27 febbraio 2014

Le tasse e la Curva di Laffer


Durante la Presidenza Reagan, negli USA, agli inizi degli anni 80, un suo consigliere economico, Arthur Laffer, professore di Economia presso l’Università della South California, spinse il Presidente degli Stati Uniti a ridurre la pressione fiscale nel Paese. 
I risultati che si ottennero, nell’immediato videro una consistente riduzione del gettito fiscale, ma nel medio e lungo periodo ne fecero registrare un altrettanto consistente aumento. 
Il Professor Laffer è stato tra i sostenitori della teoria dell’offerta in economia. La Supply-side economics (di cui lo stesso Laffer assieme al altri economisti statunitensi è stato fautore) è nata negli USA negli anni settanta ed ha influenzato la Reaganecomics degli anni 80. 
La teoria degli economisti americani, diversamente dall’idea keynesiana (incardinata sulla domanda aggregata di beni e servizi, a cui far corrispondere altrettanta offerta aggregata per poter mettere in equilibrio un sistema economico) concentrava l’attenzione sull’offerta di beni e servizi da incentivare con una minore pressione fiscale. Con la riduzione della quantità di lavoro che è assorbita dal prelievo fiscale, infatti, per i sostenitori della nuova teoria economia reaganiana, ci sarebbe stato maggiore interesse a lavorare e produrre di più. Se la domanda di beni e servizi non si mostrava sufficiente a realizzare l’equilibrio, in sinergia con le necessità sociali del pieno utilizzo delle risorse (più largo impiego di mezzi e di manodopera), per gli economisti, il compito dello Stato doveva essere quello di intervenire. 
Come? Incentivando l’offerta attraverso la riduzione delle tasse. 
Partendo da questi concetti, il Professor Laffer si sforzò di far comprendere all’amministrazione Reagan come fosse possibile ottenere lo stesso gettito fiscale con due aliquote differenti di tassazione. Si racconta che in un ristorante, Laffer, disegnando su un tovagliolo due linee incrociate, cioè un sistema di assi cartesiani, ragionando in termini di gettito e aliquote fiscali, tracciò una curva che convinse Reagan sulla validità della sua teoria. 
Quella che poi è stata chiamata “La Curva di Laffer” partiva da due presupposti: il primo basato sul concetto che lo stesso gettito fiscale potesse essere ottenuto con due aliquote differenti; il secondo basato sul presupposto dell’esistenza di un livello di aliquota fiscale che fosse il margine oltre il quale l’aumento della pressione fiscale non sarebbe stato in grado di produrre maggior gettito, ma, al contrario, una riduzione. 
Negli assi cartesiani disegnati da Laffer, la linea delle ascisse rappresentava le aliquote, mentre quella delle ordinate il gettito. Il ragionamento era elementare perché basato su due certezze: le entrate fiscali per ovvie ragioni si azzerano sia con un’aliquota dello 0% (nessun gettito) e sia con un’aliquota del 100% (nessun reddito utile). Tra la percentuale minima (zero) e quella massima (100), pertanto, ci dovevano essere tutti i valori intermedi diversi da zero. 
In un sistema di assi cartesiani, i diversi valori corrispondono a diversi punti, e in un sistema progressivo in cui a ogni valore corrisponde un proporzionato fenomeno, l’unione dei punti intermedi va a formare una curva. Nella curva, così disegnata da Laffer, a ogni valore del gettito corrispondevano due punti della curva, come accade con una secante di un cerchio, e ad ogni punto di intersezione nella curva corrispondeva nelle ascisse un altro punto, cioè la misura di una aliquota fiscale. 
Due intersezioni, due punti, due valori diversi sulle ascisse e quindi due aliquote fiscali diverse: la tesi che si potesse ottenere lo stesso gettito attraverso due differenti aliquote era così soddisfatta. 
L’altra tesi che sosteneva l’esistenza di un livello in cui l’aumento delle aliquote non avrebbe prodotto incremento del gettito, doveva essere anche implicitamente soddisfatta, esistendo, nello stesso sistema di assi cartesiani, un solo punto di una curva in cui passa la tangente perpendicolare all’asse delle ordinate (gettito fiscale). 
Sostenere, così, che a quel punto corrisponde il valore massimo del gettito è come dire che oltre quel punto (aliquota), aumentandone la misura, diminuisce il gettito fiscale. 
Resta da chiedersi, pertanto, quale è la ragione di mantenere alta la pressione fiscale, se riducendo le aliquote si può ottenere lo stesso gettito? 
Vito Schepisi