23 dicembre 2012

Populismo


C’è una nuova parola d’ordine nella politica dei luoghi comuni. Ora la usano in modo diffuso, spesso in modo improprio. La parola è “populismo”.
I più non sanno cosa significhi, ma suona abbastanza bene.
Anche chi l’ascolta, non conoscendone il significato, la riempie di altri luoghi comuni, soprattutto di nefandezze e di responsabilità.
Il populismo nell’accesso politico indica il modo demagogico e facile di parlare alla pancia del popolo interpretandone le ansie e il modo sommario di risolvere le criticità sociali e quelle economiche e di vita.
Il populismo dalla “Treccani” è:
1) Movimento culturale e politico sviluppatosi in Russia tra l’ultimo quarto del sec. 19° e gli inizî del sec. 20°; si proponeva di raggiungere, attraverso l’attività di propaganda e proselitismo svolta dagli intellettuali presso il popolo e con una diretta azione rivoluzionaria un miglioramento delle condizioni di vita delle classi diseredate (contadini e servi della gleba), e la realizzazione di una specie di socialismo rurale basato sulla comunità rurale russa, in antitesi alla società industriale occidentale;
2) atteggiamento ideologico che, sulla base di principi e programmi genericamente ispirati al socialismo, esalta in modo demagogico e velleitario il popolo come depositario di valori totalmente positivi.
C’era già molta confusione in Italia. L’oligarchia è spacciata per democrazia, la repressione per libertà e la Costituzione per una miss in un concorso di bellezza. Ora anche questa!
Il populismo buttato là, come una colpa, si presta a riassumere tutte le immagini di un pericolo, come una volta si faceva con l’accusa di “fascismo”.
Una volta, per somma di beffa, era “fascismo” tutto ciò che contrastava l’idea populista. Ricordiamo, ad esempio, quando si diceva del profitto variabile indipendente dell’impresa o quando la classe operaia che andava direttamente in Paradiso.
Erano tutte espressioni della retorica populista, di formazione prettamente operaista. Tutto si reggeva su quella parola magica del tempo “il fascismo” e tutto si esorcizzava con l’antifascismo. Era populismo il richiamo ad unirsi ai proletari di tutto il mondo contro la democrazia borghese dell’Occidente, era populismo il richiamo contro le idee liberali che non anteponevano la lotta di classe alle scelte individuali e alla libera concorrenza.
Come in una sorta di contrappasso socio-politico, ora invece capita che siano quelli che una volta erano chiamati “fascisti” ad accusare di populismo chi si richiama ancora alla società plurale e chi non accetta le concertazioni, il consociativismo e la conflittualità finta tra le parti.
Se la società moderna si evolve e conquista i suoi spazi di libertà e di benessere attraverso il confronto degli interessi contrapposti - accade così dappertutto nel mondo libero - vorrà dire che il contrario sarà a danno di qualcuno o qualcosa. Sarebbe logico pensare che sia a danno della libertà e del benessere di tutti e a solo vantaggio della classe dominante che si propone come arbitro e che decide le regole per tutti a spese della collettività.
Il populismo è così diventato un effetto magico che, inserito nell’insieme di un discorso critico, in un comizio piuttosto che in un ragionamento finito, ci sta come la ciliegina sulla torta.
A questo bieco gioco “etichettaro” si presta anche l’uomo dell’annus horribilis italiano, Mario Monti, che con Repubblica si è lasciato andare ad una frase che sembra presa tutta intera dal repertorio della retorica del nostro Presidente della Repubblica: "fare muro e limitare il riafflusso alla destra populista". Si, va bene professor Monti, ma cosa significa?
La destra che non accetta un’Europa a trazione tedesca, che non accetta le politiche di rigore sulle spalle della povere gente, senza tagliare sprechi e privilegi, che non accetta la mancanza assoluta delle politiche per lo sviluppo, che non può avallare la distruzione della piccola e media impresa italiana, che non condivide le politiche vessatorie dello Stato, cinico ed esoso nel mettere in difficoltà imprese e famiglie, ma lento e strafottente nell’assolvere i suoi impegni, questa destra perché sarebbe populista?
Un interrogativo che in questa campagna elettorale non avrà nessuna risposta.
Vito Schepisi

21 dicembre 2012

Ritorna il Cattocomunismo



E' tutto pronto, anzi tutto era pronto da tempo. Anche il tentennamento di Monti era nel conto. Una mossa a tenaglia come nelle strategie militari.
La manovra ha preso avvio nel novembre dello scorso anno con l'obiettivo di mettere fuori gioco chi voleva cambiare l'Italia.
Le caste, i poteri, la finanza e la stessa Europa mal sopportavano chi non si piegava e non svendeva il suo popolo e l'autonomia della Nazione ai potenti del mondo.
E in Italia mal si sopporta chi non si piegava alla stampa-partito dei media italiani.
Per nulla preoccupati di mettere l'Italia, i lavoratori, i risparmiatori e l'impresa in difficoltà, lo scorso anno, la casta e i poteri hanno deciso di disfarsi di chi non andava a genio a quei capitani tanto coraggiosi da scappare all'estero, hanno stabilito di abbattere chi non si piegava e non piaceva alla magistratura, hanno pensato che fosse il momento di togliere di mezzo chi voleva cambiare le cose e di voler assumere la guida del Paese col solo consenso degli elettori.
Una parte di rilievo è venuta proprio dalla magistratura, resa sempre più forte dal fatto di mantenere sotto pressione tutta la politica e la “nomenclatura” italiana: ad iniziare da chi sta nelle istituzioni per finire all'ultimo sindaco di periferia.
E' vero! Una politica corrotta!  Da vergogna! Una politica che si è mostrata incapace di avvertire le responsabilità e di interpretare l'onore di servire l'Italia, il tricolore, la sua storia, la sua integrità, il suo popolo. 
Ma non per questo altri incapaci, spesso arroganti, faziosi e smaniosi di notorietà devono poter travalicare i loro compiti, devono potersi mettere dalla parte di una fazione per assumere il ruolo che invece spetta al popolo: il giudizio politico.
Si dice che l'Italia abbia vissuto per tanti anni al di sopra delle sue possibilità.
Andatelo a dire a chi non riesce a fare la spesa per mangiare ogni giorno!
Andatelo a dire a chi si è privato di tutto nella sua vita per comprarsi una casa, dove far vivere in serenità la propria famiglia!
Andatelo a dire agli anziani, alle mamme, ai malati che dopo aver pagato sempre e per tutto, si vedono negare la dignità, l'assistenza e i diritti!
Andatelo a dire a chi dopo 40 anni di lavoro non può andare in pensione!
Ora che l’Italia è stesa per terra ed è riempita di tasse e di privazioni, si ripongono gli stessi personaggi che già dicendo di voler “salvare l’Italia” l’hanno affossata sempre di più.
Le soluzioni future proposte? Il PD spinto da Vendola, parla di patrimoniale come se fosse la parola magica e salvifica per l’Italia. Ma più patrimoniale dell’IMU cosa si vuole? Ma se i grandi patrimoni sono inseriti nelle società che registrano spesso perdite di esercizio, cosa si vuole tassare? L’altra idiozia è per la tassazione delle rendite finanziarie. Mi chiedo allora perché si vuole fare un regalo alla speculazione che non paga le tasse in Italia e compra i nostri titoli - in particolare quelli rappresentativi del nostro debito pubblico - al netto?
Per collocare i nostri BTP, ad esempio, se le ritenute fiscali aumentassero, in proporzione dovrebbero aumentare anche i rendimenti. Sarebbe più furbo, invece, azzerare la tassazione sui rendimenti, tenendo invariato il ricavo netto, così gli speculatori dovrebbero rinunciare a intascare anche i margini di tasse che in Italia si pagano e fuori d’Italia s’incassano.
Siamo dunque all’ultimo atto della commedia che era cominciata col voltafaccia di Fini.
La prospettiva che ci aspetta l’ha spiegata molto bene in un’intervista alla Stampa Andrea Olivero.  L’ex Presidente delle ACLI ha detto testuale: “Noi miriamo a prendere un bel po' di voti per contrattare il giorno dopo con il centrosinistra».
Solo qualche settimana ancora e vedremo quanti italiani ci cascheranno e quanti consentiranno questo nuovo gioco che vedrà ancora Fini e Casini, con Montezemolo, cavalcare l’ulteriore  edizione di una vecchia partita che riprova a riproporre i fasti del consociativismo cattocomunista in Italia.  
Come se il nostro popolo non avesse già dato. 
Vito Schepisi

19 dicembre 2012

La Costituzione usata



Ho visto alcuni passi della replica, naturalmente non ho visto il Benigni della tribuna politica più furba del mondo. Ho pensato che per fare politica i partiti accaparrano finanziamenti, a volte rubano, truffano, e saccheggiano. Questa volta hanno trovato il modo di far pagare ai contribuenti italiani uno spot televisivo, uno spottone di parte, grosso come un macigno, a poche settimane dal voto e senza limiti di tempo e di spesa. 
Un costo di 5,8 milioni di Euro, in tempi di “spending review” e di motivato disgusto per i costi della politica, non sarebbe passato inosservato, se non ci fosse stato quel coro di omertà “politicamente corretta”, ad iniziare da quella del Presidente della Repubblica, per coprire l’ulteriore scempio al pluralismo, ammantato di retorica culturale, in uno spazio di tutti. 
Chiamano cultura ora anche la promozione politica! Arriverà che chiameranno libertà la censura, liberazione il carcere ed a spacciare la tortura per metodo educativo. 
Non so quanti milioni d’italiani si siano messi dinanzi alla tv a ridere di questo guitto furioso. Io non c’ero. Non avevo tempo e voglia di sentir dire cose ovvie frammiste a idiozie, non per sentire le solite benignate partigiane che, per il reiterato e obliquo conformismo della sinistra italiana, seguono le trasformazioni nel tempo della falce e il martello. 
Non avevo tempo e voglia per ascoltare comizi camuffati da satira. Mi restituissero, piuttosto, quella parte del canone che io a Benigni non darei mai. 
Il guitto toscano come comico non mi dispiace, meno come predicatore e come strumento politico. Sulla Costituzione ha detto cose ovvie infarcite da quella retorica di regime che una costituzione liberale non dovrebbe mai far suscitare. L’enfasi non è uno strumento di ragione e di riflessione, non lo è mai stato, piuttosto è uno strumento di confusione. Nuoce, piuttosto che favorire comprensione e buoni propositi.
Nessuna forza politica ha mai chiesto una rivisitazione dei principi fondamentali della Costituzione. Tutto ciò che s’ispira ai principi fondamentali di libertà, di fratellanza e di democrazia regge contro il tempo, perché si basa su sentimenti intramontabili per tutti gli uomini che nascono liberi. La Costituzione, però, risente degli anni nella sua parte seconda: quella che tratta dell’Ordinamento della Repubblica. 
L’inadeguatezza è nota ed è discussa da molto tempo. Basti ricordare che nel 1983 le camere promossero una Commissione Bicamerale con il compito di "formulare proposte di riforme costituzionali e legislative, nel rispetto delle competenze istituzionali delle due Camere, senza interferire nella loro attività legislativa su oggetti maturi ed urgenti, quali la riforma delle autonomie locali, l'ordinamento della Presidenza del Consiglio, la nuova procedura dei procedimenti d'accusa". 
La Bicamerale, presieduta dal liberale Aldo Bozzi, si sperse, però, come tutte le cose italiane.
La Costituzione italiana sull’Ordinamento della Repubblica è farraginosa e obsoleta. C’è poco da essere “la più bella del mondo”. Non siamo a un concorso di bellezza. La Costituzione può essere d’aiuto, invece, ad un Paese che non riesce ancora ad esprimersi con coerenza democratica. 
In una Nazione libera deve poter garantire la stabilità e le forme di governo più compatte, nel rispetto della sovranità popolare. L’articolo 1 sul potere esercitato dal popolo nei limiti e nelle forme stabilite dalla Costituzione non  può restare solo un inutile orpello, né si può pensare che, a differenza di quanto si sancisce nei principi fondamentali, la Costituzione voglia privilegiare la partitocrazia e gli interessi particolari delle caste. 
La più bella del mondo? Ma se in paragone con le carte fondamentali degli altri paesi liberi del mondo, per l’ordinamento dello Stato e per le forme di rappresentanza politica, la nostra Costituzione ci penalizza non poco?
Oooh! Che si spacci per cultura ciò che è ignoranza?
Vito Schepisi

06 dicembre 2012

Giustizia e percorsi politici



Che la Corte Costituzionale sia competente ad esprimersi sul  conflitto di attribuzioni per le indagini della Procura di Palermo, sulle intercettazioni telefoniche tra Il Presidente Napolitano ed il Senatore Mancino, appare chiaro ai sensi dell'art.134 della Costituzione.
La questione, però, è sulle intercettazioni e sul loro uso nelle indagini giudiziarie. E’ qui che si avvertono carenze di normativa. Non doveva essere, ad esempio, consentito di intercettare il Presidente della Repubblica, come non si deve per alcun vertice istituzionale.
Quando, però, il magistrato Ingroia parla di “brusco arretramento rispetto al principio di uguaglianza e all’equilibrio fra i poteri dello Stato” ha le sue ragioni. Appare evidente che ci sia stata una diversa valutazione della Consulta. Ciò che stride, infatti, e su questo punto avrebbe ragione Ingroia a parlare di “arretramento”, è il diverso peso che si è andato a formare tra le differenti figure istituzionali.
Questa è la solita Italia manichea dove da una parte ci sono i buoni, verso cui nulla si può, e dall’altra i cattivi, verso cui, invece, si può tutto. Solo su questo ha ragione il PM Ingroia, non invece sull’uguaglianza dei poteri dello Stato. Perché non può essere: in democrazia prevale l’espressione del popolo sulle attività dei dipendenti pubblici. Semmai parlerei di equilibrio.
L’assunto del Procuratore Ingroia, infatti, parte dalla convinzione che non debba esserci alcun primato, per responsabilità e per interesse collettivo, tra l’esercizio della democrazia e le funzioni di un pubblico servizio. Questo assunto non è condivisibile perché non si può consentire che il rigore degli atti di natura giudiziaria intimidiscano e riducano le capacità di scelta della democrazia e che mettano a rischio quanto previsto nel secondo capoverso dell’art. 1 della Costituzione a riguardo della sovranità popolare.
La Carta Costituzionale nella sua formulazione originaria, prima di definire l'autonomia e l’indipendenza, non l’uguaglianza, dell’Ordinamento Giurisdizionale, con l’art 68, aveva voluto cautelare anche il Parlamento dell'uso strumentale dell’azione giudiziaria. La modifica dell’art.68, nel 1993, quasi imposta al Parlamento dal clima di esaltazione del pool di mani pulite, ha inferto un vulnus che rischia di diventare mortale per la democrazia italiana.
L’Italia perde colpi in credibilità e diritti. L’arresto di Sallusti, infatti, benché rientri in una casistica differente da quella che stiamo trattando, è un sintomo grave di questo “vulnus”.
Il timore è che si alzi sempre più l’asticella dell’arbitrio e dell’abuso.
L’assunto del Dr. Ingroia non appare affatto accettabile: porrebbe la sostanza democratica dello Stato in subordine alle funzioni di alcuni pubblici uffici. L’Italia si configurerebbe come un Paese burocratico e statalista, come un regime autoritario e di rigore giustizialista, tutt’altro che una democrazia liberale.
Appare evidente che le Istituzioni, per le attività di competenza, compiano atti riservati e intesi all'interesse comune. In tutte le democrazie la segretezza di questi atti non viene, non può  e non deve essere violata.
Sulla trattativa tra Stato e mafia è stata montata una strumentalizzazione politica ad ampio spettro. Indagini e sprechi che non porteranno a niente. E’ stato un correre dietro e collaboratori di giustizia che in più occasioni non sono stati ritenuti credibili.  Falsificazioni d’indizi, coinvolgimenti improbabili, scoop mediatici. Tutto questo modo deve avere nel suo articolarsi una strategia complessiva? E se non politica di che tipo?
Questa presunta trattativa ha coinvolto tutti, persino figure che all'epoca dei fatti non avevano espressione istituzionale e nessuna rilevanza politica che potesse motivare un particolare interesse per la creazione di un clima d’inquietudine sociale.
Un accanimento giudiziario che appare più un qualcosa che guarda al dopo, mettendo nel presente quanta più confusione possibile: un po’ come fanno alcuni politici d’opposizione che si attivano a sfasciare il presente in vista di più favorevoli opportunità per il loro futuro.

Vito Schepisi

27 novembre 2012

Il vecchio riemerge e il nuovo sa già di vecchio



Ciò che è vecchio e ciò che è nuovo non dipende solo dal mandare in pensione le mummie.
Non sarà la bonifica della rosibindi (mission impossible) o il pensionamento del marinaretto coi baffi a stabilire la nuova politica ed a rilanciare la democrazia e con essa la giustizia, le libertà, i diritti.
Non sarà il sistema della sinistra fatto di gestione politica del territorio e di cinghie di trasmissione di apparati burocratici, mediatici, finanziari e produttivo-commerciali a promuovere lo sviluppo.
L'Italia ha necessità di liberare risorse. Ha bisogno di rinnovarsi nei suoi processi istituzionali, ha bisogno di liberarsi dalla zavorra burocratica. Deve sfoltirsi e liberarsi soprattutto da sfruttatori e saltimbanchi e dal chiasso del rigurgito partitocratico.
L'Italia, se vuole essere al passo degli altri paesi europei - notoriamente con meno problemi - deve liberalizzare il mercato del lavoro e rivedere il suo sistema giudiziario.
Lo può fare con la Camusso o con il sostegno a questa giustizia in cancrena?
La soluzione non è nell'aumento delle entrate per correre dietro alla spesa corrente. E', invece, nei tagli delle spese superflue, negli investimenti e soprattutto nell'aumento di produttività e di competitività.
Ma c’è a sinistra chi lo dice con la necessaria chiarezza, senza poi rivedere, smentire e ritrarsi?
Se si pensa di far ritrovare l’Italia in un’altra stagione di equivoci e d’imbrogli, per nascondere l’unico obiettivo della conquista del potere, utile a soddisfare gli appetiti dei sottoboschi intrecciati di interessi particolari, sarebbe un altro buco nell’acqua. Col rischio che potrebbe anche essere l’ultimo, prima dello sfascio totale.
Gli italiani dimenticano spesso, purtroppo. Non si sono spaventati dei vecchi governi di sinistra che sistemavano le cose, compresa la moltiplicazione dei pani e dei pesci agli amici e compagni, aumentando il prelievo fiscale.
Abbiamo invece assistito alla competizione del niente con le primarie della sinistra. C'è sfiducia in Italia e ne risente la domanda e con essa l'occupazione e la crescita. Non siamo competitivi e le esportazioni non crescono. La spesa corrente, con i suoi automatismi, assorbe risorse private (le tasse) e impoverisce il Paese.
Gli investimenti, purtroppo, scappano quando non c'è equilibrio tra i diritti di tutti. Le garanzie sono conquiste fondamentali in un paese civile ma, come sarebbe giusto, devono essere a presidio di un reciproco rapporto di comune interesse. Questa reciprocità in Italia è carente.
La fiducia, infine, si riduce se la Giustizia ha tempi e modi inquietanti. La storia delle primarie della sinistra si è ridotta, invece, alla storia di bottega in una sinistra in difficoltà - ancora nel terzo millennio - dal dovere morale d’uscire dalle parole d’ordine e dagli steccati ideologici per diventare finalmente una sinistra dal respiro europeo.
La storia di queste primarie della sinistra si è ridotta alla storia del PD. Nessuna ricetta, nessuna proposta, niente di niente, nessuna scelta, nessuna indicazione per il futuro, nessuna idea nuova, solo tatticismo, solo demagogia e solo le solite parole d'ordine col pepe dell’antiberlusconismo che è diventato il valore aggiunto di tutta la sinistra italiana.
Hanno esorcizzato la paura del futuro diffondendo illusioni e sensazioni miracolose, come se fossero i platonici "demiurgo" della politica italiana, come i tanti Vendola in cerca di poesia, piuttosto che di risposte concrete, efficaci, moderne e europee.
Con queste primarie si è riassorbita nel PD buona parte della sua area antagonista, quella vecchia e melanconicamente comunista.
Vendola ha concluso la sua stagione in libera uscita. Grillo gli ha occupato la platea degli arruffapopolo, della rabbia e della lotta.
Ritorna invece l'egemonia - già vecchia conoscenza del vecchio pci - con tutti i suoi riti e con tutte le sue furbizie.
E ancora una volta c’è una sinistra in cui il vecchio riemerge e il nuovo sa già di vecchio.
Vito Schepisi

24 novembre 2012

Difendiamo la Giustizia, difendiamo la Dott.ssa Desirèe Digeronimo


Bari si mobilità, per la legalità e per la giustizia uguale per tutti, in difesa del PM Desirèe Digeronimo


La Legalità e la Giustizia si difendono garantendo l’imparzialità e l’indipendenza della Magistratura.
Non è giusto che chi fa il proprio dovere debba pagare il prezzo della propria coerenza. 
Accade a Bari, dove il PM Desirèe Digeronimo rischia di essere trasferita in altra sede. 
I magistrati di una corrente della magistratura (AREA) hanno contestato ai PM Digeronimo e Bretone l’invio di una lettera riservata ai responsabili degli Uffici Giudiziari di Bari.
Quale è la colpa nell’invio di una lettera riservata?
I due PM nella lettera informavano i loro superiori dell’esistenza di un rapporto di amicizia tra la sorella di Nichi Vendola ed il GUP che aveva giudicato insussistente il reato di abuso di ufficio del Presidente della Regione Puglia.
Nella riservata rilevavano, inoltre, che la circostanza non aveva motivato l’astensione dal giudizio del Magistrato (ex art. 36 lettera h del C.P.P.).
Non si sa come questa lettera sia finita sui giornali (c’è un giornalista della redazione di Bari di Repubblica accusato di ricettazione), né se sia opportuno e legittimo reagire con una censura verso chi fa il proprio dovere e informa nei modi previsti dalla legge i suoi superiori.
Sulla scorta del documento di censura di “Area”, però, l’ANM barese ha sollecitato al CSM un provvedimento di trasferimento per incompatibilità ambientale del PM Digeronimo.
La dott.ssa Desirèe Digeronimo è il PM che si occupa dei provvedimenti giudiziari sui reati rilevati nella gestione della sanità pugliese. La PM era già stata oggetto d’interesse del CSM per una lettera aperta, dal sapore intimidatorio, pubblicata sulla Gazzetta del Mezzogiorno, del Presidente Vendola.
L’allontanamento dalla Procura di Bari della PM Digeronimo per i cittadini pugliesi avrebbe il sapore della vendetta. Sarebbe un intuibile saccheggio di verità sulla gestione devastante della sanità pugliese.
La gestione arrogante del potere politico nella sanità pugliese, infatti, negli anni che vanno dal 2005 al 2009, è stata la truffa del millennio.  Tra passività e debiti contratti i pugliesi sono stati spogliati di oltre 2 miliardi di euro.  Per questo saccheggio scellerato, i contribuenti stanno pagando un conto salato fatto di ticket, di maggiorazioni di accise e di addizionali.
Non si può pensare di mettere tutto sotto la sabbia.
La Dott.ssa Desirèe Digeronimo gode della fiducia dei pugliesi.  La sua integrità e soprattutto la sua determinatezza nell’ azione giudiziaria, per la Giustizia e per la Legalità, senza guardare in faccia a nessuno, per i pugliesi è rassicurante.
L’incompatibilità ambientale non può essere un modo per liberarsi di magistrati che vanno avanti per la sola strada della Giustizia, senza piegarsi a logiche di correnti e di fazioni.
L’incompatibilità ambientale si applica “quando per qualsiasi causa indipendente da loro colpa (i magistrati) non possono, nella sede occupata, svolgere le proprie funzioni con piena indipendenza e imparzialità”. (Art 26 D.L. 23 febbraio 2006 , n.109).
Non è il caso della Dott.ssa Digeronimo.
I pugliesi non capirebbero.
Per ricreare i sentimenti di fiducia
nella giustizia e nella legalità, servirebbe l’azione serena e severa della magistratura, non la punizione dei suoi funzionari più efficienti
.
Vito Schepisi

16 novembre 2012

La Giustizia secondo San Nichi



Meglio partire da un principio perché, dopo, i fatti possono seguire un andamento che si pone nel mezzo tra la forma e le circostanze.
Il principio è che, se esiste un reato, ci debba essere anche un colpevole. Può essere che il colpevole non si trovi, ma non può pensarsi che per tutelare il colpevole si cancelli il reato.
In un procedimento penale forse l’unica cosa incontrovertibile è la presenza di un reato. Non si arriva, infatti, al rinvio a giudizio se il reato non è ben formalizzato e se non risulta definito, e così contestato all’imputato.
Può ancora esser possibile che il reato sia ipotetico, e cioè che non ci sia nessuna prova evidente che sia veramente esistito, ma che ci siano, invece, tanti indizi che ne informano l’esistenza.
Quest’ultima ipotesi però è difficile che passi i tre gradi di giudizio previsti dal nostro ordinamento giudiziario, anche se in Italia s’istruiscono processi che, per mancanza di prove e di circostanze precise, si traducono in un nulla di fatto. Ma almeno c’è un’ipotesi di reato che se fosse attribuibile a un colpevole porterebbe alla sua condanna.
Il caso in questione, però, è che in un concorso in Puglia, per la nomina di un primario, a termini scaduti, per favorire uno specialista in pneumatologia toracica, le cui qualità non sono messe in discussione, si siano riaperti i termini. Per giunta, il professionista che aveva potuto presentare la sua domanda oltre il termine in un primo tempo stabilito ha vinto il concorso e ha ottenuto la nomina di primario.
Nessuno ha mai detto che questa circostanza non si sia verificata. Nessuno degli imputati ha mai detto che non sussiste. In un primo tempo il Governatore Vendola e la ex Direttrice  generale delle Asl pugliesi, Lea Cosentino, si sono persino rimpallate le responsabilità. Se ne dovrebbe dedurre, per logica, che si siano resi conto del reato.
Questa circostanza si unisce a un’altra: il vincitore era in attesa di un altro incarico, in una diversa struttura di Bari ed ha partecipato al concorso (coi termini riaperti) perché questa nomina gli era venuta meno. Il concorso, pertanto, ha inseguito il concorrente-vincitore e non il contrario. E’ come se, con tutto il rispetto, per un posto di operatore ecologico, sia la scopa a rincorrere il concorrente.
In tutto il territorio nazionale, questo modo di agire comporta, se non per aggiunta di altri reati più gravi, per le possibili svariate modalità di esecuzione, l’imputazione del reato di abuso d’ufficio.
In Puglia non è stato così. In Puglia il reato, invece, “non sussiste”. La puglia, però, è in Italia.
I fatti si conoscono, come quello dell’uso propagandistico dell’annuncio del ritiro dall’attività politica di Vendola in caso di condanna. Bisogna precisare che il procedimento è stato con rito abbreviato, senza dibattimento, e quindi con sentenza definitiva e non, come si dice per espandere gli effetti propagandistici, solo di primo grado. Poi le lacrime e il compagno Ed, aspirante “first gentleman”, sensibilmente vicino, tutto a favore di stampa. Della serie Eva Epress e affini.
Vendola ha qualità di veggente. L’ha dimostrato in più di un’occasione. L’unica cosa che non è riuscito a prevedere, però, è il disastro della sanità pugliese assieme al degrado di tutta la Regione.
Vendola, inoltre, gode di buona stampa. E’ bravo! Imita alla perfezione Checco Zalone.
Gode anche di buona magistratura.
Sono 26 infatti i magistrati di Bari che hanno sottoscritto una lettera all’ANM, per esprimere solidarietà al Gup Susanna De Felice che ha mandato assolto Vendola, dopo la lettera riservata scritta da Desirèe Digeronimo e Francesco Bretone, PM dell’accusa,
al procuratore generale di Bari Antonio Pizzi, al procuratore della Repubblica, Antonio Laudati, e all’aggiunto Giorgio Lino Bruno, per sottolineare la mancata astensione del Gup Susanna De Felice, in quanto amica della sorella del Governatore pugliese.
Anche il Presidente del Tribunale di Bari, Vito Savino, parla di
“Un'iniziativa irrituale e improvvida” per la lettera dei due PM.
E’ intervenuta l’ANM con il solito comunicato (di casta) in cui si esprimono “
gravi perplessità e profonda preoccupazione” per il comportamento dei due magistrati della Procura di Bari.
I consiglieri di Area (MD e Movimenti) hanno subito chiesto al CSM l
'avvio d’una pratica per incompatibilità ambientale a carico del pm Desirèe Digeronimo.
Sembra solo per la Digeronimo, e non anche per il PM Francesco Bretone. La cosa ci fa piacere per il PM Bretone, ma è incomprensibile.
La macchina schiacciasassi della delegittimazione si è messa in moto.
Non sono tempi buoni per chi si batte per la legalità e per la Giustizia uguale per tutti!
Vito Schepisi

14 novembre 2012

I due PM che a Bari hanno sostenuto l’accusa di abuso d’ufficio contro Vendola non ci stanno all’assoluzione


A Bari - sostenevo alcuni giorni fa - è stato scippato un reato. 
Dire, infatti, che un reato non sussiste è cosa diversa dal dire che l'intenzionalità del reato e il suo fine non sono stati ritenuti rilevanti. 
Ma il reato c'era! 
Non si può dire che non ci fosse l'abuso d'ufficio, per aver fatto valere la posizione dominante di Governatore pugliese, nel riaprire i termini di un concorso per primario. 
E per il reato la condanna è obbligatoria. 
Si era capito che il reato era stato scippato sin da quando, qualche giorno prima della sentenza, il governatore pugliese aveva annunciato che avrebbe lasciato la politica in caso di condanna. 
Questa sua sicurezza può essere la prova evidente di una certezza già anticipatamente maturata. 
Ve lo immaginate Vendola fuori dalla politica dopo che di questa si è nutrito da sempre?
«Già prima del processo eravamo a conoscenza che la dottoressa De Felice fosse amica della sorella di Vendola, Patrizia. Li lega una amicizia diretta, sia la frequentazione di amici in comune quali il collega e attuale senatore Gianrico Carofiglio e la moglie dottoressa Pirrelli, sostituto di questo ufficio, entrambi amici stretti di Patrizia Vendola». 
Queste cose le dicono i due magistrati baresi titolari dell’inchiesta su Vendola. Ai due PM, infatti, la conclusione della vicenda non è andata giù. 
Si può non essere ritenuti responsabili del reato, se ne può ridurre la portata, motivandolo con finalità di bene, non cancellarlo. Non "non sussiste". 
Non scherziamo con la Giustizia! 
Per i magistrati baresi Desirée Digeronimo e Francesco Bretone, titolari dell'inchiesta che aveva portato Vendola al rinvio a giudizio per abuso d'ufficio, il Giudice che con rito abbreviato ha mandato assolto Vendola, perché il reato “non sussiste”, avrebbe avuto le giuste ragioni per astenersi dal giudicare il fratello della sua amica. 
Il Gip che ha emesso la sentenza, d’altra parte, consapevole di voci che circolavano, respingendo la circostanza dell’amicizia con la sorella di Vendola, aveva chiesto con motivazione scritta al capo del suo ufficio di potersi astenere, ma la sua richiesta era stata respinta. 
L’episodio e il gip che ha assolto Vendola sono così oggi al centro di un carteggio tra i due sostituti, il procuratore capo e il procuratore generale di Bari. 
Ora resta la curiosità di capire se in Italia la parola Giustizia ha ancora un suo significato
Vito Schepisi

10 novembre 2012

Via Argiro a Bari: no a mezzi provvedimenti


L’associazione RinasciBari 
CONSIDERATO 
che il provvedimento di chiusura al traffico di Via Argiro fu messo in sperimentazione con la promessa della Amministrazione Comunale di realizzare in tempi brevi la riqualificazione dell'isola pedonale, con il conseguente rilancio di una importante strada del borgo murattiano, a beneficio delle aspettative della comunità cittadina, dei residenti e degli operatori commerciali; 
VALUTATO 
che un progetto serio e credibile di riqualificazione deve riguardare: - opere di rifacimento del manto stradale con l'eliminazione dell'effetto carraio dai marciapiedi; - di arredo urbano con panchine fioriere e illuminazione; - creazione di aree di parcheggio per residenti con la disponibilità di posti per il traffico d'affari; 
PRESO ATTO 
- che nulla sino ad oggi è stato fatto oltre alla chiusura; 
- che molte, invece, sono state le notizie di stampa sulla disponibilità di adeguate risorse, senza che mai sia stato reso pubblico il progetto che si contava di realizzare; 
- che la chiusura al traffico non ha attratto maggiore presenza nell’area commerciale cittadina e che le ricadute negative del provvedimento non sono state compensate dai benefici che avrebbero determinato le opere di riqualificazione che non sono state realizzate; 
- che alla luce del mancato assolvimento degli impegni assunti dall'Amministrazione Comunale appare comprensibile e giustificata l’irritazione della comunità cittadina e la protesta di residenti e commercianti. 
CONSIDERATO 
- che la fase sperimentale della chiusura al traffico non ha dato gli esiti auspicati e che l'area pedonale di Via Argiro si presenta inelegante e desertificata; 
- che la fase di stallo delle prospettate iniziative di riqualificazione ha prodotto effetti negativi destinati ad aumentare in prossimità delle festività natalizie; 
CHIEDE 
all'Amministrazione Comunale di rendere noto con chiarezza e tempestività la reale volontà di confermare gli impegni assunti per la riqualificazione e il rilancio di Via Argiro, indicando i dettagli del progetto che intende realizzare, i tempi necessari e le risorse destinate. RinasciBari, in funzione alle risposte ricevute dall'Amministrazione, si riserva d'intesa con cittadini e residenti di assumere ogni utile iniziativa per superare la grave situazione di stallo, eventualmente proponendo anche il ripristino della viabilità. 
RinasciBari, inoltre, pensa che la questione di Via Argiro non sia che il campanello di allarme di una situazione ancor più complessa che andrebbe chiarita. 
La riqualificazione di Bari passa attraverso le scelte che si vogliono fare. Gran parte della sua economia, infatti, è nello sviluppo dei commerci. 
A questo fine la Città dovrebbe attrarre più gente nelle sue strade. Lo potrebbe fare con un complessivo progetto di mobilità urbana che distingua tra traffico pertinenziale, pendolare e business. 
In quest’ottica le isole pedonali, l’arredo urbano unite a iniziative culturali e artistiche (pittura, musica, libri) e a quelle di tipo enogastronomico, per la promozione dei prodotti tipici locali, potrebbero fare la loro parte. 
Più posti di parcheggio, più gente per le strade. 
L’amministrazione cittadina cosa pensa in proposito?

25 ottobre 2012

Nasce RinasciBari



Si è costituito RinasciBari. E’ un movimento di confronto politico-amministrativo di area moderata liberale con lo scopo di contribuire a creare un’alternativa all’attuale amministrazione cittadina. Il metodo individuato è quello dell’approfondimento di scelte amministrative e dell’aggregazione dell’area di riferimento. 
RinasciBari è un richiamo al rinascimento della Città e trova i suoi impulsi nella constatazione del degrado di Bari e nella presenza di un sistema opaco di gestione.
Il movimento si è formato attorno alla redazione di un manifesto che è sintesi di approfondimenti sulle emergenze della Città, individuate in: sviluppo, lavoro e burocrazia amica.
Il movimento si è dotato di una struttura snella di gestione attraverso l’indicazione di un portavoce nella persona di Giovanni Giua e di due suoi sostituti Dante Leonardi e Roberto Telesforo. Ha inoltre costituito un gruppo di consultazione e di elaborazione formato da Paola Cristiano, Mariella Lipartiti, Alex Monaco, Enzo Monterisi, Egidio Pani, Vito Schepisi, Gianvito Spizzico, Ugo Summaria, Canio Trione. 
Rinascibari ha indicato anche le aree tematiche su cui articolare l’elaborazione di un programma articolato in tre macro indirizzi progettuali da cui poter poi discendere alle questioni più specifiche:
1) Economia, bilancio, sviluppo; 2) Urbanistica e gestione delle risorse del territorio; 3) Scuola, formazione e cultura. 
Le tre aree - è stato detto – dovranno tutte interagire con la forte richiesta popolare di trasparenza e di legalità, e con i principi di civiltà e di sicurezza.
 
                                                     
Il manifesto di RinasciBari

Dopo un decennio di immobilità amministrativa e prendendo atto del degrado odierno, Rinascibari vuole essere una base di ripartenza dalla quale lanciare nuove iniziative ed un nuovo programma per la Città di Bari.
Cardini fondamentali per tornare al benessere ed al prestigio del passato sono Sviluppo e Lavoro.
Come ottenere sviluppo e lavoro? Ripartendo dalle attività tradizionali della città (commercio, industria, edilizia e servizi) in un quadro più moderno di Città Metropolitana, Capoluogo di Regione e di Città aperta agli scambi culturali, commerciali e finanziari verso e dalle altre nazioni del Mediterraneo.
Principali attori del rinnovamento devono essere gli imprenditori baresi e le imprese ( piccole o grandi) che possono generare occupazione e ricchezza.
Oggi a Bari è tutto fermo: muore il piccolo commercio (sia per la mancanza di capitali che per la concorrenza di esercizi dal capitale riciclato); muore la zona industriale nel degrado delle sue strutture e nell’incapacità di attrarre nuovi investimenti; l’edilizia langue stretta tra il malcostume, la corruzione e l’oppressiva burocrazia.
Cosa fare? Aprire all’impresa i canali del finanziamento, incentivare la progettazione anche con sgravi fiscali e soprattutto la sicurezza di una burocrazia non vessatoria ma, anzi, amica e stimolatrice.
Non sono tempi per pensare di far ricorso a risorse pubbliche ma all’impegno del capitale privato anche in project financing con idee che concorrano a fare di Bari il centro dei servizi per la regione e per i paesi esteri fornendo strutture ed infrastrutture per raggiungere lo scopo ultimo : Sviluppo e Lavoro.
Ci vuole intelligenza, inventiva, creatività, progettualità : qualità che ai Baresi hanno permesso di costruire una “grande città” punto di riferimento per l’intero Meridione.
Partendo da questi presupposti un gruppo di amici ha cominciato a confrontare le idee per stimolare energie nuove ma anche per risvegliare quelle stanche di subire. Vorremmo ridare coraggio a chi cede alla rassegnazione e tornare a pensare alla politica come indispensabile strumento di democrazia.
Un programma per Bari è la nostra meta e la discussione continua con tutti i cittadini che vogliono contribuire al rinascimento di Bari.

Chi volesse dibattere con noi e fornire il suo contributo di idee e di entusiasmo lo può fare tramite il sito Facebook “Rinascibari”  http://www.facebook.com/groups/236899103081502/?ref=ts

20 ottobre 2012

Nessuno tocchi Sallusti



Il carcere può essere il luogo in cui si sconta una pena per un crimine commesso, ma può anche essere il luogo che separa con le sbarre, la luce del sole dalla libertà di godere sia della luce, che del sole.
Il carcere non interrompe ciò che è fuori, non separa il processo costante della natura dalla vita in ogni luogo, impedisce invece di vivere con la gente con cui si vuole farlo, nel luogo, tra le intimità e nella sfera privata che ciascuno è libero di scegliere. 
Il carcere interrompe la gioia, smorza il sorriso, separa la libertà dei pensieri dalla forzata costrizione del corpo. Mortifica la dignità dell’individuo, per chi la possiede e per chi opera e vive nel giusto.
Il carcere senza una colpa è un abuso, è esso stesso un crimine.  
C’è un’opinione di quei democratici e liberali, che per formazione sono garantisti, che asserisce che sia preferibile avere 100 colpevoli in libertà che un uomo innocente in carcere.
Se s’incatena, invece, un innocente per le sue idee, e se ciò avviene con pervicace consapevolezza e con cinica indifferenza, sono in pericolo le garanzie della democrazia.
Traballa, così, ancor più la Giustizia del nostro Paese, già messa male di suo, e con essa tutti i principi fondamentali della democrazia, e quindi la libertà stessa del nostro popolo.
Dove sono i democratici?
Dove gli antifascisti in attività professionale che, nostro malgrado, per dire sciocchezze e per asserire ovvietà, abbiamo coltivato e nutrito per anni?
Trovarsi privati della libertà, per gli innocenti, è la cosa più drammatica che ci sia: è una violenza contro l’onestà; è la contraddizione di ogni radicato principio di lealtà.
Se tra i valori degli uomini c’è anche quello di esprimere serenamente le proprie opinioni, giuste o sbagliate che siano, l’ingiustizia annulla d’un colpo tutti i valori con cui gli uomini onesti hanno regolato la propria vita
Quanti non hanno mai citato Voltaire che sosteneva “Non condivido la tua idea, ma darei la vita perché tu la possa esprimere”?
Per Alexis de Tocqueville la stampa era la garanzia stessa della libertà: “Amo la libertà della stampa più in considerazione dei mali che previene che per il bene che essa fa”.
Ed infine Luigi Einaudi che a difesa del pluralismo delle opinioni diceva che “il solo fondamento della verità è la possibilità di negarla”.
La libertà è soprattutto pluralismo, garanzie, opinioni diverse. E’ vero che è anche responsabilità, è lecito che si paghi per i propri errori, per i danni che si provocano agli altri, ma non si può pagare col carcere un’opinione, né si può pensare che, per quanto esagerata e paradossale possa essere un’opinione, costituisca un danno così irreparabile per chi la subisce.
Quattordici mesi di carcere per un’opinione che non ha fatto del male nessuno, non è solo un’esagerazione ma un’ingiustizia: non è accettabile.
Non lo sarebbe un sol giorno di carcere, ma subirlo perché si ha solo la responsabilità oggettiva dell’opinione di una terza persona è da regime autoritario: è fuori dal mondo civile.
Chi tocca Sallusti, ci toglie 65 anni di democrazia, ed è una nuova  vergogna che vorremmo che sia risparmiata a questo nostro già sventurato Paese.
Vito Schepisi

19 ottobre 2012

Un po' di dignità, basta bugie



Questa vicenda ha superato ogni limite di decenza.
Tra le tante cose dette, ce n'è una che appare limpida e inoppugnabile: un appartamento a Montecarlo, in zona di prestigio, è stato sottratto al patrimonio immobiliare di AN, per essere svenduto attraverso un'opaca transazione d’incroci societari.
In questa grigia operazione, su cui la magistratura si è astenuta dall'approfondire, compaiono personaggi legati in qualche modo al Presidente della Camera Fini. Personaggi non del tutto trasparenti.
Sono spuntati recentemente, e l'Espresso ne ha dato ampio rilievo, tra le carte di un indagato, tale Francesco Corallo, documentazioni che coinvolgono direttamente la moglie e il cognato di Fini.
E’ limpida e inoppugnabile anche la circostanza che il cognato di Fini, tale Gianfranco Tulliani, all'epoca in cui è scoppiato lo scandalo abitasse la casa di Montecarlo e che ne avesse curato la ristrutturazione. Gianfranco Tulliani risultava affittuario della casa, come si  è rilevato da un contratto reso pubblico in cui, però, la firma del proprietario (una società di Saint Lucia) e quella del conducente, cioè il cognato di Fini, apparivano le stesse.
Per Fini erano solo spiacevoli coincidenze. L’ex leader di AN negava persino d’essere a conoscenza della circostanza e negava, soprattutto, che il cognato fosse il proprietario dell’immobile di Montecarlo. Per Fini e i suoi sostenitori era tutto fango che gli “sgherri di Berlusconi” riversavano sulla sua persona.
Dall'inchiesta del Giornale spuntavano persino gli interessamenti della Signora Tulliani e dello stesso Presidente Fini per alcuni arredi che poi i coniugi acquistavano: gli stessi mobili che appaiono nelle foto degli interni della casa di Montecarlo.
Fini non poteva non sapere.  Tutti i fatti che emergevano, escludevano l’ipotesi della sua estraneità, ma, ciò nonostante, Fini dichiarava che se la casa di Montecarlo, svenduta a un quinto del suo valore commerciale, fosse stata effettivamente acquistata dal cognato, attraverso quel circolo vizioso di società e di prestanomi nel paradiso fiscale di Saint Lucia, si sarebbe dimesso dalla Presidenza della Camera.
Non l’ha mai fatto!
Arrivavano persino documenti ufficiali dello stato di Saint Lucia che provavano che la Società proprietaria della casa di Montecarlo apparteneva al cognato di Fini.
Il Presidente della Camera continuava, però, a sostenere che era tutto falso e che era una montatura a suo danno. Parlava di macchina del fango.
In questa vicenda compaiono uomini che a suo tempo erano già stati collocati nella cerchia delle conoscenze di Fini, tra questi James Walfenzao, mediatore e uomo di affari con vocazione da faccendiere, e Francesco Corallo, imprenditore, indagato per corruzione e latitante.
Qualche giorno fa Fini, in una trasmissione televisiva, ha anche accusato Berlusconi di essere un corruttore per aver corrotto l’ex direttore dell’Avanti, Lavitola, con lo scopo di infangarlo sulla casa di Montecarlo, motivando così una pronta querela dell’ex premier Berlusconi.
Nel numero oggi in edicola, l’Espresso riprende l’argomento, dopo il ritrovamento, negli uffici di Corallo a Roma, della copia del passaporto di Elisabetta Tulliani e di una dichiarazione firmata da Giancarlo Tulliani, in cui il cognato di Fini attesta di essere il beneficiario al 100% di una società di Saint Lucia che svolge attività immobiliari.
Questi documenti erano stati spediti per fax dallo studio di Corallo a quello di Walfenzao a Montecarlo quando, nel gennaio 2008, Giancarlo Tulliani aprì nello Stato di Saint Lucia una società finora sconosciuta, la Jayden Holding, agente nelle compravendite immobiliari.
Ma i Tulliani non avevano sempre negato di avere rapporti di affari nel paese caraibico?
Fini conosceva sia Walfenzao che Corallo da prima della sua relazione con la nuova moglie e con la famiglia Tulliani.
Ma è coincidenza anche questa?
E’ coincidenza la relazione di conoscenza, di affari e di collaborazione che si è creata tra i Tulliani, il faccendiere e il latitante?
Non resterebbe che fare due domande al Presidente della Camera:
- non pensa che la farsa sia durata anche troppo e che gli italiani siano meno imbecilli di quanto Lei suppone?
- cosa aspetta a dimettersi?
Vito Schepisi