26 settembre 2007

L'autunno che non scalda il cuore del Paese

Tempi difficili per il Governo. La stretta politica si fa più vicina. E’ l’ora delle scelte e Prodi si contorce tra le opzioni della sua coalizione.
A rendere più incandescente la scena, si riapre l’affare Visco. La coerenza e l’esigenza di legittimità dell’esecutivo vorrebbero che la sua rimozione fosse imprescindibile. Salvato dal rinvio a giudizio (per tentato abuso di ufficio continuato e minaccia aggravata a pubblico ufficiale) dai PM che hanno definito solo illegittima la condotta del vice ministro, anche se non illecita per mancanza di prove sui motivi del comportamento illegittimo, ora al Senato l'iniziativa della Cdl ne richiede la rimozione dalle deleghe e dal ministero.
La maggioranza, anche per ragioni di opportunità, dovrebbe evitare di andar sotto al Senato: dovrebbe sollecitare le dimissioni spontanee del signor Visco. Sulla carta la maggioranza non c’è per far quadrato intorno al parlamentare diessino. La posizione di Di Pietro e dell’Idv offre, infatti, all’opposizione l’opportunità di prevalere nella richiesta delle dimissioni del vice di Padoa Schioppa.
Prodi, se potesse, dovrebbe disinnescare l’ordigno, chiedendo al vice ministro di fare un passo indietro e farsi quindi da parte. La sfiducia a Visco, a dispetto del sostegno della maggioranza, infatti, porrebbe il Governo in grave imbarazzo. La ragionevolezza dovrebbe consigliare di evitare la deflagrazione della sfiducia parlamentare ad un rappresentante del Governo: sarebbe più dignitoso. Ma non è semplice e per questa maggioranza sembra cosa impensabile!
E’ difficile che la componente diessina abbandoni il suo uomo (agente?), anche se la saggezza e la gravità dei comportamenti vorrebbero che sia la stessa maggioranza a prendere le distanze da un uomo che ha mostrato protervia ed arroganza. Indurre Visco a rassegnare le dimissioni potrebbe essere un'occasione per ritrovare la compattezza; ed è importante, per coloro che sono chiamati ad amministrare il Paese, convergere sulle questioni che richiamano l’esigenza di comportamenti leali ed irreprensibili . La rimozione di Visco sarebbe un atto di dignità e coerenza: una buona carta da giocare dopo aver rimosso, dal suo incarico di Comandante della Gdf, ed in modo indecente, il Generale Speciale.
Le dimissioni del responsabile delle manovre fiscali della passata legge finanziaria, legge considerata da tanti inutile e dannosa per aver frenato la crescita del Paese e portato la pressione fiscale ai limiti del tollerabile, sarebbe anche un segnale di discontinuità, utile persino a frenare la caduta della popolarità di Prodi e del suo Governo. Ma è così poco stabile l’equilibrio del centrosinistra da rendere preoccupante anche un atto dovuto per mera decenza.
Presentando i contenuti della finanziaria 2008 Padoa Schioppa non ha nascosto che a fronte di 5 miliardi di tagli i ministri hanno richiesto 20 miliardi di maggiori spese. Ferrero ancor oggi dichiara in termini ultimativi che il Governo con la prossima finanziaria non possa esimersi da provvedimenti a favore dei settori più deboli. Il senatore Dini, che ha appena formato un nuovo gruppo, dopo essere stato tra i 45 saggi del PD, ed esserne uscito denunciando comportamenti egemonici in conflitto tra Ds e Margherita, ha condizionato il suo futuro sostegno a Prodi all’adozione di misure funzionali alla ripresa, ed in controtendenza con l’ultima finanziaria . Il pacchetto di parlamentari che rappresenta, tra cui due senatori, condizionano, infatti, il voto favorevole alla presentazione di una legge finanziaria che miri al recupero della produttività, al rilancio dell’economia ed all’assoluto divieto di ulteriori aumenti della pressione fiscale, ritocco della tassazione sulle rendite finanziarie comprese.
“…I governi non sono eterni, si vedrà” ha sostenuto l’ex ministro del tesoro del primo Governo Berlusconi, dopo aver ammonito che se sarà cambiato l’accordo sul welfare, i parlamentari del suo nuovo gruppo voteranno contro la finanziaria. Non sembra neanche rassicurante per la coalizione governativa la sua dichiarazione densa di significati “noi ci riteniamo liberi di votare le modifiche che riterremo necessarie” sull’iter parlamentare della legge di bilancio dello Stato.
La Tav nel frattempo è diventata un ricordo lontano e scaduti i tempi per presentare il progetto all’Unione Europea, i fondi destinati sono al momento definitivamente persi. Le possibilità di recupero negli anni futuri imporrebbero comportamenti diversi e generale condivisione che allo stato delle cose sembra una vera chimera. Se far viaggiare su rotaie merci e persone era considerato un contributo importante all’inquinamento ed al contenimento delle risorse energetiche, questo Governo smentisce del tutto questo principio. Con la complicità del suo ministro per l’ambiente Pecoraro Scanio che anche in questo caso, come sul clima, prende lucciole per lanterne, la sinistra alternativa, guidata dall’ex leader del Social Forum, Agnoletto, frena la modernizzazione del Paese ed il suo sviluppo nel contesto europeo.
Il no alla Tav impedisce all’Italia di dotarsi di una delle infrastrutture ritenute, a ragione, utili anche a risolvere i gravi problemi della congestione del traffico sulle strade del nord dell’Italia. Impedisce a merci e persone un transito diretto e veloce per lo scambio commerciale, turistico e culturale soprattutto con l’est dell’Europa. Con buona pace della coerenza, quando si impone di fatto di privilegiare il traffico su ruote e la dipendenza da fonti energetiche non rinnovabili. Per un ecologista, come si ritiene il ministro dell’ambiente, è proprio un buon risultato!
Con Prodi emergono contraddizioni politiche molto evidenti. Vengono rappresentate istanze tanto diverse e tali da far pensare che la maggioranza voglia occupare anche lo spazio dell’opposizione. Nella confusione si compromettono i presupposti della democrazia parlamentare. Si svilisce il dibattito sulle istanze delle diverse anime del Paese e si inserisce l’antipolitica che, come abbiamo visto, si accende come una miccia da un giorno all’altro.
L’agonia non giova a nessuno e logora ancora di più la credibilità del sistema: sarebbe ora che per responsabilità se ne prenda atto e si adempiano i conseguenti comportamenti.
Sarà un autunno caldo, ma anche un autunno che non riscalda il cuore del nostro magnifico e generoso Paese.
Vito Schepisi

19 settembre 2007

Valium...Alzheimer...Cera Pongo

Cadrà sulla Rai per aver fatto gridare all’emergenza democratica? Per la situazione di carenza di democrazia e di pluralismo mai verificata dal dopoguerra ad oggi? Cadrà sulla Biagi perché la sinistra più conservatrice e reazionaria pretende di cancellarla? Cadrà sulle lotte e le contraddizioni del Partito Democratico e sul cattivo esempio di democrazia partecipata che sta offrendo al paese? Cadrà per una marcia su Roma dell’antipolitica alla Beppe Grillo? Cadrà per mano di Dini che fiuta il cattivo tempo autunnale e prende le distanze? O cadrà per una congiura interna al Palazzo?
Come cadrà questo che è stato definito il peggior Governo dell’era repubblicana? E’ questa la domanda che tanti si pongono. Una risposta la si può già dare: non cadrà mai per volontà del suo Presidente.
Prodi sembra che abbia cosparso la poltrona di “attak” e ci abbia incollato su il proprio sedere.
I segnali di un cedimento irreversibile ci sono, in abbondanza e con tanto di avanzo: s’è aperta la guerra del tutti contro tutti. Ministri che straparlano e fanno opposizione all’esecutivo, segretari di partito che lanciano ultimatum, un rinfaccio indecente di responsabilità senza remore e freni, una serie di espansione polemica su ogni questione. La maggioranza si comporta come se fosse stata innescata una bomba nucleare che lentamente sprigiona la sua reazione a catena.
Anche la terza Camera, come è stata definita la trasmissione Porta a Porta di Vespa, ha inchiodato il premier sulla difensiva, che poi è la difesa del niente. Il capo dell'esecutivo è sembrato incapace di esprimere un indirizzo, di indicare una scelta, di offrire uno spiraglio, di volere e sapere uscire dal guado di una irresponsabile impotenza del suo Governo. Ha dato l'impressione di essere allo sbando, come una “nave senza nocchiero in gran tempesta”, per parafrasare il Poeta, ed in attesa di un bel tempo che è difficile che arrivi, soprattutto se i suoi ministri e la sua maggioranza sparano dardi contro le nuvole cariche di pioggia.
Un Governo che mostra persino d’aver timore di un guitto e che impegna il suo leader a replicare alle sue parole. Un esecutivo che ha al suo interno più di un ministro che regge il moccolo a Grillo.
Prodi, paragonato ad un forte sonnifero attivo negli stati depressivi e nei disturbi del sonno, che replica come se il comico genovese fosse un protagonista della vita politica, come se fosse un accreditato avversario, come se avesse la capacità di indicare un percorso programmatico virtuoso, come se fosse in grado di interpretare e comprendere le complessità di un Paese. Grillo che si getta a capo fitto nella più facile delle strumentalizzazioni, a guisa di un qualsiasi demagogo che sa cogliere gli umori più viscerali della gente che lo apostrofa, lo deride, lo beffa. E Prodi a dargli statura e dignità.
Grillo somiglia un po’ a quell’imbonitore televisivo, una volta principe delle televendite che si spartiva con la Vanni Marchi il primato dell’offesa al buongusto. (Non ricordo il suo nome, forse non l’ho mai saputo, lo soprannominavo “enfisema” per quella sua asma fastidiosa tra un pugno sul tavolo e l’altro - ndr). Non somiglianza fisica, ma affinità oggettiva in quella sensazioni di un fiume di parole libere destinate a convincere la gente a comprare qualcosa, e mentre il primo vendeva pentole e piatti, il nostro invece vende solo suggestive illusioni.
L’artista genovese a Bologna, l’8 settembre scorso durante il V-Day, ha saputo trovare alcune tra le migliori espressioni della sua vena mimica ed ha colto e descritto il Presidente del Consiglio in modo comicamente esemplare, con gli occhi chiusi, quasi sorridente e l’ha così chiamato “Valium”, facendo sbellicare dal ridere tutti (in verità quando chiude gli occhi, alza la testa verso l'alto ed abbozza ciò che vorrebbe essere un sorriso, Prodi dà da pensarle un po' tutte - ndr) . Poi la risposta di Prodi, inopportuna e senza senso, e la replica di cattivo gusto del comico con cui l’ha ribattezzato “Alzheimer”, per stroncarlo e dar l’impressione di un uomo ormai anziano ed un po’ rincoglionito.
E’ stata un’ulteriore riprova della inadeguatezza dell’attuale leader del centrosinistra. Prodi ha già in tasca un biglietto di sola andata in uscita da Palazzo Chigi e nel porsi in confronto con Grillo, ha forse nutrito la speranza di potergli contrapporre un esercito di italiani più responsabili, refrattari alle illusioni di un comico. Ha forse nutrito la speranza di evitare quel percorso in discesa verso il viale del tramonto. Il popolo di sinistra, però, gli ha voltato le spalle, l'ha usato ed ora non è più utile. L'ex e discusso Presidente della Commissione europea ha perso la fiducia del suo popolo che è pronto a scaricargli addosso le responsabilità del fallimento di questa maggioranza. E' un uomo non più credibile e se volesse veramente rendere un servizio al Paese, ed alla sua parte politica, dovrebbe utilizzare in tutta fretta quel biglietto di solo andata che ha in tasca e togliere il disturbo.
Da Vespa questa volta ha promesso di non abbassare le tasse. Lo scorso anno in campagna elettorale promise di non innalzarle.
Ma oramai non trova più chi sia disposto a credergli ancora.
Non ha una sua politica, non una sua idea. Si fa manovrare come una cera pongo e quando si impegna sa già che niente di ciò che ha promesso potrà mantenere: è un pugile suonato.
Un anno fa si doveva approfittare della congiuntura favorevole iniziata nei primi mesi del 2006, per ridurre la pressione fiscale ed il costo del lavoro, per incoraggiare gli investimenti, per aumentare la produzione e conquistare i mercati, per favorire l'occupazione, per rendere più stabile la ripresa. Si è preferito tartassare i contribuenti ed aumentare la spesa. Per l'anno in corso e per il 2008 si preannuncia la riduzione del prodotto interno lordo. La flessione del Pil genererà una serie di altre difficoltà sul disavanzo e sul debito pubblico.
Prodi è un uomo cinico, duro e caparbio ma solo se si tratta di legarsi al potere.
Quello intrapreso è un percorso verso un vicolo cieco in cui “Cera Pongo” ci sta trascinando, mentre continua a farsi mutare e plasmare a seconda della mano che lo lavora.

14 settembre 2007

Oriana Fallaci un anno dopo



«Vi sono momenti, nella Vita, in cui tacere diventa una colpa e parlare diventa un obbligo. Un dovere civile, una sfida morale, un imperativo categorico al quale non ci si può sottrarre » .

Quale modo migliore per ricordare Oriana Fallaci se non riportare questa sua espressione tratta da La rabbia e l’orgoglio? Un aforisma che è diventato la sintesi della sua personalità. Una citazione che siamo ormai abituati a rileggere ripetutamente sui giornali e sui blog, ripetuta da commentatori e politici. Un monito lucido per affermare in una sintesi magnifica i caratteri di una personalità ben radicata e di una convinzione incisa nel tempo.
Questa era Oriana Fallaci! Una Donna! Una Donna vera.
L’aforisma, s’è detto, è la sintesi di un tormento tutt’altro che solo interiore, è l’espressione del cruccio di una donna intrepida che riusciva a parlare ai cuori ed alle menti di tantissimi cittadini del mondo libero ma che non riusciva, al contrario, a farsi comprendere dai governanti e dai poteri che dominavano gli equilibri del mondo. Alcune espressioni, come quella citata, sono la sintesi del suo pensiero, ma la Fallaci non era una scrittrice dalla prosa sintetica. La sua prosa, al contrario, è stata ricca di sensazioni, di descrizioni, di immagini che sapeva evocare con uno stile diretto, verace, provocatorio, crudo e tale da renderla tra le donne più avvincenti nella letteratura del secolo scorso. Da inviata di guerra, autrice di reportage di raro realismo, a scrittrice di passioni e di amore, con i suoi ritratti letterari che spaziavano tra la poesia e la cronaca e sempre intinti nel suo profondo e schietto realismo.
Non si può tacere perché ignorare è una colpa, sosteneva con decisione la nostra Oriana. Invitava il mondo occidentale, la politica e la cultura a reagire, a parlare in difesa delle radici della nostra civiltà. E’ stata tra le prime a segnalare lo scontro già in atto e la pericolosità di quel fondamentalismo islamico che si diffonde e predica la guerra santa per liberare l’occidente da satana.
La sua protesta si è levata contro i governanti del mondo, contro i media che si preoccupano solo di essere politicamente corretti, contro “i giullari buonisti sempre pronti a piangere per gli assassini. Mai per le loro vittime”.
Ci mancano il suo coraggio e le sue parole sempre sferzanti: “Crediamo di vivere in vere democrazie, democrazie sincere e vivaci nonché governate dalla libertà di pensiero e di opinione. Invece viviamo in democrazie deboli e pigre, quindi dominate dal dispotismo e dalla paura. Paura di non essere sufficientemente allineati, obbedienti, servili, e venire scomunicati attraverso l'esilio morale con cui le democrazie deboli e pigre ricattano il cittadino. Paura di essere liberi, insomma. Di prendere rischi, di avere coraggio”.
In un libro del 2004, La Forza della Ragione, la scrittrice esortava i lettori ad utilizzare la ragione se non la rabbia e l’orgoglio: "C’è il declino dell’intelligenza. Quella individuale e quella collettiva. Quella inconscia che guida l’istinto di sopravvivenza e quella conscia che guida la facoltà di capire, apprendere, giudicare, e quindi distinguere il Bene dal Male… Il declino dell’intelligenza è il declino della Ragione. E tutto ciò che accade oggi in Europa, in Eurabia, ma soprattutto in Italia è declino della Ragione… Per non assuefarsi, non rassegnarsi, non arrendersi ci vuole passione. Ma qui non si tratta di vivere e basta. Qui si tratta di sopravvivere. E per sopravvivere ci vuole la Ragione. Il raziocinio, il buonsenso, la Ragione…".
Mi piace ricordarla dopo un anno con le parole scritte alla notizia della sua scomparsa, il 15 settembre di un anno fa:
"E' morta una grande donna. In Italia penso la migliore del ventesimo secolo. Ci lascia soli, senza il suo riferimento, senza la forza del suo grande amore per la vita e per la verità. Ci lascia, commossi per il suo grande coraggio e per l'amore per il mondo libero che l'ha sempre ispirata. E' morta una donna intrepida, verace, forte ...una donna vera. E' morta nella sua amata Firenze che ha difeso fino all'ultimo dalle orde incolte di un pensiero alternativo e senza senso. L'Oriana Fallaci, colta, intelligente, esplicita, spesso scomoda. La giornalista e la donna di cultura che ha sempre testimoniato con impulso e con determinazione l' idea forte del suo pensiero. Il pensiero ardito che si sviluppa nella storia e nelle tradizioni dei popoli e senza ipocrisie: quel mondo che con originalità e passione, con impeto e partecipazione, crudamente ma schiettamente ci ha raccontato nei suoi articoli e nei suoi libri. Il percorso della sua vita è una linea continua, travagliata, intensa, sempre sulla strada dell'anticonformismo e della sola sua voce, a volte isolata ma forte ed impetuosa, spesso travolgente. Quella sua voce suadente ma inequivocabile che le usciva dal cuore prima che dalla mente. Addio Oriana! Nel mio intimo ti ho amata anch'io!”
E’ passato un anno ed il suo messaggio resta valido e reale… sembra scritto nel tempo.
Vito Schepisi

11 settembre 2007

Fermezza contro la follia dell'11 settembre


Anche quest’anno siamo a ricordare la tragedia dell’11 settembre 2001 quando per mano del terrorismo islamico due aerei si schiantano contro le Twin Towers a New York, un altro aereo precipita al suolo in Pennsylvania, per fortuna fuori da centri abitati, ed un altro ancora si abbatte sul Pentagono, azioni terroristiche in cui hanno perso la vita complessivamente circa 3.000 persone tra uomini, donne e bambini.
Questa data rappresenterà per sempre una pietra miliare nei rapporti tra i popoli.
All’apertura del terzo millennio, senza ipocrisie e illusioni, abbiamo dovuto constatare che si era aperta un’ampia frattura tra il mondo musulmano e la civiltà occidentale. Rapporti tra paesi diversi per cultura e civiltà, incrinati dalla mancanza di reciproca compatibilità e comprensione e per ragioni che esulavano persino dalla visione politica del mondo. Un misto di odio ed intolleranza verso un modello di civiltà, una cultura, una condizione. Una frattura che se trae le sue origini storiche nel pieno medioevo, dai tempi delle crociate e delle missioni volute dall’influenza esercitata della Chiesa per “liberare” la Terra Santa dai musulmani, è andata crescendo con la costituzione di entità nazionali legate tra loro dal rispetto di una fede comune e di ben radicati riferimenti religiosi.
Alla società civile, in alcuni paesi del mondo arabo e musulmano, si sono sostituite le rappresentanze islamiche che hanno imposto regole rigide, secondo le interpretazioni più radicali dei loro libri sacri. E’ un fenomeno che s’allarga a macchia d’olio, assieme ai modi più intolleranti di interpretarlo. E’ l’assenza dei principi della tolleranza ed il rifiuto del pluralismo culturale e religioso, l’abbiamo constatato lo scorso anno con il discorso di Papa Ratzinger a Ratisbona quando questi, citando brani storici, pose in rilievo alcune interpretazioni del Corano contrarie alla “Guerra Santa”. La reazione inusitata e violenta evidenziò una voglia quasi epidermica di creare incidenti ed inasprire i rapporti, una scintilla per esacerbare gli animi e spingere i più invasati a ricercare lo scontro.
Nei paesi mediorientali più moderati, i partiti islamici accendendo sentimenti di odio contro “i crociati” ed il “ regno di satana”, allargano il loro seguito e sostituiscono regimi laici, spesso deboli, con il potere delle autorità religiose. Anche in Europa ed in Italia gli immigrati di estrazione islamica pretendono di imporre la loro cultura e non rispettano usi e tradizioni, e spesso neanche le leggi dei paesi ospitanti.
In sei anni, dall’11 settembre, il quadro è andato via, via peggiorando. I paesi occidentali sono quasi sempre divisi, spesso per mancanza di coraggio o per meschini interessi politici. Anche all’interno sono presenti grosse spaccature, in Italia Prodi e la sua maggioranza devono fare i conti con i partiti ed i movimenti che, pur di contrapporsi a paesi come Israele e gli USA, considerati capitalisti e violenti, solidarizzano con il terrorismo islamico. E’ un retaggio del veterocomunismo che, resi incredibili i riferimenti di un tempo, mantengono fermi odio ed intolleranza verso i simboli della democrazia e della libertà sulla cui scia si va evolvendo la civiltà occidentale.
Non c’è condivisione e non s’è creata la coscienza della gravità del pericolo di una massa fanatica ispirata dalla convinzione di perseguire il volere del suo Dio e di guadagnarsi con il sacrificio terreno il paradiso nell’aldilà. Persino l’11 settembre è messo in discussione con tesi di complotto imbevute di cieco ideologismo e di viltà. Questa condizione rende più debole la spinta politica che possa contrapporsi pacificamente, usando il deterrente della fermezza e gli strumenti della diplomazia: la nostra divisione finisce per essere la forza di coloro che oggi possono minacciare la pace e le conquiste della nostra civiltà.
E’ necessario guardare all’11 settembre come ad un monito per non abbassare la guardia, un monito per la fermezza e la determinazione nel voler continuare a vivere secondo i modelli di società sviluppati in questa parte del mondo, da cittadini autonomi e liberi di scegliere, affermando la laicità delle entità nazionali ed il rispetto di tutte le opzioni di fede e di cultura. Deve essere un monito contro il fanatismo politico e religioso, per il pluralismo, per l’integrazione possibile ma senza dover modificare abitudini e tradizioni. La fermezza, il coraggio, la forza della libertà e l’umanità della gente civile deve essere l’arma vincente per contrastare ogni rigurgito di follia.

07 settembre 2007

Ma i diritti sono uguali per tutti?


Mi sono sempre astenuto dal trattare argomenti che trattassero i cattivi costumi degli uomini politici. Non mi piace la cronaca scandalistica e non mi piacciono le strumentalizzazioni. Avverto l’esigenza, però, che l’informazione possa riportare i fatti di malcostume anche politico. I partiti, infatti, quali organismi rappresentativi del sistema democratico, se in continua osservazione nei contenuti e nei comportamenti, sono stimolati a diventare una casa di vetro. Anche le marachelle dei parlamentari più furbi, in quanto usurpatori della fiducia del popolo, è opportuno che siano conosciute dai cittadini. La speculazione politica, sempre pronta e puntuale, caratteristica comune a politici e media schierati, è invece spesso interessata ed ingiusta perché mira a coinvolgere con gli uomini i pensieri e la storia.
Anche la questione delle intercettazioni su Fassino, D’Alema e Latorre pongono in evidenza i limiti degli uomini. E se rendono, contrariamente a ciò che alcuni andavano spacciando, l’immagine del partito di questi signori equivalente a quei partiti della prima repubblica, spazzati da tangentopoli, non tolgono o mettono una virgola in più o in meno alla storia ed alla tradizione della sinistra comunista italiana.
Per quanto, infatti, revisionista e trasformista sia la sua evoluzione, e per quanto abbiano preso atto del fallimento del comunismo internazionale, e si sia aperta una discussione su quei valori che andavano predicando come essenza della democrazia e del benessere, l’idea del marxismo deve rimanere e rimane ferma nei suoi aspetti teorici. Non sono i comportamenti di Fassino o D’Alema, tra il sentirsi padrone di una banca ed il “fammi sognare”, a rendere più credibile la convinzione di tanti uomini liberi sulla inadeguatezza del sistema socialista a risolvere i problemi sociali, etici e civili dei popoli.
Da qualche giorno, però, mi frullano tra le dita della tastiera alcune riflessioni ed ho fatto fatica a controllarle e trattenere le dita . Ho violentato la mia spontaneità e la mia irriverenza per evitare di scriverne, finché non mi sono convinto che alcuni episodi un risvolto politico ed un moto d’indole l’hanno.
Il fenomeno dell’acquisto di appartamenti, molti di pregio, a prezzi che un comune cittadino non riuscirebbe ad acquistare nemmeno nelle periferie delle grandi città, tra il degrado ed una pessima qualità della vita, e per fabbricati di nessun valore storico ed architettonico, non può restare solo un fatto di malcostume di un sistema o di alcuni.
Ho tratto la convinzione che esista una diversa maniera di rispettare la cosa pubblica. Mentre l’uomo di sinistra si impossessa dei beni comuni, come se fossero parte integrante della sua natura di uomo sociale e quindi non un privilegio ma un beneficio di cui disporre, ed a maggior ragione per la sua funzione di persona che si dice impegnata a gestire il sociale, l’uomo di destra ha rispetto per ciò che non gli appartiene e rifugge dal disporre di beni e servizi che non paga e che non sono in suo possesso.
Questo fenomeno è noto nell’ambito degli enti locali e degli enti di servizio e di gestione pubblica, dove la sinistra diffonde una rete di interessi e di funzioni, finanziate dalla collettività, i cui benefici ricadono verso gli uomini di apparato e sui militanti di sicura e consolidata fedeltà alla causa: una sorta di massoneria spontanea che non ha riti anacronistici e ridicoli ma è ferrea ed inflessibile nell’applicazione del privilegio per chi è dentro “la casta”.
La cultura è la stessa di quella della Lega delle Cooperative che, nelle regioni governate da sempre dalla sinistra, ha reso pressappoco capillare la sua diffusione e gestisce il lavoro, la produzione e la distribuzione di una parte quasi assoluta dell’economia locale. Nella cronaca e negli anni sono stati tanti gli episodi di malcostume che hanno visto soccombere il pubblico interesse in operazioni di impiego di denaro pubblico che ha favorito uomini o gruppi riconducibili alla sinistra, anche operazioni di bancarotta sospette.
Se negli elenchi di “affittopoli” di qualche anno fa a pagare canoni di locazione ridicoli e fuori mercato prevalevano uomini di sinistra e sindacalisti, anche negli elenchi di “svendopoli” prevalgono i soliti noti. Dal tenore delle proteste, però, sembra che tutti abbiano esercitato i loro diritti e questa loro convinzione mi induce a pensare che la loro sia frutto di una abitudine ben radicata a godere di benefici, come se la loro fosse un’attività con tanto di contratto di lavoro in cui sono previsti diritti e benefici fruibili.
La domanda che sorge spontanea è che se sono diritti, ed in Italia sono uguali per tutti, perché sono solo alcuni, e tra i più agiati, a poterli esercitare e non l’uomo comune che si barcamena stringendo la cinghia per pagare la rata del mutuo di un modesto appartamento in periferia?
Vito Schepisi

06 settembre 2007

Contro il ritorno alle urne la parola d'ordine è riforma elettorale

La parola d’ordine di questa legislatura è “riforma elettorale”. Tutti la pronunciano per sottintendere un po’ di tutto e per cacciare le streghe. Ha iniziato il Presidente della Repubblica, eletto dalla sola sinistra con qualche sostegno di Follini e Casini. L’On Giorgio Napolitano, anziano esponente del vecchio pci in cui l’abitudine a porre ogni sottile eccezione per opportunità e furbizia ha rappresentato per anni un’arte raffinata, ha così trovato l’antidoto alla caduta di Prodi ed allo scioglimento delle Camere, almeno finché sarà ritenuto opportuno.
Il Professore, che non si lascia sfuggire la fortunata opportunità, ripete come un ritornello con il coro di alcuni altri selezionati suoi ministri che se cade il suo Governo si fa male tutta la sinistra: perché si va a nuove elezioni. E’ un tormentone la minaccia del ricorso alle urne che invece non sembra sia possibile, per volontà di Napolitano, perché manca la riforma della legge elettorale. Ed a somiglianza di quei cani che si girano stupidamente intorno per cercare di afferrare tra i denti la coda, Prodi ed il Governo fanno le capriole all’indietro per cercare di guadagnare del tempo.
Se si pensa che il Presidente del Consiglio ed i suoi uomini più vicini lavorino per ottenere in tempi rapidi una proposta condivisa della legge elettorale si è del tutto fuori strada. L’obiettivo di Prodi è durare. Tirare a campare nella speranza che il tempo possa rimetterlo in sella per poter rimediare al suo fallimento. E’ per questa ragione che la proposta unitaria di Forza Italia, lega ed AN, mentre riceve interessanti aperture da parte di larghi strati del centrosinistra, ottiene da Palazzo Chigi una formale nota in cui si afferma che "ogni apertura al dialogo è guardata con interesse e attenzione" e ma che il dialogo debba aprirsi “con tutte le forze d’opposizione, non solo con i 3 partiti presenti alla riunione".
Per intendere ancor meglio come la pensa il Professore, che si mantiene incollato alla sua poltrona di premier, si registra la presa di posizione di Monaco, prodiano di ferro, che frena e sostiene che la proposta affosserebbe il bipolarismo e quindi la respinge “tanto più perchè accompagnata dalla pretesa-condizione di elezioni subito”. Una canzone quella delle nuove elezioni che dalle parti della Presidenza del Consiglio non si è disposti assolutamente a sentire. Elezioni subito, infatti, vorrebbe dire nuovo leader e una palata di naftalina sul professore di Scandiano.
Anche il Ministro Parisi, già in passato consigliere di Prodi e suo politologo di fiducia, cerca subito un modo per rovesciare il tavolo, e se la Cdl ha proposto un sistema che ricalcasse quello tedesco, s’è subito affrettato a sostenere che per lui il sistema ideale è invece quello francese. Per confrontarsi meglio, però, con l’opposizione e con le diverse opzioni, propone addirittura di azzerare tutto: “la maggioranza deve darsi l'obiettivo di azzerare tutto e ritornare al mattarellum aggiungendosi le primarie per i singoli collegi”.
Non si può certo dire che si è alla frutta perché quando si propone di ricominciare da capo non si può che ritornare all’antipasto!
Anche nel campo avverso, tra gli oppositori del Governo, la proposta della Cdl non è piaciuta a tutti. A Buttiglione ad esempio non è piaciuta granché. L’esponente dell’Udc l’ha ritenuta “un nulla di fatto” che non ha chiarito la scelta di F.I. tra la spinta referendaria di AN ed il modello tedesco voluto dalla Lega. Che Buttiglione abbia letto male i contenuti dell’accordo tra i partiti di centrodestra? Eppure sono le indicazioni che fino a qualche giorno prima lo stesso Buttiglione assieme al suo gruppo aveva sostenuto! A parte il bipolarismo che è una opzione dei partiti (anche negli Usa ed in Francia c’è un sistema bipolare ma non è impedito alle altre forze politiche di proporsi) lo sbarramento che eviti la eccessiva frammentazione dei partiti ed il sistema proporzionale con una indicazione delle alleanze e del nome del candidato premier prima del voto, sposano per buona parte il modello tedesco sostenuto dall’esponente Udc. Buttiglione ancora una volta con la sua improvvida presa di posizione si è saputo distinguere come spesso gli capita. Sembra che sia affetto da una sindrome masochista. Dai tempi della segreteria del PPI, alla congiura del ribaltone, attraverso il diniego alla sua nomina a ministro quando militava col centrosinistra e fino alla bocciatura a commissario europeo. Forse la lezione non gli è bastata, non si convince che a lui, d’esser furbo, non gli riesce proprio!
Di diverso parere Casini che al contrario del presidente del suo partito ha subito avvertito il pericolo dell’isolamento, non solo per esser rimasto al di fuori dell’incontro con i leader del centrodestra, ma anche nell’insistere troppo a remare controcorrente, ad opporsi sarebbe rimasto in compagnia solo di Prodi: e questi è l’uomo perdente. In un fiume che scorre verso la ricerca di un accordo che accantoni Prodi e prepari la successione di Veltroni, e con l’obiettivo di percorrere la strada di un governo istituzionale che possa traghettare questa legislatura al compimento dei due anni sei mesi ed un giorno, col proposito di varare la riforma costituzionale in modo condiviso, l’Udc rischiava di ritrovarsi dall’altra parte del guado a respingere le opzioni che invece da tempo auspicava. L’accordo è poi l’unica strada per evitare il referendum che Casini, Mastella e gli altri partiti minori vedono come il fumo negli occhi.
Segnali di distensione e di apprezzamento arrivano anche da Veltroni e da larghi settori dei DS, tanto da far dire a Violante che pensa che al tema della riforma elettorale “debbano essere connesse anche alcune riforme costituzionali minime che consentano al prossimo esecutivo di governare davvero: riduzione del numero dei parlamentari, poteri del presidente del Consiglio, differenziazione delle funzioni delle due Camere attraverso il Senato federale e semplificazione del procedimento legislativo".
Santo cielo!…Che si aspetta a superare la brutta esperienza di Prodi e procedere?
Vito Schepisi

05 settembre 2007

Per il Governo meno tasse ma solo se si riduce la spesa: cioè mai



Sul fisco se ne dicono tante ed ogni giorno si presenta un nuovo assertore di verità rivelate. Questa volta è toccato al Professor Victor Uckmar che si è sentito in obbligo di accorrere in difesa di Prodi e Padoa Schioppa nella disputa, tutta interna al Partito Democratico in gestazione, sulla questione delle tasse.
“E’ più difficile agire sulle uscite che sulle entrate” ha rivelato il professore di Diritto Tributario all’Università di Bologna spezzando una lancia a favore delle tesi del governo e respingendo di fatto le aperture di Veltroni e Rutelli sulla riduzione della pressione fiscale già dalla prossima finanziaria. La tesi del professor Uckmar non fa una piega e non può che essere condivisibile quando afferma che “Paghiamo tante tasse. Prima, però, occorrerebbe individuare le spese essenziali per il Paese. Un'imposta è giusta solo quand'è rapportata a una giusta spesa”. E’ la stagione delle feste di partito: sarà per questo che si ha l’impressione di assistere alla festa dell’ovvietà.
Se ridurre le tasse senza la preventiva riduzione della spesa non sia possibile, e non lo è anche perché questo Governo non ha posto sotto controllo le uscite, allargandole invece per assecondare le pressioni della sinistra più radicale, la questione è senza dubbio da impostare in modo diverso. E l’unico modo diverso è prendere atto che questa maggioranza non è adeguata alle esigenze del Paese e bisogna cambiarla.
Con l’accordo sulle pensione per ridurre lo scalone a scalini, il Governo è consapevole dei maggiori costi e persino di non riscuotere appieno l’assenso della sinistra neo comunista che vorrebbe la soppressione di ogni piolo. Perché insistere allora con un provvedimento che non modifica quasi nulla in termini dei diritti acquisiti ma che comporta una spesa significamene maggiore? I maggiori costi per tutto il periodo di entrata a regime assommano a ben 10 miliardi di Euro e nessuno nella maggioranza e nel governo osa dire che il Paese questa maggiore spesa non se la può permettere, come più volte ha anche ammonito la Commissione europea.
La realtà però non muta e resta quella che è.
Se Veltroni e Rutelli spingono verso la richiesta di riduzione delle tasse, da subito, lo fanno senza dubbio per mera propaganda, con il fine recondito di attribuire all’attuale Presidente del Consiglio le responsabilità del malcontento che si allarga nel Paese. Appare evidente che il sindaco di Roma vorrebbe dissociare le responsabilità della nuova creatura che sta per adottare dalla azione del Governo in carica, ritenendo Prodi e la sua maggioranza impopolare e perdente.
Prima di ogni altra questione il Partito Democratico ed il candidato a guidarlo Veltroni dovrebbero chiarire non i desideri ma i modi per rendere possibili i sogni che fanno. Dovrebbero dirci con quale maggioranza intendono perseguire gli obiettivi di crescita e di trasformazione del Paese, per rendere, come dicono, la politica più vicina alla gente, se è vero che il 20 ottobre, subito dopo l’incoronazione del nuovo principe della sinistra italiana, la sinistra alternativa scenderà in piazza per contestare la riforma “Biagi” e mettere in discussione quelle leggi sul lavoro che hanno consentito l’allargamento dell’occupazione e della base imponibile, consentendo nel 2006 e nell’anno in corso di ottenere gettiti tributari in continuo incremento.
Per ora Prodi e Padoa Schioppa hanno solo saputo aumentare le tasse ed al contempo aumentare le spese soprattutto per compiacere rifondazione e compagni: sapranno invertire la rotta? Non si ha alcun dubbio che non sapranno e soprattutto non potranno farlo con questo governo e questa maggioranza: possibile che non se ne rendano conto?
Per avallare questa realtà ed assicurare alla prossima finanziaria l’annunciato costo zero, la ricetta del Professore di Diritto Tributario a Bologna Uckmar non si discosta da quella del Professore di Scandiano: “i redditi da capitale dovrebbero essere quelli più tassati visto che si formano senza l'intervento dell'uomo”.
La possibilità di coprire l’aumento della spesa con i maggiori proventi rivenienti dall’inasprimento delle aliquote sui redditi da capitale, in sostanza sui risparmi degli italiani e sui proventi dei capitali di rischio, sarà l’obiettivo per il 2008 del Governo. I risparmi dei piccoli investitori, però, sono già stati gravati alla fonte per essere generalmente redditi non consumati e non sarebbe giusto sottoporli ad inasprimenti fiscali più pesanti.
Scoraggiare il risparmio non è saggio.
Sarebbe una nuova ingiustizia senza tener conto che il mercato finanziario, oggi più o meno globale, rimarrebbe insensibile alle motivazione autarchiche e rischierebbe di dirigersi altrove.
Anche i tassi ne subirebbero le conseguenze con un prevedibile aumento dei saggi di interesse per allineare al mercato i rendimenti, ottenendo così il risultato di rendere più costoso il debito pubblico e favorendo gli investitori esteri che non sono sottoposti alle aliquote fiscali italiane.
Le transazioni finanziarie nel mercato dei titoli azionari, ancora, subirebbero un traumatico rallentamento per il minor appeal verso i risparmiatori, qualora al rischio si dovesse unire un maggior onere fiscale. Se si parla di capitalizzazione delle imprese e di investimenti non si può non considerare che questa eventualità ci porterebbe su di un percorso del tutto contrario.
Questo Governo e l'intera Unione, oramai non hanno più niente da dire, non possono e non sanno uscire dal circolo vizioso in cui si sono introdotti, difendono una maggioranza di 24 mila voti ottenuti anche in modo poco chiaro e su cui si arroccano ostacolando ogni verifica.
Vito Schepisi