In Italia si discute di giustizia come se l’argomento fosse correlato ad una situazione, in corso, di normale gestione. Come se l’indignazione sui gravi episodi di malagiustizia, sui tempi biblici dei processi, sulle mole ed i costi delle intercettazioni, sui presunti assassini liberati per decorrenza dei termini della carcerazione preventiva, sugli sconti di pena, sui pentiti e la reiterazione dei loro reati, sui benefici discrezionali concessi a carcerati di grave pericolosità sociale e se alcuni controversi provvedimenti di magistrati non fossero ragioni sufficienti per richiedere interventi incisivi.
Si ha la sensazione che la giustizia si risolva nella diffusione di conversazioni private in cui vengono coinvolte vittime penalmente innocenti per una sorta di abitudine grottesca di sbirciare nell’intimità degli italiani più noti. Come se la giustizia fosse un gossip continuo in cui si avvicendano pettegolezzi e notizie sensazionali. E questo modo un po’ becero ed un po’ pruriginoso sta assumendo toni e colori su cui si arroventa una lotta politica sul filo del diritto. E questo modo finisce pure col mettere a nudo una situazione della giustizia lontana dai basilari principi della civiltà giuridica e persino della libertà dei cittadini di essere, nei limiti dei comportamenti leciti, ciò che si vuole nel privato.
La giustizia italiana è spesso confusionaria, disorientata, disomogenea e discriminatoria. E con queste qualità, in questo settore così dirompente per la vita di uomini e famiglie, vengono persino meno i diritti e la dignità degli individui, ed i principi stessi della democrazia. Se la quantità e qualità della giustizia in Italia fosse paragonata all’efficienza produttiva e qualitativa di un’impresa il fallimento sarebbe già stato dichiarato da tempo.
Tutti hanno la sensazione che l’obbligatorietà dell’azione penale sia l’ipocrisia più grande di un Paese dove chi ha approfittato non ha mai pagato e dove la giustizia viene esercitata sulla più plateale discriminazione. Anche politica!
Chi non ha mai avvertito che questa Italia furba annovera impuniti di reati di ogni tipo, che il popolo italiano ha subito e paga con il suo enorme debito pubblico?
Questa magistratura che si è tenuta lontana dall’indagare sulle grandi fortune di spregiudicati finanzieri, mentre ora, in connivenza con la politica di una sinistra senza identità ed allo sbando, contigua alle caste ed agli spazi dei privilegi, si concentra per sferrare l’ormai rituale aggressione giudiziaria su coloro che non hanno la responsabilità dello scempio commesso. Sembra che prevalga il timore che il nuovo vento che si contrappone al sonnacchioso conservatorismo dei poteri forti possa demolire gli spazi corporativi di un Paese che, ad oltre sessanta anni dalla liberazione, non riesce ad emergere da un sistema ancora imbrigliato dall’egemonia illiberale e presuntuosa di un antifascismo di maniera.
Sembrerebbe così che ogni modifica richiesta rappresenti un pericolo per l’equilibrio stabilito. A guisa di battaglie per evitare di compromettere un virtuoso esercizio di un servizio, e per garantirne la giusta ed imparziale fruizione, nell’interesse dei cittadini ed in nome del popolo italiano, si grida all’allarme sociale per ogni tentativo di riformare questa giustizia così discussa e così evidentemente “ingiusta”.
Si supera persino la farsa con alcuni giornalisti, attori, scrittori, comici, intellettuali e politici che si ergono a difesa della legalità, cioè di quella “cosa” che in Italia non esiste. Non esiste soprattutto perchè chi la predica molto spesso sostiene che le leggi vanno interpretate, più che applicate, ed addirittura ignorate in nome di discutibili principi umani, politici ed ideologici. Si disputa sulla giustizia con furbi di ogni specie e tromboni rancorosi, residuati di un’ideologia fallimentare, accantonata e sepolta persino dalla classe dirigente del movimento politico che ne dovrebbe vantare la naturale eredità.
Ci sono ancora personaggi così integrati nel loro ruolo: come quei giapponesi combattenti dell’ultima guerra a cui non è mai stato detto che la guerra era finita e che con la guerra si era esaurito un periodo della storia.
Molti compagni si sono ormai imborghesiti ed ora la rivoluzione la fanno nei salotti buoni o tutt’al più con qualche frivolo girotondo. Ora tra farse e comparsate, tra incredibili libri trasudanti odio e livore, c’è chi si impegna solo a far ingrossare i propri conti bancari, perché in Italia c’è sempre chi è disposto persino a pagare per farsi plagiare.
Il proletariato piuttosto che soffrire la fame per la lotta alla crescita, come è stato nel passato, preferisce lo sviluppo ed i consumi. Piuttosto che l’abbattimento del capitalismo, preferisce la sua diffusione per accrescere la ricchezza. Più che lottare per abbattere il profitto chiede un giusto salario per sostenere i bisogni della famiglia.
Di contro si ha l’impressione che ci sia la volontà di fermare le riforme che i cittadini richiedono e che il “grande vecchio” si muova sempre per mantenere la situazione “quo ante” e cioè la confusione più ampia che serva a perpetuare il controllo delle cose.
Su tutti i provvedimenti si grida al complotto, alle leggi “ad personam”, al pericolo dell’involuzione democratica del Paese. Si fa leva su tutto ed in ogni luogo anche all’estero dove, a costo di ledere l’immagine dell’Italia, non si risparmiano colpi bassi e false suggestioni. Persino vergognosi e assurdi richiami alle leggi razziali.
Personaggi che hanno solidarizzato con i più pericolosi criminali della terra presumono ora di poter rilasciare lezioni sui diritti umani.
Se la giustizia è questa e se l’opposizione cavalca il giustizialismo di Di Pietro, per poi prendere le distanze solo dai suoi eccessi, non può non porsi la necessità di adottare una legge che ponga al riparo degli assalti giudiziari le istituzioni del Paese.
L’Italia ha bisogno di un Governo capace di fare le riforme e di rilanciare la coerenza democratica di una rappresentanza politica di governo che sappia interpretare le esigenze degli elettori.

Vito Schepisi

01 luglio 2008

Gli assalti dell'opportunismo ignorante

Non so se sia così in tutta Italia ma dalle mie parti quando si ha a che fare con un individuo riprovevole s’usa dire: “dovresti vergognarti persino d’essere nato”. Ma sappiamo che il senso etico di ciascuno è ben distinto o ancora che questi ne possa anche avvertire la misura, ma l’indole meschina di poterne e volerne valutare la portata finisce sempre per indurre ad optare per l’uso strumentale della propria pochezza.
In causa è spesso l’ignoranza a cui sopraggiunge l’esercizio di un benché minimo potere. Esercitarlo, se pone dubbi e mette in crisi le menti illuminate, le persone tolleranti e le coscienze democratiche, fa “esondare” di insipiente soddisfazione ogni limitato. “noi gonfiamo e divegnamo superbi, e non ricapendo in noi... essondiamo” (Boccaccio).
Parlare degli uomini, quando ci si riferisce agli altri, è cosa anche semplice e se si è prudenti lo si può fare impunemente. La libertà di parola avrebbe il solo limite verso l’ingiuria e la diffamazione, ed anche questi limiti, a seconda della parte offesa, a volte vengono superati
L’offesa ha così il suo limite nell’uso delle parole, ovvero nel significato comune che alle stesse generalmente si dà. Ad esempio, se Di Pietro avesse detto che Berlusconi si occupa di attricette per favorirne la carriera, sfruttandone eventuali vantaggi politici e/o edonistici, avrebbe anche potuto evitare l’annunciata querela e offrire ugualmente la stessa immagine, che l’ex magistrato voleva focalizzare, e cioè quella di un Presidente del Consiglio avvezzo ad attività al limite del lecito e comunque oltremodo frivole rispetto al suo ruolo.
Ma parlare di “magnaccia” non solo è da trivio ma inserisce nel concetto anche un’evidente carica di violenza.
Voluta la violenza? O frutto casuale di un insipiente uso della parola? Forse un po’ l’una ed un po’ l’altra cosa: per accentuare lo scontro e, consapevole della presenza nel Paese di fasce di intolleranti, porsi quale più credibile oppositore di questo governo, ovvero per incapacità di esprimersi in modo civile. La sua indole di poliziotto, incline ai metodi sbrigativi ed all’uso gridato della parola, alla fine prevale comunque, anche quando i nuovi ruoli imporrebbero comportamenti diversi e soprattutto classe, educazione e rispetto istituzionale.
Il personaggio è “scarpa grossa e cervello fine” come si dice degli italiani del meridione d’Italia. Possiede la furbizia di coloro che non si pongono scrupoli, come quando da magistrato ha inflitto più pene inquisitorie che condanne agli imputati che gli capitavano a tiro; più violenza verbale, tipo “a quello lo spezzo”, che qualità giuridiche.
Cosa pensa di Di Pietro una notevole quantità di cittadini italiani, e forse non solo italiani, non emerge e per ovvie ragioni non può emergere. Alcuni pensieri sono irripetibili e questa volta non per buon gusto ma per l’abitudine del signore in questione alla querela ed alla richiesta risarcitoria che la corporazione, alla casta, non nega mai.
Si può dire, però, ciò che nell’ex magistrato, nell’uomo e nel politico non emerge. Non abbiamo riscontri, ad esempio, della sua capacità intellettuale tale da consentirgli di vincere un concorso in magistratura. Non abbiamo potuto apprezzare i suoi modi democratici, la sua finezza espressiva, la sua umanità nell’esercizio delle sue funzioni prima di magistrato e poi di politico. Non abbiamo alcuna indicazione sul suo programma politico che prescinda dai temi sulla giustizia, dal suo giustizialismo e dall’odio verso Berlusconi. Anche la strategia della convergenza elettorale col PD lascia perplessi prima che gli elettori, gli stessi dirigenti del Partito Democratico.
Un furore degno di causa migliore. Tanto da lasciar il dubbio in molti che, come tutti gli amanti dei metodi sbrigativi, abbia bisogno di individuare un proprio nemico. Nella passata legislatura, al Governo con Prodi, non poteva prendersela più di tanto con l’opposizione ed il suo nemico era Mastella, ma anche Pannella quando gli capitava a tiro.
In questa legislatura il bersaglio più “eccellente” (chiedo scusa per il dipietrismo.Ndr) per politici e magistrati non può che essere Berlusconi.
In altri tempi l’avrebbero tacciato di atteggiamento reazionario, di neo fascismo e non gli avrebbero consentito spazio nel confronto politico. Oggi, invece, tutto ciò che è utile al sistema della delegittimazione dell’avversario politico è utilizzato senza troppa vergogna. Anche se scaturisce da persone che adottano metodi e mostrano indole autoritaria.
Abbiamo perduto il gusto dello scontro politico duro ma serio e corretto. Abbiamo perduto il gusto della lealtà e della dialettica raffinata.
Ora siamo alla mercé di guitti e umorali, siamo a doverci difendere dagli assalti dell’opportunismo ignorante.
Vito Schepisi