31 dicembre 2014

Un passo avanti, due passi indietro


L’anno vecchio stancamente si consuma e ci lascia la più grave crisi politica dell’Italia repubblicana. L’Italia non cresce, arretra e perde terreno, le aziende chiudono, la disoccupazione si espande, il debito aumenta, le tasse falcidiano le piccole imprese, saltano le piccole economie delle famiglie ed un giovane su due non trova lavoro.
Il campo è rimasto a chi, tra una gag e l’altra, con poche idee, ma senza grande coraggio, assieme ad un nugolo di cortigiani che chiamare ministri sarebbe osar tanto, si spaccia per l’uomo della provvidenza e si sbraccia per far credere in ciò che in Italia non c’è.
Ci sarà pure una ragione perchè l’Italia è ferma e perchè non è al passo con le altre economie industriali del mondo. E’ che, per dabbenaggine e presunzione o per cinico calcolo, in Italia, invece di cambiare ciò che non va, si gira al largo delle cause, ci si impunta sulle parole d’ordine, ci si arrocca dietro ai principi ideologici. 
Tutto questo non ha senso. E’ come la tela di Penelope in cui la notte si disfà ciò che di giorno si fa. Sembra d’assistere ad un gioco delle parti in cui si inseriscono le rendite di posizioni e le ambizioni di chi non ci sta a restare solo a guardare. 
Nessuno s’accorge che nel mondo c’è una realtà economico-sociale in mutamento e che nel terzo millennio si sta rafforzando un mercato che, piaccia o non piaccia, diventa sempre più articolato e globale. 
Le chances  migliori dell’Italia sono nel “Made in Italy”. Nel mercato globale, infatti, contano ancora la qualità, il gusto e la bellezza, ma gli italiani sono così abili che, col giornalismo di inchiesta, sulla TV di Stato pagata dai contribuenti, invece di fare domande, ad esempio, per scoprire chi e perchè ha dissipato 17 miliardi di Euro del MPS o per far luce sulle altre ricche carognate a danno del Paese, prova a tirar giù la serranda ai marchi di qualità del Made in Italy. 
Che bravi! Italiani brava gente!
La stessa struttura costituzionale del Paese è obsoleta. Altro che la Costituzione più bella del mondo! 
Anche i valori fondanti di una civiltà matura, in cui si è sempre riconosciuto il nostro popolo, sono stati annullati nella retorica dei nuovi scenari sulle origini e sui generi. Va in onda il “politicamente corretto” che è una sorta di “nuova” filosofia in cui il metodo della democrazia vale all’incontrario ed il libero pensiero rischia d’esser etichettato come fobico-ossessivo. 
Anche la democrazia, tra primarie mafio-dirette e governi messi in piedi a dispetto della volontà popolare, è diventata un miraggio. 
Siamo un Paese di ladri e di corrotti: in Italia lo dicono tutti, anche coloro che hanno voluto e alimentato la rete di gestione del territorio, e che sono parte attiva e governano la ramificazione del sistema di gestione. Dignità, lealtà, senso dello Stato e coerenza hanno lasciato il posto all’ipocrisia. 
C’è una rete di interessi che si ramifica in tutto lo stivale e che si sviluppa con una organizzazione molto simile a quella del sistema della lupara, con le “famiglie”, i “mandamenti”, i “summit”, la “spartizione”, il “monopolio”. Cooperative, onlus e associazioni sono ora il “mondo di mezzo”, e sono diventate le nuove cinghie di trasmissione degli interessi particolari, delle pubbliche amministrazioni e … dei partiti.

“Un passo avanti, due passi indietro” scriveva Lenin nel 1904 per spiegare le difficoltà della rivoluzione socialista nel districarsi tra le beghe, la democrazia borghese e la lotta di classe.
E un passo avanti e due passi indietro fa l’Italia, nel districarsi tra l’etica e le scelte di indipendenza e libertà, mentre si allontana la speranza di ritrovare i valori ideali, la fiducia e un percorso coerente verso il futuro.
Vito Schepisi

21 ottobre 2014

Matera Capitale Europea della Cultura 2019


Con Matera ha vinto il Sud.
Esultiamo tutti, lucani e pugliesi, calabresi e campani, molisani e siciliani perché è la prima volta che un riconoscimento così importante arriva in una città del Mezzogiorno.
La nostra terra, tutta quella del Sud – dal Salento alle Murge, dai paesi dell’Aspromonte al Gargano, dallo stretto di Messina agli Appennini molisani, dai tesori del tardo barocco della Sicilia orientale al barocco leccese, dai Sassi di Matera alla Costiera Amalfitana, dai trulli della Valle d’Itria ai dammusi siciliani, dalle case in pietra alle preziose coste del sud, dai castelli federiciani alla Valle dei Templi di Agrigento - è una testimonianza unica di bellezza, di storia, di tradizioni, di arte ed anche di gusto, se si uniscono i sapori della nostra enogastronomia.
Grazie a Matera, con i suoi sassi e con il suo paesaggio ricco di civiltà contadina, si allarga a tutto il Sud la scommessa di un primato internazionale da conquistare, se solo riuscisse a far prevalere la sua maestosa originalità.
La scelta caduta sulla Città lucana sia dunque il fulcro su cui far muovere le leve dell’ingegno e dell’originalità che, visibili nella storia delle antiche tradizioni, sono già nel dna delle popolazioni meridionali. Basterebbe che tutti facessero la loro parte.
Sia così il riconoscimento della Città dei Sassi il trampolino da cui far partire la domanda di crescita delle terre del Sud.
Sia Matera, Capitale della cultura europea, con il sostegno della classe dirigente meridionale e con l’entusiasmo della sua popolazione a richiamare l’Europa e il mondo perché s’immergano, oltre che nel fascino della cultura rurale e mediterranea, anche nelle ataviche problematiche sociali legate ai bisogni della popolazione ed al dramma della fuga dei giovani alla ricerca di opportunità di lavoro.
C’è un patrimonio inestimabile che vale più di ogni tesoro conservato nelle fredde casseforti delle banche europee, c’è un insieme di valori culturali, materiali e storici, alimentati nei secoli dai contributi delle diverse civiltà insediatesi nelle terre del Sud che hanno permeato di scienza e conoscenza tutto il mondo occidentale. Questo patrimonio di storia e di cultura è il nostro credito più grande e può essere più forte e scotente dei toni delle lamentele e delle richieste di assistenzialismo che nel passato sono servite ad arricchire alcuni privilegiati, ad alimentare le clientele politiche e ad impoverire la gente più umile.
Il popolo meridionale, tutto intero, con la scelta di Matera a rappresentarla come Capitale della Cultura Europa per il 2019, ora incassa un tributo di grande valore.
Il meridionalismo ha ora uno strumento in più per far valere la sua richiesta di riscatto. Si sono rotte le catene dell’indifferenza ed è stato vinto il cinismo di quanti hanno sempre visto il meridione come una terra di conquista, se non addirittura come un peso di cui liberarsi.
Ora cambia persino la prospettiva delle cose: è l’Italia che senza o contro il Sud perde una parte consistente del suo primato mondiale per arte, bellezza e cultura.
E’ il tempo, finalmente, di uscire dalla stupidità della contrapposizione tra nord e sud e di sentire tutti insieme l’orgoglio d’essere italiani. Sia recuperata la nostra storia e, dopo 153 anni, sia recuperata davvero quell’Unità Nazionale che nel 1861 vide il nostro mezzogiorno conquistato e aggiunto all’Italia, senza lasciare alla gente del Sud la libertà di condividere e d’essere coprotagonista della conquista dell’unità nazionale.

Vito Schepisi
Su Epolis del 21 ottobre 2014

14 ottobre 2014

Governare senza retorica

Il dibattito sulle aspettative per il Comune di Bari 

Nella confusione del confronto elettorale, prima, e del pettegolezzo della composizione della Giunta Municipale, dopo, sembra sia sfuggito un intero lavoro di riflessione su Bari e sul suo futuro. Sono bastate poche sedute del Consiglio Comunale per rivedere una maggioranza che, se si sfibra sugli equilibri interni nella lotta di conquista di ruoli e potere, si compatta, invece, sui metodi e sulle abitudini di sempre.
Il timore oggi, dopo i tanti impegni per l’efficienza e per la trasparenza, è che si ritorni ai riti della vecchia politica, la stessa che ha fatto nascere in Italia un profondo e inquietante sentimento di antipolitica che già per definizione non accoglie proposte di soluzione, ma solo urla di disperazione.
Reiterare, però, 10 anni di niente sarebbe un crimine contro la Città. Bari ha bisogno di altro. Con urgenza.
“Non ci sono acuti nella programmazione municipale - scrive su EPolis il Direttore Ciccarese - Non c’è un’idea nuova, grande, attrattiva, da realizzare in 5-10 anni e capace di avere “potere segnaletico” verso il mondo (così come fatto in lungimiranti città europee) e ampiezza per determinare nuove dinamiche economiche in una città asfittica”.
Basterebbero le 250 battute che compongono la denuncia del Direttore di EPolis per condensare tutti i segnali di allarme per le urgenti necessità della nostra Città.
Ciccarese suggerisce il bisogno di un’idea che dia smalto e che sia di riferimento per una Città che a più riprese è stata indicata come crocevia di culture diverse, come porta d’Oriente, come centro dinamico del commercio mediterraneo, come importante polo universitario, come  sede di Fiera campionaria di antica tradizione.
Bari, Capoluogo di Regione, diventata Città Metropolitana, ricca di risorse e d’ingegno che l’hanno contraddistinta in passato, dovrebbe ritrovare le ragioni di un’attenzione più costante perché nella sua dimensione plurale di centro direzionale di un’area amministrativa più vasta e dell’intera Regione sia da traino nella strategia di espansione economica, nella crescita dei servizi e nell’offerta di opportunità per la Puglia e per l’intero Mezzogiorno.
Il Direttore Ciccarese suggerisce ancora l’idea che, alla funzione di veicolo per un‘attenzione che travalichi i confini nazionali, Bari unisca anche gli impulsi per lo sviluppo economico e per ampliare le opportunità di lavoro.
Tutti gli enti amministrativi avrebbero l’obbligo di dare una mano al Paese per uscire dalla crisi. Non si sa, però, se a Palazzo di Città sia ben chiaro ciò che si vuole per Bari, come lo si voglia e con quali mezzi e sistemi.
Il suggerimento è che si miri a creare ricchezza. Per farlo ci vuole un insieme di cose che servano a ritrovare la fiducia, che facciano riemergere il coraggio, come accoratamente suggerisce Desirèe Digeronimo nel suo intervento di oggi su Epolis, che blocchino la crescita della spesa e delle tasse, nonostante l'assenza di servizi efficienti, come denuncia Giuseppe Carrieri nel suo intervento.
I fondi europei per gli interventi di recupero del patrimonio urbano, possono avere effetto strategico per attrarre, ad esempio, un maggiore interesse turistico, possono mettere in circolo risorse economiche a beneficio delle imprese locali, ma da soli non creano sviluppo e occupazione permanente. I posti di lavoro si creano, e soprattutto si mantengono, in un rapporto compatibile tra iniziativa e mercato, e le risorse sono un’opportunità per lo sviluppo e non solo soldi da spendere.
Bisogna pensare al sistema delle imprese perché queste fungano da propulsori di sviluppo. Bari, come l’Italia, deve favorire la nascita di piccole e medie imprese locali. Per farlo deve passare da una strada obbligata che consiste nel ribaltare i rapporti tra istituzioni e cittadini in generale, e tra burocrazia e impresa in particolare. RinasciBari, ad esempio, si è soffermata a lungo sul concetto di “burocrazia amica” per innescare l’agibilità di un rapporto amministrazione pubblica-cittadino-impresa non vessatorio e conflittuale, ma stimolante e senza il “malcostume dell’interdizione”, come scrive Ciccarese.
C’è poi una Bari che è antica nella sua idea della politica, consunta nella sua articolazione sociale, obsoleta nel suo provincialismo, reazionaria e volgare, cinica e impietosa, arrogante e violenta, avvolta nel familismo, nell’assistenzialismo e nel chiedere senza mai disporsi a dare.
Le difficoltà di gestire queste criticità sono note. Si vincono con la buona politica, più che con la retorica dei e sui giovani o con le quote di genere, gli ammiccamenti, i cedimenti ed il buonismo o, infine, con la rassegnazione. Si vincono con la cultura della libertà: quella di far sviluppare le idee, di intraprendere, di esprimersi, di avere estro, di essere ascoltati, di partecipare, di non essere discriminati.
La politica, a Bari come in Italia, si potrà rinnovare solo se il suo personale ammetterà di non essere stato capace di corrispondere con umiltà e spirito di servizio alla sfida democratica del Paese. E per far questo non servono “fabbriche” e “officine” ma solo buona amministrazione.
Vito Schepisi
su EPolis del 9 ottobre 2014

Tra Città Metropolitane e Province ecco cosa (non) cambia.


Molti lo ignorano, ma domenica scorsa, 28 settembre, in alcune parti d’Italia sono stati rinnovati i consigli provinciali di alcune città ed entro domenica 12 ottobre si completerà il rinnovo di 64 consigli provinciali e di 8 consigli metropolitani (tra cui Bari).
Alcuni pensano che le province siano state abolite, ma non è così. Sono ancora in piedi e per dieci di esse c’è stata la trasformazione in città metropolitane.
Finché non sarà approvata una legge costituzionale che modifichi il Titolo V, in cui sono tuttora previste come “enti autonomi” con propri poteri e funzioni, le province non potranno essere abolite.
Per il loro rinnovo la Legge Delrio stabilisce elezioni di secondo livello, come sarà per il Senato, se passerà la legge costituzionale che in Italia ha già fatto tanto discutere.
Le elezioni di secondo livello sono quelle in cui il corpo elettorale è costituito da un numero ristretto di soggetti già eletti in altri consessi. Non saranno più i cittadini ad eleggere i nuovi consigli provinciali, ma saranno i consiglieri eletti nei comuni delle ex province, ovvero nei territori metropolitani.
Anche per l’abolizione delle province, si cambia tutto per non cambiare niente: solo una metamorfosi delle cose. In Italia le cose che si trasformano sono come le masse gelatinose in cui, se si spinge da una parte, ciò che si sposta emerge dall’altra: la spinta populista per la soppressione delle province le ha fatte riemergere in altro modo.
Una pessima legge la 56/14. Una legge che è dissonante con la volontà di razionalizzare la geografia degli enti locali e di rendere socio-economicamente efficienti i territori.
Tra le novazioni di rilievo resta solo quella di un sistema elettorale in cui i cittadini dovranno restarsene a casa perché c’è chi provvede per loro. A ben pensare, però, è una novità solo formale per quanto è già apparso difficile che gli eletti rappresentino le istanze ed i bisogni dei cittadini, piuttosto che i loro e quelli dei partiti che rappresentano.
Le novità della legge non finiscono qua. In alcune città - dieci in tutta Italia - il presidente della provincia è già noto. E’ così per le città metropolitane, Bari è tra queste, ed il presidente della città metropolitana di Bari sarà Decaro, già sindaco della città capoluogo. Per le altre, oltre ad eleggere il consiglio provinciale, i sindaci ed i consiglieri comunali in carica eleggeranno anche il presidente della provincia. Unica nota positiva è che, almeno per ora, gli eletti non percepiranno alcun compenso. Sempre che non ci sia chi sta già studiando come aggirare l’ostacolo.
Gli elettori, come detto, saranno solo i consiglieri comunali in carica, ma “peseranno” in modo diverso. Non sarà “una testa un voto”, come accade per le elezioni di primo livello. Ogni consigliere avrà un peso specifico diverso (che non dipenderà dalle proprie abitudini alimentari). Ogni consigliere sarà, infatti, portatore di un voto ponderato, rapportato alla dimensione del proprio comune. I voti dei consiglieri del comune di Bari, ad esempio, saranno diversi da quelli del comune di Alberobello e conteranno di più perché Bari è un comune più grande. Per facilitare i calcoli, e ciò renderà più variopinta la cosa, ad ogni consigliere sarà data una scheda di colore diverso.
Solo qualche giorno ancora e il “pallottoliere” colorato delle nuove province fornirà il suo completo responso. Il suggerimento per non restare delusi è che nessuno si aspetti niente di utile.

Vito Schepisi
Su EPolis Bari del 3 ottobre 2014

19 luglio 2014

Gli assassini della democrazia


E' difficile immaginare cosa sia diventata davvero la magistratura italiana. Per capirlo dovremmo ascoltare con più attenzione gli stessi magistrati che non sopportano più che la loro funzione, nell'interesse dello Stato e della Democrazia, continui ad essere così calpestata a causa di politicanti che hanno sbagliato mestiere, finendo col fare i magistrati, mentre usano gli stessi strumenti della più spregiudicata ed intollerante lotta politica.
Oramai l'emulazione o addirittura l'incapacità di assumersi la responsabilità di poter fare il proprio mestiere, senza lasciarsi condizionare dal "giudizio" dei colleghi, o dal timore di non fare carriera, lascia poco spazio all'autonomia e alla indipendenza della magistratura.
In Italia sono caduti più governi a causa del tentativo di fare una incisiva riforma della magistratura, che non per il cinismo di far pagare ai lavoratori i costi degli abusi e della progressive difficoltà economiche, dovute agli sperperi, alle politiche clientelari, agli abusi e alla prepotenza di chi ha inteso far pagare alle future generazioni la voracità di una classe dirigente inadeguata.
Berlusconi è il primo contribuente italiano. Lui le tasse, al contrario di altri che pure hanno vissuto e speculato alle spalle dei lavoratori italiani, le paga in Italia. E' un imprenditore, e come tutti quelli che sono cresciuti nella prima repubblica non sarà stato proprio uno stinco di santo, ma non ha mai rubato un centesimo ai contribuenti. Non è mai stato al centro di intrighi e di mazzette, né in proprio e né con i suoi più stretti collaboratori. Non si è arricchito facendo politica ed ha sempre pagato dal suo portafoglio anche i costi della sua attività politica. Nessuna indagine l'ha visto coinvolto per fatti di tangenti e di spartizione di bottini. Eppure è l'uomo politico al mondo con la più persistente attenzione giudiziaria.
Ha vinto più elezioni e ne avrebbe vinto ancora di più, senza l'aggressione giudiziaria. E' stato sempre assolto, meno che in una sentenza che ha lasciato molti dubbi su una presunta frode fiscale di pochi milioni di Euro che per il leader di F.I. varrebbero quanto una pizza e birra con la famiglia per un medio impiegato italiano.
Tutto questo dura dal 1994, da quando con F.I., e parlando di Rivoluzione Liberale, ha vinto le elezioni contro gli eredi del vecchio PCI (per pudore dopo la caduta del Muro aveva cambiato nome in PDS).
Nei paesi democratici e liberi le elezioni si vincono nelle urne e non nelle aule dei tribunali.
Se l'Italia non consentirà alle forze politiche democratiche di poter contendere il governo del Paese agli eredi del PCI con i suoi alleati, questo Paese non sarà mai un paese normale.
Se gli italiani non si accorgeranno che tengono a libro paga tutti quei personaggi che si prestano a fare il gioco della rete (sindacale, cooperativa, finanziaria, imprenditoriale, associazionistica) che ruota attorno alla sinistra, e non realizzeranno che il conto lo pagano i contribuenti, questo Paese non sarà mai democratico e libero.
Chi ci taglieggia ogni giorno non è Berlusconi, ma i politici di mestiere, i burocrati, gli affaristi, le cupole, i comitati di affari, i centri di spesa, le caste, i guitti della televisione di Stato, le caste e chi percepisce doppie e triple pensioni, mantenendo persino incarichi pubblici retribuiti.
C'è tanta di quella gente inutile che succhia danaro in eterno ed a volte ancora di più con le reversibilità. Sono parte del potere autoritario che ci opprime. Sono parte delle sventure di questa nostra sventurata Nazione. Sono i sempreverdi, politicamente corretti, buoni per ogni stagione. Sono i parrucconi, i sepolcri imbiancati. Sono gli assassini della nostra democrazia.
La nuova impresa è svenderci alla Merkel, a Schulz, a Juncker ... mentre un pupazzo fiorentino ci riempie di chiacchiere.

Vito Schepisi

16 luglio 2014

La sentenza in appello suol caso Ruby tra giustizia e opinioni


La sentenza in appello del processo "Ruby" è in dirittura di arrivo. 
La protagonista marocchina e l'accusa di favoreggiamento alla prostituzione di minore servono solo a rendere credibile l'ipotesi accusatoria di "concussione". 
Il vero giudizio su Berlusconi non è per un presunto rapporto sessuale mercenario con una minore, ma per quello più grave di concussione.
Allo stato delle cose, infatti, non esiste nessun elemento probatorio che stabilisca l'esistenza di un rapporto sessuale tra Berlusconi e Ruby. E non sembra che la Procura abbia mai avviato procedure di indagine sui rapporti sessuali della ragazza marocchina con altri soggetti.
E torniamo alla "concussione". La sentenza di primo grado ha trovato sufficientemente provata e credibile l'ipotesi della Procura sul reato di concussione ma dinanzi ad una ipotesi di reato "per induzione" lo ha aggravato sostenendo che vi sia stata "costrizione".
Per il Collegio di primo grado, Berlusconi avrebbe "costretto", facendo leva sulla sua autorità, i funzionari di polizia a consegnare la ragazza marocchina ad un soggetto maggiorenne. Cioè a fare una cosa che è in uso e che è considerata perfettamente legale.
Dal procedimento, però, la concussione non è emersa affatto.
I due funzionari di Polizia hanno sostenuto tutt'altro, ed a maggior ragione per costrizione significa aver costretto con autorità qualcuno a fare ciò che non voleva. Questo non è accaduto, però.
L'ipotesi originaria della Procura, invece, sarebbe più realista, ma anche questa non è stata provata, anzi è stata smentita, e sempre dagli stessi funzionari di polizia che in Aula hanno testimoniato sull'assoluto rispetto e cordialità per il tenore ed il contenuto della telefonata di Berlusconi.
Persino la storia della nipote di "Mubarak" ha trovato riscontro in precedenti e testimonianze in cui la ragazza marocchina millantava questa parentela e dava una versione fantasiosa della sua storia personale.
L'escussione dei testi nel processo, certamente utilizzata a favore del gossip (leggi sputtanamento politico), si è trasformata in un discrimine tra chi era già ritenuto pregiudizialmente credibile e chi no. In sostanza non serviva al processo, perché non è servita a fornire certezza di niente.
Ma il reato di concussione per induzione può mai essere così generico? E' applicabile solo per opinione di Procura e di Giudici? Non ha bisogno di riscontri e di prove?
Ma che giustizia è mai questa?
Ma la telefonata è forse servita a procurare un privilegio, un vantaggio, un utile?
La risposta è assolutamente "NO". L'affidamento del minore fermato ad una maggiorenne l'avrebbe potuto suggerire un qualsiasi avvocato.
Concussione per una telefonata informativa chiusa in modo costruttivo e cordiale?
Ma non scherziamo!
Se si volesse estremizzare anche la lettera del Presidente Napolitano al Consiglio Superiore della Magistratura, per dirimere con un nulla di fatto la questione che si era aperta alla Procura di Milano in cui il Capo della Procura è stato accusato dal suo Vice di scorrettezze di favoritismi nell'assegnazione dei fascicoli di indagine, potrebbe costituire il reato di "concussione".
A prescindere dal giudizio politico sul metodo e sulle discriminazioni che si rilevano nel comportamento del Capo dello Stato, ma i "reati" da prevenire e sconfiggere sono ben altri.

Vito Schepisi

Gli uomini del Bunga-Bunga di Angela Merkel


La barzelletta di Berlusconi che ha dato il titolo ad una fantasia boccaccesca della Procura di Milano, ben si adatta ai due personaggi: il lussemburghese Jean-Claude Juncker ed il tedesco Martin Sculz. 
Ecco la barzelletta che è passata alla storia: “Due ministri del governo Prodi vanno in Africa, ma il loro aereo si schianta su un’isola selvaggia, dove vengono catturati da una tribù di indigeni. II capo tribù interpella il primo ostaggio e gli propone: Vuoi morire o bunga bunga? II ministro sceglie: bunga-bunga. E viene violentato. II secondo prigioniero, davanti alla scelta, non indugia: Voglio morire! E il capo tribù: va bene, prima bunga bunga, poi morire".
Juncker e Schulz sono i due uomini che la Merkel ha messo ai vertici dell'Europa. Sono i suoi prigionieri ideali. Dicono e fanno ciò che la Germania stabilisce. La loro scelta è tra il "bunga bunga" e la morte. 
L'Europa sta dividendosi tra paesi ricchi e paesi poveri, tra sfruttatori e sfruttati, tra chi deve decidere e chi deve ubbidire, tra chi impone e chi subisce. I nostri eurodeputati, centro, destra e sinistra, però, hanno votato sia l'uno che l'altro. (quelli che non li hanno votati li hanno quasi messi alla porta). Dicono che solo così si riesce ad incidere. 
Ma ci credete davvero? 
Un'Europa che chiede rigore, partecipazione e sostegno. Poi se si va in fondo emerge che tutte queste belle richieste convergono verso gli interessi dei paesi più forti, Germania in testa, che difendono le loro finanze ed i loro mercati. Niente è stato concesso ai paesi più poveri se non prestiti (la Grecia) che pagano a caro prezzo, neanche gli Eurobond che avrebbero calmierato le scorribande degli speculatori finanziari a cui la Germania è molto sensibile. Non dimentichiamo che nel 2011 le banche tedesche hanno venduto in massa i BTP italiani facendone schizzare i rendimenti al 7% annuo mentre i loro bond viaggiavano all'1% . Ed i rendimenti sui titolo pubblici li paga lo stato, cioè noi attraverso le tasse. 
E che fa il nostro Governo? Niente solo le chiacchiere di "Renzie" e poi si accoda alla Merkel. E' un po' come Decaro che candidato sindaco a Bari chiedeva voti perché dava del tu a Renzi (e glieli hanno dati!), così fa Renzi: dal del tu alla Merkel e l'Italia applaude. 
Che imbecilli che siamo! 
Senza, però, una politica che consenta di avviare un programma serio di riforme l'Italia dalla crisi non ne uscirà mai. 
Questo non ve lo dicono dal Governo. 
Se si fa la riforma del fisco, certamente per certi versi la più importante, si dovrebbe poter mettere in conto una temporanea riduzione delle entrate fiscali. Le risorse liberate, infatti, devono avere il tempo di trasformarsi, attraverso gli investimenti e i consumi, in nuova ricchezza. 
E se non ora quando era il momento di battere i pugni sul tavolo in Europa? 
Invece!? 
Vito Schepisi

12 luglio 2014

Quando di nuovo sono solo le parole


Smacchiare il giaguaro, asfaltare l’avversario, la rottamazione, la generazione Telemaco. Sembra più una gara a scolpire nella storia la frase del secolo. Spazzatura, però, che dura il tempo di un’altra illusione. Poi s’inventerà ancora qualcosa di banale o niente, perché tornerà ciò che era, con l’ascesa di un altro che si rifaccia allo stesso pensiero di quando c’era Lui: “Governare gli italiani non è difficile, è inutile”.
La politica è cambiata. Si è trasformata non solo nella passione e negli strumenti di confronto, quanto nell’uso delle parole, nel modo e nello stile di discutere e di proporsi.
Se l’effetto una volta sintetizzava la sostanza, oggi serve a creare una carica di evanescenti emozioni.  Se una volta l’effetto delle parole trascinava le folle, perché dietro ogni frase c’era una scelta di vita, una strategia per il dopo, una lotta di valori e di spazi sociali da presiedere e riempire, oggi dietro il fiume di parole c’è l’immagine di Fonzie, l’uomo di successo, il vincente, il cinico cordiale, il rampante determinato circondato da carrieristi plaudenti.
Non più i vecchi discorsi di respiro storico-culturale che affrontavano le conquiste dell’uomo e l’evoluzione dei sentimenti popolari. Non più lotta di pensiero tra scelte e strategie orientate al benessere. Sono state superate le passioni e le ideologie. Non si percepiscono più le trasformazioni sociali. Non si distingue più la disputa aspra tra progresso e conservazione. Non c’è più il confronto sulla scelta tra democrazia liberale e socialismo reale che nel secolo scorso aveva diviso il mondo in due blocchi.
Ancora oggi Piero Gobetti tornerebbe a dire: “Senza conservatori e senza rivoluzionari, lItalia è diventata la patria naturale del costume demagogico” ( La Rivoluzione Liberale).
Non c’è più discussione neanche sullo scontro di civiltà. Con l’uscita di scena di Papa Ratzinger, in Italia sono scomparse le analisi storico-culturali sui sentimenti etici che hanno visto svilupparsi nel mondo civiltà profondamente diverse. Il caso Università Sapienza di Roma del 2008 che aveva visto 60 docenti universitari opporsi alla Lectio Magistralis di Benedetto XVI, oggi, nell’era di Renzi, non avrebbe senso.  Il problema non si pone neanche. Come se non esistesse.
Oggi è la generazione dellhashtag, quella del #staisereno così ti pugnalo prima e meglio.


E’ la generazione 2.0, quella un po’ cinica e un po’ tecnologica che vorrebbe cambiare il mondo con una tastiera. E’ il tempo della lotta tra i nuovi barbari tra cui le volgarità, le offese, il dileggio, le accuse valgono più di una scelta. Se prima in Parlamento pascolavano molte singole capre ora pascolano le mandrie dei caproni.

La nuova frontiera della politica si è trasferita dai luoghi tradizionali del confronto (le piazze, le assemblee, i circoli, i salotti, etc.) alle sedie girevoli. Oggi seduti dietro una scrivania, in casa, dinanzi ad un video, una tastiera e un mouse si fanno le scelte. Chi c’è, c’è!
La rapidità della comunicazione è diventata strategica e fondamentale. Con il tempo di un “twit” si stabilisce un orientamento o persino una nuova linea politica. Nei fatti, più che nei giudizi, quella di oggi appare una generazione più cinica e spietata.
Il risultato di questi cambiamenti? Zero o quasi. Limpressione è che ci sia più impegno per una lotta di genere e di generazione (più donne e più giovani) che non per risolvere i problemi. Forse mancano le conoscenze e le idee per affrontare le difficoltà. Se è vero che tra le vecchie generazioni ci sono stati esempi di cattiva politica, quelle nuove, però, lasciano molto a pensare. Con le parlamentarie", ad esempio, cioè con i voti di poche migliaia di persone su internet, si scelgono deputati, senatori ed europarlamentari. Limperatore romano Caligola fece di meglio, nominando senatore Incitatus, il cavallo a cui era molto legato e su cui riponeva tutta la sua fiducia, perché oggi nel Parlamento italiano c’è anche di peggio.
Vito Schepisi
Su EPolis del 12 luglio 2014

09 luglio 2014

Democrazia aggredita

L'Italia civile, quella delle persone che non si piegano alle mode, al "politically correct", ai luoghi comuni, ai giudizi insindacabili di una casta, ai giudizi morali della politica, all'ipocrisia di un'etica elastica, ai media appiattiti sulla voce dei poteri, alle istituzioni asservite, ai servi di ogni specie, al bigottismo di ritorno, ora deve pretendere che sia fatta chiarezza. 
Venti anni di aggressioni giudiziarie hanno ridotto l'Italia alle pezze. C'è meno libertà. C'è più abuso. C'è più povertà. C'è meno fiducia. 
Persino la corruzione ha alzato il tiro: è presente dappertutto negli appalti, nelle gestioni della sanità (circostanza che la dice lunga sul cinismo politico), nella gestione e prevenzione dell'ambiente (la telefonata Vendola-Archinà ha smascherato le turpi ipocrisie di chi fa il poeta col popolo). Quella corruzione in Italia che ha distrutto una banca tra le più antiche e solide, che ammorba una grande opportunità di rilancio del made in Italy, come Expo 2015, che getta discredito su una grandiosa opera ingegneristica come il Mose a Venezia. 
C'è in Italia un sistema delle tangenti che ha una targa politica che è come quella del Corpo Diplomatico: è intoccabile ed insindacabile come uno spazio extraterritoriale. 
Si deve fare chiarezza sul colpo di Stato del 2011, gravato anche da "intellgence" con uno stato straniero e possibili complicità con gli speculatori finanziari internazionali. Si devono conoscere i ruoli giocati da Napolitano, da Monti, da Fini, da Prodi e da altri co-protagonisti. Ci sono responsabilità da svelare su una stagione in cui scientemente si è cercato di far precipitare l'Italia in una crisi prfonda. Si deve chiedere che emerga chi ha manovrato dietro la vendita in massa da parte delle banche tedesche dei nostri titoli pubblici, cosa che ha fatto schizzare lo spread fino a quasi 600 punti. 
C'è stato persino un sottosegretario al tesoro degli USA che ci ha rivelato che era stato chiesto il sostegno statunitense (al golpe) e che era stato negato. 
Cosa aspetta la magistratura, il Parlamento, i media ed il mondo della cultura italiana a reagire e chiederne conto? Quali complicità e connivenze si nascondono dietro? Se ci sono stati cani, vermi e vigliacchi che hanno tramato contro l'Italia gli italiani devono esserne informati. Si devono capire le ramificazioni, le persone coinvolte, i prezzi pagati e quelli promessi. Deve essere un dovere nazionale portare i traditori ed i golpisti in tribunale a risponderne. 
Non è vero che gli ipocriti e gli opportunisti sono più forti delle persone oneste e leali. E' vero solo che la gente per bene si arrende facilmente, è vero che è indotta da campagne di stampa mirate a nascondere e a far cambiare idea, è vero che protesta in modo disordinato fino a portare acqua al mulino di chi ci fa del male. 
Purtroppo c'è anche chi si assuefà all'abuso di coloro che non solo ci usano, ma poi ci chiedono anche di pagare il conto dei danni. 
Silvio Berlusconi nel 1994 deve aver fatto paura ai poteri forti ed alle caste italiane. La sua Rivoluzione Liberale aveva terrorizzato gli sciacalli, i fannulloni, chi viveva alle spalle degli altri, i magnaccia della politica e delle istituzioni, chi godeva di privilegi, chi si arricchiva alle spese del popolo, chi aveva imposto in italia un sistema di taglieggio su ogni cosa, chi si preparava a conquistare il potere dopo aver scardinato dal di dentro lo Stato. 
Il primo Governo Berlusconi nato il 10 maggio del 1994, fiducia della Camera il 20 maggio 1994, dura di fatto fino al 22 novembre del 1994, solo 6 mesi e con l'estate di mezzo. Finisce di fatto a Napoli con l'avviso di garanzia a Berlusconi notificato attraverso la prima pagina del Corriere della Sera, mentre il leader di Forza Italia, come Capo del Governo, è lì a presiedere un vertice internazionale sulla criminalità organizzata. L'avviso di garanzia era per una indagine su Mediaset, la prima di una serie infinita, da cui Berlusconi uscì del tutto estraneo. Da allora un susseguirsi di indagini e di chiamate in giudizio in una "saga" che ha visto Berlusconi tra gli uomini più indagati e perseguitati del mondo. 
Vito Schepisi

08 luglio 2014

La nostra flessibilità sono le riforme



Si discute tantissimo, anche in Europa, di cosa abbia bisogno l'Italia. Naturalmente ci vogliono le riforme, perché un Paese vecchio che gira attorno alle mura altissime del fortilizio della burocrazia non aiuta la ripresa. 
Le “riforme” sono come il toccasana che risolve tutto. I politici quando non hanno niente da dire parlano genericamente delle riforme da fare.  Ma queste riforme che tutti vogliono e che tutti chiedono poi si insabbiano nella cenere degli incendi che le bruciano. Basterebbe osservare chi appicca il fuoco per capire chi non le vuole. Ma non è neanche così facile.
Incendiando la politica si favoriscono le lobbies e si sostengono le caste e si creano  i nuovi strumenti in mano ai  gattopardi della politica. L’araba fenice in Italia nasce proprio dalle ceneri di una “guerra tra bande” che dura ormai da troppo tempo. Le conseguenze sono che la brutta politica ci restituisce solo l’Italia che non ci piace.
Se l’Europa da una parte ci nega la flessibilità, ci suggerisce dall’altra che basterebbe inoltrarsi sulla strada delle riforme per rendere meno rigido il “nein” della Merkel o i moniti del Presidente della Bundesbank Weidemann che, come una eco al Capogruppo del PPE Weber, ha sostenuto che “fare più debiti non è il presupposto della crescita”.
E come dargli torto!?
Il fatto è che le riforme che contano possono avere effetto strutturale sui conti dell’Italia in tempi medio lunghi, diciamo 36 mesi. Nel frattempo occorre quella flessibilità che consenta al Paese di portare a termine il ciclo dei cambiamenti senza troppi ostacoli. Purché sia questo il percorso e purché si facciamo le vere riforme.
Si prenda quella del sistema fiscale. Perché sia rivoluzionaria e perché garantisca la riduzione delle aliquote, e affinché serva ad abbattere l’evasione, occorre poter mettere in preventivo un minor gettito iniziale. 
Pagare le tasse deve essere un dovere sentito da tutti. Ma deve venir meno l’idea che le tasse siano una ingiusta rapina. Le analisi della CGIA di Mestre hanno calcolato in 140/150 miliardi di Euro il mancato gettito dovuto all’evasione. E’ una cifra enorme. 
La disoccupazione giovanile sta diventando un dramma italiano. E’ una mina sociale che può esplodere da un momento all’altro. L’intervento sulle pensioni Monti-Fornero del 2012 è stato un modo cinico e selvaggio di affrontare il debito previdenziale del Paese. La questione ora andrebbe di nuovo affrontata. Occorre un patto sociale tra generazioni, cominciando col mettere un po’ di naftalina sull’inasprimento delle anzianità pensionabili. Non si può ritardare ancora l’ingresso nel mondo del lavoro delle nuove generazioni. Se si sostituissero i più anziani con i giovani, oltre ad assicurare benefici produttivi, si scongiurerebbe il pericolo di una involuzione sociale perché i giovani che non trovano lavoro non possono mettere su nuove famiglie. Il 43% della disoccupazione giovanile non può essere più tollerabile: costituisce una potenzialità inespressa. Tener fuori una forza lavoro di queste dimensioni, con le implicazioni che si hanno sulla domanda, sta trascinando l’italia  in una spirale recessiva senza fine. 
Le riforme da fare sono tante e sono tutte urgenti: si pensi a quella dello Stato, a quella della Giustizia, oltre a quelle che abbiamo citato del fisco e del welfare. La modernizzazione del Paese e la velocità delle realizzazioni possono essere il punto di partenza per ottenere: il taglio della burocrazia parassitaria; la diminuzione dei costi di esercizio della spesa pubblica; la velocità di circolazione delle risorse economiche. 
Anche il tempo è danaro, la velocità  delle decisioni e delle realizzazioni crea di per se ricchezza. Mentre negli altri paesi la velocità è diventata una condizione di competitività,  l’Italia è lenta e resta indietro.
Vito Schepisi

Su EPolis dell'8 luglio 2014

12 giugno 2014

E' tempo di tasse

E’ una brutta cosa pagare le tasse in Italia.
C’è stato, qualche tempo fa, un ministro, non più sulla Terra, che sosteneva che pagare le tasse fosse bellissimo. Di certo non tutti la pensavano come lui. E neanche la pensavano come il suo vice ministro che, per di più, in tempi ancora più remoti, andava sostenendo di ricevere tanti messaggi per fax da parte di cittadini contenti di pagare le tasse in Italia.
Il piacere di pagare le tasse è perverso, ma non è una forma di perversione erotica: è ben diversa da quella degli oziosi gaudenti, ed è poco pensabile che il masochismo fiscale rientri tra le ricorrenti perversioni dell’uomo.
Di cittadini e contribuenti se ne sono conosciuti tanti, e quelli che si sono mostrati contenti di pagare sono stati soltanto quelli che non le pagavano le tasse, o che assolvevano l’obbligo in modo ridicolo, anzi offensivo. Mai incontrato un contribuente che abbia detto di aver pagato con soddisfazione una mappata di tasse.
Pagare le tasse nuoce gravemente alla salute ed anche ai buoni pensieri, al senso civico, alla buona educazione, ai modi cortesi, all’uso del linguaggio.
Mi sono ritrovato, infatti, a imprecare tra i miei pensieri in modo così scurrile da dovermene persino vergognare. Neanche da ragazzo, a scuola, nota palestra della gratuita volgarità, avevo mai usato una così ricca e ‘forbita’ sequela di parolacce.
Le tasse ci fanno impazzire due volte: una per capire cosa e come si deve pagare; l’altra al momento in cui si tirano le somme e si deve mettere mano al portafoglio.
Quando arriva il momento di pagare - di solito dalla seconda metà di giugno in poi - la prima domanda che ci si pone è il perché le tasse si pagano sempre dopo la chiamata alle urne. Se si pagassero prima, in Italia qualcosa potrebbe cambiare. Invece no. Si pagano dopo. Nel frattempo, tra un salasso e l’altro, è cambiato il governo, e quello di Dracula è sempre quello precedente, mentre quello in corso è quello che dice di voler restituire il bottino ai contribuenti.
Nel tempo, la storia si ripete sempre, anche se con stili e toni diversi: ora abbiamo quello del “venghino signori”, fate la vostra puntata: “carta che vince e carta che perde”.
Naturalmente a perdere è sempre l’Italia. E tutti noi assieme.
Quest’anno le novità non mancano. Le tasse sono come le erbe infestanti: crescono e si moltiplicano così velocemente da dover aver necessità di un consulente per tener dietro alle migliaia di leggi e di interpretazioni. Per mettersi in regola con le norme in vigore e con le scadenze bisogna pagare un esperto, perché se si commettono errori si paga ancora di più. Il sistema, infatti, è complicato e le modifiche sono continue.
E’ difficile star dietro a tutto. Quest’anno, ad esempio, nelle case degli italiani sono nate tante malerbe da scoraggiare l’impresa di chi si dedica al fai da te.
l’Imu, la Iuc, la Tari, la Tasi - sembra, però, che siano state debellate la Tarsu e la Tares, ma senza esserne certi perché  le erbe cattive non muoiono mai - l’acconto ed il saldo, le scadenze, le aliquote differenziate, i servizi indivisibili, gli inquilini e i proprietari, i comuni che hanno deliberato e quelli che non l’hanno fatto, la ricerca su internet, la differenza tra tassa (grandezza immobile) e tributo (servizio ottenuto), il governo che ha rinviato, la casa di abitazione, la seconda casa, quella a disposizione e quella locata e poi tutte le altre categorie, le esenzioni, le riduzioni, i codici, l’F24 (non è un modello d’aereo da guerra, ma l’odiato modulo con cui ci alleggeriscono le tasche).

E’ un campo di guerra! Sui beni immobili si è puntata l’artiglieria pesante. Il costo di una abitazione si paga a vita. La proprietà immobiliare è diventata una colpa su cui si sta abbattendo la scure della pena: altro che investimento rifugio nei tempi dell’inflazione; altro che fonte di reddito aggiuntivo per sostenere la perdita del potere di acquisto della pensione; altro che bene che si rivaluta nel tempo; altro che un tetto da lasciare ai figli per il loro futuro.
“Ed io pago!” Quant’è ancora attuale Antonio De Curtis, in arte “Totò”!
Vito Schepisi

Pubblicato su EPolis Bari 11 giugno 2014

08 giugno 2014

Renzi ci dice che l'Italia va. Ma non è così.


La Bce abbassa il costo del denaro al minimo storico, allo 0,15%. Il provvedimento può favorire le imprese per la riduzione dei costi degli impieghi bancari, consentendo alle stesse di allargare i margini di redditività degli investimenti.
Draghi, ancora, annuncia operazioni di rifinanziamento a medio e lungo termine rivolti al settore famiglie, per invogliare i consumi e far ripartire, con una domanda più sostenuta, la dinamica dell'inflazione.
In Italia, però, le cose non sono così semplici. La produzione industriale sta calando e preoccupa non poco la crescita della disoccupazione. C'è molta confusione. Anche le recenti notizie sugli scandali e le tangenti, dall'Expo al Mose, consolidano quel senso di sfiducia che induce al risparmio più che alla spesa.
Il voto a Renzi alle Europee non va letto come una scelta verso il PD, ma come un voto di speranza. Gli italiani hanno voluto dar credito a un uomo che dice e promette tante cose. Tutti, ora, sono in attesa dei fatti, ma è difficile che arrivino. Per i fatti non ci sono le condizioni politiche, e lo spettro del voto anticipato rende impraticabili le iniziative impopolari.
La pressione fiscale italiana è di 4 punti superiore alla media europea e rende meno competitiva la nostra produzione. Bisognerebbe abbassarla, ma la tendenza è invece all'aumento. Tasi e Tari e altre diavolerie si preannunciano come salassi sugli italiani e si parla anche di una manovra aggiuntiva. Mancano 6 miliardi all'appello.
Le condizioni del Paese sono schizofreniche, il decreto Poletti non entusiasma: la crescita e il lavoro non decollano. Le imprese si sentono vessate e dove non arrivano tasse e balzelli, arriva la burocrazia con la sua ottusità.
I salari medi italiani sono al di sotto, per 500 euro, della media europea, mentre il costo della vita è allineato a quello della media. L'impatto è travolgente perché il costo medio della vita in Italia assorbe l'83,8% del reddito, mentre in Europa non supera il 68%.
Se prendessimo a confronto alcuni dati delle condizioni di vita dei lavoratori italiani, con quelli della Germania, penseremmo al confronto dei dati di un paese europeo con quelli di uno del terzo mondo. Facciamolo: il reddito medio in Germania è pari a 2.580 Euro al mese, in Italia è di 1.410 (meno del 55%); il costo della vita in Germania è di 37,2 Euro al giorno, in Italia è di 39,4 (in Italia la vita costa di più per 2,2 Euro. E' assurdo ma è così!); l'impatto in Germania del costo della vita sul reddito è del 43,2%, in Italia è dell' 83,8%, quasi il doppio.
Nel 2013 i risultati delle elezioni politiche avevano imposto un Governo di larghe intese. Poteva essere sfruttato per fare le riforme e con queste riprendere a fare politica, non beghe. Politica economica per riequilibrare i costi dello Stato e adeguarli alle esigenze dei cittadini, tagliando gli sprechi, i privilegi, gli abusi, i lussi. Poteva essere il momento buono per rischiare l'impopolarità prendendo decisione condivise e responsabili. La “mission” doveva essere quella di ridurre la pressione fiscale di pari passo con la riduzione delle spese; si dovevano fare le riforme per rendere più trasparente e sicura la giustizia italiana, più efficiente e pronto il Governo, più responsabile e laborioso il Parlamento, meno arraffona e più sobria la politica e i partiti.
Niente! Dopo 15 mesi stiamo peggio di prima, con i partiti più frantumati e litigiosi, una maggioranza incapace e senza una precisa direzione politica.
C’è solo la BCE di Draghi che ci prova, con il disappunto della Merkel, a creare le condizioni per far ripartire il Paese.

Basterà?

Pubblicato su EPolis Bari del 7 giugno 2014
Vito Schepisi