29 agosto 2008

Quanta confusione su Alitalia

Sulla questione Alitalia c’è stata tanta confusione! Il Paese come per ogni cosa si è diviso in due, tra coloro che auspicavano una soluzione, ed altri che facevano gli scongiuri per il suo fallimento. Chi tifava contro il salvataggio della Compagnia italiana, si preparava ad attribuire a Berlusconi la responsabilità del mancato accordo con Air France.
C’è stato il solito atteggiamento vergognoso che abbiamo imparato a conoscere: quello di chi, anche a danno del Paese e dei lavoratori, briga per creare difficoltà o si compiace nel denigrare il lavoro e l’impegno degli altri.
Si è registrata l’ironia di esponenti dell’attuale opposizione e dei teatranti del vecchio regime che deridevano l’ipotesi di una cordata italiana contestandone la possibile realizzazione.
La nostra compagnia di bandiera era sul punto di essere ceduta ad Air France e con la cessione non solo si andava a trasferire oltralpe la governance di Alitalia e della sua flotta, ma anche tutte le sue rotte ed il suo bagaglio di voli internazionali.
La rinuncia al controllo di Alitalia sarebbe stato un limite persino per il turismo italiano. Un Paese con vocazione turistica come l’Italia non può permettersi di vedere dirottata l’attenzione dei tour operators internazionali dalle località italiane ad altre, naturalmente e comprensibilmente francesi, quando nei pacchetti negoziati con le grandi catene turistiche del mondo, agli scali e/o destinazioni di Roma o Venezia, si fossero andate a sostituire le località francesi come Parigi, la Normandia o la Costa Azzurra.
La facilità persino sospetta con la quale il precedente Governo aveva stabilito la trattativa in esclusiva con la compagnia di bandiera francese era sembrata davvero preoccupante, quasi irresponsabile. Non si trattava della ricerca di un partner del settore, come ad esempio per l’olandese KLM con la stessa Air France, ma di una resa senza condizioni agli interessi economici di una compagnia e di un paese straniero.
Non solo Berlusconi e tutta l’opposizione di allora avevano reagito con determinazione, ma anche settori della stessa maggioranza. Il Ministro delle Infrastrutture di Prodi, Antonio Di Pietro parlava di "Offerta umiliante, finalizzata unicamente al profitto dell'offerente, un danno per la compagnia, per le maestranze e per tutto il Paese - umilia un hub importante come Malpensa, che da solo vale dieci volte Alitalia e nei confronti del quale dovremmo tutti impegnarci per salvaguardarne le potenzialità".
Anche i sindacati avevano respinto senza remore quella che era sembrata una capitolazione offensiva a danno degli interessi nazionali e dei lavoratori, la Uil si era persino defilata dal prosieguo delle trattative per far pesare l’oscenità dell’offerta francese.
I modi ultimativi e la sostanziale intrattabilità dell’offerta erano mortificanti ed a tanti, di maggioranza o di opposizione, erano parsi al limite della dignità nazionale. Si aveva l’impressione di un usuraio che imponeva i suoi tassi capestro al malcapitato bisognoso di momentanea liquidità per scongiurare l’imminente fallimento della sua impresa. E si sa che in questi casi, quando si finisce nelle mani dei tagliagole, si finisce per perdere ugualmente l’impresa, come appunto stava accadendo ad Alitalia.
Oggi però Di Pietro recupera la proposta Spinetta, strumentalizzando sul numero degli esuberi: solo 2100. In Italia, si sa, l’antiberlusconismo giustifica un po’ di tutto. Abbiamo sentito espressioni da trivio, offese al Papa ed al Presidente della Repubblica, insinuazioni meschine e la satira trasformarsi in volgare avanspettacolo di provincia: oramai c’è solo da distinguere fra chi la spara più grossa o chi è più trash e non ci meraviglia più niente, neanche le capriole di Di Pietro.
Come si può ignorare che Air France su circa 10 mila dipendenti Alitalia ne avrebbe assorbito solo poco meno di 2.000? Gli esuberi dichiarati da Air France riguardavano solo le attività di Alitalia che la compagnia francese intendeva assorbire (aerei, voli e rotte). Ed è per questa ragione (che i sindacati ben conoscono) che le organizzazioni dei lavoratori stanno affrontando con molta prudenza le diverse problematiche avvicinandosi al tavolo di confronto con serietà e consapevolezza, al contrario di Di Pietro e dello stesso PD che con Veltroni continua ad ironizzare sulla compagnia con la “bandierina” italiana.
“Non era davvero questa la nuova Alitalia che si sarebbe dovuta far nascere” – sostiene Veltroni – Ma se il leder del PD ed i suoi sostenitori avessero avuto idee migliori, rispetto alla trattativa in esclusiva con Air France, conclusasi con una proposta inaccettabile, avrebbero avuto tutto il tempo per avanzarle. Come avrebbero anche avuto tutto il tempo per contribuire a ricercare, collaborando con gli uomini di questa maggioranza, soluzioni ritenute più idonee, anziché usare il sarcasmo e sogghignare sull’impegno e lo sforzo degli altri. La questione di un pezzo d’Italia non appartiene a maggioranza o opposizione ma al Paese ed ai suoi abitanti.
Questa sinistra italiana sembra davvero priva di una cultura nazionale e finisce sempre per deludere anche i suoi sostenitori più saggi e riflessivi.
Qualcuno, in verità, si era illuso che potesse emergere una soluzione assolutamente indolore, o quasi. Ma per quante diverse strade potessero essere percorse per configurare provvedimenti che comprendessero il superamento di ogni criticità, non è possibile pensarne una che non comportasse un insieme di impegni gravosi e di sacrifici per il Paese.
Gli errori e le scelleratezze di credere che un impresa potesse seguire politiche clientelari e di spesa, non correlate alle esigenze dei conti economici, si pagano sempre!
La questione (bisognerebbe che anche Di Pietro lo sapesse) non è nel numero degli esuberi ma nell’insieme della ricollocazione di tutta la compagnia con tutte le sue attività collegate. Se alla base della crisi di Alitalia ci sono la scarsa produttività e gli esuberi, non si può che intervenire su questi due fattori.
Ciò che in questa vicenda inquieta e preoccupa non è l’ignoranza, che pure c’è, ma la malafede e la spregiudicatezza degli uomini.
Vito Schepisi

28 agosto 2008

Il ritorno della guerra fredda

E’ saggio chi si preoccupa del domani e non chi si adagia sulle incertezze di oggi. Sembra un aforisma tratto dagli “Analecta” di Confucio più che una riflessione sulle preoccupazioni per l’evolversi delle politiche dell’oggi sulla Terra.
Gli scenari sono tutti di grande preoccupazione. L’Europa, epicentro dello sviluppo culturale e delle fucine del pensiero sulle trasformazioni sociali, si dissolve nella sua vecchia capacità politica di dirimere, con la sola persuasione della sua influenza intellettuale, l’esplosione delle controversie della Terra. Sembra abbia disperso la latente pressione sui moti del pensiero che in periodo di guerra fredda aveva diffuso tra le genti del pianeta.
Una volta le marce per la pace, contro le aggressioni militari, per la solidarietà verso i più deboli, pur dividendo all’interno le popolazioni d’Europa, esercitavano un invito, spesso prudentemente raccolto, alla moderazione. Oggi le manifestazioni di protesta, quando si realizzano, assumono le sembianze delle kermesse folcroristiche e sono evidenti strumenti di manipolazione politica.
Dopo il 21 settembre del 2001 il mondo è davvero cambiato!
Sembra che quella data sia il segnale d’inizio di un capovolgimento di fronte e che ad un “modello di sviluppo”, per gli equilibri geo-politici della Terra, voglia irrequietamente sostituirsi un altro.
In questo nuovo scenario non è la rivoluzione naturale delle cose che gioca la sua parte, quale ineluttabile impulso a modificare le coscienze e le abitudini dei popoli e delle aree della terra, ma è la restaurazione delle espressioni più integrate che fa riemergere le forme involute del legame dei popoli alle radici delle loro tradizioni più singolari.
E’ una sorta di radicalizzazione sulle nostalgie dell’imperialismo o dell’integralismo che, a seconda dei luoghi e della storia che li contestualizza, riemerge impetuosa per imporre nelle diverse realtà la supremazia economico-militare, o l’affermazione di fondamentali principi etici traslati dai secoli delle dispute teologiche.
Anche l’Organismo internazionale preposto a regolare i rapporti tra i popoli ed a far rispettare i trattati, e prevenire i rischi dei conflitti, non ha più il potere di esercitare un ruolo di moderazione e di autorevolezza nel dirimere l’acuirsi di focolai forse mai sopiti.. Non ha più la “moral suasion” di un tempo e neanche l’autorevolezza per imporre le sue risoluzioni.
All’ONU spesso manca persino la capacità d’essere davvero un organismo imparziale e finisce così per non poter più rappresentare un freno ai soprusi ed una opportunità per il ripristino della convivenza civile tra gli stati. Le sue risoluzioni sono puntualmente ignorate e capita sempre più spesso che lo stato delle cose sostituisca gli accordi faticosamente raggiunti tra le parti.
La sovranità nazionale dei paesi più deboli viene violata senza remore ed il diritto internazionale diventa carta straccia dinanzi alla minaccia delle armi e della forza, tanto che la prepotenza, sebbene ritenuta a parole ingiustificabile e controproducente, diviene uno strumento risolutivo e di vantaggio per l’interesse di un paese sull’altro.
L’intervento della Russia in Georgia è un esempio. La questione dell’Ossezia del sud è stato solo un pretesto per esercitare una vera aggressione dal doppio significato: politica di annessione e monito agli altri paesi dell’area perché si sottomettano agli interessi della Russia.
E’ bastato un pretesto alla Russia. E’ bastata un’azione maldestra della Georgia: una reazione alle provocazioni dei movimenti separatisti osseti per trovarsi i russi alle porte di Tiblisi. Ed il tutto fa pensare ad un progetto militare già ampiamente previsto e studiato.
Anche in Medio Oriente le alternative sembrano senza sbocchi. Ci sono realtà come il Libano dove la Siria ed l’Iran esercitano a loro piacimento la loro “sovranità militare” attraverso il “Partito di Dio” l’Hezbollah, armato e indottrinato ad un unico fine che è quello della guerra ad Israele. E sarebbe solo l’inizio della guerra santa invocata dal profeta.
Nello specifico le forze dell’ONU nel sud del Libano al confine con Israele sono rappresentate dai contingenti italiani per una missione di “peacekeeping”, missione appena prolungata fino al 31 agosto del 2009, ma che ignora sia la risoluzione del Consiglio di Sicurezza dell’ONU n. 1701 dell’11 agosto 2006 che imporrebbe il divieto di “vendita e fornitura di armi e materiale connesso al Libano” (Si registrano continue violazioni per la fornitura di materiale bellico proveniente dall’Iran attraverso la Siria e diretto alle milizie Hezbollah presso il confine con Israele) e sia la risoluzione 1559 del 2 settembre 2004 che imporrebbe il disarmo delle milizie Hezbollah.
Resta così solo da stabilire la data della prossima aggressione di Hezbollah ad Israele.
A tal proposito c’è chi la prevede comunque in concomitanza con la conclusione del piano atomico dell’Iran.
Ma anche il piano iraniano di completamento del programma di tecnologia per la produzione di ordigni atomici continua, nonostante le ripetute risoluzioni dell’ONU ed ogni tipo di ritorsione commerciale e la tensione dei rapporti diplomatici con buona parte dei paesi del mondo. E non è certo misteriosa la motivazione dell’ostinazione dell’Iran a voler produrre ordigni atomici, avendo già Ahmadinejad dichiarato di voler sperimentare il funzionamento degli ordigni sul territorio di Israele. E questo tanto per iniziare! La guerra santa per chi ha letto qualcosa sul fondamentalismo islamico prevede l’uccisione di tutti gli infedeli.
Come dimenticare Oriana Fallaci e le sue parole sferzanti contro la mollezza dell’occidente, sui suoi governi pavidi, sull’orgoglio, sulla fermezza, sul coraggio, sulla speranza e sulla rabbia?
Saggio è chi si preoccupa del domani e non chi si adagia sulle incertezze di oggi!
Vito Schepisi

22 agosto 2008

Legalità e Giustizia

C’è chi si ostina a ritenere che ai primi posti delle questioni da risolvere in Italia non vi sia quella della giustizia. L’assunto poi è sempre seguito da una serie di considerazioni che finiscono col porre la questione della legalità come fondamentale principio da cui derivano una serie di provvedimenti da assumere nell’interesse delle popolazioni.
Ci sarebbe così da chiedersi come possa porsi una questione disgiunta dall’altra?
Ma si dovrebbe anche chiedere, a coloro che oggi focalizzano l’attenzione sulla legalità, dove fossero quando, nei due anni di governo Prodi, questa legalità non solo non era considerata degna di eccessiva attenzione, ma la sua mancanza, per ignoranza o calcolo, registrava persino episodi di rilevante gravità.
Grave, infatti, dovrebbe essere considerata l’offesa alla responsabilità ed alla dignità delle persone che, come per il caso Speciale, su nomina del potere esecutivo dello Stato, svolgevano servizi di grande importanza e delicatezza nell’interesse, appunto, del controllo della legalità.
L’interferenza nell’autonomia, nello specifico con protervia, del Ministero del Tesoro, nella persona del Vice Ministro Visco, senza giustificato lecito motivo, non è stato certo un grande esempio di attaccamento alla legalità, soprattutto per il significato che la questione assumeva per essere stata proprio la Guardia di Finanza di Milano, i cui vertici si volevano rimuovere, a porre sotto osservazione giudiziaria la scalata di Unipol alla Bnl ed i rapporti dei leader dei democratici di sinistra Fassino, D’Alema e La Torre con l’allora Presidente di Unipol Consorte, tutti uomini appartenenti alla stessa area politica del Vice Ministro Visco.
E neanche deve essere stata orientata al rispetto della legalità la goffa attività dell’esecutivo di Prodi, prima impegnato nel classico “promoveatur ut amoveatur” del generale Speciale con la proposta di nomina al Consiglio di Stato, e poi con l’attacco in Parlamento, all’onorabilità dello stesso Generale, pronunciato dal Ministro Padoa Schioppa, attacco ritenuto platealmente illogico in quanto in stridente contrasto con l’importante nomina prima proposta.
Ed affermare che le funzioni dello Stato devono trarre la loro legittimazione dai reciproci comportamenti rispettosi ed integerrimi non vuole forse dire che questi rapporti debbano rappresentare esempi di correttezza e legalità?
Lo stesso valga per il caso del consigliere Rai Petroni rimosso, sempre dall’allora Ministro Padoa Schioppa, senza motivo che non fosse altro che quello di avvicendarlo con un uomo politicamente vicino all’allora Presidente Prodi ed, anche in questo caso, in modo controverso ed illegittimo.
I casi Speciale e Petroni, prima di altri, costituirono i più eclatanti di un clima di “illegalità” che allora sono stati ignorati dagli odierni benpensanti della legalità, casi per i quali gli organi di giustizia competenti, Consiglio di Stato e Tar, hanno espresso giudizi di illiceità e disposto provvedimenti di reintegro nelle funzioni, sconfessando così le goffe, arbitrarie ed autoritarie iniziative di quel governo.
C’è da intendersi innanzitutto cosa si voglia intendere con “legalità”, perché non si faccia confusione. Le parole oggi vengono spesso pronunciate più per rendere immagini suggestive che per dar corpo a provvedimenti da adottare. Per alcuni sembra che legalità voglia dire semplicemente rimuovere il Presidente Berlusconi dall’incarico in cui, in virtù della maggioranza dei seggi conquistati in Parlamento alle ultime elezioni politiche di appena 4 mesi fa, è stato insediato dal corpo elettorale. Questo, però, sarebbe invece un atto illegale perché solo il Parlamento avrebbe la legittimazione per poterlo fare, con la sfiducia. E non sembra, al momento, che la maggioranza del Parlamento italiano sia orientata a questa soluzione, anche perché l’attività di questo governo pare sia sostenuta saldamente dal consenso degli italiani.
Battersi per la legalità deve invece essere inteso come un impegno costante su diversi fronti come, ad esempio: ripristinare la vivibilità delle città oggi rese insicure dal diffondersi della criminalità; prestare attenzione alla salute pubblica (sanità, smaltimento dei rifiuti, ecologia); offrire servizi efficienti ai cittadini; assistere malati, anziani, ed indigenti; proteggere la maternità e l’infanzia; garantire il diritto all’istruzione in modo diffuso e pluralista; prevenire e reprimere tutti i reati.
Ci sarebbe poi da intendersi su alcune altre questioni. E’ importante, infatti, stabilire che come non è lecita l’evasione fiscale, non è neanche lecita l’immigrazione clandestina. Non è giusto sottrarsi alla giustizia, o al giudice naturale, se non nei casi previsti dai codici, ma non deve essere inteso giusto neanche far politica attraverso la giustizia.
Una giustizia politicizzata finisce sempre con essere la negazione stessa della giustizia.
Dovrebbe essere immorale rimuovere i magistrati scomodi, com’è accaduto per De Magistris e la Forleo, solo quando i loro presunti comportamenti scorretti siano indirizzati verso una parte politica, ignorando invece i casi di altri, con atteggiamenti anche più eclatanti, che si distinguono nei loro atti per accanimento politico verso la parte avversa.
Non sono giusti i condoni fiscali ma neanche gli indulti, sebbene sia gli uni che gli altri devono a volte rispondere anche a criteri di opportunità ed a carenze della pubblica amministrazione. Non è onesto far pagare alle classi più bisognose le difficoltà delle imprese, ma neanche sottrarre al contributo fiscale, come tutte le attività produttive e commerciali, le catene di cooperative operanti nei settori più diversi dell’economia del Paese. Soprattutto se i loro ricavi finiscono per finanziare scalate bancarie o campagne elettorali.
La questione Giustizia, inoltre, non è solo questione di legalità ma anche di legittimità. Nessun potere, infatti, può essere esercitato senza adeguato controllo. I costi elevati, ancora, non consentono il dispendio di ingenti energie alla ricerca di argomenti più da gossip che da rilevanza penale. Se oggi tutto è spettacolo non vuol dire che si possa tollerare che anche la giustizia lo sia, e richiedere riservatezza e prudenza non deve essere inteso solo per rispetto della privacy e della dignità dell’uomo, ma soprattutto per una chiara scelta di civiltà.
La giustizia deve essere esercitata realmente in nome del popolo.
Ci sarà, pertanto, un modo di amministrarla tale da rendere la sua attività in empatia con le ansie e le preoccupazioni dei cittadini, magari in simbiosi con la richiesta popolare della prevenzione e repressione dei reati di più rilevante pericolosità sociale!
L’autonomia dei magistrati, inoltre, dovrebbe riguardare più l’esercizio della funzione che la sua libera interpretazione.
La legalità, infine, si può sviluppare e diffondere attraverso una profonda riforma dell’ordinamento giudiziario in cui centrale deve apparire la questione della separazione delle carriere, tra magistratura requirente e magistratura giudicante, soluzione che deve essere considerata alla base del giusto processo.
Non si può, infatti, pretendere legalità dove non si diffonde giustizia.
La magistratura ed i magistrati devono acquisire la cultura di considerare la funzione giurisdizionale come un servizio da rendere alla società ed alla democrazia e non come strumento per la propria scalata sociale e/o per la crescita del potere della “casta” in cui finiscono per arroccarsi.
Vito Schepisi

20 agosto 2008

Un Partito schizofrenico e depresso



E’ serrato il dibattito nel PD sulla fisionomia del Partito, sulla collocazione nelle grandi famiglie della democrazia europea, sulle scelte strategiche dell’opposizione e sugli uomini.
In un anno sono successe tante cose ed il quadro si è modificato completamente. Resta però uguale la grande confusione della scorsa estate, quando non esisteva ancora il PD e le componenti maggioritarie dell’Unione si apprestavano a fondare il nuovo soggetto politico. Si ebbe allora l’impressione che sorgesse, non per un comune sentire e per l’individuazione di una matrice politica in cui riconoscersi, ma solo per l’ambizione di creare un grande partito unico della sinistra e, per interessati calcoli elettorali, il primo partito italiano per consistenza numerica.
Per questa ragione il PD è parso più come una somma di influenze correntizie che come un grande partito riformista. Più uno strumento elettorale compromissorio tra cattolici di sinistra e post comunisti che una svolta matura di matrice liberale e progressista.
L’operazione che si voleva che emergesse dalla base per un nuovo modo d’essere sinistra moderna e democratica, sul solco dell’omonimo Partito Democratico degli Stati Uniti, naufragava di fatto nel più tipico dei verticismi. Si misuravano col bilancino ruoli e poltrone e si creava un apparente investitura democratica intorno alla figura del leader indicato dai vertici, Walter Veltroni. Con l’espediente delle primarie, con Prodi oramai fuori gioco e con assoluta mancanza di diverse alternative possibili, Veltroni veniva “nominato” segretario del PD. Persino Bersani era stato invitato a non presentare la sua candidatura. Una democrazia apparente. Le primarie si celebravano così, come una mera formalità, per mancanza di credibili candidature contrapposte.
Non è in questo modo che si forma un leader politico. Anche un brocco prevale in una competizione con i cavalli da traino. In questo modo si finisce invece col bruciare i potenziali leader politici, facendo perdere loro la necessaria autorevolezza.
Per la seconda volta, dopo l’investitura di Prodi, la sinistra aveva ripercorso la stessa strada di far calare dall’alto il leader designato dai potentati politici con lo scopo di vincolarlo alle macchine dei partiti e delle lobbies di riferimento.
Come allora, quando grande assente era la politica, mentre si diffondeva la crisi della sinistra riformista con la sua incapacità di elaborare proposte per affrontare le difficoltà del Paese, anche oggi grande assente a sinistra è sempre la politica.
C’è una manifesta incapacità di svolgere opposizione propositiva. La sinistra italiana non riesce ad uscire dall’abitudine al no pregiudiziale e rivela la sua incapacità di trovare spazi di confronto e di dialogo sulle iniziative del Governo e del Parlamento. Sembra che ci sia una barriera ideologica eretta per mancanza di cultura pluralista. In larghi strati della sinistra si manifesta una sorta di complesso di inferiorità verso coloro che sposano le soluzioni sbrigative ed autoritarie. Quasi una sindrome Di Pietro.
Sono due le cose che in questa realtà preoccupano:
la prima fa riferimento alla mancanza di una opposizione in grado di essere credibile come alternativa - cosa che deve essere considerata essenziale per una democrazia liberale compiuta;
la seconda attiene, invece, al dialogo sulle riforme dello Stato e della Costituzione.
E’ diventata, infatti, indifferibile l’esigenze di procedere alla scrittura delle nuove regole che sanciscano i principi della democrazia, della sovranità popolare, dell’esercizio e del controllo dei poteri. E’ improcrastinabile l’esigenza di adeguare la Costituzione Italiana sia ai mutati scenari proposti da una democrazia parlamentare consolidata, che alla necessaria velocità dei percorsi decisionali nell’era del “tempo reale” e della “globalizzazione” che coinvolge informazione, produzione, mercati e fenomeni economico-sociali in genere.
Il tempo del "ma anche" è scaduto” - afferma Arturo Parisi - unico che nel PD non mostra ritrosia nella critica a Veltroni. Ma non è solo questione del “ma anche” perché mancano persino i concetti da accomunare, manca del tutto una linea politica ed uno spazio su cui muovere i passi della proposta politica alternativa. E senza una proposta politica, cioè senza un indirizzo verso cui dirigersi si cammina a vuoto e si sprecano inutilmente energie.
E’ il caso della campagna della raccolta di cinque milioni di firme per “salvare l’Italia”. Un’iniziativa contestata da diverse personalità del PD e che non ha senso perché l’opposizione, che è parsa pregiudiziale, alle iniziative di questo governo è intesa invece dagli italiani, come indicano i sondaggi di diversa provenienza, come una incomposta reazione tesa ad impedire che l’identità e l’autorevolezza del Paese vengano recuperate. Quasi il volere un’immagine irrimediabilmente compromessa della Nazione. C’è una immaturità democratica ed una mancanza di spirito nazionale che spinge a compromettere gli interessi dell’Italia pur di far prevalere un giudizio negativo sulle azioni di governo.
Salvare l’Italia! Ma salvarla da cosa? Gli italiani nella scorsa primavera hanno votato per la coalizione di centrodestra per salvare il Paese dal declino in cui Prodi lo stava conducendo.
I “ma anche” di Veltroni non sono stati ritenuti credibili dalla maggioranza degli elettori. E non è stata ritenuta credibile una sinistra riformista che, con i suoi ministri e sottosegretari e con i suoi leaders, non si era mostrata capace di varare riforme ma, al contrario, era parsa impegnata solo ad ostacolarne il percorso. Non è stato ritenuto credibile questo PD che ripresentava i volti arcigni ed intolleranti di biechi conservatori appartenenti ad una casta impegnata nella gestione dei poteri che in Italia si annida imperturbabile da decenni e che svilisce l’operosità ed il coraggio di lavoratori ed imprese.
Invece di raccogliere le firme per “salvare l’Italia” il PD potrebbe impegnarsi a capire le ragioni della sua sconfitta.
Ha ragione Arturo Parisi quando afferma che “il PD da schizofrenico sta diventando depresso”!
Vito Schepisi