30 giugno 2008

La paura smorza la voce degli uomini

Sulle misure per la sicurezza c’è chi lancia allarmi contro le nuove norme e ne mette in discussione la compatibilità con i trattati internazionali, la normativa europea ed i principi universali dei diritti degli uomini. Sono per lo più evasioni dalla logica di un’opposizione a corto di argomenti più seri. Si dispiega così il festival degli equilibrismi interpretativi, conditi di vere e proprie bufale, come quella del presunto contrasto con le direttive comunitarie sulle impronte digitali ai nomadi, minori compresi. La recente direttiva europea, al contrario, indica tra l’altro proprio l’adozione di questo provvedimento.
Addentrarsi su questo percorso, e cioè nel guardare all’interno della casa del vicino per sentirsi cautelati nel rispetto di ciò che può apparire, sembra, però, un esercizio del provincialismo di certa politica italiana.
Sarebbe auspicabile, invece, un Paese cosciente delle proprie esigenze e capace di risolvere i suoi problemi in autonomia, senza scimmiottare ciò che fanno gli altri, soprattutto se non sempre possono essere presi ad esempio. Il faro ovviamente deve essere la garanzia del rispetto umano e dei principi di solidarietà e di convivenza civile, ma anche della libertà di tutti di sentirsi cautelati e protetti dalle istituzioni pubbliche.
Lo Stato deve pretendere da tutti il reciproco rispetto. I cittadini devono avvertire la certezza della sua presenza, anche nella funzione di arbitro delle difficoltà sociali, per iniziative di buon senso ma anche e soprattutto per indurre al rispetto delle leggi. Le Istituzioni devono essere, inoltre, garanti dei diritti di ciascuno, anche, e forse soprattutto, di coloro che hanno la cittadinanza italiana e che contribuiscono attraverso l’imposizione fiscale al mantenimento della coscienza nazionale e della sua organizzazione politica.
Non è possibile pretendere che lo Stato abdichi a questa fondamentale funzione. Non è possibile continuare, com’è stato nel passato, che in nome dei principi della solidarietà e dell’accoglienza dei diseredati, si possa chiudere uno o tutti e due gli occhi dinanzi a questioni che mettono in discussione le origini, la cultura, le tradizioni, le abitudini, la qualità della vita, la decenza, la tranquillità e la sicurezza delle nostre famiglie, delle nostre donne, dei nostri figli, dei nostri concittadini. Questo non è possibile e non può essere consentito!
Il provincialismo non aiuta soprattutto quando non riesce a vedere le questioni nella loro complessità. E’ capitato persino che da altri paesi, ad esempio dalla Spagna, arrivassero richiami preoccupati verso alcune norme sull’immigrazione clandestina. Le iniziative parlamentari della maggioranza italiana, ritenute, su sollecitazione di ambienti della sinistra italiana, rigide e repressive, dovrebbero invece essere giudicate blande e garantiste, se paragonate ai modi del paese iberico che, retto da un primo ministro indicato come esempio per la sinistra italiana, è arrivato addirittura ad usare le armi per respingere gli immigrati alle frontiere.
L’Italia per la sua umanità e per la tolleranza della sua gente in tutti i tempi, anche quelli bui dei conflitti e delle occupazioni coloniali, non ha mai dato adito a sospetti di comportamenti violenti, xenofobi e/o razzisti, al contrario di altri paesi europei che si fanno venire pruriti di buon senso e di civiltà in casa d’altri.
Non si pretende d’essere esempio per nessuno ma nello stesso tempo non si può pretendere che altri ci facciano scuola.
La questione è, né più né meno, in questi termini: esiste un problema sicurezza in Italia.
Se c’ è un evento delittuoso la polizia interviene per garantire l’ordine e la sicurezza. Lo fa in base ai principi generici dell’ordine pubblico, ma anche per il rispetto di apposite leggi che lo Stato italiano ha adottato per prevenire e reprimere il crimine e l’illecito, oltre che per cautelare la sicurezza dei cittadini.
Se c’è un problema di sicurezza e condizioni di invivibilità civile nei consessi urbani lo Stato ha così il dovere di intervenire per rimuoverne le cause.
Le Istituzioni pubbliche hanno così anche la facoltà di dotarsi delle leggi necessarie per arginare il fenomeno. E se questo è determinato dalla massa di immigrazione clandestina ha il diritto-dovere di fermarne il flusso.
Se per pubblica sicurezza sono adottate leggi limitative della libertà di ciascuno, come nel codice della strada, ad esempio, per limitare la velocità dei veicoli, causa di incidenti con morti e feriti, le limitazioni delle libertà non possono e non devono essere intese come limiti all’uguaglianza ed alla libertà personale, ma come argine all’uso indiscriminato della propria libertà che in alcune circostanze lede sostanzialmente il diritto all’incolumità degli altri. Questo è un fondamentale principio liberale che trova riscontro in ogni disputa filosofica sul confronto di etica e politica.
La stessa cosa è per l’immigrazione clandestina, con le leggi che la pongono come reato e/o come aggravante per i reati commessi sul territorio nazionale e per le norme, come il deposito delle impronte digitali per i nomadi, soprattutto allorquando è noto che in Italia esiste una tratta inumana e spietata per lo sfruttamento dei minori e degli invalidi.
I cittadini italiani hanno il diritto di sentirsi tranquilli nelle loro città.
Non avere timore è il bene primario e fondamentale di ciascuno perché senza terrore l’individuo è libero d’esprimersi e riscuote rispetto.
La paura, invece, smorza la voce degli uomini.
Vito Schepisi

27 giugno 2008

Chi vuol mortificare la speranza?


S’avverte nel Paese, tra la gente, un’aria di speranza. E’ come l’avanzare di una ritrovata fiducia. L’Italia sa di avere la storia più fantastica del mondo. Sa d’aver impresso un’orma indelebile sulla storia della civiltà. Ha dalla sua l’arte, la bellezza, la fantasia, l’estro, la tolleranza della sua gente.
Ha tutto per non lasciarsi andare, possiede nella sua cultura l’antidoto alla depressione, nelle sue immagini la pozione magica che ringiovanisce. Ha l’istinto vivo dell’essere più che la rassegnazione del comparire, come accade ai caratteri più forti che affrontano con coraggio ogni competizione.
Non manca ancora al Paese l’iniziativa e la voglia di scalare le classifiche e di essere tra i primi in tutti i campi. Dalla scienza, all’arte, allo sport, al gusto, l’Italia è la terra dove niente è impossibile e tutto ciò che accade non è mai per caso, ma per risultante di una straordinaria genialità.
La depressione agli umani si presenta quando s’avverte la sensazione di non avere speranze; quando sembra che nulla si sistemi e che i punti fermi vengano meno; quando si è trascurati dal prossimo; quando non si ha niente da dire e nessuna voce da ascoltare.
Perché l’Italia, allora, la si deve volere depressa? Perché non deve prevalere la fiducia? E perché non debbano emergere gli intuiti positivi della consapevolezza di una grande potenzialità?
Prodi è storia passata, ed anche D’Alema arranca alla ricerca della spocchia perduta. Veltroni è un’idea senza pensiero, ed anche la Rosy Bindi non se la tira nessuno. Persino la Jervolino è alla fine della sua corsa e Bassolino si appresta ad uscire sommesso dalla scena. Per bene che gli vada! C’è un olezzo che li sommerge tutti e non solo del marcio della spazzatura di Napoli. E’ un puzzo di vecchio, di stantio, di superato.
L’aria nuova è avvertita come una brezza che disperde il cattivo odore. Come una musica orecchiabile che si diffonde e fa ritrovare la gioia di ritrovarsi per le strade a vivere le nostre città e le nostre bellezze. C’è una voglia di stare tra la gente in allegria, senza timori, per riprenderci gli spazi che ci appartengono, nelle nostre piazze, tra i nostri monumenti che il mondo ci ammira e di cui siamo sempre orgogliosi
E‘ questa la sensazione dell’Italia che spera e che sa d’aver dinanzi tempi ed ostacoli difficili da superare. Non è solo il decreto sicurezza o il mutamento della mentalità fiscale del governo a restituire questa voglia, ma la fiducia nel nuovo che s’appresta a respingere la sclerosi di un’Italia imbrigliata dai feudi e dalle caste, dai riti consueti e senza senso, dai privilegi di pochi e dai sacrifici di tanti.
Anche Casini e Buttiglione non contano più niente nonostante si agitino nella gabbia in cui politicamente si sono rinchiusi. Non sono una grave perdita! Anzi, piuttosto più una liberazione!
C’è un governo che ha preso atto della fermezza degli elettori italiani nel voler superare, senza ipocrite gabbie ideologiche, le questioni quotidiane di tutti. Un’Italia sovrana che spinge a dirimere sulla questione della sicurezza le preoccupazioni di tanti, più che le richieste marginali dei presunti diritti violati di pochi.
Anche l’attenzione verso i beni primari, la prima casa d’abitazione, ad esempio, ma ancora l’aiuto agli anziani e le maggiori risorse ai lavoratori ed il ricorso al prelievo fiscale per vincere le speculazioni di petrolieri e banchieri, vengono interpretati dagli italiani come un segnale di grande disponibilità a voler discendere dai gradini della demagogia per vincere le sfide del recupero dell’equilibrio sociale.
Questo Governo non sembra disposto, come il precedente, a sperperare 10 miliardi di Euro per anticipare di 18 mesi (scalone-scalino) la data pensione ad una minoranza di lavoratori garantiti, a discapito di una quantità molto più rilevante di lavoratori privi invece di garanzie!
A questa aria di nuovo e di efficienza, però, non fa riscontro un clima politico soddisfacente.
Come in passato, quando si passa ai fatti ed alla gestione condivisa con gli elettori dei provvedimenti promessi in campagna elettorale, sembra sorgere la preoccupazione che l’efficienza che si vuole adottare possa smascherare il castello di menzogne sfornate.
C’è il terrore che si mostrino evidenti le contraddizioni di una politica della sinistra che, proponendosi progressista, finisce col respingere ogni riforma. Sembra che in Italia i ruoli siano invertiti e che le riforme siano spinte dai “conservatori” mentre la sinistra mostra di voler congelare tutto per mantenere integra la sua rete di poteri e di privilegi.
L’abbiamo visto con la “riforma” dello Stato!
La sinistra occupa le stanze buone della finanza e della editoria, degli enti a partecipazione pubblica e soprattutto quelle dell’ordinamento giudiziario.
Ed è proprio quella parte della magistratura militante che si ripropone puntualmente di sconfiggere con le trappole giudiziarie ciò che la sinistra non riesce a fare con la sua proposizione politica.
Si ha l’impressione che la sentenza di colpevolezza in primo grado di Berlusconi nel processo che lo vede coinvolto nell’ipotesi di corruzione dell’avv.to Mills sia già scritta. Come è anche fuori di dubbio la sua assoluzione in appello, per estraneità ai fatti, quando dovranno essere accolte le prove della difesa che i PM si sono rifiutati di acquisire.
Sembra una trappola politico-giudiziaria che deve far preoccupare. Una trappola che rappresenta un preoccupante “vulnus” alla democrazia.
Come poter credere così al dialogo con l’opposizione che la cavalca?
Si fa sentire la necessità di una radicale riforma della magistratura sulle linee ben note della separazione delle carriere, della responsabilizzazione civile e penale dei magistrati e della diversa disciplina dell’obbligatorietà dell’azione penale che sappiamo trasformarsi nella discrezionalità dei PM
Alla “luna di miele” del Governo con il popolo italiano si vuole, così, sostituire il “fiele” del conflitto.
Ancora una volta si vuole mortificare la speranza! Ma si riuscirà questa volta a restituire agli italiani un Paese normale?
Vito Schepisi

26 giugno 2008

L'uomo senza vergogna

Sapevamo che di lui non ci si poteva fidare. Sin da quando in televisione ad una puntata della trasmissione del compagno Fabio Fazio aveva dichiarato solennemente che l’esperienza da Sindaco di Roma sarebbe stata la sua ultima esperienza politica.
Non ci si poteva fidare per nessuna ragione di Veltroni.
E così l’hanno pensata in grande maggioranza gli italiani che nello scorso aprile, in numero di due su tre, gli hanno negato il voto.
Ora accade che, su di una relazione della Ragioneria generale dello Stato, sulla situazione finanziaria del Comune di Roma, in cui si sostengono conclusioni del tipo: “si può affermare, con tutte le cautele del caso, che il Comune di Roma versi in una situazione di grave difficoltà finanziaria” , il nostro parli di bufala mediatica.
Anche l’infantilismo della ricerca di responsabilità di altri ed i riferimenti ad altre situazioni diverse è sembrato così affine allo scarso spessore del personaggio.
Ambiva a governare il Paese, ma è stato sonoramente bocciato dagli elettori.
Non senza una ragione su cui dovrebbe riflettere!
Ma non si limita all’atteggiamento dell’alunno scoperto dalla maestra mentre si mangia la colazione dei compagni e che si discolpa affermando d’averne mangiata solo un poco e che succede anche nelle altre classi. Nell’ottica di una premeditata azione di confusione di numeri, infatti, e per ridurre la credibilità delle cifre riportate dai media, si sofferma persino a distinguere i debiti accertati dai debiti contratti ed in prossima scadenza, mentre sempre la Ragioneria dello Stato parla di complessivo debito contrattualizzato di 8,15 miliardi di Euro, ben più larghi del minimalismo di “Uolter” che si ferma, invece, a 6,8 miliardi di Euro. Come se l’importo più contenuto fossero solo noccioline.
Ed ai debiti di bilancio si devono sommare quelli strutturali, facendo apparire così realistica la cifra tra i 9 ed i 10 miliardi di euro di fabbisogno finanziario che è stata riportata su tutti i quotidiani nei giorni scorsi.
Nella relazione della Ragioneria dello Stato, inoltre, si legge anche che la tendenza è “al peggioramento, a politiche invariate, nel 2009 e 2010, esercizi sui quali si scaricherà sicuramente un maggior costo del debito”.
Che ci voglia piglio sfrontato e coraggio a contestare le cifre ben certificate è fuori discussione.
Un leader deve avere coraggio, ma il suo è il coraggio sbagliato, quello di coloro che non mostrano vergogna.
Ora il “modello Roma”, che il leader del PD vorrebbe difendere, è liquidato in modo lapidario e senza attenuanti dagli ispettori di un organo imparziale dello Stato. I limiti finanziari della sua amministrazione sono tutti in una relazione di 34 pagine, zeppe di cifre e di puntigliose analisi, e che si sofferma su indicazioni a dir poco illuminanti per comprendere quanto sia stato gratuito e fuori luogo l’aver indicato come corretta l’amministrazione della Capitale d’Italia retta dal Sindaco Veltroni.
Leggendo le conclusioni tratte dagli ispettori il quadro complessivo, senza retorica e senza sottolineature che farebbero presumere strumentalizzazioni di natura politica, risulta tutt’altro che confortante. “Si può dire con certezza – sostengono gli ispettori – che appare necessario invertire la tendenza inerziale del bilancio (ricorso all’indebitamento, ndr) poiché, ad avviso di chi scrive, le risultanze riportate indicano che, al momento, l’andamento delle entrate e delle spese non garantisce la sostenibilità finanziaria, nemmeno nel breve periodo”.
E’ per questo, per sopperire alle gravi difficoltà finanziarie, che il Governo nazionale per Roma ha stanziato 500 milioni di Euro!
Ed i conti di Veltroni li pagano gli italiani!
In un’azienda privata non sarebbe restata altra soluzione che portare i libri in Tribunale per dichiarare il fallimento dell’azienda.
Gli italiani sono stanchi di pagare i conti di questi amministratori!
Altro che notti bianche, feste e cottillons!
Mentre l’ex sindaco di Roma Veltroni dilapidava risorse fin quasi a condurre la capitale d’Italia al fallimento, a Roma hanno trovato giovamento una pletora di consulenti ed una miriade di società costituite in holding, ben 80 e con un numero di dipendenti, 34.000 circa, superiore a quelli del Comune stesso di Roma. I costi naturalmente sono andati tutti a carico della collettività e sono quelli che hanno contribuito a dilapidare le risorse.
Mentre ancora guitti ed artisti di strada, che hanno trovato nelle giunte di sinistra sempre mecenati generosi, si esibivano nelle feste spensierate dell’era Veltroni, la povera gente tirava la cinghia per arrivare a fine mese e si barricava in casa per la paura della microcriminalità.
L’aspetto allegro delle feste e della spensieratezza è stato persino un contrasto troppo forte con le periferie degradate, con la violenza sempre presente nelle borgate, con l’invasione di irregolari dediti allo scippo, al borseggio, alla molestia.
Per essere un modello da imitare forse serviva ben altro alla nostra capitale che non la sventura d’essere amministrata per 16 anni da giunte di sinistra.
Ed il signor Veltroni, invece di menar fendenti a destra ed a manca, faccia una riflessione seria e si vergogni.
Non sarà mai stato comunista, come impudentemente afferma, ma la faccia tosta ce l’ha!
Vito Schepisi

24 giugno 2008

La deludente Assemblea del PD


Ma i componenti la Direzione Nazionale del PD si contano o si pesano?
Se il valore è rappresentato dal numero, si potrebbe dire che fuori non ne sia rimasto nessuno. Quelli che ci sono, però, non sono adeguati per proporsi alla guida del Paese. Se invece si pesano il risultato è quello che conosciamo: a parte i portatori di tessere, ed i capi locali e nazionali di DS e Margherita, c’è ben poco d’altro!
Anche l’illustre ed “ingrato” ideatore di questo nuovo partito ne fa parte, in quanto membro di diritto assieme a coloro che hanno rivestito incarichi di presidenza di Consiglio, Camera e Senato. Non ne fanno parte, però, gli ex presidenti della repubblica. Strano! L’hanno detto a Scalfaro? Che sollievo per tanti, però!
Una direzione di partito? Sembra più un assemblea legislativa!
Le direzioni politiche si è abituati a pensarle più ridotte e più essenziali. E’ numerosa quanto una camera legislativa di alcuni paesi con una rappresentanza parlamentare meno pletorica di quella italiana. L’Assemblea Nazionale di questo pachiderma politico, infatti, ha eletto ben 120 membri della sua direzione, ma quanto è a sua volta ancor più pletorica questa assemblea? Tanto valeva cooptarsi per intero!
A questi 120 componenti eletti si aggiungono venti personalità nominate dal segretario, cioè da Veltroni, 5 nominati dall’organizzazione giovanile, non ancora costituita, ed ancora una nutrita pattuglia di membri di diritto in quanto presidenti di commissioni, vice presidenti delle assemblee parlamentari italiane ed europee, capi e vice capigruppo nel parlamento italiano ed europeo, persino presidenti e relatori delle commissioni costituenti il PD.
Dispiace un po’ per le “veline” rimaste fuori!
L’osservazione che nasce spontanea è che anche la volontà dell’assemblea conta poco perché, se esprimesse una maggioranza di membri eletti in direzione, questa maggioranza può essere facilmente ribaltata dai componenti cooptati.
E che dire del segretario che nomina ben 20 componenti la direzione? E se gli venisse il complesso di Caligola?
Ciò che per di più convince ancor meno è che il PD, a detta dei suoi fondatori, doveva essere un partito che nasceva dalla base della sinistra democratica. Non una somma di diverse e preesistenti macchine partitiche organizzate, ma una spontanea iniziativa dei sedicenti progressisti e riformatori italiani che si proponevano di mettere da conto le vecchie gabbie di un tempo e di aprirsi al confronto di una politica di ampio respiro, vicina ai problemi del Paese, alle sue esigenze, al ripristino della legalità.
Doveva essere un movimento politico proteso verso il recupero mediato di alcuni valori da inserire in una società multietnica, multiculturale e per larghi tratti persino eticamente diversa.
Si proponevano, insomma, di far sviluppare dal basso le espressioni di una democrazia laica, partecipata, aperta, progressista, rispettosa dei sentimenti popolari ed attenta a non emarginare le diverse tensioni religiose. Si è finito invece col consentire che su poltrone e seggiole fossero depositati i cappelli dei soliti mestieranti.
Tutte chiacchiere e manfrine sostengono in molti, e tra questi anche un consistente numero di italiani che hanno creduto in questo progetto. Le solite finzioni di coloro che dinanzi alla crisi propositiva della sinistra, incapace di indicare nuovi modelli sociali di riferimento, si inventano accattivanti contenitori, sostengono invece coloro che da tempo pongono l’attenzione sulle contraddizioni che emergono e che si sono manifestate sin dalla nascita del nuovo soggetto politico. Dai passi finora compiuti è evidente che a questi ultimi non si possa proprio dar torto.
Il passo falso più clamoroso è stato compiuto alla vigilia dell’ultima tornata elettorale, quando tra i socialisti di Boselli ed i giustizialisti di Di Pietro, i “democratici” del PD hanno scelto questi ultimi.
E’ come se i democratici nel ’22, tra Mussolini e Turati, avessero scelto Mussolini. E’ tutto dire!
Il PD sembra lo spazio del possibile dove, per caratteristica identitaria prevale la confusione totale. Ancora oggi, a distanza di circa 8 mesi dalla sua nascita, sono ancora in tanti a non aver compreso su quali ispirazioni trae le sue fondamenta e dove vuole arrivare, oltre che alla conquista del potere.
Fossero, però, solo i numeri pletorici di una direzione i problemi! Le contraddizioni che preoccupano sono soprattutto quelle politiche. Nel PD coesistono una miriade di correnti e di feudi personali assieme a strategie politiche differenti. Tante per cui emerge spontanea la richiesta di sapere da dove traggano le risorse economiche per reggerne l’organizzazione.
Quello dei finanziamenti alla frammentazione politica resta un percorso della trasparenza da esplorare ancora. Finanziamento pubblico? Finanziamento alla stampa politica? E’ un mondo da rivisitare, perché c’è anche chi non gradisce sapere che una parte degli euro che il fisco preleva finisca per finanziare, ad esempio, “italianieuropei” di D’Alema o i valori immobiliari di Di Pietro.
Sui quotidiani, tra le lettere dei cittadini che protestano, si legge di tutto, come ad esempio se sia possibile sottrarre dal pagamento del canone rai una percentuale corrispondente al costo delle trasmissioni di Santoro. Anche con i finanziamenti ai partiti si dovrebbe fare come con l’otto per mille. Potrebbe essere una soluzione! Forse solo così, per guadagnarsi le firme nell’apposito spazio, la politica si troverebbero costretta a rispettare la volontà degli elettori!
Vito Schepisi

23 giugno 2008

L'opposizione dei magistrati

Le democrazie si reggono su regole condivise. Quando le regole non lo sono accade che diventi difficile assolvere a tutti i compiti di uno Stato democratico senza fermenti e senza che vi siano disconoscimenti e riserve di legittimità.
Che ci sia una parte del Paese incline ad andare fuori delle regole e che le reclama solo per garantire le prerogative della propria parte politica è evidente. Ma ciò che preoccupa è che non sia rappresentata esclusivamente dai movimenti massimalisti ed ideologicizzati. Altra parte, infatti, è costituita da gruppi politici che hanno raccolto sia il malessere antisistema di stampo “fascista” o “marxista” (che poi sono la stessa cosa) dell’intolleranza e sia quello dell’antipolitica furba di una certa sinistra, per intendersi alla Grillo ed alla Santoro.
Quest’ultima corrente fa breccia nel PD per condurlo alla lotta cieca ad oltranza su una presunta illegittimità del leader del PDL che ha raccolto, come è normale in una democrazia, la maggioranza dei voti nel Paese. Normale sarebbe pure che fosse messo in grado di governare e rispettare il mandato che il popolo ha voluto affidargli. Anormale sarebbe, invece, l’intervento di ordinamenti dello Stato scesi in campo, ostentatamente, a dar man forte all’opposizione contro iniziative che sono avvertite forse più dalla popolazione che dalla politica.
La sicurezza, l’efficienza dei servizi, la certezza della pena, la riduzione dei tempi dei processi, come le questioni fiscali, salariali, la sanità, le regole sull’immigrazione, la soppressione di quella clandestina, sono, ad esempio, problemi che gli italiani vivono sulla propria pelle da tanto tempo, per poter comprendere e condividere gli interventi di coloro che sulla base della lettura, spesso faziosa, degli articoli della Costituzione o di altri principi europei o internazionali vanno alla ricerca di ragioni di ogni tipo per bloccare il processo di cambiamento del Paese.
Inutile dire che questo cambiamento è richiesto a gran voce da coloro che sono sovrani anche dei loro ordinamenti e delle regole per la loro attuazione. Si dice sempre, infatti, che il popolo sia sovrano ma quando si tratta di rispettarne i voleri c’è sempre chi è disposto a dimenticarsene. Anche la Giustizia si pretende sia resa in nome del Popolo e non dei magistrati o tanto peggio dei loro referenti politici. Ma non sempre è così!
I magistrati che firmano appelli, che prendono cappello e lo posano su scanni impropri, che ritengono di dover essere garanti delle istituzioni e che si azzardano in deliranti proclami, scendano in politica, se ritengono di poter e dover offrire il loro “esclusivo” contributo, e si confrontino sui problemi del Paese, magari in modo diverso da Di Pietro, che fa solo ciò che può e sa fare: il torvo inquisitore.
L’opposizione avrebbe il compito di pungolare, osservare, proporre alternative. Tutto dovrebbe essere finalizzato a risolvere le questioni. In un modo o nell’altro, ma a risolverle. Non sempre, però, si ha l’impressione che sia così ed a chi non è abituato a presupporre che il “fattore B” sia inadeguato per principio e senza alcun beneficio di controprova, accade di restare allibito nell’osservare quanto cinica e sconclusionata sia un’opposizione che concorra unicamente a rendere il Paese ingovernabile.
Ma il popolo è davvero stanco d’essere preso per il “lato B”! Perché l’alternativa è l’immobilismo in cui le caste bivaccano allegramente a spese ed a danno del Paese e della sua immagine.
Far ricorso, come abbondantemente faceva un grande giornalista scomparso di recente, all’episodio del marito che per far dispetto alla moglie si evirava, può sembrare ormai superato per quanto sia oramai diffusa l’opinione che le mogli d’oggi, coi liberi costumi, abbiano ampie possibilità di cercare fuori di casa ciò che non arrivassero a ricevere dal marito, ma ricordare il metodo togliattiano del “tanto peggio tanto meglio” può assolvere egregiamente l’immagine di un’opposizione trascinata per convenienza politica, per ridicola concorrenza, per timore d’essere scavalcata a coltivare l’istinto canaglia di far del male al Paese.
La madre di tutte le questioni, come sempre, è la giustizia. E’ dal 1994 con l’avvio di garanzia a Napoli al leader del centrodestra, vincitore a sorpresa delle elezioni politiche di quell’anno, che una parte della magistratura italiana ha sotto mira chi ha impedito alla sinistra post comunista di occupare il Paese. Vanamente sotto mira perché 14 anni di accuse lo vedono ancora a quel posto e più determinato di prima.
Il Presidente Cossiga è una persona estremamente intelligente e straordinariamente incorreggibile, ed è colui che ha detto, senza peli sulla lingua, come è sua abitudine, che oggi il Ministero della Giustizia è il luogo più a rischio d’Italia. Se non t’allinei alla casta dei magistrati t’arrestano la moglie. Figuriamoci, ci mettono davvero poco! L’hanno fatto con Mastella che a molti è sembrato sufficientemente allineato!
E’ necessario, invece, restituire agli italiani l’autorevolezza delle scelte indicate. La Magistratura da ordinamento della Repubblica non può trasformarsi in controparte del potere esecutivo. Deve essere, invece, uno strumento delle Istituzioni per offrire certezze e garanzie a tutti i cittadini, senza distinzioni di censo, di origine, di religione, di militanza politica.
La magistratura deve essere indipendente soprattutto dall’influenza degli altri poteri dello Stato e tenersi fuori, in quanto a presidio di un diverso ed autonomo ordinamento, dagli strumenti democratici che concorrono alla formazione del potere politico e legislativo. Quest’ultimo, infatti, grazie al mandato popolare, è il solo che è investito del diritto-dovere di formulare ed emanare i provvedimenti che attengono la gestione, le regole e le scelte che approvate in Parlamento diventano l’insieme di leggi che l’intero Paese ha l’obbligo di rispettare ed il cui esercizio è disposto, come nelle aule dei tribunali, in nome del popolo italiano.
Vito Schepisi

19 giugno 2008

L'inganno del PD



Nello scorso autunno, quando alle primarie del PD milioni di italiani hanno scelto Veltroni per la leadership del nuovo partito della sinistra post comunista, diessina e post democristiana, sono stati in molti a sostenere che si trattava, più che di una scelta, di una nomina stabilita a tavolino dai maggiorenti delle maggiori componenti del nuovo soggetto politico.
Altri candidati, ad esempio Bersani del PD, erano stati persino invitati a desistere.
La scelta riveniva dalla constatazione del clamoroso fallimento dell’esperienza del governo Prodi e dal pesante calo del gradimento degli italiani verso un leader che aveva promesso tanto, tra l’altro la felicità degli italiani, ma mantenuto molto poco.
A sinistra dovevano inventarsi qualcosa, magari mitizzare una svolta epocale in cui le componenti cattoliche e post marxiste, una volta antagoniste, divenissero un unico soggetto politico contro l’alternativa popolare, liberale e riformatrice rappresentata da Berlusconi.
Prodi era diventato insostenibile. Un numero sempre più grande di elettori caduti nella trappola elettorale del centrosinistra ne prendeva le distanze. I sondaggi stabilivano diverse motivazioni di distacco tra la maggioranza e gli elettori dell’Unione: delusione delle aspettative politiche; consapevolezza di aver sbagliato scelta; timori d’essere stati ingannati; l’essersi trovati a dover subire un’iniziativa politica confusa e contraddittoria.
E’ emerso così, in tutta la sua specificità, che le maggioranze si formano sulle opzioni dei cittadini, si formano per realizzare servizi utili per tutti, si formano per fornire garanzie e sicurezza.
Non si formano maggioranze contro qualcuno, come ha preteso di fare il Professor Prodi.
Gli italiani avevano persino creduto alle bugie della sinistra e di una stampa compiacente sul disastro economico dell’uscente governo. Erano stati indotti ad ignorare che, in periodo di recessione, il governo di centrodestra aveva invece incrementato l’occupazione, aumentato il numero delle imprese, esteso la base imponibile pur riducendo la pressione fiscale, messo mano alle grandi opere per modernizzare e rendere più efficiente il Paese, varato importanti riforme ed, infine, creato i presupposti per la crescita, come si è visto già nel 2006.
L’Italia produttiva, i giovani, gli operai, i lavoratori con l’avvento di Prodi avevano constatato sbigottiti, che pur in presenza della ripresa dei mercati, il Governo e la sua maggioranza di sinistra invece di cavalcare le politiche per lo sviluppo ne demolivano le basi, invece di attuare una politica per la fasce sociali più deboli ne demolivano il potere di acquisto, invece di attuare una politica per i giovani salvaguardavano i privilegi di minoranze sindacalizzate.
Veltroni era a quel tempo il Sindaco della Capitale d’Italia dove si diceva che si fosse sviluppato un nuovo modo di gestire ed amministrare. Veltroni emergeva come l’uomo della nuova politica, l’uomo della provvidenza per la sinistra sedicente democratica.
Il Sindaco di Roma era così l’immagine della diversità in un paradossale equivoco principio di continuità con Prodi.
Il leader delle diverse fasi delle trasformazioni della componente marxista italiana, fingendo buonismo e volontà di dialogo, aveva inteso riscattarsi del suo passato comunista. Preso dal furore di apparire più che di essere, l’uomo che aveva militato nel pci, anche con incarichi di responsabilità e di rappresentanza popolare, iscritto con tanto di tessera, è arrivato persino a sostenere di non essere mai stato comunista.
Questi sofismi riescono persino bene alla sinistra perché, in Italia, trova un terreno fertile di militanti che non chiedono di meglio che di essere ingannati. Riescono peggio, però, a distanza di tempo quando i nodi vengono al pettine.
C’è sempre infatti un limite all’inganno e quando il limite viene superato si rischia il patetico.
La coerenza vale anche per le regole della democrazia dove si spaccia, ad esempio, per indicazione del popolo delle primarie un candidato che è espressione, invece, di una decisione dei vertici: sostituire l’ormai impresentabile Prodi con Veltroni.
Si voleva così capovolgere l’immagine dell’incapacità di esprimere una seria maggioranza di governo con un’altra in cui questa immagine si voleva ben costruita, anche se, a ben vedere, è stata solo un’immagine falsata perché Roma, oltre ad essere stata lasciata nel degrado, affoga nei debiti stimati per circa 10 miliardi di Euro.
Un importo che vale una finanziaria dell’intero Paese!
L’immagine che l’opposizione denunciava di una Roma dei palazzinari e degli artisti di strada, di una Roma sprecona dove si finanziava di tutto e di più, meno ciò che tornava utile ai romani, si è invece palesata molto più grave e pesante di ogni immaginazione. Ed il successo di Alemanno contro Rutelli è stato il grido di allarme di una Roma preoccupata e delusa.
Vengono persino derisi e tacciati di fobia anticomunista coloro che sostengono che un comunista, abituato a sostenere la prevalenza del partito sulla ragione non riesca mai a nascondere a lungo il suo passato e soprattutto non riesca a sopire le tentazioni del massimalismo e della criminalizzazione degli avversari politici. Cosa che puntualmente avviene oggi con la metamorfosi di Veltroni.
Puzza di arroganza la sua pretesa di lanciare ultimatum. Vada per le difficoltà interne al PD, per la concorrenza di Di Pietro con una opposizione assillante e di stampo stalinista e per le nuove batoste alle amministrative in Sicilia. Ma un leader se non ha moderazione e non riesce ad essere autorevole nel suo partito non avrà mai la tempra per essere un leader nel Paese. Un leader non ha bisogno di pretesti per mutare strategia politica. Una opposizione seria non strumentalizza i provvedimenti della maggioranza, ma propone soluzioni alternative che abbiano lo scopo di dar esito ai problemi avvertiti dai cittadini.
Quella della cagnara è un’opposizione ignorante, velleitaria, intollerante. Non meraviglia in Di Pietro, ma questi di sinistra non avevano annunciato invece una conversione democratica!
E’ inutile che si voglia spacciare per democrazia la pluralità di voci. Una linea politica può essere discussa ma alla fine deve trovare un percorso credibile, in cui un partito si compatta e converge. Il PD, invece, sembra un minestrone di voci e s’avvia su di un percorso pieno di insidie. Il Partito di Veltroni mostra di soffrire la concorrenza dell’alleato Di Pietro, impegnato prima delle elezioni a far gruppo unico col PD ed ora interprete dell’ opposizione più becera e massimalista.
E’ un’altra la strada per conquistare il consenso della maggioranza moderata degli italiani e Veltroni sembra che si sia dimenticato che senza il consenso di quella fascia di pensiero del Paese non si va da nessuna parte.
Le conversioni quando avvengono in campagna elettorale puzzano d’inganno.
Vito Schepisi

12 giugno 2008

Roma sotto assedio

Quanto ci costa la visita di Bush a Roma!
Ed il costo non è solo in termini economici, per il dispendio di risorse per garantire la sicurezza al Presidente americano, ma anche per i disagi alla città ed ai suoi abitanti. E non sono da trascurare le difficoltà create ai turisti ed agli operatori economici. Per taluni sarebbe facile affermare che per i romani e per l’Italia sarebbe stato meglio che Bush fosse rimasto a casa sua!
Ma quanto ci costerebbe invece non essere un paese normale e tollerante? Se l’Italia fosse un Paese dove non si possa garantire ad un capo di stato straniero di incontrare le autorità politiche insediate, il costo in termini di affidabilità e di civiltà democratica sarebbe di gran lungo più oneroso.
In fin dei conti la diplomazia consente, pur con i dovuti distinguo previsti dalle consuetudini e dai cerimoniali, di dover ospitare anche i leader mondiali più problematici ed inquietanti. Anche Fidel Castro è stato ospite a Roma, anche Ahmadinejad pochi giorni fa è stato presente nel nostro Paese per la conferenza della FAO. Ma quando è il turno di Bush, tutto è più complicato. Si scatenano gli istinti più dirompenti. A Bush c’è chi vorrebbe attribuire ogni male e la responsabilità di tutte le difficoltà del mondo. C’è chi impedirebbe volentieri la sua visita a Roma!
Bush è repubblicano, il partito avverso al partito democratico negli USA, quello dei Clinton ed ora degli Obama. Con i democratici “si può fare” ma con i repubblicani, per la sinistra italiana, non si può. Strano ma negli Usa questa differenza radicale non è sentita! Finita la campagna elettorale, democratici e repubblicani sono tutti cittadini degli Stati Uniti d’America. In Italia, però, non è così!
Anche per la tragedia delle Twin Towers a New York, mentre negli Usa la memoria resta forte ed indissolubile, in Italia c’è chi vorrebbe che fosse dimenticata come se fosse una circostanza retorica passata e priva di attualità. Anzi da noi c’è chi spera che nel tempo la verità storica possa essere modificata per attribuire all’Amerika, con la kappa, la responsabilità della tragica morte di quei cittadini inermi (circa tremila). Sono emersi coloro che sostengono che ci sia stato un complotto, naturalmente israelita-americano. C’è chi vilmente, poco dopo la tragedia, per nascondere la soddisfazione e attenuare l’emozione del mondo ha lavorato per delineare una strategia complottista, dicendo di solidarizzare con il popolo americano ma nello stesso tempo demonizzando la sua conduzione politica. Bush non si era ancora insediato alla Casa Bianca: non si osa immaginare cosa sarebbe accaduto se fosse stato stabilmente in carica!
La malafede, però, non ha freni e neanche limiti razionali e si coniuga perfettamente con la stupidità. Bush è intervenuto con il consenso di tutta la comunità mondiale in Afghanistan. Ha contribuito a liberare quel Paese dalla morsa soffocante dei Talebani. E’ intervenuto per comprimere le attività criminali di Bin Laden, costringendolo a limitare le sue strategie di diffusione del terrorismo nel mondo, dopo avergli tolto lo spazio operativo in cui liberamente operare. E’ intervenuto in Iraq per liberare quel Paese dal terrore di Saddam Hussein e della sua famiglia. L’Iraq si è così liberato di un uomo che, a capo di una cricca di criminali senza scrupoli, costringeva col terrore il suo popolo alla fame ed alla paura. Saddam era considerato un uomo privo di ogni briciolo di umanità, un cinico dittatore che reprimeva nel sangue ogni grido di speranza.
Si potrà discutere sull’intervento armato senza il mandato dell’ONU, ma si dovrebbe discutere anche sulle circostanze che hanno fatto credere a Saddam di poterla far franca e fra queste la posizione della Francia di Chirac, in affari con il leader iracheno e della Germania di Schroeder che ha utilizzato l’opposizione all’intervento armato degli USA per ribaltare il suo scarso consenso elettorale. Ma anche i movimenti di sinistra in Italia ed in Europa, che più che essere per la pace erano contro Bush, sono stati utilizzati da Saddam, in un cinico calcolo, a suo sostegno.
L’ipocrisia della sinistra si sposa in seconde e terze nozze con il cinismo e la doppiezza. Sappiamo che non è una novità. Da sempre è così!
La loro arcigna stupidità e malafede ha voluto poi far passare per sostegno alla guerra di Bush anche la missione di pace italiana a Nassyria, apprezzata invece dalla popolazione locale. Commentare poi gli slogan e le scritte sui muri delle città italiane “10, 100, 1000 nassyrie” non soltanto è stomachevole ma anche manifestamente illuminante. L’odio che traspare è tale da far ritenere reiterabile il sacrificio dei nostri militari, in quanto assimilabile alle manifestazioni del loro sedicente pacifismo.
Anche la questione del nucleare iraniano, con le minacce verso Israele del presidente del Paese simbolo del fondamentalismo islamico, vede gli USA impegnati da mesi a trovare una soluzione in linea con le risoluzioni ONU, respinte invece da Ahmadinejad, per evitare che nell’area mediorientale l’Iran possa rappresentare motivo di destabilizzazione e di minaccia.
La sinistra alternativa a Roma protesta, organizza cortei, impegna forze dell’ordine e mezzi di terra e di aria per garantire al Presidente degli Usa la sicurezza e la legittimità dei contatti diplomatici tra Paesi impegnati a garantire e difendere la convivenza civile dei popoli.
Protestare è legittimo, anzi è necessario perché in tal modo si possano esprimere tutte le idee diverse. Ciò che invece si vorrebbe che non ci fosse è la sensazione di pericolo e la necessità di dover garantire la sicurezza attraverso un enorme utilizzo di risorse, umane e strumentali, per difendere ciò che ogni democrazia dovrebbe garantire. Discutere e confrontarsi con lealtà e moderazione, infatti, è segno di libertà e di civiltà.
Vito Schepisi

10 giugno 2008

L'Italia delle intercettazioni

L’Italia sembra sia la nazione in Europa in cui prevalga il malaffare. Dagli altri paesi europei, Germania ed Inghilterra avanti a tutti, puntualmente ogni anno il Bel Paese viene descritto come una terra dove regna l’illegalità ed in cui cosche mafiose, scippatori, rapinatori, truffatori ed imbroglioni sguazzano senza controllo.
Siamo ogni anno a difenderci da vere e proprie campagne di diffamante disinformazione, soprattutto per salvaguardare l’afflusso turistico verso le nostre città, che rappresentano un patrimonio unico al mondo di arte e di cultura, e che è fonte importante per la nostra economia.
L’Italia è anche il Paese più volte condannato dalla Corte europea per la lentezza dei processi civili e penali. Nel nostro Paese sono state focalizzate carenze, nella formazione dei giudizi, che finiscono col privilegiare il crimine e carenze che, invece, privano i cittadini dei loro diritti alla giustizia o che ne compromettono salute ed interessi economici.
Si sono verificate situazioni in cui persone innocenti sono state dimenticate nelle carceri, altre privati della libertà sulla base di testimonianze di pregiudicati pentiti, gestiti da magistrati quanto meno poco scrupolosi. Ci sono persino stati nel passato cittadini arrestati e mantenuti in detenzione in attesa di essere interrogati da taluni magistrati che, senza curarsi della condizione di uomini privati della libertà, hanno preferito andarsene in ferie anziché interrogare l’imputato. E’ accaduto così che una persona potesse essere gestita come una pratica da esaminare al rientro dalle vacanze, e che per alcuni magistrati il diritto alle ferie potesse essere una prerogativa inalienabile attribuita in esclusiva.
In Italia tra comitati di affari, logge deviate, cupole e quant’altro funzionale ad allungare le mani sul pubblico denaro, sottratto oltre ogni misura attraverso la leva fiscale ai cittadini inermi, abbiamo un primato invidiabile, tale da poter competere con le agguerrite dittature latino-americane.
Un best seller dello scorso anno in Italia è stato il libro “La casta” di Sergio Rizzo e Gian Antonio Stella in cui vengono descritti gli sprechi, gli interessi, gli abusi, i privilegi e le ingiustizie nel Paese. Ed ora pare che la giustizia sia legata esclusivamente alla curiosità di magistrati e funzionari di polizia nell’ascoltare l’effluvio di parole che in Italia si diffonde attraverso le linee telefoniche. Un Paese dove il malcostume nasce dalle istituzioni, dagli ordinamenti, dai servizi e dalla classe politica, ed in cui s’avverte la complicità silente ed interessata di cittadini, conniventi e tronfi della loro arroganza, nell’esercizio di una piccola fetta di potere a loro riservata.
Il nostro è il Paese dei sospetti e delle insinuazioni. Ogni cittadino che in un periodo anche remoto della propria esistenza sia stato in contatto con uno o più persone che in seguito, anche a distanza di decenni, sia stato coinvolto in gestioni di malaffare può essere tranquillamente, e senza possibilità di difendersi, indicato come amico, connivente e socio di mafiosi.
Accade anche che la televisione del servizio pubblico, volentieri e con grande indifferenza, si sostituisca alle aule di tribunale per celebrare processi. Capita che a volte sia presente una sola parte, e quando anche lo sia la controparte, essa è rappresentata in modo del tutto sbilanciato. Col conduttore che ammicca al “pubblico ministero”, che arringa, toglie la parola e conduce verso un’unica direzione, che la fa insomma da padrone e si compiace dell’impresa. Le trasmissioni dei tribunali mediatici si esauriscono così senza una sentenza, ma lasciando alla giuria popolare, gli telespettatori, l’erogazione di un giudizio che appare scontato.
Sui giornali nel frattempo si leggono le frasi lascive di personaggi più o meno noti, i commenti peccaminosi, le pruderie di un’Italia per molti versi marcatamente provinciale. Si leggono confidenze di uomini in vista, persino minacce profuse o fantasiosi progetti politici, manie di grandezza, megalomanie di ogni tipo, segnalazioni, raccomandazioni, pettegolezzi ed opinioni su uomini e cose. Le intercettazioni vengono fornite come eventi eccezionali e con gran dovizia di particolari, a volte estrapolati più da fertili fantasie che da fatti reali o propositi realizzabili. Eccezionali, però, gli eventi lo sono perché quelle chiacchierate intercettate non dovrebbero essere riportate sui giornali ma, se giuridicamente rilevanti, negli atti processuali e, se invece privi di consistenza processuale, cancellati e distrutti.
Ma anche espressioni di rilevanza giuridica andrebbero analizzate nel contesto e non prese nella loro parzialità. Come, ad esempio, se non capitasse tutti i giorni di sentir dire a qualcuno frasi sconclusionate e senza senso in un contesto di scherzo, di irritazione, di pettegolezzo. Quanti reati di omicidi e di lesioni personali in più ci sarebbero per tutte le volte che si sente dire a qualcuno “a quello lo ammazzo” ovvero “gli spezzo le gambe” o ancora “gli stronco la carriera”, “lo mando in rovina” ed altro ancora?
Poi ci si chiede come mai in Italia ci sia tanto malaffare! Se si perde tempo e risorse per correr dietro ai pettegolezzi o agli improbabili teoremi giudiziari!
Se in Italia la giustizia impiega un terzo delle sue risorse per le intercettazioni, da queste dovrebbero provenire validi sostegni nel rendere giustizia. I benpensanti oserebbero persino sperare che servano a sconfiggere definitivamente il tormentone, che viene propinato all’estero, dell’Italia insicura e pericolosa.
E se in Italia tutti i soggetti a rischio sembra che siano sottoposti ad intercettazioni telefoniche (centomila soggetti posti sotto controllo non sono poca cosa), come mai dei presunti corrotti e malversatori in carcere non finisce mai nessuno?
E se quello delle intercettazioni fosse un perverso giocattolo nelle mani di magistrati annoiati?
E se le intercettazioni servissero a ritagliarsi uno spazio in quella casta in cui il potere si misura nella pratica dell’interdizione e del ricatto?

Vito Schepisi

04 giugno 2008

"Uso perverso della legalità"

Sull’ultimo numero di Panorama c’è una frase di Giuliano Ferrara, nella rubrica l’arcitaliano, su cui varrebbe la pena di soffermarsi: “Che la magistratura sappia talvolta fare un uso perverso della legalità è in questo Paese da tempo un vecchio sospetto di minoranze liberali”. Il riferimento di Ferrara è alla tempestività della magistratura nel porre ostacoli allo sviluppo di attività amministrative e politiche. Come se ci fosse un partito dei giudici interessato a mantenere il paese in uno stato di conflittualità politica e sociale.
Ancora una volta - fa notare Ferrara - è quella campana e napoletana ad intervenire col rigore della legge, sebbene resti il dubbio che sia stato ben posto, per frammettere ulteriori difficoltà nello svolgimento di attività e provvedimenti dei servizi dello Stato e delle istituzioni.
Tanti in Italia e soprattutto a Napoli ed in Campania sperano che questa volta i provvedimenti adottati dalle autorità politiche siano utili al ripristino di una sufficiente normalità. C’è una volontà diffusa che siano respinti gli ostacoli dell’affarismo e della camorra e che siano respinte le strumentalizzazioni di una sinistra antagonista per definizione e, spesso, contro ogni ragione. C’è l’auspicio che siano portati al dialogo ed alla collaborazione i campanilismi trasversali di cittadini legittimamente preoccupati per tutte quelle emergenze che introducono tutti quei provvedimenti che, enunciati come provvisori, nel tempo si trasformano in stati di fatto permanenti.
Dal caso Tortora in poi non si può certo dire che i giudici a Napoli abbiano contribuito a rendere giustizia. E questa constatazione non è certo retorica, e quanto meno può sembrare un’opinabile vis polemica. I risultati, purtroppo, sono sotto gli occhi di tutti.
C’è stato anche chi ha provato a porre ordine e disciplina in una Procura che - traendo spunto dalla immondizia di Napoli - può essere definita come un pantano maleodorante. Il Procuratore Cordova, però, è stato posto nelle condizioni di lasciare. Il magistrato, noto per la sua inflessibilità e per la sua trasparenza ed impermeabilità politica, pretendeva legalità e disciplina tanto da sembrare in quella realtà un pesce fuor d’acqua e, soprattutto, un uomo inadeguato per essere accettato in uno stagno in cui da tempo sono abituati a sguazzare, indisturbati e senza decenza e limiti, camorra, malcostume, illegalità diffusa, corruzione ed affarismo. E’ sembrato davvero inadeguato quel Procuratore attento e puntiglioso in una giurisdizione dove, invece, ha sempre regnato solo molta disattenzione ed indifferenza. Il magistrato che pretendeva che i suoi pm lavorassero per la comunità civile e per la legalità, invece di ostacolarsi tra loro o di brigare contro o a favore di qualcuno, come accade quando una funzione dello Stato è gestita con un ordinamento corporativo, senza alcuna legittimazione popolare e che spesso, per autoreferenza, si trasforma in casta.
La Procura di Napoli agli occhi di molti italiani sembra una “pozza di sabbie mobili”, per usare un’immagine suggestiva ed immediata, a guisa di quella usata per il Tribunale di Roma che, per lungo tempo, negli anni passati, è stato definito “porto delle nebbie”.
Soffermarsi solo al caso Napoli e Campania, sebbene negli ultimi tempi quella magistratura ci abbia abituati ad interventi che fanno insorgere dubbi e sospetti sia per i tempi che per la valenza politica dei suoi atti, può sembrare però riduttivo.
S’avverte nel paese una voglia di giustizia che non può essere limitata al rigore della legge contro il malaffare. La domanda si diffonde in tutte le situazioni in cui i cittadini si trovano a lottare contro il bisogno, l’arroganza, le enormi disuguaglianze sociali. Ci sono realtà in cui ad alcuni manca proprio tutto ed ad altri si distribuisce senza pudore persino il superfluo.
I cassonetti svuotati e puliti ed i marciapiedi e le strade senza mucchi di spazzatura dinanzi alle case della Jervolino e di Bassolino e dei benestanti di Napoli, mentre nei quartieri periferici stazionano cumuli di immondizia, le cui immagini fanno il giro del mondo, sono la visione di un Paese senza regole veramente condivise a cui occorre porre rimedio senza alcun indugio.
Vorremmo, così, una magistratura attenta alla legalità in senso proprio, tesa a reprimere i crimini di ogni tipo: da quello perpetrato nelle strade a danno di inermi cittadini, a quello economico - finanziario, da quello affaristico, a quello contro la salute. Vorremmo provvedimenti che sottraggano spazio ai fannulloni ed ai truffatori, ai sofisticatori ed agli evasori.
Vorremmo una magistratura più indifferente invece nel compiacere o meno le parti politiche, con le orecchie meno sensibili ai fatti privati dei cittadini, meno impegnata nella ricerca della visibilità e nella ideazione di teoremi che si trasformano in strumenti di lotta politica, di dileggio o di provocazione.
Vorremmo, di converso, una politica attenta ai bisogni di tutti, meno preoccupata a difendersi dalle aggressioni giudiziarie, specie se mosse sulla base di intercettazioni telefoniche confidenziali anche prive di rilevanza giuridica, e spesso astratte da un contesto che si dimostra diverso dalle apparenze.
Dalla politica e dalla giustizia gli italiani chiedono soluzioni, interventi e certezze, chiedono amministrazione e scelte, misure per la sicurezza ed un uso corretto delle risorse, chiedono la prevenzione e la repressione del malaffare e la ripresa di un dialogo democratico in cui siano messi al bando gli eccessi, nella convinzione che in caso contrario debba prevalere la politica che ha il consenso del popolo e non il giustizialismo ed il suo tintinnio di manette.
Vito Schepisi

http://www.loccidentale.it/articolo/c%27%C3%A8+bisogno+di+giustizia%2C+non+di+giustizialismo+e+tentennio+di+manette.0052321