30 giugno 2009

La manovra d'estate


La manovra d’estate, com’è stata definita, ha avuto buona accoglienza da più parti dei settori interessati al rilancio degli investimenti ed alla ripresa economica. Quando si parla di misure economiche e di parti sociali e si parla di buona accoglienza bisogna intendersi. Come per tutti i provvedimenti che hanno più parti interessate, ed a volte contrapposte, per gradimento si intende soprattutto mancanza di risoluto contrasto. L’apprezzamento moderato è arrivato anche da alcune organizzazioni sindacali, quelle più preoccupate al mantenimento dell’occupazione, mentre quella parte dei rappresentanti del mondo del lavoro, interessata invece a porre ostacoli ideologici al governo “delle destre” e di “Berlusconi”, come sempre, ne ha assunto una scontata e poco costruttiva posizione critica.
In nessuna parte del mondo c’è tanta acredine da parte dell’opposizione contro un governo democratico, impegnato ad affrontare la tempesta del crollo di un sistema finanziario e produttivo globale. L’Italia, come gli altri paesi , subisce per effetto stesso della crisi un minor gettito fiscale per 37 miliardi di euro, mentre ha di converso maggiori esigenze di risorse finanziarie per rilanciare gli investimenti e ridar slancio all’economia, oltre che per far fronte alle ulteriori emergenze finanziarie per la ricostruzione dell’Aquila e dei paesi colpiti dal terremoto in Abruzzo. Le difficoltà dell’Italia, come tutti sanno, sono poi aggravate dalla presenza di una voragine di debito pubblico pregresso. In questo quadro di oggettiva difficoltà, solo sostenere posizioni pregiudiziali, e non avere il buon senso di collaborare per sostenere il Paese, è già segno di grande malessere ideale. Aprire poi campagne di delegittimazione, montate sulla sabbia e sul gossip, non è solo schizofrenico ed immorale, ma è anche violento e meschino.
Le difficoltà italiane sono radicate in un sistema stantio, in infrastrutture obsolete, in carenze di servizi essenziali, specie al sud, in mancanza di trasparenza amministrativa in cui si annidano il malaffare e gli sprechi, in un pubblico impiego elefantiaco, burocratico e molto costoso, in una giustizia lenta e parziale, in una stampa spesso asservita alle caste ed alle lobbies del potere finanziario – editoriale – politico, fino a costituirne preoccupazione per forme tumorali invasive con pericoli di metastasi.
L’equilibrio ed il buon senso consiglierebbero collaborazione per superare la recessione produttiva. Sarebbe serio trasmettere fiducia alle famiglie ed assicurare, come il Presidente del Consiglio ripete in ogni circostanza, che nessuno sarà lasciato solo. Quella italiana è la stessa crisi che nel resto del mondo industrializzato, più che in Italia, si manifesta con effetti devastanti che si riverberano a catena in una visione di caduta precipitosa del mercato globale. L’Italia ne subisce solo il riflesso che condiziona anche e soprattutto la fiducia dei consumatori. Le preoccupazioni per il futuro, il richiamo alla prudenza, la propensione al risparmio sono tutte sensazioni vere e comprensibili. Meno invece la sfiducia, il catastrofismo ed i richiami all’insostenibilità del sistema Italia. Ed è invece su questa parte del Paese e con queste forme di terrorismo psicologico che viene condotta la lotta che mira a rendere vani gli sforzi di questo governo.
Non si è mai visto altrove tanto pregiudizio ideologico. L’opposizione politica, la sua cinghia di trasmissione nel mondo del lavoro, l’opposizione intellettuale e mediatica, le caste finanziarie e giudiziarie, sono invece tutte impegnate ad aumentare la portata psicologica della crisi ed a contenere la forza propulsiva del governo, con lo scopo di poter speculare sui suoi presunti insuccessi politici.
Ma il muro di Berlino è caduto anche in Italia? Assistiamo alla reiterazione della politica del “tanto peggio tanto meglio”. Come nel dopoguerra di Togliatti e della guerra fredda! Tramare contro il proprio Paese, per opportunismo, reitera perfettamente la logica della priorità del partito sulla condizione del popolo.
La crisi non tocca le fasce garantite, non tocca i salariati ed i pensionati che paradossalmente ne ricevono vantaggi per la stabilizzazione dei costi, la riduzione delle tariffe e le occasioni per gli acquisti, ad esempio di immobili, auto ed elettrodomestici. La crisi però tocca le famiglie per le difficoltà di trovare occupazione, specialmente al sud, per i precari che rischiano di vedersi tagliato il lavoro, per chi va in cassa integrazione dovuta alle aziende che riconvertono la produzione, la riducono, ovvero cessano le attività.
Soffiare sulla crisi è così lottare contro il lavoro, contro il popolo, contro l’Italia.
Vito Schepisi

24 giugno 2009

Una risposta politica



Una risposta politica bisogna pur darla. L’Italia non può porsi alla stregua di un paese del terzo mondo dove la politica è condizionata da congiure di gruppi di potere che sovvertono con campagne diffamatorie la reputazione degli uomini e le scelte politiche del Paese. Di certo non sembra possibile che si possa parlare di democrazia e di libero scambio di opinioni, e né di libertà di informazione, laddove non ci siano regole deontologiche di correttezza e di rispetto della privacy delle persone.
Non è pensabile che sia opportuno continuare con metodi invasivi e trappole, con manipolazioni e strumentalizzazioni della vita privata, quantunque di un personaggio pubblico come il Presidente del Consiglio.
Questa è la mortificazione del confronto delle idee e dei progetti che sono il pane ed il companatico della libertà politica. Questa è la giungla! Così si va verso la barbarie, questa è inciviltà, è invadenza. Così si incentivano l’odio e l’intolleranza, così si perpetra un delitto contro la democrazia e la sovranità degli elettori che, circondati da dubbi ed incertezze, finiscono per allontanarsi sempre più dalla partecipazione alla vita politica. Nessuno, se pone la pubblica opinione dinanzi all’espressione di un giudizio sommario, sicuro indice d’inciviltà, può essere fiero della sua azione. Nessuno può esserlo nello spingere gli elettori italiani verso l’astensione dal voto, inculcando loro perplessità e timori, attraverso puntuali e ripetute campagne di diffamazione personale.
Non si possono mortificare le scelte degli elettori con congiure di potentati e con l’intervento mediatico – giudiziario delle caste.
Le scosse che si sviluppano con l’obiettivo d’indebolire l’esecutivo e sventare l’avvio delle riforme sono movimenti tellurici contro il Paese. C’è un’ invadenza dei poteri forti nel confronto politico. Questi poteri, non tanto occulti, sono preoccupati del possibile ridimensionamento dell’esercizio della loro influenza economico-finanziaria e politica. Sono gli stessi poteri che da sempre stritolano il Paese impoverendolo nel suo sviluppo democratico e costringendolo all’immobilismo. E’ l’Italia conservatrice della finanza e dell’editoria alleata ora all’opposizione, ora al governo, che si allea ed utilizza la magistratura per avvisare, frenare, impedire, ammonire ed infine deviare la forza di un sentimento di cambiamento avvertito dagli italiani che lavorano e si impegnano. C’è una casta reazionaria che si oppone in ogni modo ad ogni tentativo di ridimensionamento di quel parallelo regime ufficioso che controlla e manipola la politica, la finanza e l’economia. Uomini e gruppi che esercitano da anni, con metodi vendicativi e violenti, attraverso governi e uomini amici, il diritto di veto ed il controllo politico dell’intero Paese.
Un grande vecchio che alternativamente fa leva ora sul bigottismo e sui giudizi etici, ovvero sulla rivoluzione dei valori in altro momento, per costringere l’Italia in una stretta conservatrice che garantisca la secolarizzazione del potere delle caste e/o del proprio pregiudizio politico. Spesso anche una vanità da soddisfare a spese del Paese che viene così saccheggiato due volte: una volta per interessi economici di pochi e l’altra per mancanza di sviluppo e di civiltà democratica.
Una prima risposta politica dovrà esserci proprio col dar corso all’avvio di quelle riforme rivolte a riportare in equilibrio le funzioni dello Stato. I poteri esercitati risultano troppo invadenti e gli interventi della funzione giurisdizionale, ad esempio, da esser legittimi per un paese democratico, finiscono per essere orientati, invece, al condizionamento della politica ed al pregiudizio ideologico.
In democrazia è l’espressione del popolo ad esser preminente sui poteri esercitati da altre funzioni. Questo è sacrosanto soprattutto quando queste funzioni sono esercitate senza effettivo controllo, se non quello delle stesse corporazioni di gestione degli stessi organismi - ed è evidente il conflitto - e senza alcuna legittimità popolare, ma solo per facoltà di un concorso sulla cui trasparenza nessuno sarebbe disposto a giurarci.
Le deviazioni e l’invadenza in ruoli impropri sviliscono la portata dalla sovranità popolare, unica e legittima garanzia invece della supremazia democratica, in quanto espressione di scelta diretta dei cittadini. Nessuna funzione dello Stato dovrebbe invece aver modo di esercitare poteri in modo eccessivo rispetto ai valori indifferibili della democrazia quali la partecipazione e la condivisione del popolo.
Vito Schepisi

15 giugno 2009

Le tre carte di D'Alema

L’unico che l’ha capito è D’Alema. Il PD senza una stagione di veleni, nella quale rimescolare ogni cosa, non va da nessuna parte. Se Franceschini mostra ottimismo e cavalca il ronzino per arrivare alla meta, salvando il salvabile, a D’Alema non basta. Ha un tavolino baffino ed è lesto di mano.
La “scossa” entrerà nel linguaggio politico come la parola magica che avrà il potere di rivoluzionare i giochi. Al marinaretto è infatti bastato pronunciare questa parola per occupare la scena. L’ha fatto evocando smottamenti politici che possano coinvolgere l’opposizione a responsabilità di governo, incurante degli elettori che col voto hanno già legittimamente fatto le loro scelte. “Il PD si tenga pronto” – avverte - e Franceschini è subito oscurato dal protagonismo dell’ex premier che gioca in anticipo sul post-elezioni e sul prossimo congresso.
La tornata elettorale è arrivata come una legnata sul PD. La tattica di ridurre l’attenzione su quella che è la logica dei numeri non può ritenersi sufficiente a suturare le ferite subite. Oltre 2.100.000 voti in meno rispetto a 5 anni prima alle europee non giustificano nessun ottimismo, cauto o incauto che sia.
Aver bloccato l’ascesa del Pdl non può bastare a trasformare una sconfitta in una tenuta del partito. La sinistra non può gioire per la mancata esplosione del partito di Berlusconi, bloccato da una campagna mediatico - giudiziaria senza precedenti. Sarebbe come dire che in un maledetto incidente si poteva perdere la vita ma si è finiti sulla sedia a rotelle. Una fortuna nella sfortuna, ma pur sempre un disastro!
Oltre a Di Pietro ed alla Lega, ha vinto il partito di Repubblica. Se i vincitori delle elezioni sono stati i partiti alleati rispettivamente di PD e di Pdl, i vincitori politici sono stati il Governo, che ha tenuto, e l’armata Repubblica – L’Espresso, che ha tracciato la linea. Il gruppo editoriale di De Benedetti & C. si è reso protagonista di una campagna si stampa che ha diretto e sottomesso ai suoi input Di Pietro ed il PD.
Quella del partito di Franceschini è una soddisfazione, che non avrebbe alcun dignitoso motivo d’esserci. Non risulta che la segreteria del Partito Democratico si sia già trasferita nella sede dell’antiberlusconismo editoriale, abdicando sia dalla sua funzione di partito autonomo che dal suo progetto politico. E non ci pare che sia questa la volontà dei molti galli del pollaio della sinistra con vocazione moderata del Paese. Vorremmo dar loro credito di altri progetti, piuttosto che essere agli ordini del gruppo Repubblica - L’Espresso. Soddisfatti di cosa? D’aver subito una batosta elettorale e morale?
Il Pdl non è arrivato al 40% perché è stato battuto dall’astensionismo e non dagli avversari. Il gruppo editoriale ha bloccato una dilagante vittoria, ma non ha sconfitto nessuno.
Non c’è da gioire! La pioggia che non è scesa è nel cielo, tra le nuvole, e non è svanita.
Un’ulteriore legnata alla sinistra è poi arrivata col primo turno delle amministrative. Si attende il secondo turno per valutare la portata finale della ferita inferta. Il bottino lasciato sul campo è già sufficiente per parlare di tracollo, ma in prospettiva è un tracollo che può allargarsi ancora di più. Un colpo ulteriore potrebbe anche minare la tenuta dell’intero partito di Franceschini. Il PD è alla canna del gas. E’ asfittico, senza fiato e senza progetti. I suoi dirigenti si arrampicano sugli specchi nel solo tentativo di limitare le perdite. L’obiettivo sembra essere la sopravvivenza, per provare a rilanciarsi su un diverso progetto politico, allargando le intese con l’Udc o aprendo a sinistra o tutte e due le cose.
Quello del PD è un progetto fallito nei fatti. Proveranno a rilanciarlo modificando la squadra e la tattica di gioco. Come in una campionato di calcio, l’attacco che si mostra impacciato ed incapace di affondare ed andare in rete, si prova a rinforzarlo inserendo ora giocatori di centrocampo, ora punte più avanzate, ovvero assieme gli uni e gli altri. Casini sembra pronto a scendere in campo. La sua strategia è far cadere il centrodestra per rimettere tutto in discussione. La stessa di D’Alema.
Buttiglione si prepara così ad un altro giro di valzer. Ci sarà anche Cuffaro? Ed Emanuele Filiberto?
Il Paese ed il buon lavoro del Governo non importa a nessuno. Per Casini conterà solo rientrare nel gioco politico e sventare il progetto bipolare. Il PD gli darà una mano.
D’Alema si appresta a riaprire e gestire il Luna Park della politica. E’ dietro ad un tavolino ed ha in mano tre carte: questa vince e questa perde. E se lo faranno ancora giocare, a perdere sarà sempre il Paese.

Vito Schepisi

su l'Occidentale

02 giugno 2009

La politica oltre i margini della civiltà


Gli italiani si aspettavano una campagna elettorale molto accesa. Le questioni europee discusse nelle piazze assieme alle questioni locali. Le rivalità, i localismi, le beghe, gli interessi e le certezze ideologiche. E su tutte il riflesso di un confronto politico nazionale molto serrato: sicurezza, immigrazione, scuola, giustizia, riforme, crisi economica, piano casa, ricostruzione dell’Abruzzo, precariato, lavoro, welfare e federalismo. Ce ne sarebbe stato sin troppo. Le possibilità di esasperare i toni anche così non sarebbero mancate, ma una campagna elettorale così incivile forse non se l’aspettava nessuno.
Sin dall’inizio della sua segreteria, Franceschini ha accentuato la sua opera di demolizione sistematica dell’azione di governo. E’ intervenuto sulla crisi economica giudicando inefficaci gli interventi dell’esecutivo. Ha volutamente ignorato gli appelli del Capo dello Stato che invitava ad offrire, su questioni di congiuntura internazionale, estranee quindi alle responsabilità politiche nazionali, un comune impegno per sostenere il Paese e per favorire la ripresa dell’economia. Poteva essere un modo nobile per far rientrare le paure e per salvare posti di lavoro, ma la serietà è mancata ancora una volta.
La recessione è per molti versi crisi di fiducia dei consumatori. Il timore di difficoltà economiche frena i consumi ed induce alla prudenza. Quando la contrazione dei consumi diviene eccessiva, blocca la domanda e frena di conseguenza la produzione. Se si produce di meno, però, si tagliano posti di lavoro e si riduce il monte salari e quindi le risorse economiche destinate ai consumi e così si crea ulteriore recessione. E’ un effetto a catena da cui si esce solo con il ripristino della normalità nelle abitudini di spesa dei consumatori: cioè fuori dal panico e con la fiducia. Seminare panico, pertanto, è azione semplicemente criminosa.
L’Italia non ha avuto grossi problemi con il sistema bancario. I portafogli di banche e risparmiatori non sono stati invasi da quei sofisticati congegni finanziari che avevano trasformano debiti in crediti e che creavano flussi di denaro fittizio. La ripresa è così correlata solo al ripristino delle abitudini di spesa.
Dal PD ci si aspettava più responsabilità per la scelta moderata che era alla base delle motivazioni della sua fondazione: ha passato invece il suo tempo ad estremizzare le questioni ed a diffondere panico. I suoi leader si sono posti sulla scia pregiudiziale e reazionaria di un Di Pietro qualsiasi, benché smentiti dalla Commissione Europea, che ha invece apprezzato gli interventi del nostro Governo.
Colpisce l’indifferenza mostrata verso il Paese come, ad esempio, i balletti di Veltroni ed Epifani sulla questione Alitalia, a spese del futuro della Compagnia di bandiera e dei suoi lavoratori.
Franceschini, come Epifani, soffia ancora sul fuoco dei problemi, demonizza tutte le iniziative di Berlusconi e annuncia gravi pericoli incombenti. Il piano casa, osteggiato dalle regioni governate dalla sinistra, stenta a decollare. In Abruzzo ogni impegno è passato al setaccio e si fomentano rancori e rivendicazioni. Oltre all’impegno della ricostruzione si deve provvedere anche ad arginare le strumentalizzazioni dell’opposizione. E’davvero penoso, soprattutto se si pensa alle prove di incapacità offerte in ogni occasione dai governi e dalle amministrazioni di sinistra.
La sinistra, con lo scopo di denigrare il Governo, strumentalizza e disinforma su tutto: dalle parole del Presidente di Confindustria Marcegaglia, a quelle del Governatore della Banca d’Italia Draghi, benché abbiano apprezzato l’azione del Governo ed invitato a dar avvio a quelle riforme che la sinistra invece frena.
Tutta questa animosità a sinistra era scontata. Nessuno si aspettava che i lupi diventassero agnelli. Questa in corso, però, è una campagna elettorale senza precedenti. E’ all’ultimo colpo basso, e costi quel che costi. Questioni private, discriminazioni sulle scelte, campagne di delegittimazioni, attenzione alle questioni più intime. Uno sguardo dal buco della serratura alla ricerca di immagini e di sguardi, di presenze e di eventi. Somme di danaro richieste e/o promesse per foto, per dichiarazioni, per messaggi telefonici compromettenti, per vizi privati ed intime abitudini. Una moglie inquieta ed usata. Fotografi e giornalisti sguinzagliati alla ricerca di qualcosa in più di uno scoop: alla ricerca della pistola fumante anche di legno, di cartone, di sabbia, uno strumento qualsiasi pur di poter insinuare il minimo dubbio.
Una campagna elettorale trasformata in uno squallido e deprimente gossip, messo in piedi dai referenti delle caste e da coloro che hanno dato prova solo di saper mettere le mani nelle tasche dei contribuenti italiani.
Vito Schepisi