12 giugno 2014

E' tempo di tasse

E’ una brutta cosa pagare le tasse in Italia.
C’è stato, qualche tempo fa, un ministro, non più sulla Terra, che sosteneva che pagare le tasse fosse bellissimo. Di certo non tutti la pensavano come lui. E neanche la pensavano come il suo vice ministro che, per di più, in tempi ancora più remoti, andava sostenendo di ricevere tanti messaggi per fax da parte di cittadini contenti di pagare le tasse in Italia.
Il piacere di pagare le tasse è perverso, ma non è una forma di perversione erotica: è ben diversa da quella degli oziosi gaudenti, ed è poco pensabile che il masochismo fiscale rientri tra le ricorrenti perversioni dell’uomo.
Di cittadini e contribuenti se ne sono conosciuti tanti, e quelli che si sono mostrati contenti di pagare sono stati soltanto quelli che non le pagavano le tasse, o che assolvevano l’obbligo in modo ridicolo, anzi offensivo. Mai incontrato un contribuente che abbia detto di aver pagato con soddisfazione una mappata di tasse.
Pagare le tasse nuoce gravemente alla salute ed anche ai buoni pensieri, al senso civico, alla buona educazione, ai modi cortesi, all’uso del linguaggio.
Mi sono ritrovato, infatti, a imprecare tra i miei pensieri in modo così scurrile da dovermene persino vergognare. Neanche da ragazzo, a scuola, nota palestra della gratuita volgarità, avevo mai usato una così ricca e ‘forbita’ sequela di parolacce.
Le tasse ci fanno impazzire due volte: una per capire cosa e come si deve pagare; l’altra al momento in cui si tirano le somme e si deve mettere mano al portafoglio.
Quando arriva il momento di pagare - di solito dalla seconda metà di giugno in poi - la prima domanda che ci si pone è il perché le tasse si pagano sempre dopo la chiamata alle urne. Se si pagassero prima, in Italia qualcosa potrebbe cambiare. Invece no. Si pagano dopo. Nel frattempo, tra un salasso e l’altro, è cambiato il governo, e quello di Dracula è sempre quello precedente, mentre quello in corso è quello che dice di voler restituire il bottino ai contribuenti.
Nel tempo, la storia si ripete sempre, anche se con stili e toni diversi: ora abbiamo quello del “venghino signori”, fate la vostra puntata: “carta che vince e carta che perde”.
Naturalmente a perdere è sempre l’Italia. E tutti noi assieme.
Quest’anno le novità non mancano. Le tasse sono come le erbe infestanti: crescono e si moltiplicano così velocemente da dover aver necessità di un consulente per tener dietro alle migliaia di leggi e di interpretazioni. Per mettersi in regola con le norme in vigore e con le scadenze bisogna pagare un esperto, perché se si commettono errori si paga ancora di più. Il sistema, infatti, è complicato e le modifiche sono continue.
E’ difficile star dietro a tutto. Quest’anno, ad esempio, nelle case degli italiani sono nate tante malerbe da scoraggiare l’impresa di chi si dedica al fai da te.
l’Imu, la Iuc, la Tari, la Tasi - sembra, però, che siano state debellate la Tarsu e la Tares, ma senza esserne certi perché  le erbe cattive non muoiono mai - l’acconto ed il saldo, le scadenze, le aliquote differenziate, i servizi indivisibili, gli inquilini e i proprietari, i comuni che hanno deliberato e quelli che non l’hanno fatto, la ricerca su internet, la differenza tra tassa (grandezza immobile) e tributo (servizio ottenuto), il governo che ha rinviato, la casa di abitazione, la seconda casa, quella a disposizione e quella locata e poi tutte le altre categorie, le esenzioni, le riduzioni, i codici, l’F24 (non è un modello d’aereo da guerra, ma l’odiato modulo con cui ci alleggeriscono le tasche).

E’ un campo di guerra! Sui beni immobili si è puntata l’artiglieria pesante. Il costo di una abitazione si paga a vita. La proprietà immobiliare è diventata una colpa su cui si sta abbattendo la scure della pena: altro che investimento rifugio nei tempi dell’inflazione; altro che fonte di reddito aggiuntivo per sostenere la perdita del potere di acquisto della pensione; altro che bene che si rivaluta nel tempo; altro che un tetto da lasciare ai figli per il loro futuro.
“Ed io pago!” Quant’è ancora attuale Antonio De Curtis, in arte “Totò”!
Vito Schepisi

Pubblicato su EPolis Bari 11 giugno 2014

08 giugno 2014

Renzi ci dice che l'Italia va. Ma non è così.


La Bce abbassa il costo del denaro al minimo storico, allo 0,15%. Il provvedimento può favorire le imprese per la riduzione dei costi degli impieghi bancari, consentendo alle stesse di allargare i margini di redditività degli investimenti.
Draghi, ancora, annuncia operazioni di rifinanziamento a medio e lungo termine rivolti al settore famiglie, per invogliare i consumi e far ripartire, con una domanda più sostenuta, la dinamica dell'inflazione.
In Italia, però, le cose non sono così semplici. La produzione industriale sta calando e preoccupa non poco la crescita della disoccupazione. C'è molta confusione. Anche le recenti notizie sugli scandali e le tangenti, dall'Expo al Mose, consolidano quel senso di sfiducia che induce al risparmio più che alla spesa.
Il voto a Renzi alle Europee non va letto come una scelta verso il PD, ma come un voto di speranza. Gli italiani hanno voluto dar credito a un uomo che dice e promette tante cose. Tutti, ora, sono in attesa dei fatti, ma è difficile che arrivino. Per i fatti non ci sono le condizioni politiche, e lo spettro del voto anticipato rende impraticabili le iniziative impopolari.
La pressione fiscale italiana è di 4 punti superiore alla media europea e rende meno competitiva la nostra produzione. Bisognerebbe abbassarla, ma la tendenza è invece all'aumento. Tasi e Tari e altre diavolerie si preannunciano come salassi sugli italiani e si parla anche di una manovra aggiuntiva. Mancano 6 miliardi all'appello.
Le condizioni del Paese sono schizofreniche, il decreto Poletti non entusiasma: la crescita e il lavoro non decollano. Le imprese si sentono vessate e dove non arrivano tasse e balzelli, arriva la burocrazia con la sua ottusità.
I salari medi italiani sono al di sotto, per 500 euro, della media europea, mentre il costo della vita è allineato a quello della media. L'impatto è travolgente perché il costo medio della vita in Italia assorbe l'83,8% del reddito, mentre in Europa non supera il 68%.
Se prendessimo a confronto alcuni dati delle condizioni di vita dei lavoratori italiani, con quelli della Germania, penseremmo al confronto dei dati di un paese europeo con quelli di uno del terzo mondo. Facciamolo: il reddito medio in Germania è pari a 2.580 Euro al mese, in Italia è di 1.410 (meno del 55%); il costo della vita in Germania è di 37,2 Euro al giorno, in Italia è di 39,4 (in Italia la vita costa di più per 2,2 Euro. E' assurdo ma è così!); l'impatto in Germania del costo della vita sul reddito è del 43,2%, in Italia è dell' 83,8%, quasi il doppio.
Nel 2013 i risultati delle elezioni politiche avevano imposto un Governo di larghe intese. Poteva essere sfruttato per fare le riforme e con queste riprendere a fare politica, non beghe. Politica economica per riequilibrare i costi dello Stato e adeguarli alle esigenze dei cittadini, tagliando gli sprechi, i privilegi, gli abusi, i lussi. Poteva essere il momento buono per rischiare l'impopolarità prendendo decisione condivise e responsabili. La “mission” doveva essere quella di ridurre la pressione fiscale di pari passo con la riduzione delle spese; si dovevano fare le riforme per rendere più trasparente e sicura la giustizia italiana, più efficiente e pronto il Governo, più responsabile e laborioso il Parlamento, meno arraffona e più sobria la politica e i partiti.
Niente! Dopo 15 mesi stiamo peggio di prima, con i partiti più frantumati e litigiosi, una maggioranza incapace e senza una precisa direzione politica.
C’è solo la BCE di Draghi che ci prova, con il disappunto della Merkel, a creare le condizioni per far ripartire il Paese.

Basterà?

Pubblicato su EPolis Bari del 7 giugno 2014
Vito Schepisi