15 aprile 2014

Una vera rivoluzione per Bari


Essere rivoluzionari non significa essere contro un sistema ma contro chi lo interpreta per il proprio uso. Non contro la nostra democrazia rappresentativa e contro le regole che ne sono il supporto - benché migliorabili attraverso un vero riformismo che si faccia interprete della dialettica delle cose - ma contro l’uso autoritario dei ruoli e contro la loro trasformazione in mezzi di conquista e di esercizio soggettivo o di fazione del potere. 
Piero Gobetti nell’introduzione della sua “Rivoluzione liberale” sosteneva: “il fine più chiaro è di inserirci nella vita politica del nostro paese, di migliorarvi i costumi e le idee, intendendone i segreti; ma non pensiamo di raggiungerlo con un’opera di pedagogisti e di predicatori”. Prima che per gli atti amministrativi di dubbia efficacia, prima che per la politica dell’annuncio, sostituitasi via, via alla politica del fare, la nostra Città nei dieci anni trascorsi ha sofferto ancor più per una visione soggettiva, pedagogica e autoritaria dell’Ente amministrativo. 
Indifferente al fallimento di una confusa strategia politica, qualora ce ne fosse mai stata una diversa dalla demolizione e demonizzazione di ciò che era stato fatto in passato, la guida amministrativa della Città si è concentrata solo sulla carriera politica del Sindaco. L’unico diversivo è stato l’annuncio dell’abbandono della politica, usato come minaccia.
Occorrerebbe a Bari un moto rivoluzionario che abbatta quel populismo perverso che dura da dieci anni e che ha diviso la Città trascinandola in acerbe contrapposizioni, spesso solo ideologiche. L’avversario è il consueto gusto alla contrapposizione, risoltasi con una serie di enunciazioni di scelte, realizzate solo in piccola parte e nella maniera peggiore possibile. In questa lotta al niente, Emiliano è apparso come un Re Mida all’incontrario: tutto ciò che ha toccato si è trasformato in cenere e fango. 
Se Atene piange, Sparta non ride. Dall’altra parte l’idea di un segno di discontinuità doveva trovare un insieme compatto d’intelligenze che si ritrovasse attorno ad un programma di cose concrete, senza sbandieramenti ideologici e senza cappelli messi sulla sedia per rivendicare ruoli di parte. Una rivoluzione di metodi e intenti prima che di cambiamenti di rotta. Non si può chiedere di diventare sindaco di una città solo per ciò che si è fatto nella vita, e neanche perché per 10 anni si è stati all’opposizione. Non è sufficiente guardarsi allo specchio e dirsi quanto sono stato bravo o invocare, come se fosse un processo naturale, l’alternanza di sigle e partiti. 
Bari necessita d’idee precise e di impegni su questioni vitali. La vera rivoluzione non è nell’antipartitismo ma nell’autonomia di pensiero. L’Associazione RinasciBari, ad esempio, questo bisogno l’ha sintetizzato con Seneca: “Primum vivere, deinde philosophari”. Prima che Renzi annunciasse la sua “lotta dura alla burocrazia”, due anni fa lo stesso concetto costituiva la base di un’idea per la nostra Città. Bari già avvertiva i sintomi di una preoccupante crisi della piccola e media impresa, con tutte le drammatiche conseguenze sui giovani e sulle famiglie. 
Invece di trovare una coesione responsabile e invece di accantonare tutta la zavorra della retorica partitocratica, perché la discontinuità diventasse un percorso popolare con intendimenti precisi, Bari si è divisa in un farsesco numero di candidati sindaco. L’attenzione per la Città è passata dai programmi ai ruoli, e si gioca come nel passato tra furbizie e opacità. Come se in Italia e a Bari non stia succedendo niente. 
Ciò che Emiliano non riesce a ottenere dal suo partito, l’ottiene dai suoi avversari. Il suo candidato sente il sapore della vittoria e, pur non avendo niente di cui sorridere, si sbellica dalle risate sui “Tafazzi” di Bari. 
Vito Schepisi
pubblicato su EPolis Bari 15 aprile 2014