08 luglio 2014

La nostra flessibilità sono le riforme



Si discute tantissimo, anche in Europa, di cosa abbia bisogno l'Italia. Naturalmente ci vogliono le riforme, perché un Paese vecchio che gira attorno alle mura altissime del fortilizio della burocrazia non aiuta la ripresa. 
Le “riforme” sono come il toccasana che risolve tutto. I politici quando non hanno niente da dire parlano genericamente delle riforme da fare.  Ma queste riforme che tutti vogliono e che tutti chiedono poi si insabbiano nella cenere degli incendi che le bruciano. Basterebbe osservare chi appicca il fuoco per capire chi non le vuole. Ma non è neanche così facile.
Incendiando la politica si favoriscono le lobbies e si sostengono le caste e si creano  i nuovi strumenti in mano ai  gattopardi della politica. L’araba fenice in Italia nasce proprio dalle ceneri di una “guerra tra bande” che dura ormai da troppo tempo. Le conseguenze sono che la brutta politica ci restituisce solo l’Italia che non ci piace.
Se l’Europa da una parte ci nega la flessibilità, ci suggerisce dall’altra che basterebbe inoltrarsi sulla strada delle riforme per rendere meno rigido il “nein” della Merkel o i moniti del Presidente della Bundesbank Weidemann che, come una eco al Capogruppo del PPE Weber, ha sostenuto che “fare più debiti non è il presupposto della crescita”.
E come dargli torto!?
Il fatto è che le riforme che contano possono avere effetto strutturale sui conti dell’Italia in tempi medio lunghi, diciamo 36 mesi. Nel frattempo occorre quella flessibilità che consenta al Paese di portare a termine il ciclo dei cambiamenti senza troppi ostacoli. Purché sia questo il percorso e purché si facciamo le vere riforme.
Si prenda quella del sistema fiscale. Perché sia rivoluzionaria e perché garantisca la riduzione delle aliquote, e affinché serva ad abbattere l’evasione, occorre poter mettere in preventivo un minor gettito iniziale. 
Pagare le tasse deve essere un dovere sentito da tutti. Ma deve venir meno l’idea che le tasse siano una ingiusta rapina. Le analisi della CGIA di Mestre hanno calcolato in 140/150 miliardi di Euro il mancato gettito dovuto all’evasione. E’ una cifra enorme. 
La disoccupazione giovanile sta diventando un dramma italiano. E’ una mina sociale che può esplodere da un momento all’altro. L’intervento sulle pensioni Monti-Fornero del 2012 è stato un modo cinico e selvaggio di affrontare il debito previdenziale del Paese. La questione ora andrebbe di nuovo affrontata. Occorre un patto sociale tra generazioni, cominciando col mettere un po’ di naftalina sull’inasprimento delle anzianità pensionabili. Non si può ritardare ancora l’ingresso nel mondo del lavoro delle nuove generazioni. Se si sostituissero i più anziani con i giovani, oltre ad assicurare benefici produttivi, si scongiurerebbe il pericolo di una involuzione sociale perché i giovani che non trovano lavoro non possono mettere su nuove famiglie. Il 43% della disoccupazione giovanile non può essere più tollerabile: costituisce una potenzialità inespressa. Tener fuori una forza lavoro di queste dimensioni, con le implicazioni che si hanno sulla domanda, sta trascinando l’italia  in una spirale recessiva senza fine. 
Le riforme da fare sono tante e sono tutte urgenti: si pensi a quella dello Stato, a quella della Giustizia, oltre a quelle che abbiamo citato del fisco e del welfare. La modernizzazione del Paese e la velocità delle realizzazioni possono essere il punto di partenza per ottenere: il taglio della burocrazia parassitaria; la diminuzione dei costi di esercizio della spesa pubblica; la velocità di circolazione delle risorse economiche. 
Anche il tempo è danaro, la velocità  delle decisioni e delle realizzazioni crea di per se ricchezza. Mentre negli altri paesi la velocità è diventata una condizione di competitività,  l’Italia è lenta e resta indietro.
Vito Schepisi

Su EPolis dell'8 luglio 2014

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