29 febbraio 2008

Quelli che il programma PD

Leggendo il programma del PD c’è da porsi dinanzi ad un serio problema esistenziale. Tanti, infatti, sono stati investiti dal dubbio d’aver veramente vissuto una vita intellettualmente normale. Era tutto là, pronto: c’era la famosa ricetta per rendere felici gli italiani!
Nessuno era ancora riuscito purtroppo a capirlo. Tanto meno Prodi! E’ proprio vero che le cose che sembrano più difficili sono sempre quelle che hanno le soluzioni più facili! E’ sufficiente avere un’intelligenza più frizzante. L’intuito del “si può fare”!
Non è utile solo approfondire e studiare i problemi, è necessario anche pensare alla vita un po’ meno normale, anche a quella un po’ frivola fatta di feste, di notti bianche, di artisti di strada. Anche le sere e le notti passate con un bicchiere in mano, tra una battuta scontata, una citazione fuori posto, un sorriso inutile ed un po’ di memorie simil-epiche e divertenti dei tempi passati, ed ancora un po’ di vintage cinematografico. Le intuizioni utili sono quelle che richiedono fantasia e semplicismo. Una dote che possiede Veltroni.
La vita, i problemi, le difficoltà, sono del resto come un miscuglio di vicende, di fatti, di sogni, di successi e di delusioni. E’ sempre così! Le difficoltà provengono dalle illusioni mortificate, dai sogni non realizzati, dalle vite consumate nell’incomprensione.
E la soluzione per tutto non è forse solo un insieme di parole ben scelte e ben messe? Parole come tante altre che sono già state scritte? Le frasi si compongono tra sostantivi, verbi, aggettivi, preposizioni, articoli ed avverbi. Ed i fatti sono solo la riproduzione di una storia sempre uguale che si ripete monotonamente. Le soluzioni sono sempre là, perché sono le storie di sempre: quelle già note. Basta allora mischiare tutto insieme nello shaker della vita e mescere così nei bicchieri di ciascuno la pozione magica per far sorridere tutti. Si può fare Veltroni!
Peccato che Prodi non l’avesse capito! Invece Veltroni, il sindaco di Roma, con quelli che la sera…tra un abbacchio ed un bicchiere di vino, tra una matriciana ed una “americanata” decide d’inventarsi un cocktail di parole ed incomincia a mixerare essenze diverse: una tassa in meno di qua, un sogno infinito di là, un ritocco ai costi, un Pil che si gonfia ed un fegato che s’ingrossa, un favorino di qua, l’altro di là e una Tav che ancora non va.
Così si risolvono le cose! Ad esempio, per la spazzatura di Napoli un sacchetto per uno non farebbe male a nessuno. E’ così facile! Ma non l’aveva capito nessuno. E, perché no? Così, si può fare! Meno male allora che c’è Veltroni!
L’americano di Roma, con ascendente continente africano, deve averlo capito guardando i film degli yankees. Quelli dove con la mano protesa ed il pollice e l’indice uniti alle punte a forma di “O” e con l’idioma texano c'è ci dice: OK! Yes, we can. Basta un po’ di fantasia ed un po’ di mimica ed il film di Veltroni si che si può fare!
Un po’ di leghismo, un po’di finismo ed un po’ di berlusconismo, un’occhiata a Di Pietro, uno sguardo torvo a Boselli, una strizzatina d’occhi a Bonino, di nascosto a Pannella, e poi tante gocce di quel condimento saporito fatto di parole inutili e senza senso come lo "sviluppo inclusivo", il "welfare universalistico", l"educazione come ascensore sociale". Non è uno scherzo di Grillo! A pagina 5 del programma del PD di Veltroni c’è scritto proprio così!
I programmi elettorali dei partiti sono come le sintesi delle idee politiche. Sembrano tutti come un insieme di buoni propositi che presuppongono una condizione ideale ed animi virtuosi. In definitiva nient’altro che un cumulo di luoghi comuni e di sciocchezze che, si sa già in partenza, rimarranno ancorate solo ai principi teorici. Sono costruiti su presupposti di realtà più idealizzate che vere. Hanno anche la caratteristica della inevitabile ciclicità delle attualità politiche. I concetti, pur spesso veri ed importanti, se perdono attualità, si riempiono della polvere dell’oblio, per poi essere rispolverati quando la nuova attualità li ripropone.
Nel programma del PD, con un po’ di capitomboli, c’è qualche concetto scopiazzato, uno spreco di banali sciocchezze, qualche richiamo in formato ridotto di qualche concetto recuperato nelle 282 pagine di Prodi. Non mancano, però, gli intuiti veltroniani di grande genialità come, ad esempio, il più diretto, quello che fa presa subito perché splende di luce propria, quello immediato: “spendere meglio e meno”.
Basterebbe questa semplificazione per comprendere la grande tensione morale e l’ardua missione sociale del PD di Veltroni. Appare così, con la forza di questo concetto forte, quello che lega il meno al meglio, la novità dell’uomo nuovo.
Come allora non avvertire il soffio di questo vento che arriva?
Veltroni è come Moretti, il regista, campione della sinistra suggestiva fatta di immagini e sensazioni, ma anche di una noia pazzesca. E’ come la discontinuità col passato. Perché si dica qualcosa di diverso. Perché la politica si riduca a questo dire continuo. Alla ricerca del pensare: perché si appaia collocati in una geografia di un concetto. All’astrattezza del fare ed alla concretezza del dire, perché si sia protagonisti di un’immagine.
L’aspetto più preoccupante è l’impressione di leggere la sceneggiatura di una fiction: è il film di Veltroni.
Non si sa se verrà mai programmato. Saranno gli italiani a scegliere se vorranno rivedere un film che, in definitiva, molti in Italia hanno già visto.

24 febbraio 2008

Un laicismo capovolto

Sta avvenendo una strana cosa in Italia. Dopo tante vere battaglie laiche, battaglie liberali contro le confessioni sia teologiche che politiche, dopo esser stati spesso soli a confutare quel concentrato di idee radicate che nel tempo hanno formato l’illusione che ci siano formule magiche per offrire serenità ai bisogni della gente, appare oggi il laicismo di coloro che non abbiamo mai trovato sui valori dell’illuminismo liberale e della tolleranza.
Oggi c’è chi, ad esempio, sostiene d’essere laico, ma non tollera che si parli di alcuni argomenti di rilevanza etica. C’è chi si inserisce in una fascia culturale del pensiero libero, ma pone steccati alla sua effettiva libertà. Steccati che impongono la scelta tra coloro che hanno diritti ed altri solo doveri, tra chi ha titolo e chi invece non ne ha, per definizione o per insostenibile pregiudizio o preclusione.
La laicità, in definitiva, che cos’è se non la libertà di pensare in modo autonomo e fuori dagli steccati dell’ideologia e della certezza dei presupposti che di volta in volta, ed a seconda dei casi, sono ritenuti essenziali per essere “in” e non “out”?
Laico è chi mi consente di esprimermi anche se non condivide ciò che dico.
Da sostenitore della laicità, da vecchia data, quando gli altri erano solo o cattolici o marxisti, sono stato qualche mese fa a Parigi, nel Pantheon, a rendere omaggio a Voltaire, sostando in riflessione dinanzi alla sua tomba. Sono, infatti, tra coloro che ritengono che ci sia un diritto della natura che debba incoraggiare gli uomini ad esprimersi anche quando si hanno idee diverse.
Meditando ho pensato che, in Francia, Voltaire abbia trovato posto tra i grandi della patria. In Italia, invece, non sarebbe stato così. In Italia non c’è la coscienza della laicità: è il paese dei guelfi e ghibellini, dei Don Camillo e Peppone. L’Italia è il Paese delle delegittimazioni, è il paese dove si esalta il coefficiente del disprezzo di qualcuno e si mortifica il richiamo alla ragione ed alla moderazione. E’ il Paese dove c’è chi esalta un Di Pietro e mortifica la dignità nel concedere uno spazio al riformismo socialista nella sinistra democratica.
Uno strano Paese l’Italia! Uno Stato dove anche la magistratura si schiera, anche quando giustamente pone all’attenzione la domanda di legalità che emerge in larghi strati della popolazione.
In Italia abbiamo assistito alla magistratura che discriminava tra uomini e gruppi in una realtà in cui la lotta politica, resa serrata da un lungo periodo di guerra fredda tra due modi differenti di concepire il ruolo dei popoli nel mondo, diventava una lotta tra gruppi arroccati su logiche di potere, distaccata dai problemi della gente, pigra e distratta dai benefici delle gestioni clientelari, elusiva nella salvaguardia dei principi di moralità e trasparenza.
La tutela della legalità che si trasforma così nel discrimine tra le forze politiche accomunate da metodi comuni, in cui la diversità è solo tra due diverse forme organizzative del sistema di malversazione, è come un cancro maligno che intacca la credibilità del sistema democratico.
Una magistratura che da arbitro tra i contendenti, e da severo censore del gioco scorretto, diventa il dodicesimo uomo che calcia il pallone nella porta della squadra avversaria, fomentando persino l’invasione di campo quando il responso elettorale stabilisce la vittoria della squadra contro cui si è schierata, si trasforma drammaticamente da garanzia di legalità a timore di gravi e pericolose involuzioni per l’intero Paese.
Ma è laica una magistratura siffatta?
Perché laico è un insieme di comportamenti che ti pongono ad essere distaccato dalle prese di posizioni definitive. La laicità è il contrario della certezza, è l’aspetto di un pensiero che insinua il dubbio ritenendo le verità aspetti del pensiero lontane dalla possibilità di essere percepite dall’uomo.
Lo Stato, invece, in un sistema democratico deve essere laico. Senza laicismo, e quando si ritiene d'essere già in possesso di inemendabili certezze, diventa confessionale e fondamentalista. Diventa un pericolo per la libertà. Diventa appunto l’antitesi della democrazia liberale.
Sta avvenendo così una strana metamorfosi in Italia. Si spaccia per laica una parte, quella intollerante, e invece per parte omologata ai principi assoluti, quindi privi di spirito laico, la parte che discute e si pone dubbi. Sta avvenendo esattamente il contrario di ciò che dovrebbe essere. Passa per laico chi invoca privilegi per alcuni e per oscurantista chi, invece, ritiene che debbano esserci regole uguali per tutti.
Ora si vuol far passare per laico chi deve per forza condividere scelte, ad esempio, sulla famiglia, sebbene al di fuori della Costituzione, della cultura popolare e della tradizione, anche naturale, che distingue la natura delle unioni per definire l’esistenza di una famiglia. Si accusa, invece, di non esserlo (laico) altri che pongono dubbi e che non sono presi dalle granitiche certezze. Non sarebbero, così, laici coloro che vorrebbero meditare sia sul merito e sia sull’opportunità di modificare l’insieme delle regole e dei principi che sono alla base delle scelte e che implicano, tra l’altro, rilevanti effetti sui diritti civili.
Ora è laico chi non si pone questioni di coscienza su temi di alto profilo morale, come le nascite, mentre sempre oscurantista è chi invece vuole discutere e vorrebbe convincersi della bontà delle scelte. Diviene persino reazionario e maschilista chi, invece è interessato a trovare soluzioni di umanità e di responsabilità sociale dinanzi al dramma che in molte situazioni è presente.
E’ laico impedire al Papa Benedetto XVI, ovvero al colto teologo Prof. Joseph Ratzinger, di diffondere una “lectio magistralis” alla Sapienza di Roma mentre non lo è percepire il divieto come un vulnus alla universalità della cultura?
Si avverte la sensazione che il negazionismo, da una parte, ed il retaggio della cultura marxista che impone l’indicazione di un “nemico” contro cui battersi, stiano creando una sorta di laicismo capovolto in Italia.
Vito Schepisi

23 febbraio 2008

La doppia morale di Di Pietro




Il sospetto è l’anticamera della colpa, sosteneva Leoluca Orlando Cascio, attuale militante dell’Italia dei Valori di Di Pietro.
C’è qualcuno che il sospetto l’ha avuto. Un sospetto che ha coinvolto in responsabilità penali l’On. Antonio Di Pietro, finora deciso sostenitore di un sistema giudiziario con accentuata prevalenza inquisitoria.
E’ indagato, l’ex PM di “Mani Pulite”, per appropriazione indebita, falso in atto pubblico e, soprattutto, per truffa aggravata ai danni dello Stato finalizzata al conseguimento dell’erogazione di fondi pubblici. Sono reati ipotizzati per l’uso, a fine privato, di fondi pubblici e privati erogati come finanziamento pubblico ai partiti. Sono reati gravi per l’immagine di un uomo politico che ha sostenuto il moccolo dell’antipolitica di Beppe Grillo.
Di Pietro, già Pubblico Ministero a Milano, è colui che ha contraddistinto la sua attività di magistrato con l’accentuazione dell’aspetto inquisitorio e poliziesco del processo penale. E’ rimasta nota la violenza verbale dei suoi interrogatori e l’attitudine al tintinnio delle manette.
La sua è stata, e l’abitudine gli è rimasta tutta, l’esaltazione della teoria che porta a ritenere con convinzione che più indizi, anche senza prove acquisite, equivalgano a granitiche certezze.
Tra le sue caratteristiche più note è rimasto il metodo adottato nell’utilizzare la delazione come salvacondotto utile per risparmiarsi, da sospettato, l’ospitalità dello Stato nelle celle penitenziarie. Questa minaccia veniva utilizzata per coinvolgere la responsabilità di altre persone, così da creare una penosa catena di Sant’Antonio (nomen omen) dell’attività inquirente.
In virtù di questi espedienti sono stati sottoposti al rigore giudiziario, anche con la sospensione forzata della libertà personale, un elevato numero di cittadini, molti dei quali poi assolti perché risultati innocenti.
Il suo metodo accusatorio era quasi sempre basato su convinzioni, talmente radicate e senza ombra o beneficio del dubbio, tali da ritenere indubitativamente colpevole l’imputato: anche quando per mancanza di prove, per insussistenza di moventi, per estraneità ai fatti, o successivamente, dopo anni di azione giudiziaria, per decorrenza dei termini, questi veniva assolto dalla magistratura giudicante.
La decorrenza dei termini, spesso, sopravviene quando i processi si impantanano tra cavilli, interpretazioni, contraddittori, incertezze, insussistenza del castello accusatorio, irregolarità formali, sospetti di parzialità e diritti negati. Se c’è un reato e c’è un colpevole, con prove a carico, è difficile che sopravvenga la decorrenza dei termini. Se, invece, c’è un colpevole “per definizione” e si va alla ricerca di un reato da ascrivergli, alla fine, se non ci sono validi elementi probanti, l’imputato o viene assolto o decorrono i termini.
Sorge così la curiosità di sapere se il vecchio giustizialista siciliano, solidale compagno di partito, già sindaco di Palermo, anche lui famoso per impeto forcaiolo, abbia o meno mutato il suo pensiero a riguardo della “colpa” e se permangano le sue semplificazioni giudiziarie.
Altro interesse ci sarebbe nel valutare, eventualmente se sarà il caso, anche le motivazioni del possibile cambio di opinione di Orlando. E’ sempre interessante, infatti, perfezionare i percorsi della conoscenza, soprattutto se si tratta dell’arte di arrampicarsi sugli specchi. I contributi conoscitivi di questa arte, In Italia, ha infatti ancora tanti misteri da chiarire, soprattutto nella nemesi storica del pensiero politico e nello spirito delle attività di trasformazione sia della storia personale di molti che dei fatti accaduti.
Orbene, nonostante tutto, c’è invece chi sostiene ancora che la giustizia debba essere vista secondo un indirizzo essenzialmente garantista. C’è, infatti, chi non sospende la propria convinzione nel pensare che la riservatezza e la presunzione di innocenza degli individui debbano essere sempre ed in ogni circostanza assicurate.
L’esigenza della presunzione di innocenza e della riservatezza vale sempre e per tutti. Porre gli individui, possibili innocenti o per quanto colpevoli, dinanzi al pubblico ludibrio e sollecitare l’istinto popolare alla sommarietà del giudizio non è, infatti, un grande esempio di civiltà.
Di questa cattiva abitudine, purtroppo, c’è stato ampio modo di avvertirne i sintomi. Basti, ad esempio, pensare ad alcune trasmissioni televisive ed ai processi sommari che si sviluppano, spesso senza contraddittorio. C’è in Italia un uso incivile, e Di Pietro non si è sottratto a questo esercizio, di sottoporre alla gogna mediatica i “nemici” politici, utilizzando tranci di atti giudiziari in cui si esaltano le ipotesi accusatorie dei pubblici ministeri e si ignorano le controdeduzioni difensive. Si arriva persino a nascondere che l’impianto giudiziario di colpevolezza non abbia retto nei giudizi finali dei tribunali.
La politica del “diffama perché qualcosa resterà”, con il coinvolgimento di strati di istituzioni, rappresenta un limite allo sviluppo civile ed un sintomo di incipiente regime.
Per fortuna in Italia ci sono ancora coloro che sostengono che i valori veri siano ben differenti da quelli vantati da Di Pietro, e dalla sua Italia dei Valori, e che la civiltà giuridica imponga di ritenere anche lui innocente fino a prova contraria. C’è persino un Italia civile e democratica che vorrebbe vederlo uscire trionfante da questa ulteriore esperienza giudiziaria, ricordando che non è inedita, evitando così all’Italia questa ulteriore mortificazione per una politica fatta di opportunismi, di ipocrisie e soprattutto di caste e di abusi.
Vito Schepisi

21 febbraio 2008

Si può fare cosa?

Ma qualcosa di italiano è possibile?
Nel 2000 Veltroni lanciò “I Care” che tradotto nella nostra lingua vuol dire mi interessa, mi sta a cuore. Non si era ben capito, in particolare cosa stesse a cuore, ma conoscendo le origini si sapeva che si trattava del potere: unica cosa che sta veramente a cuore a chi della sua conquista ne ha fatto un principio ideologico.
Ed ora “Yes, we can” che letteralmente si traduce in “si, noi possiamo” da cui “si può fare”. E’ lo slogan che Veltroni, l’americano “de rroma” prende in prestito dal suo idolo Barack Obama, per tentare lui, il romano, la scalata a Palazzo Chigi.
Tutta la sua fantasia si esaurisce in queste evocazioni di ricordi anche un po' nostalgici. Il leader del PD cattura sensazioni “americane”, nel filone delle classiche commedie d’oltreatlantico, in cui tutto sembra isolato dalle complessità. Si esaltano solo i toni romantici ed un po’ frivoli, non una realtà dai volti diversi, alcuni integrati tra loro, altri da scoprire e risolvere. Non la realtà più cruda che riviene da un insieme di sofferenze e di lotte. Non la vera storia di valori condivisi che, invece, con Veltroni e le sue origini non hanno proprio niente a che fare.
Una entità nazionale molteplice e così eterogenea quella degli Stati, in cui solo con i principi della libertà è stato possibile trovare le ragioni dello stare insieme ed uniti. E’come, ad esempio, pensare ad una grande Europa politicamente unita. Un’unica entità: dai latini ai greci, dagli anglosassoni agli scandinavi, con usi, costumi, tradizioni e culture diverse. Soprattutto con storie diverse.
Si può fare cosa, Veltroni? Cosa Lei vuole, e può, fare?
Veltroni è come il personaggio “americanizzato” di Alberto Sordi che semplificava tutto per mixerare la sua scimmiottesca attitudine alle suggestioni ed ai miti. Il nostro nell’incolto e sbrigativo semplicismo di uno slogan elettorale: “si può fare”.
Lampi di flash, immagini di propaganda in cui appaiono frammenti di kennedismo e clintonismo che, presi ad esempio di valori assoluti, come se si parlasse di cristianesimo e democrazia, si intrecciano con le rappresentazioni dei buoni propositi. E’ così che con Veltroni emerge un’Italia, a sinistra, tanto incapace di adottare una strategia di governo, quanto capace di banalizzare la necessità di un cambiamento.
Una fiction elettorale, come quella nel 2006 di Prodi, non è una risposta al Paese per eliminare la sensazione di fastidio di uno stato troppo invadente ed ingordo nel mortificare e disperdere le capacità e le risorse finanziarie del Paese.
Un’Italia, quella di Veltroni e di Prodi semplicemente e cinicamente “sloganizzata” per necessità post ideologica. Una risposta politica che non offre soluzioni credibili alle esigenze di snellezza, di antiparassitismo, di modernizzazione.
Gli Usa dei grandi valori umani e delle grandi ispirazioni sociali, le spinte di integrazione nel contesto di una progressiva realtà multirazziale, 45 anni dopo Martin Luther King ed il suo “I have a dream” dell’agosto del 1963 a Washington. Su questa scia vorrebbe inserirsi con decenni di ritardo il PD di Veltroni, come se volesse segnare la continuità di una storia. Ma non è la sua storia! Non era questa la storia dell’internazionalismo comunista da cui proviene Veltroni ed il PD!
Sarebbe curioso chiedersi dov’era il “pathos” dei veltroniani di oggi ai tempi di Kennedy. E quanta tradizione diversa e storia e cultura e sensibilità dividevano i democratici liberali da coloro che allora inneggiavano al marxismo. Quanto di audacia e di coraggio nell’opporsi alle minacce (ricordiamo i missili sovietici a Cuba) e nel fronteggiare i pericoli in quella guerra fredda che vedeva l’America, e l’intero occidente libero, far da argine al blocco dell’est. I valori degli Usa e dei Kennedy e dell’Occidente erano di segno radicalmente diverso da quelli che il marxismo, con i suoi seguaci, allora rappresentava.
Con i richiami a quel mondo americano dove sogni, suggestioni, interessi, ispirazioni si confondono e si spargono, e nel nome del suo neo liberalismo parolaio, il nostro ex comunista vorrebbe annullare le differenze con le origini e le responsabilità del suo pensiero politico del tempo che, al confronto con John Kennedy, rappresentava valori tanto differenti, se non del tutto contrari.
“I Care”. “Yes, we can”. “I have a dream”. E, perché no “Ich bin ein Berliner!”? Perché no il discorso di John Kennedy a Berlino del 26 giugno del 1963?
“Ci sono molte persone al mondo che non comprendono, o non sanno, quale sia il grande problema tra il mondo libero e il mondo comunista. Lasciateli venire a Berlino! Ci sono alcuni che dicono che il comunismo è l'onda del futuro. Lasciateli venire a Berlino! Ci sono alcuni che dicono che, in Europa e da altre parti, possiamo lavorare con i comunisti. Lasciateli venire a Berlino! E ci sono anche quei pochi che dicono che è vero che il comunismo è un sistema maligno, ma ci permette di fare progressi economici. Lasst sie nach Berlin kommen! (Lasciateli venire a Berlino!) Tutti gli uomini liberi, ovunque essi vivano, sono cittadini di Berlino, e quindi, come uomo libero, sono orgoglioso di dire, Ich bin ein Berliner! (sono un Berlinese!).”

Era il 1963 e Veltroni era ancora un bambino. Ma qualche anno dopo l’abbiamo visto nelle piazze dietro le bandiere rosse con la falce ed il martello, a gridare slogan contro gli USA, non contro il muro di Berlino e non contro l’imperialismo sovietico che calpestava i diritti e soffocava gli aneliti di libertà dei popoli a noi geograficamente più vicini.
Oggi, furbescamente, Veltroni vuole confondersi nella memoria di coloro che hanno sempre sostenuto i principi del pluralismo e della molteplicità dei diritti. Tra quegli uomini che hanno sempre voluto operare e circolare liberi nel mondo, senza essere prigionieri nelle patrie a doppia bandiera, di cui una era rosso sangue.
“Io credo – afferma oggi Veltroni - che anche per noi è venuto un momento nuovo di ricostruzione, di una nuova politica che dia risposte ai cittadini, è il momento di una nuova sfida collettiva". Bene! Ha ragione! E’arrivato per loro il momento di fare i conti con quella storia fatta di disagi, degrado, squallore e tanta ipocrisia, nell’indicare i falsi valori dell’umanità, che hanno saturato di violenza e grigiore una parte consistente del mondo.
Ma arrivano tardi!
Lo spazio del fare e dei valori veri è già occupato da chi queste cose le sostiene da tempo.

Vito Schepisi

20 febbraio 2008

Il Pensiero politico di Veltroni

Compagne e compagni il momento della coerenza è arrivato.
Alle elezioni andremo da soli
... ma anche in compagnia.
Io dico di si ... ma a volte è necessario dire anche di no.
Ma ... se è vero che ... è anche possibile chi.
Ma poi se si ritiene di ... come non pensare con....?
E se questi non ... pure con altri si ...
Io non dico no ... ma non dico si ...
E se qualcuno pensa che ... si può anche pensare per ...
Questo significa essere chiari ... ma anche strategici.
Io penso ... anzi non penso ... perchè se penso
... dico è meglio che non penso.
... ma se io non penso, c'è chi pensa per me?
Aoh! Il Campidoglio è giocato!
Ed è allora che io dico:

SI PUO' FARE!
O no?
Tutto chiaro???????

E' iniziata una nuova stagione della politica.
Tutta fatta di messaggi chiari e convergenti
...ma noi comprendiamo anche le divergenze.
Siamo, infatti, aperti ma ... anche prudentemente chiusi.
Il messaggio è bene che giunga forte
... ma anche senza alzare eccessivamente i toni.
Non volevo alzare la voce ... ma volevo farmi sentire.
Se non mi sente nessuno ... io qui che ci sto a fare?
Tanto vale che me ne vada in Africa!
Là posso dire ciò che voglio ... tanto non mi capisce nessuno!
Obama non sta in Africa?... in America? E che differenza fa?
Obama sta in America ma ... anche in Africa
... io ci posso giurare ...
ci sono stato e li ho visti.
Vorrei che la gente dicesse:
io voto Veltroni ... ma anche Berlusconi
... io voto PD ma anche PDL.
Io, ad esempio, non voglio le tasse ma anche le voglio.
Capiamoci compagni...se Berlusconi è in vantaggio,
vorrà dire che il suo programma è migliore del nostro ma ...
... se noi adottassimo il suo programma e poi applicassimo il nostro?

Si può fare?
Si può!!! Si Può!!!
In Italia si può!

Questo significa barare ... ma anche pensare.
E' vero ma ... è anche falso.
Prodi l'ha fatto ....con pazienza
... con mmmmolta pazienza degli italiani!
Scusate se a volte l'agone della politica mi porta alla confusione totale,
è che a furia di vedere fiction mi si è finto il cervello
e vedo film dappertutto.
L'importante è partecipare, però
... ma anche vincere, soprattutto!
Ho fatto un sogno ... ma forse ero sveglio.
Ho sognato un'Italia diversa ma anche normale.
Donne e uomini, giovani ed anziani, camminavano tutti per mano
... verso i seggi elettorali ...
tutti con convergenti intenzioni: un voto a Veltroni.
Poi è suonata la sveglia e mi sono svegliato!
...Non era la sveglia? Era il tintinnio delle manette di Di Pietro?
... ma era anche il suono della campane di San Pietro.
Ed allora non mi resta che dire:

"si può fare!"
...Si...LE VALIGIE.....ti salutooooooo!!!
Vito Schepisi

18 febbraio 2008

L'antipolitica è la sinistra che si vergogna di Prodi

E’ uno strano modo quello della sinistra italiana. Ma il suo gioco di scegliere tra il serrare le fila e l’antipolitica, tra la crisi della capacità di proposta sociale e civile ed il lancio di nuove strategie di attenzione al Paese, riciclando persino per nuovo uomini già sperimentati, e per originali idee già di altri, oramai ha fatto il suo tempo.
Anche la suggestione popolare del pullman è un film già visto e neanche tanto vecchio da poter sembrare un “remake”. C’è chi preferisce la sostanza e le esperienze fatte e soprattutto la sostenibilità delle idee.
Quando ha governato la parte moderata del Paese, abbiamo assistito ad una opposizione compatta e rumorosa che ha giudicato dannosa, pericolosa e sbagliata la politica dell’esecutivo. Girotondi di patetici sessantottini ultra sessantenni, scioperi in nome della libertà di tutto e da tutti, contestazioni mirate, bagarre parlamentare su ogni legge in discussione. Erano tutti uniti e concordi dal social forum agli opportunisti di Mastella, dai centri sociali e dai diversi movimenti della sinistra alternativa, ai liberaldemocratici di Dini. E la sinistra era tutta un blocco monolitico tanto da presentarsi unita alle elezioni del 2006 e firmare tutti insieme un ambizioso programma di ben 282 pagine: un autentico libro dei sogni.
L’Italia e le sue istituzioni hanno trovato anche al di fuori dei confini nazionali complotti ed attentati alla dignità e credibilità del Paese. In Europa, l’Italia moderata e liberale è stata spesso bersaglio di azioni indecorose tese allo svilimento ed alla delegittimazione dei suoi rappresentanti nazionali. Imboscate e villlanzonate spesso stimolate e concordate con i gruppi europei omologabili al socialismo ed alla sinistra più estrema, ed il sostegno complice ed indifferente di quella fascia sedicente di centro o di sinistra moderata.
Anche la componente di sinistra cattolica si è mostrata appiattita con la componente socialista su posizioni stantie, di tipica impronta togliattiana, di presunzione di diversità morale. Cattolici integrati in una strategia di contrapposizione e di unità sino al punto da risultare persino indifferenti ai richiamo dei valori etici che, non la Chiesa, che in ogni caso fa bene a ribadire le conquiste del cristianesimo, ma la società civile ritiene tuttora pilastri della civiltà occidentale. Sordi persino alla percezione che siano i popoli che si riconoscono in quell’insieme di valori, non dissimili da quelli di libertà e di democrazia, su cui i percorsi delle società di indirizzo liberale si pongono al confronto con le spinte e le minacce di civiltà e culture diverse.
Se la sinistra è all’opposizione non c’è legge o provvedimento che meriti attenzione o confronto, non c’è uomo o donna, non di sinistra, o non contro il governo e la sua maggioranza, che sia considerato credibile e propositivo. Tutto è ritenuto inqualificabile e da respingere, tutto da modificare per ottenere l’omologazione della sinistra, come se si trattasse di un marchio D.O.C.. Si ricordino le continue minacce di referendum abrogativo su ogni provvedimento varato dal Governo di centrodestra, ad esempio.
Un metodo un po’ all’ingrosso di fare opposizione, atteggiamenti ripetitivi che diventano una ridicola e biliosa costante. E poi la rappresentazione di un vero e proprio allarme continuo, con la denuncia poco credibile del danno e del pericolo costante per tutto il Paese, come se fosse in corso un tornado o uno Tsunami distruttivo che rischiasse di sommergere la nazione.
Poi ci si accorge che quella di centro destra sia stata l’unica maggioranza, almeno degli ultimi 20 anni, che ha aumentato le pensioni minime, che ha creato milioni di posti di lavoro, che ha ridotto, sebbene di poco, la pressione fiscale, che in una realtà di difficoltà dei mercati non ha infierito con nuove tasse sui salari dei lavoratori ed ha persino creato, attraverso opportune manovre di bilancio, gli strumenti finanziari idonei per il recupero, la crescita e lo sviluppo.
L’unica maggioranza di governo che ha lavorato e varato una legge di riforma della scuola. La sola che ha rivisto con moderazione l’ordinamento giudiziario e che con interventi, non drastici e dirompenti, come i magistrati e la sinistra volevano far credere, lasciando ogni piena autonomia all’attività della magistratura, ha delineato minore disinvoltura nei percorsi di carriera e nello svolgimento di funzioni diverse ed a volte in contrasto. Una riforma dell’ordinamento che aveva anche lo scopo di ridurre l’anomalia Italia di una giustizia più volte condannata dalla commissione europea.
Anche la rivisitazione delle regole del mercato del lavoro e la riforma delle pensioni con lo sguardo alle nuove generazioni, la riforma societaria e la rivisitazione dell’Ordinamento della Repubblica previsto nella seconda parte della Costituzione Italiana sono stati oggetto di attenzione e di proficuo lavoro parlamentare.
Ora ci si chiede perché, dopo la deludente esperienza di Prodi, si dovrebbe ancora pensare che sia la sinistra a poter risolvere le questioni, per alcuni versi, drammatiche le cui soluzioni, oggi, sono ritenute improcrastinabili, soprattutto per le famiglie italiane.
Ma soprattutto è doveroso chiedersi come mai la sinistra diventa antipolitica se è la sinistra stessa che governa male, ma è compatta e convergente, come la maggioranza che ha portato Prodi al Governo, se è il centrodestra che invece governa e certamente in modo più concreto?
Si ha l’impressione che quegli italiani che si sono battuti per respingere Berlusconi, quando questi aveva la maggioranza, si siano vergognati dei deludenti risultati di Prodi, quando questi macellava la fascia più debole del Paese. E’ così, per vergogna, che sono diventati antipolitica. C’è persino chi, per opportunismo più che per vergogna, ha pure parlato di crisi della politica quando in crisi è entrata la loro capacità d’essere forza di governo.Sarà questa la ragione che ha spinto Veltroni a ricercare ora il consenso in quei settori più viscerali della sinistra, allacciando l’accordo con Di Pietro che si collega perfettamente ai modi meno razionali e più sbrigativi e diretti di rendere sfogo alla protesta che proviene dalla pancia del popolo.
Vito Schepisi

14 febbraio 2008

E' svanito il coraggio di Veltroni

La rottura era nell’aria. Le fasi della politica sono come le stagioni. Non sono solo le date dei calendari che le segnano, ma è l’aria chi si respira che le annuncia.
La stagione degli opportunismi e dei sofismi sembra che sia destinata così a chiudersi, spinta soprattutto da un’Italia che è stanca di sentirsi mortificata da una politica che si trasforma in nicchia di privilegi e che cambia spesso gli scenari per disperdere le responsabilità. Non è più tempo di cambiare le carte sul tavolo e di usare mazzi di carte truccate, come i bari di professione.
Dalle viscere dell’Udc è già sorto un nuovo partito, la rosa bianca, per iniziativa di alcuni parlamentari oramai convinti che non poteva realizzarsi, se non al di fuori del partito di provenienza, il progetto di un movimento nel mezzo tra la componente liberale e quella di sinistra.
Che senso avrebbe ora che la stessa Udc percorra la stessa strada? Cosa si propone di fare? Non è morale la politica del doppio forno, con la duplicità della scelta dopo le elezioni. E’ una logica vecchia, già consumatasi nella prima repubblica tra Craxi e De Mita. Mantenere l’identità di un partito che non ha tradizioni storiche da vantare e che è inserito nel Partito Popolare Europeo, come Forza Italia e come il nascente Popolo delle Libertà, non ha senso alcuno, se non in funzione di una diversa strategia politica. E quale sarebbe questa logica se non quella di un partito che abbia lo scopo di candidarsi al condizionamento di uno schieramento e dell’altro, e poi magari apparire come chi si muove nell’interesse del Paese?
Ma il tempo è finito. Ora è come nei western di una volta, dove alla fine ciò che conta è la scena finale del film, con la sfida, a mezzogiorno, sotto il sole cocente, tra i due contendenti.
C’è ed è forte in alcuni l’illusione di poter imbrigliare ancora il Paese nelle scelte da sospendere, nella ricerca di concertazioni che soddisfino gli appetiti delle caste. Ma questo spazio nella politica deve essere cancellato. Non può esistere più: gli elettori ed il buon senso non lo tollerano ancora. Il gioco del stare nel mezzo è scoperto ed a crederci è solo una parte minoritaria del Paese. Non serve che ora Casini supplichi Montezemolo perché entri in scena. Non serve rendere ancora più confuso il quadro della reazione alla rivoluzione liberale che il paese si aspetta.
Ora il voto avrà il compito di spazzare le illusioni, di riporre dinanzi alle proprie responsabilità chi ancora si illude che niente sia cambiato, di ricondurre alla ragione tutti coloro che neanche le difficoltà di vita di larghi strati di cittadini italiani hanno sospinto ad assumersi il senso della realtà, dell’umiltà e della coerenza.
Non ci sono gli spazi per i Buttiglione di oggi ed i Follini di ieri. I loro articolati ed ambiziosi progetti, in vero molto al di sopra della loro statura politica, sono stati chiusi dalla saggezza di Berlusconi e Fini che oramai fermamente respingono le iniziative di prestarsi ancora al gioco delle tre carte. L’esperienza è servita, e perseverare può essere solo diabolico. Siano lasciati a richiedere con Cesa ulteriori indennità ai parlamentari per ricongiungere, a spese dei contribuenti, le loro famiglie a Roma, onde evitare che i loro deputati facciano festini erotici, in lussuosi alberghi romani, con donnine a pagamento e con uso di droga, mentre in modo demagogico e patetico il leader del partito, dinanzi al parlamento, fa fare il test sull’uso della droga.
Il movimento del Popolo delle Libertà presume, giustamente, che sia giunto il tempo di doversi appellare al popolo per la condivisione di un programma comune che serva a rilanciare il Paese. Chiamare i cittadini elettori a dare il loro consenso col voto a soluzioni che liberino gli italiani dalla morsa di una pressione fiscale ai limiti della tolleranza, dal dirigismo illiberale, dai privilegi delle caste, dalla politica delle emergenze. Una maggioranza che rilanci le attività produttive, l’occupazione, i salari, le opportunità, la crescita.
Per questo debito di chiarezza verso il popolo, che invoca coerenza e compattezza, è necessario che sia chiara l’identità dei valori richiamati. E’ indispensabile che non vi siano ingiustificate divisioni. Gli appelli al mantenimento del simbolo sottendono distinguo non più tollerabili per un’attività di governo con scenari difficili, in cui le scelte devono essere chiare e senza quelle tensioni, tipiche della visibilità politica e delle lobby, che ne rallentino o annullino la sostanza.
La stessa chiarezza, invece, viene a mancare a Veltroni. Aveva sfidato Berlusconi con la sua corsa solitaria e coraggiosa. E’ rimasto, invece, il Veltroni di sempre tra l’illusionista e l’americano sbruffone, tra sceneggiature e fiction, tra realtà e finzione.
La sua sfida si è così dispersa. Il caravanserraglio gli si ritorce contro. Imbarca Di Pietro preferendolo al socialista Boselli. Imbarca un partito costruito sull’immagine di una persona controversa, tra autoritarismo e personalismo, e respinge un partito di tradizioni antiche riformiste e di sinistra. Tutto il contrario di quanto per logica ci si poteva e doveva aspettare.
Ora è il Pdl che corre da solo per scelta di coerenza e di lealtà, mentre Veltroni cannibalizza i voti della sinistra moderata e dei radicali ed imbarca i voti della lotta al sistema, dell’antipolitica, della protesta e del giustizialismo. Respinge la storia per imbarcare la visceralità della reazione. Chiude la porta alla civiltà del confronto tra simili, per aprirla alla rozzezza di un linguaggio incerto e violento.
Vito Sc hepisi

12 febbraio 2008

Una pausa di riflessione per l'Udc

Come capita per i matrimoni oramai dissoltisi tra incomprensioni, tradimenti, capricci e sospetti, anche i partiti si prendono le “pause di riflessione”. In questa parentesi di tempo, spesso non definita, in cui per regola vengono meno tutti i presupposti della convivenza e della reciproca fedeltà, di solito si consolida invece l’unione con altri.
Tutti i luoghi comuni che si adottano per dar parvenza di voler veder chiaro nella propria conflittualità interiore, sono di solito solo interlocuzioni verbali. Quando si dice che la pausa serve per poter meglio valutare i propri sentimenti e verificare la solidità stessa dell’affetto, dell’amore, del desiderio di riprendere il dialogo interrotto, oppure dar inizio ad una nuova vita, a nuove esperienze e nuovi affetti, si dicono solo chiacchiere. Sono stereotipi della comunicazione in un contesto già stabilito di incomunicabilità. Spesso le scelte sono già belle e che fatte ed il dado, il più delle volte, è già definitivamente tratto.
Così avviene anche per la politica. E dove c’è titubanza nella convivenza e nell’unificare il proprio percorso politico, in verità c’è il sospetto che si pensino soluzioni diverse e si facciano i calcoli sul valore della propria fedeltà o sul possibile valore aggiunto nell’iniziare una nuova storia con altri. Anche il richiamo all’esigenza di mantenere i propri spazi, ed a voler meditare, si traduce solo in calcoli di altra natura. Da qui la metodica e puntuale richiesta di voler esser prudenti e di voler procedere a piccoli passi per far eventualmente maturare le scelte anche e soprattutto nell’elettorato e nella base del proprio partito. E poi l’affondo di grande scena mediatica con l’affermazione, che vale una valle di lacrime, di non poter consentire che si disperda l’identità di una coscienza politica.
Funziona sempre così, sia nel matrimonio tra esseri umani sia nell’unione tra partiti. Spesso la chiarezza nella vita, come nella politica, passa attraverso percorsi tortuosi: si ha l’impressione tipica di coloro che gettano la pietra nello stagno e si fermano a guardare cosa succede.
Ora ci sono le elezioni e c’è un progetto politico, iniziato da tempo e che rischia di affondare e di essere seppellito definitivamente. E’ la stessa strategia, perdente, che in Francia ha tentato Bayrou. La collocazione centrista che, dalla tradizionale idea di moderazione, si traduce nel progetto nel porsi nel mezzo con l’ambizione di essere determinanti. Ci provano in tanti. L’ha azzardata prima Follini, naufragata senza pudore all’interno del PD. Ora ritentata ancora da Tabacci e Baccini con l’ambizione di poter trascinare con loro Luca Cordero di Montezemolo, che invece nicchia temendone il fallimento. E domani chi lo dice che la possibilità di una nuova fuga in avanti non possa tentare le ambizioni di Cesa, Casini e Buttiglione, folgorati dall’idea di poter contare di più palleggiandosi da una parte all’altra degli schieramenti politici?
La richiesta di porre il confronto su di un piano di parità e di reciproco rispetto è una rivendicazione che funziona nell’immaginario collettivo. Ha le sue diverse chiavi di lettura, a seconda dei casi o della quantità della raccolta. Lascia una porta sempre aperta perché in politica, come si è visto, anche una percentuale dello 0,50% può valere tantissimo. Ma in definitiva è offensivo verso gli elettori che principalmente fanno una scelta di campo e nei sondaggi in gran maggioranza vorrebbero la semplificazione del quadro politico e possibilmente due soli partiti. In politica, poi, il reciproco rispetto e la parità di espressione valgono relativamente. Come principio di tolleranza, beninteso, hanno la loro importanza, ed anche nel confronto tra gli uomini e nel rispetto della legittimità di ogni idea politica, ma in democrazia devono contare anche i numeri ed i rapporti di forza. Il 40%, ad esempio, è diverso dal 5%, con tutto il rispetto e l’asserita parità delle opportunità di espressione.
Ora per passare dalle metafore ai fatti, la questione non è affatto come la pone Buttiglione dell’Udc che sostiene che se si ha fiducia del suo partito, qualora entri nella casa comune dello schieramento moderato, non si capisce perché non si abbia fiducia della stesso Udc, qualora ne sottoscriva il programma e dichiari di volersi alleare con il Pdl. La questione la si deve porre invece in modo diverso, sia per questione di chiarezza verso l’elettorato, che non comprende la necessità dell’esistenza di piccoli partiti interessati a concentrare su di loro un potere che va oltre la specifica consistenza elettorale, e sia per il principio che in politica la fiducia va conquistata giorno per giorno ed atto per atto. il principio non si debba aver fiducia in politica.la democrazia vuole che contino anche i numeri ed i rapporti di forzalioneal
Anche nel 2001 l’Udc ha sottoscritto il programma della Cdl ma Follini nei giorni pari, come in quelli dispari, ne ha messo in discussione l’attuazione. Persino l’attuale legge elettorale è ascrivibile alla caparbia volontà di Follini e dell’Udc di passare al sistema proporzionale, con le motivazioni, inespresse ma evidenti, di ottenere maggior facoltà di condizionamento. Ora si vorrebbe rendere più difficile e meno agevole questa interposizione dei partiti minori, tra cui anche quella di passare con grande indifferenza da uno schieramento all’altro, come capita spesso di fare a Mastella, facendo pesare anche un singolo parlamentare. Buttiglione dovrebbe quindi ricordare anche i suoi salti mortali con doppio avvitamento, prima di porre i quesiti che pone.

Vito Schepisi

09 febbraio 2008

10 febbraio: la Giornata del Ricordo














60 anni di silenzi e di omissioni. Ma
nascondere la storia delle viltà è come esser vili due volte!



Sono stato a Bassovizza lo scorso anno. E’ una località appena fuori Trieste, sede di una cavità utilizzata dalle milizie comuniste di Tito per occultare i cadaveri di italiani, in particolare triestini, contrari al comunismo ed all’invasione dei miliziani di Tito a Trieste.
Bassovizza è una delle localizzazione delle cavità carsiche chiamate “foibe”, una delle due rimaste in territorio italiano, ed è monumento nazionale. Ho girato per quei luoghi e sono stato oltre l’attuale confine, in territorio sloveno e croato, una volta terre italiane. Mi sono lasciato trasportare dai ricordi storici e dalla memoria delle tensioni politiche. Ho così raccolto il ricordo delle mie letture sulla fine del fascismo, sulla repubblica sociale di Salò, fino alla conquista della democrazia in Italia. Ho ripercorso le tappe che hanno segnato la storia di questo pezzo di terra italiana, luoghi bellissimi che ci sono rimasti cari: un territorio così crudelmente martoriato e ferito.
Ho ricordato il Trattato di Pace di Parigi, nel 1947, che tolse alla sovranità italiana Zara, Fiume e l’Istria e pose Trieste ed il suo territorio circostante sotto controllo delle Nazioni Unite. Il Territorio Libero di Trieste. Il fantasma di una nuova entità nazionale mai sorta E poi nel ’54 la divisione del T.L.T. in due zone, la A e la B, ed il passaggio della città di Trieste sotto controllo italiano, ma anche l’ulteriore tristezza dell’occupazione slava della zona B a sud di Trieste. Capodistria ed altre piccole realtà abitate prevalentemente da italiani dove la pulizia etnica era iniziata sin dai primi giorni dopo il 25 aprile, subito dopo la fine della guerra di liberazione. Il 25 aprile per Trieste è stato l’inizio di una immane tragedia: un incubo per gli abitanti e per coloro che sognavano un’Italia libera dagli orrori della guerra e delle dittature. Un sogno vilmente infranto nella indifferenza del mondo, ma anche e ciò è ancora più doloroso nella disattenzione della politica e della informazione italiana.
La divisione geopolitica delle due zone di Trieste fu poi sancita definitivamente con il Trattato di Osimo del 1975. Una lunga storia di deportazioni, di omicidi, di violenze, di repressione, di pulizia etnica, di crudeltà, di barbarie. Come non ricordare la storia degli esuli istriani e degli italiani cacciati o messi in condizione di lasciare le loro terre ed i loro averi, sottoposti alle angherie del regime comunista del Maresciallo Tito? I morti si sono contati a decina di migliaia, anche se non è stato mai possibile un censimento e 350.000 sono stati valutati gli esuli fuggiti in Italia. Uomini, donne, vecchi e bambini derubati di tutto, senza un soldo, un lavoro, spesso solo con i vestiti indossati e spinti oltre frontiera dal terrore di essere ammazzati.
La memoria dei martiri in questo caso non può essere solo il consueto omaggio alle vittime delle guerre in genere. Ciò che è successo a Trieste ed in Istria va oltre gli atti di guerra: si è trattato di crimine. E’ nostro dovere gridarlo e ricordarlo in ogni occasione. Il crimine non può passare sotto silenzio, non lo si può liquidare solo come le azioni di viltà che ogni conflitto ripropone. Così risulta vile anche il tentativo di nascondere, di far finta di niente, di sottacere…di compiacere. Fu viltà anche quella degli italiani militanti nel pci che si prestarono a collaborare con la ferocia di Tito e dei comunisti slavi a danno di altri italiani. A Trieste, ad esempio!
La lotta di liberazione in Italia per alcuni fu solo un’occasione per tentare la conquista del potere, un pretesto per esercitare le vendette politiche e personali, un teatro in cui rappresentare le proprie spinte ideologiche. Non fu vile Togliatti che spingeva a barattare Gorizia con Trieste? Non fu vile nel minimizzare e parteggiare con quei dittatori che usavano gli stessi metodi dei nazifascisti? Non fu vile la sua affermazione, naturalmente falsa, “la maggioranza del popolo di Trieste, secondo le mie informazioni, segue oggi il nostro partito”? E che dire dell’odioso cinismo della sua espressione nel giustificare le vittime delle foibe: “una giustizia sommaria fatta dagli stessi italiani contro i fascisti”?
Ho reso così omaggio lo scorso anno alle vittime delle foibe. Non avevo idea di queste cavità carsiche ed in verità continuo a non averne. Ho trovato un grosso coperchio di ferro, un quadrato di circa 20 metri di lato che copriva la bocca della cavità. Mi è rimasta la curiosità di queste gole in verticale tra le rocce. Mi aspettavo di vedere questo buco nero nella terra che poi è tra i buchi oscuri della nostra storia nazionale: quella che finora nessuno ha avuto il coraggio di raccontare per davvero. Tutto intorno una pavimentazione pietrosa con sensazione di trascuratezza e di abbandono. Sono rimasto deluso!
Mi aspettavo un luogo curato, tenuto bene come accade per i sacrari in Italia. Invece non ho avuto l’impressione della sacralità e dell’invito a riflettere. Anzi l’idea di un posto come tanti, come uno dei tanti luoghi teatro della nostra storia ma senza particolare rilievo. Come se non fossero stati nostri fratelli da onorare quei morti, tra cui vecchi, donne e bambini, colpevoli solo d’essere italiani. E l’impressione che tutti avessero voluto dimenticare e nascondere si è così consolidata.
Se si leggono le cronache dell’epoca, le testimonianze dei profughi, se si legge la storia, emerge quanto questa terra fosse stata amata e quanto i suoi abitanti avessero sentito fortemente l’attaccamento all’identità nazionale italiana. Un cippo con l’indicazione negli anni delle profondità poi ricoperte con residuati bellici, scarichi di materiali di risulta e di corpi umani di provenienza diversa. Tra questi appunto quelli dei molti italiani che sul finire della guerra, anzi a guerra finita, sono stati trucidati o gettati ancora vivi dai comunisti del maresciallo Tito.
Qualche corona d’alloro rinsecchita, un muro, una scritta, due lapidi: una in memoria di 97 finanzieri italiani trucidati e l’altra in ricordo di tutti i militari italiani e stranieri uccisi nel maggio-giugno 1945 a guerra finita. Tutto qui. Tutto qui a Bassovizza per ricordare quanto l’Italia civile abbia pagato sia per la follia del fascismo che per la viltà del comunismo. Se si pensa a quale pericolo l’Italia abbia corso! Subito il pensiero, atroce: e se le truppe di Tito al finire della guerra non fossero state fermate dagli alleati a Trieste? Un brivido lungo la schiena: l’Italia ha rischiato davvero! Come poi dimenticare la storia dei profughi? Come dimenticare la viltà dei sindacalisti della Camera del Lavoro che impedirono la sosta a Bologna al treno carico di profughi istriani affamati ed assetati, in transito mentre erano diretti a Roma? Come dimenticare il giudizio severo e sommario che i comunisti italiani tranciarono su questi fratelli italiani fuggiti dall’orrore? Ecco ciò che scriveva l’organo del pci, l’Unità: “Non riusciremo mai a considerare aventi diritto ad asilo coloro che si sono riversati nelle nostre grandi città. Non sotto la spinta del nemico incalzante, ma impauriti dall'alito di libertà che precedeva o coincideva con l'avanzata degli eserciti liberatori”. Se non fu questa viltà!

Come si può essere orgogliosi d’essere italiani,
se non si è in grado di aver dolore e pietà per coloro che sono morti invocando la libertà
ed il riconoscimento della propria identità nazionale?

06 febbraio 2008

Sciupone l'Emiliano, ovvero: la moltiplicazione dei pani del paramessianico Prodi

Se c’è una soddisfazione abbastanza avvertita dagli elettori italiani è quella di pensare che con la caduta della legislatura vengono meno tanti vantaggi concessi al personale della politica. In particolare è un gran piacere pensare che tutti coloro, e sono tanti, che sono stati chiamati ad assumere ruoli di governo, molti dimessisi dal ruolo di parlamentari, non percepiranno più non soltanto l’indennità ministeriale, cosa che è persino ovvia, ma soprattutto l’indennità, parificata a quella dei parlamentari, di ben 140.000 euro lordi l’anno, grazie alla magnanimità di Prodi e della sua maggioranza di centrosinistra.
E’ stato questo, infatti, il regalo che Prodi ha elargito, a spese dei contribuenti, per consentire che i parlamentari, in particolare senatori, chiamati ad assumere funzioni di governo cedessero il passo in Parlamento ai primi dei non eletti, senza che, appunto, perdessero l’indennità parlamentare.
Cosa non abbia fatto “Sciupone l’Emiliano” per mantenersi stretta la poltrona conquistata con un pugno di voti! Cosa non abbia fatto a spese della serietà, della tasca degli italiani e del buonsenso!
Con questo espediente, elaborato dallo staff politico della sinistra arroccata al potere, si volevano ridurre le difficoltà di una maggioranza precaria al Senato, consentendo ai membri del governo di assolvere al loro ruolo, senza preoccuparsi dei numeri ristretti in Parlamento. Un ulteriore regalo annuo di poco meno di 10 milioni di Euro alla politica ed agli uomini del centrosinistra: la meno biblica e più profana moltiplicazione dei pani del “paramessianico” Prodi.
Sono ben 68, infatti, tra ministri, vice ministri e sottosegretari gli uomini di governo non parlamentari che tornano a casa ed alle loro abituali attività. Se ne hanno! Considerata la quantità dei professionisti a tempo pieno della politica. Tanti su un totale complessivo, compreso il Presidente del Consiglio Prodi, di 103 componenti l’intera compagine ministeriale: un esercito! Tanti che hanno contraccambiato con risultati davvero deludenti la spesa sostenuta dall’Italia, con la contribuzione di chi lavora e produce, per il loro mantenimento al Governo.
Ma non sono solo questi i risparmi dei costi della politica che si realizzano con la caduta di questo Governo e la fine della legislatura. Viene meno per 379 parlamentari di prima nomina il diritto al vitalizio. La legislatura con lo scioglimento anticipato delle Camere - prima del tempo utile di 2 anni, sei mesi ed un giorno - non è valida ai fini del vitalizio sia per i citati 379 parlamentari di prima nomina, sia per quelli con più legislature all’attivo. Viene meno per 1.014 parlamentari. E non è una cifra da poco che si risparmia!
In Italia in tanti hanno tifato perché ciò accedesse. In molti hanno ritenuto che questo personale politico parlamentare non meritasse assolutamente il diritto al vitalizio. In molti hanno pensato che se il Governo, com’è stato, fosse effettivamente destinato a cadere, trascinandosi appresso la legislatura, sarebbe stato più opportuno che fosse caduto prima d’aver fatto maturare il vitalizio ai parlamentari. In caso contrario, sarebbe stato ancor più reale e giustificato il sospetto di una politica finalizzata solo al loro tornaconto.
Nel sostenere ciò che è sulla bocca di tutti, come spazio comune di biasimo e di disprezzo, a volte si ha il timore di alimentare il sentimento dell’antipolitica, già corposo e diffuso in Italia, e forse anche per buona ragione. Ma non è questa contrarietà alla furbizia ed ai costi della politica, non è la nausea contro l’utilizzo della democrazia per distribuire i privilegi alle caste, non la rassegnazione nel veder respingere il necessario confronto sulle esigenze quotidiane dei cittadini, non l’atteggiamento, spesso conflittuale, tra i poteri dello stato e le esigenze di rispetto e libertà degli italiani, non le contraddizioni tra le necessità del Paese e le scelte di governo, non è così la voglia di dignità e di correttezza che deve alimentare l’antipolitica. Quest’ultima non è la soluzione al deficit di credibilità che oggi i partiti e la classe politica riscuotono nel Paese.
La spacciata democrazia diretta, quella senza mediazioni, senza verifiche, senza controllo, spesso occasionale, può essere peggiore del male. Le soluzioni suggestive non sono altro che una forma immaginifica di presumere d’avere la soluzione di ogni problema a portata di mano.
Una politica arrogante ed incapace è comunque sempre da preferire a soluzioni sbrigative. Persino Prodi è meglio del caos e delle soluzioni sommarie invocate dai “guru” dell’antipolitica. Ed anche questa dispendiosa, invadente e sconclusionata maggioranza uscente, per quanto scaturita dal legittimo mandato elettorale, in un sistema di rappresentatività popolare, è preferibile alle forme anarchiche e populiste, spesso anticamere di pericolose dittature.
In Italia non mancano né guitti di piazza, né comunicatori illusionisti che spacciano moralismo a buon prezzo. Non mancano, appollaiati come avvoltoi, giustizialisti e forcaioli di mestiere, pronti a piombare addosso alla preda di turno, purché funzionale all’odio ideologico che desiderano diffondere. Non mancano coloro che indirizzano gli sguardi su visioni prospettiche fuorvianti e faziose con l’intento di rappresentare una società malata dove i cattivi sono sempre da una sola parte. Non manca l’antipolitica militante, che poi antipolitica non è perché alla fine va sempre in soccorso della sinistra più estrema.
Ma non è più il tempo dello spettacolo e della teatralità. Le suggestioni sono solo facili richiami, i più pericolosi, quelli che si devono respingere. Ora è il momento di far pressione perché il confronto elettorale si attui sulle scelte. Bisogna scegliere perché finisca il tempo delle guerre di legittimità, all’ombra delle quali è cresciuta la più inconcludente classe politica della nostra storia repubblicana.
L’odio profuso ed i richiami contro qualcosa alla fine, come abbiamo visto con Prodi, nascondono insidie alla democrazia ed alla legittima scelta degli elettori, nascondono incertezze e confusioni programmatiche, nascondono conflitti politici di maggioranze numeriche poi incapaci di esprimere coerenti azioni di governo.
Vito Schepisi