31 agosto 2012

“Rinascibari” è un’idea per Bari



Partire dalla realtà superando i sogni dei programmi ambiziosi che restano sulla carta - quando non sono solo castelli di sabbia che si sfaldano senza lasciar traccia - per recuperare risorse per la ripresa, per rilanciare i servizi e per dotare la Città di un assetto urbanistico efficiente.
Bari è una Città da far rivivere. Non è quella delle cronache degli ultimi anni. Non può vincere la rassegnazione nel considerare compromessi i valori tradizionali delle società civili, come la legalità, l’attenzione ai bisogni sociali, la sicurezza pubblica, l’igiene, la cultura, il futuro dei giovani. Non può essere la Città incapace di amministrare un prestigioso Teatro, come il Petruzzelli, senza lasciarsi coinvolgere  nelle politiche clientelari e negli sperperi.
C’è un gruppo di donne e uomini liberi che ci vogliono provare. Si sono incontrati con il passa parola. Si sono detti: “proviamoci, chiamiamoci Rinascibari”.
E “Rinascibari” sta diventando un’idea per Bari: vuole essere un metodo che rompa con il passato e con la consueta politica utile alle famiglie dei palazzinari che realizzano le fortune di pochi, assorbendo le risorse da utilizzare per le necessità di tutti.
A Bari c’è la sofferenza delle famiglie e delle imprese: le prime inquiete per le difficoltà quotidiane di vita, tra i costi e le tasse in aumento e la mancanza di prospettive per l’occupazione dei figli; le altre preoccupate dai fatturati in progressiva flessione, oltre che dalla burocrazia assillante e dagli insopportabili balzelli fiscali.
Le difficoltà del Paese inducono a pensare che non si potrà contare su trasferimenti di risorse statali, si potrà contare, invece, su quei progetti che includano la Città in programmi mirati di sviluppo strategico. Occorrono, però, idee e intelligenze perché si realizzino benefici strutturali che durino, invece di alimentare clientele e distribuire risorse agli amici.
Bari, con la sua prospettiva di Città Metropolitana, ha da spingere su proposte e su progetti di crescita e di integrazione, componendo tavoli di intesa sul territorio, con i Comuni della sua area, ed iniziative congiunte con le Istituzioni e la Regione. 
Nessuna opportunità di crescita e d’investimenti andrebbe tralasciata, ricordando che i posti di lavoro si creano, e soprattutto si mantengono, in un rapporto compatibile tra iniziativa e mercato e che le risorse sono opportunità per lo sviluppo e non solo soldi da spendere.
La dimensione di Città Metropolitana e di Città Regione deve spingere a ricercare le ragioni di un’attenzione più costante, perché, nell’acquisizione di una dimensione plurale di centro direzionale dell’intera Regione, il Capoluogo barese sia da traino nella strategia di espansione dei servizi e delle opportunità della Puglia e del Mezzogiorno.
Le risposte, di una Città come Bari, per rinascere, devono essere ricercate, ancora, nella riscoperta della sua antica vocazione commerciale e nella capacità di far sistema, per cogliere le opportunità di lavoro, puntando sul mantenimento e sulla creazione della rete d’imprese, e tra queste, soprattutto, quelle formate da giovani.
L’impresa, infatti, andrebbe vista come fonte di occupazione e di ricchezza di una comunità.
A Bari, invece, chiudono gli esercizi commerciali, sfiancati, oltre che dalla crisi, anche dalla concorrenza sleale di chi utilizza flussi finanziari diversi dai capitali propri o da quelli delle banche, perché denaro riciclato della criminalità organizzata. Non è tollerabile, però, che al commerciante onesto, sopravviva chi sfugge al fisco e chi ha lavoratori in nero.
Le Istituzioni, collaborando tra loro, devono impegnarsi per monitorare il mercato e i suoi fenomeni. La legalità, a beneficio dei cittadini onesti, deve essere la prima delle risorse da utilizzare, ma le regole, iniziando dalle imposizioni e dalla burocrazia comunale, devono anche garantire che ci sia spazio per l’impresa e per il lavoro, che si possa sopravvivere e che non ci siano vessazioni dannose e carichi burocratici asfissianti.

Senza un ambiente sano in cui far sviluppare l’iniziativa e l’impresa, dopo la tempesta economica che ha sconvolto i mercati, non può rilanciarsi una Città come Bari, così articolata e complessa, che vive di rapporti commerciali, d’intermediazione, di terziario, di studi, cultura e formazione.
Se lo sviluppo della Città è condizionato dalla sua capacità di fare impresa, però occorrono principalmente tre cose. Due sono quelle fondamentali come i capitali e il mercato, ma la terza, non meno importante, è poter contare su una burocrazia amica e su un sistema impositivo locale non vessatorio.
Il peso delle sanzioni delle amministrazioni locali, per far cassa, fanno parte di una mentalità feudale. L’esagerazione della fiscalità locale ricorda l’ingloriosa tassa sul macinato del 1870, con la differenza che, al rigore usato da Quintino Sella, per il pareggio del bilancio statale, si è sostituita la vessazione sulle attività produttive della Città, per trarre sempre maggiori risorse che finanzino la crescita della spesa.
Anche i vecchi mestieri artigianali, che fanno parte della tradizione della nostra terra, andrebbero ripresi e incentivati nella consapevolezza che, oltre a poter essere utili fonti i reddito, dovrebbero essere indirizzati al recupero delle arti e dei mestieri della nostra cultura popolare.
Bari deve ritrovare la sua tradizionale borghesia: quella che, con passione, spingeva e portava nelle piazze e nei luoghi della cultura e del confronto la vocazione dei baresi a essere protagonisti della vita cittadina. La Città deve recuperare lo spazio che compete alla popolazione civile, perché è l’ora di reagire e di reclamare il diritto di poter partecipare alle scelte. Troppo protagonismo individuale, infatti, mortifica la democrazia, il pluralismo e le coscienze.
I rapporti clientelari e la ricerca di un posto fisso nella pubblica amministrazione, come l’economia assistita e la parcellizzazione delle professioni, sono oramai retaggio di abitudini passate. Le giovani generazioni a Bari, come altrove, ne stanno, infatti, subendo tutti gli effetti negativi. Subisce, però, anche la Città che vede emigrare, in cerca di lavoro e di fortuna, i suoi giovani migliori: è una perdita che Bari non può più assolutamente permettersi.
Il dovere di una nuova classe dirigente, oggi, pertanto, non può che essere quello di recuperare la fiducia dei giovani e di ricercare con loro le nuove opportunità per sbocchi lavorativi e per la stabilizzazione delle nuove famiglie. La sfiducia verso la politica, infatti, deve trovare il suo esito in un rapporto di lealtà soprattutto con le giovani generazioni. La democrazia senza la politica non è più tale: una ragione di più, pertanto, perché la politica diventi finalmente cultura del vivere con e tra la gente, e si trasformi in rapporto leale di intenti con le popolazioni.
Dopo alcune settimane di riflessione, un gruppo di amici di area moderata e liberale, un po' pensatori, un po' sognatori, ma anche ben determinati, ha pensato di dar vita ad un movimento di opinione, senza pretesa di trasformarlo in partito, né di appiattirsi sulle derive qualunquiste e della incomunicabilità della politica.
L’idea è di stimolare energie nuove, ma anche di risvegliare quelle che cedono alla rassegnazione. L’idea è di tornare a pensare alla politica come unico e indispensabile strumento per organizzare una comunità civile. Lo scopo è di far sviluppare un confronto sereno con la gente, di comprenderne le inquietudini, senza pretendere di avere le soluzioni per tutto, ma con l’umiltà di impegnarsi a ricercarle insieme con tanti. E’ tempo, infatti, di porre fine al paternalismo e alla presunzione. L'arroganza, infatti, è lo strumento dell'esercizio del potere, non la carta d'identità della responsabilità amministrativa.
Gli amici di Rinascibari sono disposti a dialogare con tutti, senza distinzioni e pregiudizi, ma sono anche così determinati a respingere ingerenze, furbizie, strumentalizzazioni, fughe in avanti, trapezisti della politica, personalismi e fomentatori di veleni.
Vito Schepisi    su l'Occidentale

28 agosto 2012

Bersani e la Voce


- BERSANI: Grillo si deve dimettere! 
- LA VOCE: ma Grillo non è niente, da cosa si deve dimettere? 
- BERSANI: non è niente? Ma come … è fassissta! 
- LA VOCE: sai con quanti fassissti veri sei andato a braccetto? Soltanto nella foto di Vasto ce ne sono tre. 
- BERSANI: allora è Casini che si deve dimettere! 
- LA VOCE: ma anche Casini non è niente. E' solo un fantoccio che si presta a compiacere alcuni poteri. 
- BERSANI: si deve dimettere dal niente, allora! Oh cazzo qualcuno si deve dimettere! A Berlusconi non posso più dirlo. Si è già dimesso! 
- LA VOCE: Ma come prima lo carichi e poi lo scarichi? Come un pacco! Si stava trascinando assieme anche Fini! Son tre voti (lui, Bocchino e la Tulliani) ma meglio di niente! 
- BERSANI: ma Vendola mi vuole scaricare. Non lo hai letto? Per colpa di Casini. Nichi è geloso! Se restano fuori, e contro di me, Vendola, Grillo e Di Pietro, sarò io a dovermi dimettere! 
- LA VOCE: ma Di Pietro non è fassissta? 
- BERSANI: non tutti i giorni! I giorni pari sembra un comunista! 
Lo prendo i giorni pari ed i giorni dispari gli dico che deve dimettersi, poi dico a Mario e Giorgio di fissare la data delle elezioni in un giorno pari. 
Sono o non sono un nipotino di Togliatti io? So' furbo! 
- LA VOCE: … bisbigliando tra se … ma dove li prendono? 
- BERSANI: un attimo vedo la stampa laggiù ... ora rilascio alcuni miei pensieri. 
- LA STAMPA: On. Bersani ha dato del fascista a Grillo, si sta levando una polemica che rischia di mandare a gambe levate tutta la sinistra (per pudore, i giornalisti si astengono dal dire ... se cade la sinistra noi leccaculi di professione che facciamo?). Persino Di Pietro prova a gettare acqua sul fuoco. Ma che c’azzecca? Che succede? 
- BERSANI: “Toni del genere non vanno mai usati e c'è anche una discriminante: se vuoi seppellirmi vivo vienimelo a dire e vediamo se me lo dici". 
- LA VOCE: con un bisbiglio ... oh santiddio!!! ... ma che sta a dì? 
Madonna mia! Questo è più fuori di Vendola! 
- LA STAMPA: Segretario si rende conto che questa sua dichiarazione ha i toni della sfida e che finirà per alimentare le polemiche? 
- BERSANI: "Non dò del fassissta a nessuno, inutile che facciano tutto questo chiasso e questi insulti perchè so benissimo che il partito nazionale fascista non c'è più, che siamo in altri tempi, non c'è bisogno che me lo dicano". 
- LA VOCE (che nel frattempo si era allontanata): …ma dove c… li prendono?
Son tutti uguali, prima Veltroni, poi sto pettinatore di bambole. 
Son tutti maniaci! Nel PD i segretari sembrano fatti con lo stampino! 


Vito Schepisi

02 agosto 2012

L'asse Vendola-Bersani



Se Bersani e Vendola scelgono: 
- di procedere con l'aumento della pressione fiscale e con quello della spesa pubblica, come se in Italia e nel mondo non fosse successo niente, e come se l'Italia non rischi di trovarsi al collasso; - se scelgono di mantenere rigido il mercato del lavoro e di concentrarsi su immigrazione ed omosessuali, come se tutto questo garantisca lavoro e sicurezza agli italiani; - se scelgono la demagogia, la fumosità, e persino di sostenere la spesa per omosessuali e immigrati, invece che per i bisogni delle donne, degli anziani, dei malati, dei bambini, delle famiglie (basterebbe farsi un giro in Puglia per capire);
- se scelgono la follia di ricominciare come prima e peggio di prima, ribaltando i valori del merito, dell'efficienza, dell'economicità, delle compatibilità;
- se scelgono il declino del Paese, seguirli sarebbe una follia.
E' necessario, invece, lavorare perché si riaffacci l'idea liberale di affrancare gli italiani dall'invadenza della partitocrazia e dell'ipocrisia.
L'Italia ha bisogno di un movimento che ricomponga sulla scena politica le scelte per le riforme, per la rivoluzione liberale contro le caste ed i poteri della burocrazia, per la trasparenza e la semplificazione della Pubblica Amministrazione, per la Legalità e la Giustizia di tutti, per rilanciare gli investimenti e lo sviluppo, per il lavoro e per i giovani, per l'integrazione del suo territorio.
L'Italia ha, infatti, bisogno d’investimenti, di sviluppo e lavoro, non di fumosità e di tasse per finanziare i costi degli abusi, degli sprechi, delle furbizie, dei fannulloni e della partitocrazia.
L'Italia non ha, invece, bisogno di immergersi in un confronto di generi, né di modificare il concetto di famiglia, né di distribuire privilegi economici, né di incoraggiare l'ostentazione di vizi e volgarità, né di diventare una Nazione senza una sua identità e senza una sua cultura e senza il patrimonio delle sue tradizioni millenarie.
L'Italia è si Terra di accoglienza, ma non Terra di conquiste e di mutazioni etnico-politiche della sua origine.

Vito Schepisi