28 novembre 2008

Gli "interventi spot" di Veltroni

Dev’essere la parola d’ordine del momento. La usano oramai in tanti ed ovviamente anche Veltroni: “Domani (oggi per chi scrive - ndr) il governo prenderà delle misure e mi auguro che tengano conto della crisi e non procedano con interventi spot”. Anche in precedenza l’avevamo sentito dire, che l’esecutivo procedeva con “interventi spot”. In verità, abbiamo sentito anche di peggio.
Questa mattina sono così andato sul vocabolario per capire meglio cosa Veltroni volesse dire. La parola viene usata generalmente per due accessi. Uno che esprime un fascio di luce che illumina, tra tanti, un particolare della scena, ed è un termine usato in fotografia e in cinematografia. Ed ho pensato che Veltroni, diplomato in cinema, si riferisse a questo. Un altro, invece, attiene alla pubblicità e cioè a quelle sequenze di immagini sintetiche che si diffondono per promuovere un prodotto di consumo o esaltare l’efficienza di un mezzo. Ho pensato così alla esperienza comunicativa di Berlusconi ed alla idea di Veltroni che per l’attività del Governo il premier si servisse di effetti illusivi.
Se il Governo usasse gli “interventi spot” per mettere in luce le questioni e poterle affrontare con chiarezza, Veltroni darebbe all’esecutivo un giudizio tutto sommato positivo. A questo punto mi è sorto un altro dubbio: com’è possibile che il leader del PD esprima una valutazione positiva su questa maggioranza a cui non perdona il fatto che l’abbia battuto alle elezioni?
Ma Veltroni - mi sono chiesto subito dopo - l’abbiamo mai sentito esprimere un apprezzamento positivo su iniziative dello schieramento avversario?
Sin dal primo giorno il segretario del PD si è distinto nell’inseguire Di Pietro, in fuga verso un’opposizione pregiudiziale. E tutte le dichiarazioni del leader del PD di rottura con l’ex PM contrastano con il sostegno nei fatti ai toni ed al pregiudizio del leader forcaiolo dell’Idv.
Anche per l’immondizia di Napoli, mentre abbiamo sentito D’Alema e Prodi, assegnarsene il merito, Veltroni non ha mai riconosciuto quelli del Governo e né offerto sostegno e collaborazione, tanto da trovarsi persino in contrasto con il Presidente della Campania Bassolino, che invece al tempo mostrò di apprezzare le iniziative governative.
Veltroni si è solo distinto, ad esempio, nel contestare l’abolizione dell’ICI sulla prima casa, anche in modo scorretto, facendo passare l’idea che era una misura che favoriva i ricchi ed i proprietari di immobili, mentre alleggeriva la pressione fiscale solo su coloro che abitano in case di proprietà, alcune gravate da ipoteche e con rate mensili di mutui da pagare.
Non so se le due iniziative menzionate siano considerati “interventi spot” da Veltroni, o se sia considerata tale anche la tenacia del ministro Brunetta nel voler ridurre gli sprechi della Pubblica Amministrazione, e nel voler smascherare i fannulloni.
Prima del Governo di Prodi tra gli slogan della sinistra ce n’era uno relativo alle tasse in cui si sosteneva che pagandole tutti se ne potevano pagare di meno. Ora che ci penso, è strano che durante l’ultima campagna elettorale questo slogan della sinistra sia sparito: sarà stata la vergogna che si è fatta sentire! Perché, di grazia, ora la sinistra e Veltroni non sostengono il ministro Brunetta dicendo che nel pubblico impiego se lavorassero tutti si lavorerebbe di meno?
Ma se Veltroni quando parla di “interventi spot” si riferisse, invece, agli annunci della maggioranza di provvedimenti su questioni avvertite dall’opinione pubblica a cui non farebbero seguito iniziative risolutive ma solo immagini illusive?
Ogni provvedimento perché sia efficace deve tener conto di due necessità. La prima è quella di recare un vantaggio concreto e la seconda è quella di non modificare un quadro complessivo di equilibrio economico finanziario in modo tale da provocare lesioni all’intero impianto.
Nessun intervento di riparazione, infatti, raggiunge il suo fine se incide sulle fondamenta dell’intero edificio provocandone il crollo. Sarebbe il caso che anche Veltroni, che è di suo buon cultore di “spot”, sappia che non proprio tutto “si può fare”. Il Paese ha bisogno di serietà. La smettesse, pertanto, di giocare a fare l’Obama, o il fantasioso sognatore, per assumere atteggiamenti più consoni alle difficoltà del momento.
Vito Schepisi

26 novembre 2008

Epifani sciopera contro l'Italia

Se ci fosse l’avvisaglia di una possibile alluvione che possa inondare vasti territori del Paese e qualcuno decidesse di aprire le dighe per allagare i campi ed i piccoli insediamenti rurali, tutti penserebbero che si sia in presenza dell’azione di un folle.
Se in Italia il Pil è in recessione e si fatica a mantenere il ritmo della produzione, perché i costi rischiano di superare i ricavi, ed i sindacati decidessero lo sciopero generale, tutti i cittadini dotati di buon senso penserebbero che sia una decisione sbagliata, presa in un momento sbagliato.
Se fosse ancora uno sciopero generale programmato in largo anticipo, in modo pregiudiziale ed al buio, con la motivazione della difesa dei lavoratori in difficoltà nel far fronte alle esigenze delle famiglie per via dei bassi salari, con l’aggiunta della preoccupazione per la contrazione dell’offerta di lavoro per il precariato ed anche, perché in questo caso ci sta, generalmente e per definizione, contro la politica del Governo, penseremmo di stare in un Paese di pazzi.
Per fortuna non è proprio così! Il sindacato, quello di ispirazione democratica, avverte le difficoltà, e nei momenti importanti non manca all’appuntamento con i lavoratori per difendere i loro diritti e per sostenere i salari e l’occupazione.
“In nessun Paese industrializzato – sostiene Bonanni leader della Cisl - il sindacato risponde alla crisi con una protesta di questo tipo, senza pensare alle ripercussioni. Nessuno si sognerebbe di fare uno sciopero generale, figuriamoci se l’iniziativa è di un solo sindacato”.
Per ogni regola, però, c’è l’eccezione ed è il caso della Cgil, il sindacato di sinistra, quello con forti presenze comuniste, con la base cosiddetta dura e pura, schierata contro il sistema, in particolare se a governarlo è l’odiato centrodestra, votato dagli italiani e guidato da Silvio Berlusconi..
Una diversa impostazione quella della Cgil di oggi, quella di Epifani, da quella del “piano del lavoro” di Giuseppe Di Vittorio tra la fine del 1949 e l’inizio del 1950, quando il sindacalista di Cerignola si preoccupava del contributo delle forze sociali all’avvio di grandi opere infrastrutturali, con l’obiettivo di favorire l’espansione del Paese attraverso la spinta sui consumi e sulle opportunità occupazionali.
La Cgil oggi appare sempre più un sindacato senza ideali e senza coscienza sociale, come si è visto per il caso Alitalia, incapace di far da traino, con l’equilibrio e la moderazione che occorre nei momenti difficili, per la difesa dei valori universali del mondo del lavoro, minati come si è visto dall’egoismo corporativo di incoscienti minoranze e di categorie privilegiate. Nessun paragone è possibile con Di Vittorio, leader della Cgil nei momenti difficili del dopoguerra, quando l’interesse degli italiani , anche con il sostegno del sindacato di sinistra, era quello di ricostruire il Paese.
Le misure europee orientate a sospendere per due anni la rigidità dei parametri richiesti dagli accordi di Maastricht, per iniziativa congiunta di Sarkozy-Merkel, per sostenere misure eccezionali di stimolo ai consumi attraverso interventi di riduzione fiscale, trova per l’Italia l’ostacolo del debito pubblico che andrebbe, invece, ridotto. Il debito agisce in modo perverso: alimenta, infatti, il fabbisogno corrente per gli interessi da corrispondere sull’esposizione complessiva. La sospensione dei parametri, per favorire la spesa, non potrebbe così essere così inteso come un provvedimento strutturale sulla pressione fiscale.
E le indicazioni di Epifani che si riflettono in alcune proposte del PD, come quella di Bersani per la riduzione della pressione fiscale sulle buste paga dei lavoratori (Bersani è lo stesso che faceva il ministro di Prodi quando la pressione fiscale è stata inopinatamente aumentata per finanziare la crescita “strutturale” della spesa) non possono essere adottate in presenza di riduzione del fatturato e dell’occupazione che agiranno di proprio nella riduzione del gettito fiscale, creando già prevedibili difficoltà nel finanziare la spesa.
Nessuno a sinistra e nei sindacati che parli, invece, di tagli alla spesa pubblica, se non per quella dei costi della politica, sempre valida per i demagoghi, ma che da sola non serve per reperire fondi significativi per il fabbisogno; e nessuno che parli di riqualificazione della spesa, come quella di spostare fondi dal costo del personale a quello delle infrastrutture nella scuola, ad esempio.
Ecco Epifani! Faccia il suo sciopero il 12 dicembre: e sarà uno sciopero contro l’Italia.
Vito Schepisi

24 novembre 2008

Riformare la Sinistra

Per quanto sia impensabile che possa essere una preoccupazione di chi non è di sinistra, ma è necessario che ci si debba preoccupare di poter avere in Italia una sinistra democratica e riformista. Ogni forza politica di ispirazione liberale ha bisogno di interlocutori coerenti e credibili, per poter instaurare il metodo del pluralismo di pensiero e della democrazia della scelta.
Nelle diverse forme istituzionali in cui si sviluppano i modelli di democrazia compiuta, il confronto politico ha bisogno di contendenti attendibili per evitare il rischio della sclerotizzazione della classe dirigente e la conseguente loro trasformazione in casta di potere.
Si era già detto ai tempi del suo sorgere che il Partito Democratico, nato su un progetto politico più di vertice che di popolo, non avesse la spinta per poter colmare un vuoto avvertito nella sinistra democratica della politica italiana.
Resta viva, infatti, la sensazione che a sinistra non vi siano interlocutori responsabili e soprattutto che da parte dei protagonisti non vi sia una scelta ferma di adesione ai metodi del libero confronto caratteristici di una scelta liberale. La democrazia asserita non si può esaurire nei riti formali delle primarie, organizzate per di più dagli apparati e con la preventiva indicazione del vincitore, come è accaduto prima con Prodi e poi con Veltroni. L’opzione della scelta democratica non si esaurisce neanche con la navigazione a vento, come fa Veltroni, che finisce sempre col disporsi a trovare il suo Eolo in Di Pietro. E se invece di Veltroni, il PD dovesse scegliere il marinaretto più aduso allo spirar dei venti, questi oserebbe persino affermare d’essere in grado di deviarne il corso, per quanta spocchia elitaria e presunzione possiede.
Il Pd lo scorso anno nasceva dall’integrazione dei due corpi della sinistra consumati dalla storia ed esauritisi per gli errori passati.
La sinistra post comunista, trasformata nel nome, era rimasta integra nella sua classe dirigente, anzi si era attrezzata a far emergere, nella nomenclatura, tra i cavalli di razza, le personalità più caratterialmente formatesi nella vecchia idea leninista: quella del regime che si insinua nei meccanismi della democrazia per ridurli alla dipendenza, come una sostanza stupefacente.
La sinistra popolare non marxista ma integralista, centralista e soprattutto illiberale, invece, aveva aggiunto alla sua contrarietà al sistema della libera impresa, l’onta d’aver perso la centralità della guida della Nazione. I colpi di tangentopoli e le scissioni di quella che era stata la vecchia dc avevano reso più duri i toni della contrapposizione alla svolta neo liberale che, proveniente dall’Europa, si affacciava anche in Italia, introducendo la cultura dello stato minimo e le regole di mercato.
Ai post democristiani di sinistra, in verità, già prima della fusione nel PD venivano meno i principi della tradizione cattolica italiana, sia nella scelta delle alleanze che nella collocazione tra le grandi famiglie europee, disperdendo l’abitudine a quelle ampie sintesi, in cui si riconoscevano tutti i sinonimi ed i contrari della vecchia “balena bianca” della politica italiana, per ritrovarsi così uniti nell’ispirazione comune di governare il Paese sotto il simbolo dello Scudo Crociato e dell’identità etica del cattolicesimo.
Il Partito Democratico era stato pensato da un uomo, politicamente apolide, pur se in passato aveva militato a fianco di De Mita e Andreatta nella DC, quando si era fatto nominare ministro con Craxi, e Presidente dell’IRI due volte. Era stato pensato da Prodi per poterne assumere la guida, fuori dai condizionamenti dei DS e della Margherita. L’ambizione dell’uomo era di diventare statista senza averne le qualità per quanto pavido, introverso e per niente carismatico.
Prodi aveva bisogno di una sinistra senza memoria e senza riferimenti, aveva bisogno di una componente parlamentare da poter dirigere e manovrare a suo piacimento, ma è caduto in disgrazia prima di poterla veder nascere. Voleva una sinistra senz’anima, ed è riuscito ad averla. Il suo posto, però, l’ha preso Veltroni che ha provato a cambiar tragitto, ma ha imboccato un percorso tortuoso che lo porterà solo ad un nuovo fallimento e forse al ritorno al passato con una nuova probabile scissione.
Vito Schepisi

21 novembre 2008

Orlando e Zavoli: differenze di cultura e di umanità

C’è soddisfazione per la fermezza del Pdl nel respingere la candidatura del Senatore Orlando alla Presidenza della Vigilanza Rai.
Le ultime dichiarazioni dell’uomo di Di Pietro non smentiscono la sua fama di animoso e caustico dietrologo. E non si capisce il perché della tanta ostinazione sul suo nome anche del PD, non si comprende perché la soluzione Zavoli non sia emersa per tempo, senza dover indurre la maggioranza a votare un diverso presidente nel senatore Villari.
Orlando è rimasto l’uomo del “sospetto come anticamera della verità”. Un’espressione eloquente di mentalità autoritaria che richiama, per ferocia e sommarietà di giudizio, un malcelato culto dei metodi adottati, in Italia nel ventennio e nei paesi del socialismo reale dell’est europeo, per la persecuzione e la condanna degli avversari politici.
La sua prosa è sempre intrisa di giustizialismo forcaiolo. L’astio e la sua intolleranza sono travolgenti come le rapide di un fiume in piena, come il flusso impetuoso di un mix di acqua e di fango che esonda, che rompe gli argini del buonsenso, sgorga dalle pietre, dagli anfratti, dalle fogne come una melma di acqua inquinata.
Che Orlando non fosse l’uomo giusto, che non fosse la persona disposta a moderare le sbandate settarie che ci ha propinato il servizio pubblico Rai, si è capito subito, già dal primo momento.
Quello dell’informazione è un campo minato, è uno spazio sempre insidiato dalla faziosità, è un tavolo su cui ci si confronta da anni coi muscoli, come in un braccio di ferro, per una politica che si integra sempre più con le immagini e le sensazioni.
E per il senatore Orlando parla la sua storia. Parlano tutte le sue esternazioni.
La più recente, quando già si proponeva la sua candidatura, è stata quella di paragonare il governo, scelto dagli elettori italiani, ad un regime dispotico sudamericano. Un’immagine di infimo spessore che lo accomuna al suo leader Di Pietro che ha paragonato Berlusconi al dittatore argentino Videla.
Per la Rai, sia che si tratti di commissione di vigilanza che di Cda, occorrono, invece, persone di grande moderazione. Le scelte per la commissione di vigilanza devono privilegiare lealtà ed equilibrio. E’ necessaria la consapevolezza che la Rai è pagata dai cittadini italiani e non dai partiti. La Rai impone un canone ai cittadini, ed il Tesoro ripiana tutti i disavanzi dei suoi bilanci.
Il denaro, dissipato per le spese folli e per le megalomanie professionali, per le assunzioni clientelari e per i privilegi di caste di giornalisti e uomini di spettacolo, è stato tutto versato dai contribuenti italiani. Non è comprensibile, pertanto, un servizio pubblico, trainato da cordate politiche, che imponga la presenza di personaggi sempre più di parte, a dispetto del pluralismo e senza rispetto per i sentimenti di tutti gli italiani.
Non è pubblico servizio l’informazione e lo spettacolo che interpreta solo il sentire di una parte d’Italia, sempre la più caciara e la più inconcludente: la parte sinistra.
Il pericolo Orlando, come quello di un tornado tropicale, è passato e il personaggio è diventato furioso.
Resta il doveroso rispetto umano per la persona, più di quanto il senatore dipietrista ne abbia avuto per coloro che gli hanno attraversato la strada. Questo girovago, dalla Dc di Andreotti, alla Idv di Di pietro, non può però riscuotere la stima di molti.
E’ cosa diversa la stima perché attiene alle qualità dell’uomo, alla sua umanità, al suo modo di agire, al rispetto che si ha per gli altri, alla sincerità, anche alla sensibilità di comprendere quando è il momento di farsi da parte. Una giusta sensibilità, soprattutto se si ha la misura di comprendere che la vita di un uomo si è dissolta per la propria responsabilità d’esser stato imprudente e d’aver privilegiato la polemica politica alla ragione ed al buon senso.
In Di Pietro, su questa insensibilità, Orlando ha trovato il suo omologo.
I valori che i due pretendono di richiamare, non possono riguardare soltanto il rispetto dei beni materiali di tutti, ovvero la difesa dei diritti, l’onestà, cose tra l’altro da verificare anche nei loro comportamenti, ma soprattutto il possesso di quelle qualità umane che inducono al rispetto degli altri, anche se sono competitori politici. Questi sono i valori!
Orlando è stato messo da parte ed è emersa l’ampia indicazione su Sergio Zavoli.
Se c’è una differenza tra i due non attiene soltanto alla diversa formazione politica, che pure c’è, ma alla diversa cultura, alla diversa capacità di rispetto per il prossimo e soprattutto alla diversa umanità.
Vito Schepisi

19 novembre 2008

Cosa ha detto il Capo dello Stato a Veltroni

Non so cosa possa aver detto il Presidente della Repubblica a Veltroni ed alla delegazione del PD in pellegrinaggio al Quirinale. Si sa grosso modo cosa sia andato a dire Veltroni, almeno nell’ufficialità dei comunicati e nella interpretazione dello spirito della missione da svolgere.
Veltroni sostiene che ci sia una maggioranza che mortifichi l’opposizione, escludendola dalle decisioni, e che provi costantemente a delegittimarla. Il leader del PD gli avrà ribadito la sua tesi che vi sia il Capo del Governo, cioè Berlusconi, che si rivolge in modo offensivo nei confronti del leader dell’opposizione, mancandogli persino di rispetto.
Anche l’episodio della Commissione di Vigilanza ed i voti dei componenti del Pdl su Villari saranno stati presi ad esempio per giustificare i presunti atteggiamenti prevaricatori della maggioranza. Sarà stato rispolverato il ritornello, caro soprattutto a Di Pietro, che la maggioranza voglia scegliere anche i candidati dell’opposizione nelle commissioni di garanzia. L’ex sindaco della Capitale deve avergli anche detto che il PD stava facendo pressioni su Di Pietro per un suo passo indietro, magari presentando una rosa di nomi di componenti dell’Idv nella commissione, per poter così superare l’ostacolo dell’ostinazione del Pdl a non voler votare Orlando, considerato inadeguato per un ruolo di garanzia.
Chissà se il presidente si sia soffermato sulla indisponibilità di Di Pietro a fare un passo indietro? Se l’avesse fatto avrebbe scoperto che l’altro componente della Commissione di Vigilanza in quota Idv era il senatore Francesco “Pancho” Pardi, certamente impresentabile più che Orlando, ex dirigente di Potere Operaio, lanciatore di molotov ai tempi della sua vita universitaria e già fautore della lotta armata ai tempi della sua militanza in P.O.: “Noi pensiamo che la caratterizzazione della figura generale dell’organizzazione oggi, compagni, sia l’organizzazione armata”.
Com’era possibile che Di Pietro potesse fare un passo indietro presentando una rosa di nomi del suo gruppo se l’unica alternativa era il “Pancho”? Non aveva una rosa l’ex PM, ma una pianta di ortiche!
Penso che il Presidente, dopo un primo momento di accoglienza con un piglio un po’ paternalista, ma con lo stile irreprensibile, quasi anglosassone, di benevola comprensione per un team di “sfigati” per scelta, abbia dovuto per necessità cacciare le unghie per segnalare ai convenuti che con i loro comportamenti aggiungevano solo un errore ad un altro.
Il vecchio militante “migliorista” del pci deve aver spiegato quanto fosse tutto da rivedere il loro modo di rappresentare l’alternativa a questa maggioranza. Deve aver ricordato che per poter “comandare” dovevano prima vincere le elezioni e che, all’uopo, era necessario ottenere i voti. Walter caro - deve aver detto Napolitano - il clima è cambiato, così si è soliti fare in democrazia.
Non può essere sfuggito al Presidente che c’è oggi un’opposizione pregiudiziale e rancorosa, isterica e priva di proposte, poco costruttiva, un po’ demagogica, catastrofista e pesantemente offensiva, soprattutto nel suo continuo evocare disegni e volontà autoritarie altrui.
Il Capo dello Stato deve aver ricordato ai convenuti che il Paese ha votato una maggioranza che ora ha il diritto di realizzare il suo programma, senza che si debba assistere alle stucchevoli sceneggiate di Veltroni e compagni, e senza l’istigazione a cavalcare la piazza con proteste irrazionali.
A Veltroni deve essersi persino bloccato il respiro quando il Presidente deve avergli anche detto che c’è un clima di scontro che non approva, e che sono i comportamenti dell’opposizione che motivano quegli atteggiamenti della maggioranza che la delegazione del PD ora denunciava.
Il Presidente della Repubblica deve aver ricordato ai vertici del PD che il momento è difficile, che prende corpo il pericolo della recessione in un contesto di crisi mondiale dei paesi produttori e che, in casi come questi, le forze politiche di maggioranza e di opposizione devono trovare convergenze su provvedimenti che aiutino a superare senza eccessivi danni le difficoltà.
Il Presidente Napolitano avrà detto loro che le Istituzioni ed i partiti rappresentati in Parlamento hanno il dovere di tranquillizzare gli italiani perchè dalla crisi si esce solo se c’è comprensione, consapevolezza e rigore, avvertendo che è necessario un clima positivo in Parlamento, fra le organizzazioni sociali, sui media e tra le realtà produttive del Paese.
Vito Schepisi

18 novembre 2008

L'opposizione cavalca anche la recessione

In una azienda, se ci sono criticità, il personale si adopera a comprenderne la portata ed ad offrire il suo contributo per superare senza eccessivi danni la temporanea congiuntura. C’è di norma la collaborazione di tutti e non è importante stabilire se l’impegno sia per sostenere la propria occupazione o per sostenere l’azienda. Anche i rappresentanti dei lavoratori hanno il dovere di tranquillizzare le maestranze e di mediare con l’azienda i provvedimenti ritenuti utili per ridurre eventuali difficoltà produttive, ovvero spiegare ai lavoratori eventuali contrazioni di mercato o ancora la presenza di spirali di aumenti dei costi che frenano l’economicità dell’impresa.
Sarebbe stupido pensare che sindacati e lavoratori si possano disinteressare e costringere l’azienda ad adottare provvedimenti socialmente preoccupanti come, ad esempio, in presenza di difficoltà nel pagare sia i fornitori che i salari ai dipendenti, far ricorso ai licenziamenti o più ancora fallire.
La gestione di un paese è per molti aspetti simile a quella di una grossa impresa. I prodotti aziendali sono grosso modo i servizi che eroga ai suoi cittadini. In cambio della fornitura dei servizi lo Stato acquisisce una contribuzione in misura progressiva e proporzionale ed una imposta sui consumi. La raccolta delle risorse è definita con la locuzione di prelievo fiscale. Normalmente lo Stato utilizza le entrate fiscali come cassa per la spesa corrente e impegna le risorse economiche, poste nel bilancio preventivo con la legge finanziaria, per gli investimenti. Sulla base delle ipotesi di entrata, lo Stato stabilisce le sue attività, dà corso ai suoi investimenti e contrae anche debiti, facendo ricorso all’immissione sul mercato di prodotti finanziari che vengono acquistati dai risparmiatori italiani ed esteri.
In tutti i paesi civili del mondo, con l’economia in difficoltà per ragioni attinenti ai venti di crisi che soffiano sulle economie di tutti i paesi produttori, la politica e le parti sociali si stringono attorno agli interessi nazionali e ciascuno per la propria parte si rende disponibile a non far mancare collaborazione e responsabilità. Un paese destabilizzato, senza una politica economica supportata da strategie di contenimento della spesa corrente, ad esempio, per gli effetti negativi della recessione, andrebbe incontro a difficoltà ancora più pesanti come, ad esempio, la contrazione del potere d’acquisto dei salari e l’aumento del “prelievo fiscale”.
In Italia, gravata da un debito pubblico eccessivo, basterebbe anche uno scivolone in Parlamento sulla spesa e sui conti per creare enormi difficoltà. In tempi di recessione, infatti, tra le preoccupazioni c’è anche quella di stabilizzare il costo del debito finanziario. Questo costo è valutato, periodo per periodo, dalle società di rating attraverso indici di affidabilità da assegnare all’impresa paese. In un stato responsabile, pertanto, tutti sarebbero seriamente consapevoli che il deprezzamento del Paese renderebbe più acuta la crisi perché inciderebbe sul costo del debito. Tutti dovrebbero essere consapevoli che il maggior costo andrebbe a ridurre le risorse correnti e che, quindi, per finanziare la spesa, si dovrebbe far ricorso alla maggiore pressione fiscale e/o all’espansione del debito, tenendo però conto dei vincoli europei, come Maastricht, ad esempio.
Perché in tutti i paesi c’è consapevolezza e responsabilità, ed in Italia questo non accade?
Nel nostro Paese mentre la recessione preoccupa, oltre che il Governo, le famiglie, le aziende, ed i risparmiatori, sembra che invece lasci indifferente l’opposizione e quella fetta di sindacato che in questa opposizione si rispecchia.
Indire scioperi generali e contestare le riforme del Governo, anche per il taglio alla spesa, sembra la strada più irresponsabile che si possa seguire. Ad iniziare dal rischio di lasciare a terra la nuova Alitalia, solo per far dispetto a Berlusconi, nel riprovevole gioco del duo Epifani-Veltroni, per poi passare a tutta una serie di tensioni che vengono innescate nel mondo della scuola e dell’università, come nel pubblico impiego, a volte su questioni del tutto inesistenti o sulla base di provvedimenti di riqualificazione della spesa da cui non si può derogare, se si vuole offrire al Paese un quadro di efficienza e di lotta agli sprechi ed agli abusi, l’opposizione appare poco seria ed irresponsabile.
Mentre, negli USA, Obama e McCain si incontrano per concordare politiche di collaborazione per superare le difficoltà della recessione in atto, in Italia, invece, da aprile Veltroni continua la sua campagna elettorale fatta di piazzate e di pesanti accuse al Governo ed ai suoi rappresentanti.
Vito Schepisi su l'Occidentale

16 novembre 2008

Compagni che sbagliano


Ci hanno trifolato le orecchie con l’umanesimo del giorno dopo.
Per non andare troppo lontano è capitato il 19 marzo del 2002 con il giuslavorista Marco Biagi, ucciso dalle BR, dopo una feroce campagna mediatica e di piazza della Cgil di Sergio Cofferati. Dopo il vile omicidio, ad opera della formazione terroristica di matrice comunista, a cui, in alcune fasi delle indagini, non sono sembrate estranee figure appartenenti al mondo sindacale, sono arrivate le lacrime di coccodrillo di tutta la sinistra e la loro presa di distanza dalle azioni di queste squadracce impegnate nella lotta armata al sistema democratico.
Alle Brigate Rosse, però, prima di quel gesto criminale era stata fornita una giustificazione politica dalla stessa sinistra parlamentare e sindacale. Si accusava il Professore bolognese di presunta attività antipopolare nel mondo del lavoro, una sentenza pronunciata in coro da tutta la sinistra. Ed è davvero strano che quella legge, la Biagi, ritenuta così antipopolare, è stata mantenuta in vita dalla maggioranza di sinistra col Governo Prodi. Quella legge come tutte le altre verso cui era stata scatenata la consueta campagna di odio attraverso mistificazioni, falsità ed ipocrisie. Basti ricordare la presunta depenalizzazione del falso in bilancio ed i condoni a cui Prodi per primo, e non solo lui a sinistra, aderiva senza vergogna.
Il Professor Marco Biagi era stato considerato colpevole da tutta la sinistra per essersi prestato, per equilibrio e conoscenza della materia, ad esercitare un ruolo di consigliere e di esperto per un governo considerato nemico. C’è una sinistra in Italia immatura per la democrazia. Una sinistra che ritiene che mettere al servizio della comunità le proprie competenze e gli studi svolti, nel caso che questa comunità sia governata da rappresentanti dello schieramento opposto, sia addirittura immorale. Come se la lotta politica possa essere definibile nell’unico indirizzo possibile, cioè conforme alla indicazione della sinistra, e che il pensiero degli uomini dotati di conoscenze professionali debba modificarsi a seconda delle circostanze o di chi governa. La cultura del partito unico, dell’esecutivo che ne sia espressione e dei sindacati quali cinghia di trasmissione del partito è proprio dura a smaterializzarsi! Non servono le professioni di fede e le recite tra una citazione di Obama ed un richiamo ai bambini dell’Africa, quando a mancare sono i principi base della democrazia ed il rispetto del pluralismo. La sinistra non ammette altro potere all’infuori dell’esercizio del proprio. A sinistra ci sono sempre quelli che ritengono che anche il posizionamento di un palo della pubblica illuminazione si possa colorare di orientamento politico.
Ci provano e ci riprovano a mettere alla gogna i simboli avversari su cui cercano di far leva per scatenare il malcontento e strumentalizzare le difficoltà. Ed anche questa volta l’opposizione non è ad una maggioranza che, sufficientemente compatta, porta avanti un programma di governo ma alle singole persone come se fossero portatori autonomi di perverse strategie antipopolari.
C’è un direttore d’orchestra? O si suona a soggetto spontaneo? In passato ci sono state campagne mediatiche che hanno destato dubbi e sospetti perché le vittime rappresentavano un simbolo, avevano un ruolo, avevano subito un preventivo linciaggio nelle piazze e sui giornali di sinistra.
Sta capitando alla Gelmini, per la scuola. Tra i cartelli della protesta in piazza ce n’è stato uno che la voleva appesa ad un palo. Ciò che accade nelle scuole elementari è folle. Bare, cartelli, striscioni, magliette con scritte denigratorie, persino temi in classe sui pensieri dei bimbi sulla ministra. Poveri bimbi innocenti! Cosa volevano che dicessero dopo che per giorni la si è rappresentata nella scuola peggio dell’orco cattivo? Ci sono responsabilità individuali e responsabilità collettive. Quelle individuali consistono nel protestare in modo irrazionale e quelle collettive nella mancanza di coraggio nell’isolare, come si dovrebbe, i diseducatori ed i mistificatori.
Il tentativo di linciaggio sta capitando soprattutto al Ministro Brunetta, sotto scorta perché già minacciato dalle BR, bersaglio anche lui di campagne di stampa antipatiche e demenziali. Ha iniziato D’Alema con il suo “energumeno tascabile” ed ha proseguito l’Espresso con l’indicazione della piantina delle sue abitazioni.
L’umanesimo del giorno dopo non basta. La democrazia vera deve essere una pratica quotidiana.

Vito Schepisi

14 novembre 2008

No ad Orlando. Per la Vigilanza Rai una persona di buonsenso

Era dal 30 aprile del 2007 che la Corte Costituzionale, per le dimissioni del Professor Romano Vaccarella, era rimasta priva del suo plenum. E solo poche settimane fa a completare la Consulta è stato eletto l’Avvocato Giuseppe Frigo. Il Professor Vaccarella aveva rassegnato le dimissioni, che ha reso poi irrevocabili dinanzi all’inerzia di Prodi e delle Istituzioni, per la pressione di membri del Governo sulla Consulta perchè respingesse la richiesta di referendum abrogativo di alcune norme della legge elettorale. La designazione del nuovo componente, come per prassi, nella circostanza era su indicazione della componente di centrodestra. Ci sono però voluti 20 mesi, e c’è voluta la sostituzione da parte del centrodestra dell’iniziale indicazione dell’Avvocato Gaetano Pecorella con quella dell’Avvocato Giuseppe Frigo, per consentire alla Corte Costituzionale di rientrare nel pieno della sua collegialità.
La sinistra lamenta ora la indisponibilità dichiarata dal centrodestra a votare l’onorevole Leoluda Orlando alla Presidenza della Commissione Interparlamentare di Vigilanza della Rai, e considera un affronto l’elezione con i voti della maggioranza del senatore Riccardo Villari del PD. Ma Orlando non era persona gradita al centrodestra, come non era gradita alla sinistra la persona di Gaetano Pecorella. Erano mesi oramai che la maggioranza chiedeva all’opposizione di cambiare nome perché sul candidato da loro designato persistevano più ragioni di perplessità.
La Vigilanza è un organismo di controllo e garanzia e richiede serenità di giudizio e capacità di comprendere le ragioni di tutti. Ma quali giudizi sereni ed interpretazioni di equilibrio possono venire da chi fino a qualche giorno prima, senza motivo che non fosse il normale confronto politico, definiva il Presidente del Consiglio ed il Governo italiano una banda di dittatori sudamericani?
Se la commissione è preposta a garantire il pluralismo della informazione, prerogativa indifferibile in una democrazia parlamentare, quale garanzia di imparzialità può venire da coloro che nonostante il responso del corpo elettorale non ritengono legittima questa maggioranza ed il loro leader, come accade di sentire da Di Pietro, leader del partito in cui milita Orlando?
Se per prassi l’incarico di presiedere la Commissione di Vigilanza Rai spetta all’opposizione è solo per garantire il pluralismo ed eventualmente far da contrappeso all’assetto del Consiglio di Amministrazione (attualmente presieduto da Claudio Petruccioli, già deputato dei democratici di sinistra). Ma il candidato a questa funzione non può essere interprete di un pensiero pregiudizialmente ostile e risultare persino privo della fiducia dei parlamentari. La ricerca di una personalità che abbia il gradimento e la stima di una larga parte dei parlamentari non deve essere considerata una necessità irrituale, ma al contrario un’opportunità utile al corretto svolgimento dei lavori della stessa commissione.
Non si vuole avere il sospetto che la nomina di Orlando dovesse servire a rendere ingovernabile la Rai ed alimentare il clima di rissa in cui la sinistra sta conducendo il Paese.
Personaggi come Di Pietro che soffiano sul fuoco del pregiudizio per ricercare consenso e spazio politico nell’area della protesta e della lotta al sistema sono solo epigoni di già trascorse follie reazionarie che non è opportuno incoraggiare e sostenere.
Sarebbe stato persino difficile consentire sulla nomina di Orlando alla Presidenza della Vigilanza anche per l’uso che l’ex sindaco di Palermo, già acerrimo nemico di Giovanni Falcone, ha fatto della tv pubblica quando nel 1995 in una delle trasmissioni di Santoro accusò il maresciallo dei CC Antonino Lombardo, artefice dell’arresto di Totò Riina, d’essere colluso con la mafia, causandone il suicidio qualche giorno dopo. E’ triste ed inquietante ma anche utile ricordare che Santoro in quella occasione impedì l’intervento in diretta del Generale di Corpo d’Armata dei Carabinieri che, resosi conto della gravità delle accuse, aveva chiesto alla Rai di poter intervenire. E’ anche bene ricordare, infine, che la presunta collusione del Maresciallo Lombardo con la mafia non è mai emersa in nessuna delle indagini successive.
Non ci resta che augurare buon lavoro al senatore Villari.
Vito Schepisi

13 novembre 2008

L'opposizione extraparlamentare della Cgil

La Cgil prima esce sbattendo la porta e poi si lamenta perché l’accesso al tavolo della discussione è consentito a chi ritiene che la trasparenza, il dialogo e le buone maniere siano più utili al Paese che non il pregiudizio e la faziosità. E’ una cattiva abitudine in uso in Italia quella di interessarsi di lavoro, contratti, diritti e garanzie guardando alla propria carriera politica ed alle convenienze partitiche dei gruppi politici a cui si è legati.
Quando il Costituente ha pensato alla funzione del sindacato è stato per dotare i lavoratori di strumenti organizzativi di lotta che garantissero la difesa della loro dignità e la negoziazione di un’equa retribuzione, funzione legittima in uno stato democratico; non ha certo inteso pensare ai sindacati quali strumenti di supporto alla lotta politica. Per quest’ultima ha sancito la libertà di costituire i partiti e tutta una serie di libertà e garanzie per lo svolgimento delle attività relative al consenso democratico ed alle elaborazioni delle soluzioni di gestione dello Stato.
E’ troppo importante, in un Paese libero, la funzione autonoma del sindacato per immaginarlo interessato ai processi politici, e partitici. Non è pensabile infatti che il sindacato, in democrazia, faccia mancare del tutto la propria azione con i governi amici ed accentui invece la propria contrapposizione con i governi ritenuti politicamente nemici. Ed è ancora più difficile da comprendere se la differenza tra gli atteggiamenti adottati è inversamente proporzionale agli interessi dei lavoratori ed alle difficoltà delle fasce più deboli del Paese.
Abbiamo assistito, con il precedente governo, ad un sindacato complice e silente, in particolare quando, caricando di tasse le retribuzioni ed i consumi, ha ottenuto che fosse drasticamente ridotto il potere di acquisto dei salari e quando, intervenendo sulla previdenza, ha consentito che fossero favoriti quei lavoratori già più garantiti rispetto ai più giovani.
Ora se le altre sigle sindacali revocano lo sciopero generale, indetto per domani, per protestare contro la riforma della suola del Ministro Gelmini, non si può pensare che sia la sola Cgil di Epifani a presumere che la disponibilità a discutere del Ministro non sia sufficiente a ricercare le soluzioni per provvedimenti di riforma nell’ambito dell’università e della ricerca. Provvedimenti che, è bene chiarirlo, dovrebbero essere tali da riscuotere un vasto consenso, non solo delle parti in causa ma anche e soprattutto del Paese. Lo Stato democratico, fa sempre bene ribadirlo, dovrebbe respingere il corporativismo delle categorie e privilegiare l’insieme. Non c’è solo Alitalia a dar prova di immaturità sindacale e di egoismo corporativo.
La cultura dei diritti dell’insieme dei lavoratori è inviolabile, come sono sacrosante le prerogative dell’istruzione e della ricerca per le necessità dell’umanità e per lo sviluppo scientifico e culturale del Paese. Detto questo, però, i sindacati e l’opposizione dovrebbero anche spiegare in che modo ritengono di poter ridurre gli abusi, promuovere il merito e tagliare gli sprechi. Non si possono consentire a taluni agi eccessivi e carriere fulminee, specialmente laddove la centralità non sia la diffusione della conoscenza, ma il proprio tornaconto. L’Italia non si può permettere i costi dei numerosi rivoli di spesa inutili. Sono note le situazioni persino ridicole, per corsi e discipline senza senso concreto, e soprattutto senza l’effettiva partecipazione degli studenti. Esistono, inoltre, casi di nepotismo che andrebbero contrastati ed eliminati.
Quello indetto per domani, oramai dalla sola Cgil, è uno sciopero inutile e dannoso. L’impressione è che serva sola a rafforzare la protesta dell’opposizione nelle piazze, servendosi anche degli studenti a cui sono state raccontate cumuli di menzogne e falsità. L’azione dell’opposizione, allargata al sindacato, sta diventando tanto più scellerata perché favorisce la strumentalizzazione dei giovani da parte di gruppi violenti, mai sopiti, che emergono sempre nel reiterare la lotta al confronto civile ed al sistema democratico. Alla viltà di strumentalizzare i giovani, anche a discapito della loro integrità fisica, si unisce anche la stupidità di non capire che se si interrompe il percorso della democrazia e del reciproco rispetto diventa difficile riprenderlo anche quando un domani, che si spera lontano, la sinistra dovesse rappresentare la maggioranza del Paese.
Vito Schepisi su l'Occidentale

12 novembre 2008

Una Sinistra strana

La sinistra sta attuando il programma che gli riesce meglio. Sta imbrigliando l’iniziativa politica con l’idea di rendere grigia l’iniziativa del governo.
Il ragionamento è molto semplice. Se ci sono due coalizioni politiche di cui una è capace di essere sufficientemente coesa e di poter portare avanti un programma di riforme, mentre l’altra mostra attitudine solo a scontrarsi al suo interno; se una maggioranza non di sinistra riesce a risolvere alcune tra le ataviche emergenze del Paese, mentre l’altra è capace solo di rendere acuti i problemi e di creare nuove emergenze, l’unica cosa da fare per la sinistra è impedire che la coalizione avversa riesca a portare avanti il suo programma. Impedirle di governare, anche aizzandole contro la piazza.
E’ ciò che succede dal 1994 in Italia. E’ ciò che succede da quando la macchina da guerra di Occhetto ha perso a sorpresa le elezioni che riteneva d’aver già vinto.
E se non è stata la piazza ad essere usata, è stata la magistratura.
Quando si parla di lotta senza quartiere in nome di una presunta superiorità etica e di una maggiore sensibilità democratica, e si parla di difesa con tutti i mezzi della pretesa centralità della sinistra nella gestione del Paese, introducendo persino allarmi di pericoli, derive, emergenze, si ha idea di cosa la sinistra abbia fatto e continua a fare per osteggiare tutte le iniziative della maggioranza indicata dagli elettori italiani.
La sua azione è rivolta a contrastare anche le soluzioni che possano recare beneficio al Paese o essere apprezzate dai cittadini come scelte di buonsenso e di responsabilità.
Gli esempi non mancano e tra tutti si potrebbero citare le questioni della spazzatura di Napoli, la lotta alla criminalità ed il dramma dell’immigrazione clandestina. Sono emergenze che non avrebbero colore politico, non di destra o di sinistra, perché solo attinenti la qualità della vita.
Le regole di convivenza sono presenti, infatti, nei paesi con governi di destra e di sinistra e sono patrimonio più delle complessive conquiste civili che dei contenuti politici di un solo partito.
E’ un po’ come il liberalismo per Croce che sosteneva che la dottrina della libertà dovesse essere patrimonio più largo e diffuso tra gli intellettuali, da cui l’ipotesi di un liberalismo pre-partito.
La volontà dei cittadini di richiedere all’amministrazione del Paese di poter vivere con le loro famiglie in sicurezza, in un ambiente decoroso ed igienicamente sicuro, cautelando i simboli delle loro tradizioni e preservando le fondamenta della loro educazione, rappresentano le basi naturali di una ragione costitutiva della propria comunità.
Anche il multilateralismo e la società multietnica di cui si fa un gran parlare, soprattutto in questi giorni per la vittoria di Obama negli USA, hanno bisogno di criteri di guida imprescindibili, perché la cultura non può definirsi tale se demolisce le fondamenta delle tradizioni dei popoli.
Le origini, i costumi, gli usi non sono solo patrimonio materiale e reperti storici da esibire nelle mostre o epigoni culturali da discutere nei convegni, sono invece parte integrante della cultura e del sentimento degli uomini.
Gli individui e le società libere, pertanto, rifuggono il materialismo storico retaggio del marxismo rivoluzionario che annulla le coscienze individuali e si rifugia nella lotta di classe quale superamento dell’individuo e della sua storia.
Ciò che è più strano è che la nuova cultura della destra neo liberale, anche per l’espandersi della globalizzazione, incomincia ad apprezzare sempre più l’introduzione delle regole, anche in antitesi al liberismo economico, e quindi a rivalutare l’intervento dello stato quale soggetto economico che dirime i contrasti, attenua le tensioni e ammortizza i disagi sociali.
L’abbiamo visto con la questione Alitalia in cui è prevalso il senso della opportunità per il Paese, dinanzi persino alle regole di una Europa fondata sui principi della finanza e delle banche.
E’ strano perché la sinistra in sbandata ideale riesce persino a contestare alla destra questa scelta di coscienza solidale, di responsabilità sociale e di maturità democratica del governo.
Questa questione ricorda un po’ Agnelli che sosteneva che siano i governi di sinistra a realizzare i programmi della destra e, viceversa, quelli di destra a condurre le politiche sociali.
Vito Schepisi

07 novembre 2008

Stabiliamo i turni per satira e ironia?

In America tutto è possibile! Ma non è così in Italia! Nel nostro Paese le parole hanno un significato diverso a seconda di chi le pronuncia.
Anche nella nostra penisola incominciavamo a pensare che tutto fosse possibile e che satira, ironia ed humour fossero diventate il viatico per parlare e sparlare di tutto e di tutti. Da qualche giorno ci siamo invece accorti che non è proprio così.
E’ sufficiente gettare allegoricamente dalla torre Veltroni in TV che scoppia il finimondo. E se poi ci si lascia andare a scherzose battute, anche per sdrammatizzare una tensione che si taglia con il coltello, per il tentativo di Veltroni e della sinistra di impossessarsi di Obama, come se fosse il leader della sinistra mondiale, italiana compresa, ecco che iniziano i fuochi di artificio.
Per fortuna Barack Obama non è affatto il leader della sinistra mondiale; mentre di quella italiana, purtroppo, rimane Veltroni con il suo provincialismo e le sue ipocrisie.
Ricordiamo che per Bush il trattamento della sinistra è stato del tutto diverso. Anche lui ancora Presidente del paese più potente del mondo, lo stesso di Obama, è passato dalla bocca di tutti, Veltroni compreso, collegato ad apprezzamenti pesanti sotto il profilo personale, etico e politico.
C’è ancora chi nella sinistra lo collega ad un disegno complottistico per la tragedia delle torri gemelle a new York. La sua visita a Roma nel giugno del 2007 trovò, tra i componenti del governo di Prodi, espressioni di spregio e di malumore.
La sinistra “corretta” deve avere la memoria davvero corta se oggi non ricorda che la visita è stata persino sul punto d’essere annullata per una serie di ostacoli, questi davvero poco corretti. Si voleva che Bush avesse un profilo basso e che la visita seguisse solo un protocollo burocratico. L’impressione tra i liberali ed i (veri) democratici italiani è stata di un formalismo della nomenclatura in cui i protocolli dovessero essere rigidamente controllati e gestiti dall’esecutivo, come in un tipico paese del socialismo reale, o un qualsiasi regime dittatoriale sudamericano.
Il nervosismo e le manovre ostruzionistiche del governo di allora e del comando dei servizi di sicurezza per la volontà di Bush di incontrare Berlusconi, e di visitare la comunità di Sant’Egidio, apparvero fuori luogo ed esagerate, tanto che la diplomazia americana ricordò che incontrare il leader dell’opposizione per Bush era una consuetudine a cui non avrebbe rinunciato in Italia. I diplomatici Usa con questa radicata volontà erano persino pronti a limitare la presenza di Bush in Italia alla sola visita al Papa in Vaticano, se l’incontro con il leader dell’opposizione fosse stato ancora ostacolato. Questo incontro fu addirittura definito dallo staff di Prodi come una iniziativa “inopportuna e sgradita”. Per fortuna che, poco più di sei mesi dopo, “inopportuna e sgradita” fu considerata dagli italiani la permanenza di Prodi a Palazzo Chigi.
Ci hanno abituati a queste strozzature della libertà, datate solo poco più di un anno fa, ed ora si scandalizzano per una battuta scherzosa sul nuovo Presidente degli USA?
“Bello, giovane ed abbronzato” è proprio così dissacrante ed offensivo? Pensiamo che Obama abbia ascoltato di peggio nel suo lungo tour elettorale e che le parole di Berlusconi siano, invece, per lui motivo di un’amicizia che nasce sulla scia di un comune sentimento di gioviale libertà e di intendimenti comuni sulle questioni del mondo, tanto da potersi concedere tra loro persino toni scherzosi. Berlusconi non si sarebbe certo espresso nella stessa maniera, ad esempio, verso il venezuelano Chavez, il dittatore sudamericano che voleva comprare Alitalia assieme ad una cordata di piloti e di assistenti di volo sostenuta da Di Pietro.
C’è molto nervosismo nella sinistra, e sono passati solo sei mesi dal risultato elettorale. Ne dovranno passare ancora 4 anni e 6 mesi per poter tentare, come avviene in democrazia, la rivincita del consenso elettorale. Non sappiamo se questo nervosismo sia dovuto all’astinenza dal potere, o alla constatazione di avere così tanto poco da dire. Di certo a sinistra appaiono incapaci di rappresentare concretamente un condivisibile sentimento popolare che vada oltre le questioni strumentali.
Se siamo a questo punto, serietà per serietà, va bene se per satira ed ironia si stabiliscano dei turni? Va bene se nei giorni dispari tocca alla sinistra, mentre per i pari tocca alla destra?
Vito Schepisi

05 novembre 2008

Ora tutti a posare il cappello sulla sedia di Obama



Il mio cappello è nel guardaroba dell’ingresso di casa mia e niente mi potrà spingere a portarlo altrove. Questo ho pensato questa mattina alle prime notizie della corsa dei politici e dei giornalisti italiani alla notizia della larga vittoria di Barack Obama alle Presidenziali degli USA.
Era da tempo che mi andavo convincendo della probabile vittoria dei democratici negli USA, ben prima che il fenomeno Obama emergesse. La consideravo naturale ed anche auspicabile per l’affermazione dell’alternanza in una democrazia compiuta come quella degli Stati Uniti. L’era Bush si è compiuta dopo l’11 settembre e dopo le guerre in Afghanistan ed in Iraq. Le guerre non portano consensi elettorali ed, anche se le motivazioni possono essere forti, alla lunga risultano sempre impopolari.
Mi sono chiesto, pertanto, quale delle affermazioni può essere quella più vicina alla realtà tra le due seguenti: “io ho tifato per Obama” ovvero l’altra “no! Tu hai tifato per McCain”. Ed ho stabilito che le due affermazioni sono tutte e due sostanzialmente sbagliate. Non ho tifato per nessuno, infatti. Sapevo che le maggiori chances erano per Obama e mi ha irritato la campagna di McCain che mi è sembrata nostalgica e senza richiami al nuovo ed ai tempi mutati.
E’ mancato nel programma dei repubblicani il riferimento alle riforme, soprattutto in campo economico ed in quello sociale, per stabilizzare la potenza americana in un mondo che cambia e che necessita di nuovi contenuti e soprattutto di attenzione verso le fasce più deboli. Ho pensato che, in questa lunga campagna elettorale americana, ai repubblicani siano mancati i riferimenti alle garanzie, ai giovani, alle regole di un liberismo economico e finanziario che si è modificato in peggio, come abbiamo visto per la recente crisi delle banche americane.
Non serve allo sviluppo ed all’economia un liberismo senza regole e senza crescita produttiva che attraverso le leve finanziarie finisce con l’essere solo un espediente per creare ricchezza fittizia a beneficio di pochi ed a spese della povera gente che, invece, alla fine vede azzerare i propri risparmi.
In qualche momento ho persino pensato che la vittoria di Obama potesse essere salutare. Ho pensato che il nuovo Presidente, sostenuto dal consenso opportunista e conformista, se non codino e strumentale - come quello di Walter Veltroni - della sinistra europea, e dalla non inimicizia degli ambienti islamico-palestinesi, potesse risolvere una volta per tutte sia le frizioni con il fondamentalismo islamico, con i venti di guerra dell’Iran, sia la pace in Palestina con la formula delle due terre e dei due popoli. Ho pensato che il multilateralismo del democratico Obama, da non confondere con quello di D’Alema, che invece è sembrato molto unilaterale, potesse convincere i signori della guerra dell’est e del medio oriente a ricercare la via del negoziato riconoscendo il rispetto dei diritti di tutti.
Ci sono missioni militari che impiegano uomini, mezzi e risorse che potrebbero essere invece utilizzate per gli interventi legati all’ambiente, al clima, alle acque, alla fame nel mondo. Necessitano gli investimenti da destinare alle nuove fonti energetiche. C’è persino un flusso migratorio che muta le radici dei popoli, genera scontri di civiltà, fomenta la xenofobia ed il razzismo, imbriglia le economie e la politica. I popoli ed i paesi devono essere aiutati a risolvere i loro problemi sul proprio territorio e per farlo occorrono politiche di cooperazione e di stabilità. Il mondo di oggi non può infatti permettersi diatribe e conflitti se non pregiudicando il suo sviluppo e la sua capacità di diffondere interventi di sicurezza sociale.
E’ su questi pensieri che mi sono convinto che McCain non sarebbe stato il candidato ideale per gli USA. Non posso non dire, però, che la vittoria di Obama mi infastidisce per la carica di strumentalizzazione che il provincialismo italiano vuole innescare su questa vittoria.
Gli elettori statunitensi hanno scelto per il rinnovamento e le riforme, hanno scelto per la politica che il centrodestra in Italia va sostenendo in antitesi alla politica sclerotica e conservatrice del PD.
Il popolo americano, dopo le elezioni, è unito nel sostenere le politiche del suo Presidente, il Partito Repubblicano per bocca del senatore McCain si è detto disposto a collaborare nell’interesse degli States e del suo Presidente.
Possibile che nessuno senta lo stridore della propria coerenza con la realtà dei modi di una educazione alla democrazia, che invece non riesce ad assimilare, esultando per la nuova leadership degli USA?
Vito Schepisi su l'Occidentale

02 novembre 2008

Il Referendum sul grembiule

La sintesi l’ha tratta l’on. Emma Bonino, già radicale ed ora parcheggiata nel serraglio PD, assieme a intolleranti e populisti, alle lobby dei baroni ed ai difensori delle caste, ai giustizialisti ed agli integralisti. “Ci avete raccontato per 30 anni – ha detto l’ex ministra di Prodi – che i referendum si fanno sulle grandi questioni di principio. Quindi non andavano bene su giustizia ed energia. Ed oggi su cosa lo facciamo sul grembiule?”.
Neanche Berlusconi avrebbe potuto essere più tranchant della Bonino nel demolire prima del nascere il proposito di Veltroni e Di Pietro di un referendum sul decreto Gelmini. Dopo questa uscita dei radicali in congresso a Chianciano Terme - dove Veltroni non ha neanche trovato il tempo di farsi vedere per una visita di cortesia - insistere sul referendum sarebbe davvero disastroso e infantile. Ritrovarsi nuovamente a fianco dei dipietristi, scaricati appena qualche giorno prima, e della sinistra neo comunista con cui, prima delle ultime elezioni, aveva separato i letti per un amore risultato impossibile, è una scelta sgradevole dettata solo dalla confusione e dalla disperazione.
Una mossa precipitosa? Un entusiasmo esagerato per la presunta sensazione di aver trovato qualcosa da dire? Un leader che presumeva di poter governare il Paese e che ora si lascia andare a dichiarazioni senza senso, ad istigare la reazione di un misto di interessi di caste, di pulsioni vetero- sindacali, di baroni incalliti, di fannulloni preoccupati e di pregiudizi ideologici, è inquietante.
Dal rigido richiamo del controllo dei conti, con cui Prodi aveva costretto i suoi ministri e la sua maggioranza a sacrificare le istanze dei lavoratori italiani, ritrovatisi a dover tirare la cinghia, come è possibile ora passare senza vergogna all’avallo degli sprechi e degli abusi?
Quello della sinistra e del PD è un modo spregiudicato di strumentalizzare una facile protesta. E’ una strategia che denota disinteresse per il Paese, oltre che l’inossidabile abitudine della sinistra nel privilegiare gli interessi di parte all’interesse generale.
Veltroni e Di Pietro dovrebbero spiegare come possano avallare, con il loro silenzio, l’esercito di spregiudicati baroni universitari che dilapidano il pubblico denaro estendendo i loro vantaggi dai benefici personali a quelli di parenti, amici ed, in alcuni casi, a quelli di compiacenti concubine.
Se si dovesse convenire sull’uso del referendum sulle questioni di principio, tra le due situazioni, quella sul Lodo Alfano, ad esempio, e quella sul decreto convertito in legge della Gelmini, non dovrebbero esserci dubbi nel ritenere il primo più pertinente con la richiesta di abrogazione attraverso il referendum di leggi che violino principi, e non invece una richiesta di consultazione referendaria su dispositivi di legge rientranti nel regolare svolgimento delle attività di governo.
Il Lodo Alfano stabilisce che le funzioni principali dello Stato, espressioni della democrazia rappresentativa, siano messe in grado di lavorare con serenità e senza ingerenze da parte delle funzioni giurisdizionali dello Stato. Su questa norma a garanzia della continuità delle attività dell’esecutivo, salvo la facoltà di riprendere l’attività giudiziaria al termine del mandato popolare, con relativa a sospensione dei termini di prescrizione, sono stati sollevati dubbi di legittimità per presunta lesione dei principi di uguaglianza con gli altri cittadini italiani.
Ma quale principio c’è, invece, dietro un provvedimento legislativo che stabilisca che il percorso formativo primario di un bambino debba avvenire attraverso l’opera di un maestro unico, con l’ausilio per alcune discipline soltanto, come religione e lingua, di altri specifici insegnanti?
Ora se Veltroni si è rifiutato di avallare la richiesta referendaria di Di Pietro per il Lodo Alfano, non dovrebbe spiegare le basi logiche che lo vedono invece richiedente, assieme allo stesso ex PM, di una raccolta di firme per il referendum abrogativo della legge sul maestro unico?
Veltroni dovrebbe anche spiegare ai suoi elettori ed agli iscritti al PD come, dall’impegno per il nuovo corso della sinistra riformista italiana, si è ritrovato a dover abbracciare le semplificazioni acritiche e populiste dell’alfiere del neo-giustizialismo. Il suo PD si ritrova, infatti, a ripercorrere i passi del vecchio ideologismo autoritario-massimalista del secolo scorso. Ma ciò che più inquieta è che su questa strada si ritrova a dover inseguire un rozzo interprete come Di Pietro, per il quale anche un banale referendum sul grembiule può starci.
Vito Schepisi