31 maggio 2007

Crisi politica o crisi della sinistra?

Dopo che D’Alema sul Corriere della Sera ha parlato di crisi della politica è stato un via vai di dichiarazioni, persino ad alto livello istituzionale. Gli interventi, in qualche misura, hanno dato veridicità e peso alle furbizie del nostro Ministro degli Esteri. Questi, infatti, con interessato tempismo ha solo anticipato il responso delle urne e tentato di dare un’interpretazione preventiva alle difficoltà ed allo sfaldamento della credibilità di questo Governo. Come si usa dir tra la gente: ha messo le mani avanti.
D’Alema ha evocato la prima repubblica e la crisi dei partiti del 1992, paventando persino un’altra stagione di prevalenza della centralità giudiziaria su quella politica. Aspettiamoci, pertanto, episodi di nuova corruzione, o di continuità della vecchia, ma questa volta con la partecipazione di coloro che negli anni novanta si erano chiamati, o erano stati tenuti fuori da compiacenze sospette. Allora si erano definiti “diversi”. La tempestività di D’Alema dinanzi ai due episodi “politici” più importanti di questi giorni, elezioni (coi risultati già ampiamente previsti dai sondaggi) e caso Visco, non può non destare sospetti.
Il Vice Ministro delle Finanze, ex Pci ed ora DS, dello stesso partito di D’Alema, è sotto schiaffo per gravissime ingerenze nel contrastare il corso della verifica investigativa e della giustizia. Altro che le accuse a Cesare Previti d’aver corrotto un magistrato! Se quanto è emerso sarà confermato, il crimine è di quelli che lasciano il segno, aggravato dal fatto che a commetterlo sia stato un Viceministro che ha giurato fedeltà allo Stato. Si è trattato di un gravissimo abuso della delega ministeriale ricevuta nel tentativo di rallentare e persino modificare il corso della giustizia. Un episodio gravissimo che si è cercato di nascondere o di eludere, e che vede persino il Presidente del Consiglio impegnato a sminuirne la portata.
Non si può, però, evocare la crisi della politica quando a ben vedere si tratta della crisi dei partiti e della inesistente progettualità della sinistra. La cosiddetta diaspora socialista non si è mai esaurita e strada facendo trova altri motivi di conflittualità e di inquietudine. La sinistra italiana, per mancanza di un percorso di maturazione democratica e pluralista, per mancanza di chiarezza e di autocritica, per mancanza di un effettivo revisionismo ideologico, è un crocevia di contraddizioni e di intenzioni represse.
L’Unità, ad esempio, trova opportuno sollevare dubbi sulle recenti imprese autoritarie di Chavez, per offrire un ulteriore saggio di odio politico e di intolleranza contro il leader dell’opposizione; e mentre sembra criticare il dittatore venezuelano, non riesce a sottrarsi dal dar l’impressione di un auspicio di soluzioni simili anche in Italia contro le televisioni di Berlusconi.
Nella sinistra, anche in quella che si dice distante dai neo comunisti e dai gruppi alternativi e radicali, c’è una larga e profonda fascia di illiberalità. Un sentimento diffuso radicato nelle coscienze di lunghi anni di militanza all’ombra del comunismo reale, tra disinformazione ed intolleranza.
La responsabilità della mancata maturazione della sinistra italiana, come è avvenuto nel secolo scorso per buona parte di quella europea, è di larghi settori della stampa italiana spessa asservita e partigiana, e di altrettanto ampi settori del mondo della cultura. La produzione editoriale si è spesso appiattita su luoghi comuni e sulla vetusta concezione antagonista, ovvero semplicistica, del rapporto destra-sinistra, quasi fossero espressioni dirompenti di scontri sociali e di civiltà a confronto. La politica vissuta in modo manicheo dove i buoni sono tutti da una parte ed i cattivi dall’altra. In democrazia, invece, gli schieramenti politici in competizione dovrebbero concorrere al principio dell’alternanza e del confronto sulle scelte in un quadro istituzionale costante.
E’ in crisi la sinistra italiana perché al naturale evolversi dei principi del pensiero, con espedienti suggestivi, va a contrapporre la forzata realizzazione di un contenitore che vorrebbe assimilare estrazioni culturali diverse, e persino il diverso sentire non solo del rapporto sociale tra i soggetti diversi del Paese ma anche etico e culturale.
Il Partito Democratico, voluto da Prodi, non è altro che una gabbia in cui far maturare un nuovo soggetto ideologico che, privo di un movimento ideale di base, si sviluppa solo sul percorso dell’occupazione e della gestione del potere, sviluppando persino un’indecente braccio di ferro tra le oligarchie correntizie dei vecchi partiti. I segnali di questa nuova diatriba della sinistra italiana sono già oggi evidenti e, sebbene nel riserbo e nei sottili conflitti di posizione, sviluppano i loro “gas nervini” che paralizzano i centri nervosi della materia pensante.
La lezione elettorale, dunque, non è servita, se è vero che non sotterrano la loro arroganza e non comprendono quanto di più elementare è emerso con le recenti elezioni. Non si può governare contro qualcosa o qualcuno, ad esempio, e soprattutto non si può governare a dispetto del 50% degli elettori italiani. Se il Paese viene mortificato è il Paese che in gran misura si pone contro il governo … e poi gridano alla crisi della politica.
Vito Schepisi

29 maggio 2007

Perchè Prodi deve lasciare

E’ stata una campagna elettorale animata. Si è dibattuta l’opportunità di testare il consenso degli elettori su di una maggioranza di governo che ha prodotto nel Paese profonde spaccature. Una maggioranza ottenuta per un pugno di voti alla Camera e senza i numeri al Senato, dove il minor consenso elettorale ha reso determinante l’apporto di un gruppo di senatori eletti nei collegi esteri, con dubbie procedure elettorali e con motivati sospetti di brogli.
Il responso delle urne ha decretato per Prodi ed il suo Governo la mancanza del gradimento del Paese. Il confronto elettorale, seppur con indirizzo amministrativo, questa volta ha avuto una valenza politica senza precedenti. Si andava a verificare quanto legittimo fosse stato il piglio con cui la sinistra, imprudentemente ma anche impudentemente, aveva sottratto all’opposizione ogni spazio istituzionale e reso difficile, nell’equilibrio delle garanzie che il nostro Paese, pur tra alterne vicende e forzature, ha pur sempre manifestato, anche il necessario rispetto politico e la democrazia del confronto.
La competizione elettorale si è spesso radicalizzata su temi come il conflitto di interessi, la politica estera, la riforma televisiva, la pressione fiscale. E l’Italia che conta, non quella dei poteri forti e dei media, non quella della Confindustria e di Montezemolo, non quella delle banche e della finanza, non quella delle cooperative e dei poteri arroganti, ma l’Italia degli elettori ha delegittimato Prodi e il suo indirizzo programmatico, ha bocciato i suoi uomini e l’indirizzo politico dei numerosi partiti della sua maggioranza.
L’elettorato non ha apprezzato le scelte e spesso le minacce della sinistra, ha respinto la deriva del Paese verso scelte autoritarie ed illiberali, ha stigmatizzato la confusione che regna da sempre nel dna della sinistra. Gli italiani hanno soprattutto deprecato la politica delle promesse, delle bugie e delle ipocrisie di Prodi. I risultati elettorali hanno così decretato la bocciatura della vera politica degli interessi privati, del vero conflitto di interessi, in cui arroganti ministri e viceministri dispongono con protervia ed arroganza e disorientano le certezze degli italiani sui valori storici della nostra civiltà . Il Paese reale, con la significativa e consistente protesta di base, che in democrazia si esprime col voto, ha ammonito il Paese legale, ha messo in mora tutto l’esercito di Prodi, tra rappresentanti diretti ed indiretti, avvisandoli che non godono più del consenso popolare.
Le ragioni che inducono a ritenere che Prodi ed il suo governo debbano trarre le indifferibili conseguenze sono molteplici. Se ne riassumono alcune tra le più importanti:
- questa maggioranza alle scorse politiche non ha avuto il conforto di una precisa ed inequivocabile scelta dell’elettorato. Il consenso politico, infatti, si è esattamente diviso tra i due poli;
- ha arrogantemente interpretato il sostanziale pareggio come una strepitosa vittoria, tale da potersi consentire di emarginare il centrodestra ed occupare in forma massiccia, anche attraverso record di nomine a ministri, vice ministri e sottosegretari, governo ed istituzioni, sottoponendo il Paese persino alle ricattatorie forzature della sinistra più radicale;
- ha presentato ed approvato una legge finanziaria che ha privilegiato soltanto alcuni gruppi industriali, mentre ha sottratto risorse allo sviluppo e lasciata invariata se non addirittura aggravata l’incidenza della spesa pubblica;
- ha nascosto agli italiani la reale situazione dell’economia per sostenere le falsità di una campagna elettorale svolta tra allarmismi, false promesse, ed enormi bugie;
- non ha un suo progetto politico ed i provvedimenti adottati sono sottoposti agli umori della sinistra alternativa che si barcamena tra scelte impopolari per i suoi militanti ed altre capaci di galvanizzare la base;
- ha mortificato, per timore di cadere principalmente al Senato, la centralità del Parlamento, eliminando il confronto nelle sedi istituzionali ed alimentando, così, la partitocrazia;
- ha subito, infine, due bagni di folla che hanno contestato “a valanga” le sue scelte politiche.
Dinanzi a tutto questo è persino improponibile il paragone con le amministrative perse dalla Cdl durante il governo Berlusconi in quanto le perdite non sono state di questo spessore e la maggioranza ottenuta alle elezioni politiche dalla Cdl era ben più solida. Questa volta, invece, l’esiguità del vantaggio politico e la rinuncia di Prodi e della maggioranza, dal primo momento, a forme di governo di pacificazione e di ampie convergenze nell’interesse del Paese ha reso questo test elettorale politicamente significativo e pregnante di umori popolari inequivocabilmente contrastanti con le scelte adottate da Prodi e dalla sinistra al governo.

Vito Schepisi
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28 maggio 2007

Aspettando i risultati


Questa mattina ci siamo levati con un senso di angoscia. Alcuni di noi sono andati a riposare la sera scorsa con una speranza riposta. Ha preso infatti un po’ tutti in serata quell’idea positiva del buon senso e quindi della convinzione che anche coloro che hanno in antipatia Berlusconi, un po' per la sua ricchezza, per i suoi modi da alcuni considerati un po’ frivoli, più che per la sua politica concorrano a respingere il malgoverno di Prodi. Alcuni che ritengono che questi sia un ostacolo all' ammodernamento del Paese e che si oppongono alla restaurazione e la secolarizzazione delle stagnanti ingiustizie del Paese che gli sottraggano il loro voto. La speranza che tanti, tantissimi, presi da un impeto di profonda delusione e di voglia di riscatto, abbiano o stiano ponendo nell’urna voti di sfiducia per Prodi ed i suoi uomini ci ha coinvolti per un piacevole momento in un entusiasmo che si auspica non prematuro e non mal riposto.
La ragione, però, questa mattina prende il sopravvento. Ci si rende conto che nelle amministrative le macchine burocratiche, spesso ben lubrificate, come quelle dei partiti della sinistra, ben strutturati sul territorio, prevalgono sul sentimento della gente. L’organizzazione del consenso, in particolare nelle amministrazioni locali, è quasi capillare ed il segreto dell’urna non sempre riesce a ridare coraggio al Don Abbondio che spesso alberga in gran parte degli italiani. Il coraggio, come si sa, se non lo si ha non lo si trova.
Questa mattina si presenta, pertanto, quel senso di angoscia che riviene dalla consapevolezza e dal timore di non ricevere la liberazione auspicata. La preoccupazione che la valanga travolgente non ci sarà: è questo il ragionato timore che s’affaccia nei nostri pensieri.
Prodi ed il centrosinistra hanno mobilitato i loro uomini, premuto sulle periferie, contattato gli elettori più incerti, minacciato, sollecitato, fatto quadrato intorno ai loro uomini anche a costo di negare ogni evidenza, come nel caso Visco, pur di non compromettere i difficili equilibri di una coalizione di governo rabberciata, ma riunificata come sempre solo per contrastare il pericolo avvertito da tutti. Tutti insieme per respingere con ogni mezzo o limitare i danni della sfiducia popolare avvertita nell’aria e che toglie loro ogni prudenza, ogni percezione della realtà e persino ogni correttezza istituzionale. Il premier in persona a sfidare la legge e le regole della “par condicio”, grazie alla gestione asservita della televisione pubblica, e di Rai uno in particolare, la rete da sempre più moderata, che in pieno silenzio elettorale regala al capo del centrosinistra uno spazio politico da questi utilizzato per un vergognoso spot elettorale. Fuori da ogni principio deontologico, l’informazione che si concede ai poteri forti, che diviene strumento e cassa di risonanza anche delle miserie più bieche. In Tv, sulla rete di stato, senza contraddittorio e senza concessione di replica, il caudillo Prodi che promette e si impegna con gli lettori. Un indecente utilizzo del servizio pubblico per sostenere l’ipocrisia di un presidente del Consiglio che si ricorda delle categorie deboli del Paese solo in campagna elettorale e che solo ora, alla bisogna, mostra comprensione per il peso degli oneri che vessano cittadini ed elettori.
Solo qualche giorno fa è toccato a Montezemolo cercare di captare il malcontento, nella ricerca di uno spazio politico da ritagliare forse per se o forse per sottrarre ad altri, si è articolato il suo tentativo di sparigliare le carte, di confondere l’elettorato facendosi paladino di molti concetti già contenuti nella proposta politica del centrodestra, argomenti che a ben vedere la signora Brambilla con i suoi “Circoli della libertà” va diffondendo da mesi.
Ancora poche ore per sapere. Ancora la speranza che l’intuito degli italiani, l’intelligenza del nostro popolo, dia la spallata giusta per mandare a casa un governo che si avvale di una maggioranza ricevuta per solo 25.000 voti in più alla Camera dei deputati, e persino con sospetti di brogli.
Sarà difficile!
La fiducia si alterna al timore e poi l’immagine di Prodi, con la sua coriacea supponenza, il suo indissolubile attaccamento al potere, la sua faccia tosta, la pervicace indifferenza, l’ innata predisposizione alla menzogna e poi la sua flaccida ipocrisia, con l’arroganza dei mediocri e la sua livida rabbia. L’immagine di Prodi che sparge di colla la sua poltrona deciso a non mollare, costi quel che costi, deciso a non dar l’addio definitivo alla sua lunga ed immeritata carriera politica.
L'immagine di Prodi che vorremmo vedere ingiallire sulle pagine dei giornali di un'epoca chiusa.
Vito Schepisi

24 maggio 2007

La crisi della sinistra

Ci sono situazioni nella politica che non si possono raccontare con semplicità e dati di fatto, perché si avvicinano più alle sensazioni avvertite che alla concretezza di episodi in atto o alla disamina di provvedimenti addottati. Raccontare le sensazioni è quasi come raccontare le pulsazioni che accompagnano uno stato emotivo: è difficile. Le sensazioni, inoltre, sono anche di intensità variabile da un soggetto all’altro. E’ questa la ragione per cui spesso si ritiene azzardata l’impresa. Ma non per questo, però, si deve rinunciare a tradurre in pensiero politico il soffio d’aria avvertito. Veniamo quindi al racconto delle sensazioni, alla traduzione scritta di un aria che cambia e che è fiutata dagli osservatori più attenti.
La politica italiana, è detto ora da più parti, sta attraversando una crisi di identità che nei risvolti delle proposizioni e dei contenuti, nonché nella tensione morale, rasenta e forse sopravanza la crisi della cosiddetta prima repubblica. Come si sa alla crisi dei primi anni ‘90 ha fatto seguito la caduta delle formazioni politiche tradizionali ed in particolare di quei partiti che avevano scritto la storia della repubblica italiana, sorta dalle ceneri della dittatura fascista. Tutti meno uno, l’ex PCI trasformatosi in PDS. Gli ex comunisti uscirono quasi indenni, non mutarono personale politico e, dal punto di vista di molti osservatori, neanche metodi e contenuti. Uscirono persino dalla bufera con l’ambizione di esser legittimati a governare il Paese. Non superavano, complessivamente con gli alleati della sinistra estrema, il 25% ma pretendevano, con Occhetto e la sua “macchina da guerra”, di ottenere la maggioranza assoluta del Paese, grazie al maggioritario ed alla frammentazione dei gruppi politici residuali.
Si ha l’impressione che ora sia giunto il loro tempo. Il tempo per i post comunisti di pagare il tributo che la storia assegna alle contraddizioni ed alle mistificazioni. Usciti da tangentopoli senza i riflettori puntati, anche perché alle luci erano addetti gruppi di attivisti collaterali, ora non riescono più a mantenere intatto quel quadro di omertà ideologica che aveva annacquato responsabilità e omogeneità comportamentali con le altre formazioni politiche. Viene meno anche quella sensazione diffusa che alcuni avevano artatamente alimentato di ostentata diversità morale. Si avverte la percezione che i nodi siano venuto al pettine, e che la diversità sia solo in relazione ai comportamenti ed alle attitudini dei già comunisti nel far prevalere la ragione di partito agli interessi dei singoli, secondo i principi classici del marxismo-leninismo.
L’intervento di qualche giorno fa di D’Alema sul Corriere della Sera offre il segnale della consapevolezza che questo quadro politico è destinato a precipitare. D’Alema afferma che la politica sia in crisi. In realtà è entrata in crisi la sinistra o le sinistre italiane. La proposta del centro sinistra è vistosamente fallita. Sono entrati in crisi per l’incapacità di presentare una proposta politica credibile, ammesso che possa formularsi una proposta politica che fa convergere su di un programma comune Bertinotti e Dini o Di Pietro e Franca Rame=Dario Fo, per non parlare dei soliti Mastella e Diliberto. I reiterati ed ipocriti appelli della sinistra alla tensione morale, rivolgendosi ad altri, hanno solo voluto nascondere l’incapacità di governare, se non contro qualcosa o qualcuno. Le bugie e le ipocrisie non reggono più al confronto con il sentimento della società civile e lo sdegno della rabbia popolare. L’aria che spira avverte che stanno emergendo episodi di rilevanza morale su atti e comportamenti di uomini che ancor oggi perpetuano ambizioni e protervia.
L’episodio di Visco e la volontà di allontanare ufficiali responsabili della Guardia di Finanza in Lombardia, impegnati a rilevare episodi penalmente rilevanti collegati a vicende già note che coinvolgono Unipol e uomini politici di sinistra, è di una gravità assoluta che non può non avere una posta altissima. Qualcuno ipotizza risvolti incredibili collegati ai 50 milioni di euro costituiti all’estero dai responsabili Unipol. Anche il silenzio del Presidente della Repubblica su di un episodio tanto grave lascia una sensazione di disagio. Chi non ha pensato a ciò che ha affermato il Presidente Cossiga: “ Se il governo ritiene che il Generale Speciale abbia mentito, formulando gravi e false accuse al suo superiore politico diretto, deve, in Consiglio dei Ministri, non limitarsi a destituirlo ma radiarlo dalle Forze Armate per mendacio e fellonia”?
Qualche giorno fa anche le dimissioni rese irrevocabili del giudice costituzionale Vaccarella dinanzi al dilagare delle pressioni politiche dei rappresentati, anche di governo, della sinistra sulla Consulta perché questa adotti risoluzioni conformi alla volontà della sinistra politica del Paese, ha alimentato quella sensazione di ineluttabilità di un nuovo ciclone che si sta per abbattere sulla scena politica.
Dell’aria che tira si stanno rendendo conto persino i poteri del Paese. Il Corriere della Sera quasi prende le distanze dal Governo. Luca Cordero di Montezemolo si butta persino nell’agone e denuncia gli sprechi della politica ed i suoi alti costi. C’è chi sospetta che voglia proporsi come candidato di un governo di conciliazione, magari sulla spinta popolare della rivoluzione del sistema dei partiti. Si corre il rischio, però, di legare ogni cosa con lo stesso fascio, distraendo l’attenzione dalla vera crisi del Paese che è la crisi di questa improponibile sinistra.
Questa sinistra è quella che, per correre dietro ai fumosi progetti di Prodi ed alla retorica scalfariana, ha reso vana l’unica rivoluzione politica tentata negli ultimi anni in Italia. Quella riforma costituzionale che avrebbe semplificato e ridotto i costi della politica, responsabilizzato il personale politico, resi stabili i governi, ridotto i poteri dei partiti.
Questo governo dopo le elezioni amministrative raggiungerà il minimo del gradimento popolare e cadrà per implosione e forse anche per qualche bufera giudiziaria. Decreterà per Prodi e forse per qualche altro con lui, come è giusto che sia, la fine della carriera politica. Non rimarrà poi altra alternativa alle elezioni anticipate, se non un governo a termine di ampie convergenze che attui una riforma elettorale, si spera rigorosamente bipolare e con sbarramenti significativi.
Vito Schepisi

22 maggio 2007

Un Governo di uomini arroganti


No! Non è possibile! Non può essere vero… sarebbe assurdo in Italia negli anni duemila, nel terzo millennio! Ma io sono tentato a crederci ! Si….a crederci! Io credo che quanto afferma il comandante della Guardia di Finanza, generale Speciale: “Visco minacciò gravi conseguenze se non avessi rimosso gli ufficiali che indagavano sulla scalata alla Bnl da parte di Unipol” possa anche corrispondere al vero. Ci credo perchè l’onnipotenza di taluni arriva al punto da considerare uomini e ruoli al pari di spostabili pedine su una scacchiera di freddo ed insensibile marmo.
Visco è quel signore che due legislature passate, da Ministro delle Finanze riceveva i fax dei contribuenti che gli chiedevano di aumentare le tasse. Da un “contaballe” del genere… eh si che mi aspetterei che possano provenire comportamenti fuori della correttezza istituzionale, persino irrazionali come quello appunto di sentir affermare che i contribuenti italiani gioivano nello strozzarsi da soli, senza il suo aiuto.
Il generale che si opponeva all’ordine di trasferire i suoi uomini senza motivo, dice di esser stato espressamente minacciato: chiedeva al politico DS, come è giusto che sia, che almeno gli fosse fornita una motivazione alla richiesta perentoria di trasferimento. Non poteva infatti esser pensabile che il motivo ufficiale potesse essere quello di aver indagato sui retroscena della scalata Unipol alla Bnl. Il Viceministro Vincenzo Visco chiedeva di azzerare il vertice della Guardia di Finanza di tutta la Lombardia. Non si accontentava certo di poco. Dinanzi alla resistenza opposta – si legge nella deposizione del Generale Speciale - Il Vice Ministro gli intimava che i trasferimenti “dovevano essere eseguiti immediatamente”e che non fosse necessario informare i magistrati di Milano, benché impegnati con la loro collaborazione nelle indagini sui retroscena dell’acquisto della Bnl.
La questione Unipol-Bnl per coloro che l’hanno dimenticato è quella che faceva dire all’On. Fassino, al telefono con il presidente dell’Unipol Consorte: “possiamo dire di essere proprietari di una banca?” Non che l’affermazione di Fassino, posta come domanda retorica, penso con enfasi, possa costituire di per se reato...ma si parla tanto di conflitto di interessi e la cinghia di trasmissione tra cooperative ed i DS, in Emilia Romagna più che altrove, costituisce un costante conflitto, così evidente da non poter essere ignorato. Se vogliamo dirla tutta è un conflitto talmente percettibile, da intrecciarsi con numerosi provvedimenti di questo Governo, alcuni addirittura spacciati per liberalizzazioni.
Riassumiamo le cose. A luglio dello scorso anno, l’On.Visco divenuto da poco Vice Ministro dell’Economia, si impegnava al trasferimento dei vertici della Guardia di Finanza che stavano indagando sui giochi di prestigio della finanza rossa per acquisire il controllo della Bnl e sulle funamboliche acrobazie dei famosi “furbetti del quartierino”. Il tentativo andava in buca perché l’intenzione, trapelata sui giornali, sollevava un tale clamore da far bloccare l’operazione. La questione già allora aveva motivato la richiesta di dimissioni di Visco, in quanto ritenuta di assoluta gravità.
Non si sapeva, però, dei modi e dei toni che emergeranno successivamente.
Ora che si è avuto modo di leggere le testimonianze rese dal generale Speciale, i contorni assumono una gravità assoluta che va anche oltre lo sdegno per il fatto in se. Colpisce l’arroganza ed il metodo. La minaccia verso un alto ufficiale di un corpo dello Stato, per la soluzione di un fatto privato, di parte, di partito e persino losco, lascia esterrefatti ed indignati.
Non riesco nemmeno ad immaginare cosa sarebbe accaduto nel Paese se un componente del Governo Berlusconi avesse fatto una cosa simile. Probabilmente si sarebbe levato un coro unanime e si sarebbe definita la questione come un tentativo di colpo di stato. I giornali con i titoli cubitali: “Berlusconi allontana i funzionari dello Stato che indagano su di lui”; “Golpe di Berlusconi: rimuove a Milano i vertici della GdF che indagano sui suoi affari oscuri”. Penso anche che titoli di questo tipo sarebbero stati legittimi.
Ci piacerebbe, pertanto, leggere sui giornali l’allarme sociale che emerge dai gravi comportamenti attribuiti all’On. Visco. Se dovessero essere confermate modalità e toni, ci sarebbe da preoccuparsi seriamente sui risvolti autoritari di questo governo. Se si potesse auspicare una soluzione dignitosa, la richiesta di dimissioni del Vice Ministro e l’apertura di una indagine sul suo operato, tutto il suo operato da quando è stato nominato nel Governo, sarebbe un giusto tributo alla democrazia ed alla trasparenza. La legittimità degli atti di una Funzione dello Stato, in un Paese libero si difende prima di tutto dissipando ogni macchia di abuso e prevaricazione, a maggior ragione se il sospetto investe un esponente del Governo e la questione riguarda comportamenti di uomini della sua parte politica.


Vito Schepisi

19 maggio 2007

RAI: servizio privato



Si fa un gran dire che la televisione pubblica debba essere tenuta fuori dal controllo dei partiti. La realtà è che per ogni maggioranza diversa il nodo Rai si riapre e si cerca di rimescolare le carte per assicurare alla propria parte politica spazio e controllo all’interno del sistema radiotelevisivo. Anche in questa legislatura, dopo un anno di modifiche negli assetti per assicurare alla maggioranza di centrosinistra il controllo dell’informazione, si arriva a sferrare il colpo finale per cancellare l’intera opposizione dalla presenza sul servizio pubblico.
L’attuale consiglio di amministrazione è a maggioranza di centrodestra con presidenza del Ds Petruccioli. Questa composizione era stata adottata con il centrodestra. Doveva essere una gestione d’equilibrio con la presidenza di garanzia ad un rappresentante dell’opposizione parlamentare e la maggioranza del consiglio di amministrazione 4 su 7 alla maggioranza di allora. Ora che è cambiata la maggioranza una proposta saggia sembrerebbe quella di ribaltare gli equilibri con una presidenza del centrodestra ed una prevalenza di consiglieri del centrosinistra. Non è così però quando al governo è la sinistra di Prodi e Fassino. Prevale, infatti, la vocazione ad occupare ogni cosa ed a spegnere ogni dissenso, riducendo anche gli spazi della diffusione dell’informazione. Il fastidio di Prodi al dissenso ed alle regole della democrazia è ormai noto.
Si può mettere nel conto che il tecnico prestato alla politica di Prodi, Tommaso Padoa Schioppa, abituato allo stile dispositivo della Banca d’Italia, per sua forma ed esperienza di lavoro possa ritenere che in un Paese di democrazia liberale, costituito in forma plurale con le garanzie proprie di una Carta Costituzionale in cui vengono richiamati e sono espressamente previsti gli equilibri dei poteri, si debba asservire al potere ogni espressione del pluralismo e della espressioni della democrazia.
L’Italia, però, a differenza della Banca d’Italia che non ha mutato, dalla caduta del fascismo, l’esercizio spesso autoritario della gestione, è un paese libero. In uno Stato libero e democratico le istituzioni e gli strumenti della diffusione del confronto necessitano del controllo continuo e della partecipazione di tutto il Paese. Le istituzioni, e la cosa pubblica, Rai compresa, sono patrimonio della democrazia e non dei partiti o delle fazioni.
I controlli e la partecipazione di tutti ci garantiscono dalle tentazioni di derive autoritarie. Le diverse espressioni culturali e ideali in un Paese democratico devono poter essere espresse con dignità e responsabilità ed esercitare il loro ruolo educativo. Deve essere garantita la diffusione della pluralità delle istanze e del pensiero dei cittadini, sia che queste istanze appartengano alla maggioranza politica sia all’opposizione. Tutto questo non soltanto perché l’opposizione nell’ultima tornata elettorale ha rappresentato il 50% dei consensi popolari ma perché lo richiede la correttezza e la coerenza democratica.
Padoa Schioppa poteva anche non saperlo, può far finta di ignorare la democrazia, ma chi gli ha suggerito di emettere l’editto che mira a delegittimare il Consigliere Rai Petroni ed a causarne le dimissioni non ignora certamente la portata del gesto. Chi ha suggerito è certo un navigato politico, forse un boiardo di Stato, con lunga esperienza al servizio della gestione del potere. E’ certo uno che teme che con il metodo della democrazia e del confronto non va da nessuna parte perché non ha la stoffa dello statista e gli manca il coraggio di una visione d’insieme di una azione di governo.
La Rai, a prescindere dai vertici di gestione, è sempre stata un feudo della sinistra. Ogni programma di informazione ha sempre esaltato i contenuti di un Paese che guarda a sinistra. Ha reso negative e reazionarie parole come ordine, patria, impegno, merito e profitto. Ha criminalizzato la proprietà e l’impresa ed aperto finestre sui bisogni e diritti negati, senza mai ammonire sulla larga gamma di doveri che fanno di una nazione una civiltà evoluta. Ciò che è mancato e manca nel nostro Paese è la consapevolezza che non sempre la ragione sia sempre da una parte e che per costruire ricchezza e felicità, ammesso che sia possibile sconfiggere interamente povertà e dolore, è necessario l’impegno ed il sacrificio di tutti. Impegno e sacrificio che si traducono sostanzialmente nell’esercitare il proprio dovere di cittadini onesti e corretti. Anche la compagnia aerea nazionale, ad esempio, nelle difficoltà che si sanno deve buona parte della sua crisi alle cattive abitudini dei suoi dipendenti, alla incapacità di offrire la stessa qualità delle altre compagnie, alla mancanza di economie e forse alla concessione di troppi privilegi.
La Rai ha un numero esagerato di dipendenti, ha una scarsa attenzione alle economie, si giova del pagamento di un canone forzato, anche attraverso un’imposizione ai limiti dei principi di libertà di scelta, e registra anche cattive abitudini dei suoi dipendenti. E’ un esempio scoraggiante di mercato e di libertà ed è responsabile della diffusione della cultura dei diritti senza doveri. Già dai tempi di Bernabei aveva la vocazione ad educare gli italiani e non è detto che non l’abbia ancora. In passato ha contribuito a cristallizzare il quadro politico del Paese con le sue regole e le sue compensazioni. Oggi vorrebbe essere usata per omogeneizzare l’informazione nell’esaltazione dei poteri dominanti. Una Rai fatta di partiti, industria, banche, autority, sindacati, cooperative e Governo. Un mix di autoritarismo e di disinformazione, preludio di un paese illiberale, quasi un nuovo fascismo.
Vito Schepisi

07 maggio 2007

Alla fine ne rimase uno solo…



…è questa la lezione delle elezioni presidenziali francesi. Uno solo perché ne possa rispondere con responsabilità al popolo che l’ha votato. Nessuna confusione di prospettive e di modelli da realizzare. Sarkozy e la sua Francia legata ai principi, meno fumosa e illusa, coi piedi ben radicati per terra. Una Francia che rilancia una visione d’Europa diversa dal grigio incolore di Prodi, collocata sul mediterraneo come centro di una civiltà convinta, che dialoga con le democrazie del mondo con una visione atlantica che privilegia il rapporto con gli Usa e comunica la sua vicinanza a coloro che si battono per la liberazione dalla schiavitù e dall’oppressione. Una Francia che punta sull’uomo senza alimentare confusioni, anche per chiarire a uomini di mezzo, e absit iniuria verbis sui riferimenti e sui giochi di parole sui mezzi uomini nostri, che la discontinuità è l’impronta di un intuito, di un programma promesso, di uno stile di guida e di un patto di lealtà con gli elettori. Dalla lezione francese si può imparare ciò che maliziosamente è sempre stato negato in Italia e cioè che una politica di destra, per quanto anacronistiche siano le semplificazioni della politica, può essere progressista e rivoluzionaria. Questi valori, infatti, sono nell’interesse dei fruitori della democrazia: servono a rendere più tranquilla e sicura la vita di tutti. Si è infatti colpevolmente dimenticato negli anni che sentirsi garantiti e protetti significa poter contare sul Paese che riconosce la tua nazionalità. E’ la Patria che per essere tale garantisce libertà, uguaglianza e fratellanza dei suoi cittadini: la “Libertè, Egalitè e Fraternitè” della rivoluzione francese.
In Francia è rimasto uno solo che chiederà agli elettori delle politiche del prossimo giugno di rafforzare la sua Presidenza con una stabile maggioranza parlamentare. Chiederà ai centristi, sedotti dalle sirene di un disegno uscito sconfitto dalle concluse consultazioni presidenziali, di operare una scelta. Questi dovranno optare tra l’essere protagonisti di una salda e certa governabilità, per attuare il programma promesso di riforme e di rilancio della Francia, nell’economia come nei rapporti sociali, coi diritti legati ai doveri, e protagonisti della scelta della sua collocazione in politica estera, oppure i sostenitori di una opposizione conservatrice, arroccata attorno alla “Bastiglia” dei miti e delle illusioni. I centristi vorranno così essere i sostenitori di una Francia confusa tra immigrazione e integrazione? Vorranno dar battaglia contro la crescita ed il rafforzarsi dell’identità nazionale? Vorranno sostenere le ragioni della sinistra nel rievocare le stagioni di un ’68 oramai già troppo lontano che ha disperso i doveri, senza accrescere i diritti primari? La maggioranza dei deputati dell’Udf, il partito di Bayrou, ha già detto di no!
In Francia è rimasto uno solo, e non è la leggiadra candidata della sinistra, benchè favorita dalla dolcezza del suo portamento, dai modi di donna sicura e dinamica, dalla sua sagace capacità d’essere suadente. Ha perso ma non per la difficoltà di saper parlare al cuore dei francesi. Ségolène Royal con le sue doti di umanità e spontaneità, che pure hanno toccato il cuore alla gente, ha cercato di cogliere da ogni lato della sua area politica, spesso è andata oltre, ha incantato persino la destra, ha ammaliato il centro e quella parte della Francia che non ha creduto in Sarkozy o che ha temuto la sua rivoluzione. Ha ricevuto consensi da quella Francia conservatrice e tradizionalmente di destra o centrodestra che voleva e sceglieva la continuità individuandola nel programma spesso fumoso della sinistra. Nessuno più di lei avrebbe fatto di più!
Segolene ha giocato le sue ultime carte persino sulla preoccupazione, evocandola, di una Francia sconvolta dalla protesta delle periferie, richiamando in extremis la preoccupazione per la continuità della democrazia contro un presunto pericolo reazionario. Ha fatto di tutto per l’impresa impossibile di rivoltare il cammino del suo popolo verso l’innovazione sociale, la politica delle cose da fare, del lavoro da svolgere, dei diritti da rispettare e dei doveri da pretendere, contro l’illusione dell’integrazione e di una immigrazione senza regole e controlli. Ha fatto di tutto per far prevalere la sinistra per fermare una Francia che gira pagina e si rivolge allo sviluppo.
E’ rimasto un solo uomo ma con una grande prospettiva ed un popolo dietro di se. E’ iniziata la stagione di una nuova cultura europea che si muove contro le intolleranze e le illusioni, che abbatte gli steccati dei luoghi comuni, che introduce una nuova idea di progresso in contrapposizione all’ idea delle gabbie ideologiche della sinistra.
Vito Schepisi

01 maggio 2007

Democrazia in pericolo

La pretesa della sinistra di potersi consentire di dire o di fare ogni cosa, anche senza il rispetto delle regole e delle istituzioni, questa volta ha trovato un’indignata protesta da parte di un componente della Consulta.
Le motivazioni delle dimissioni rassegnate dal giudice Vaccarella, magistrato della Suprema Corte, fanno riferimento alle dichiarazioni di ministri e sottosegretari sulle future determinazioni che dovrà adottare la Corte Costituzionale in merito alla presunta incostituzionalità della richiesta di referendum popolare sulla legge elettorale.
Il giudice dimissionario si è attenuto agli aspetti formali delle pressioni che la Consulta è costretta da tempo a subire da parte di una fazione politica.
Quella, come si diceva in apertura, che sembra voglia anche imporre alla Suprema Corte la propria condotta e la legittimità di un giudizio politico rispetto a quello di merito.
Nessuno però potrà dirci, per rispetto dei ruoli e per la correttezza istituzionale verso l’Organo, se le pressioni che arrivano siano limitate a orientare attraverso un giudizio politico o assumano una vera e propria pressione.
Sappiamo quanto alcuni partiti ritengano militanti i loro uomini, anche quando assumono incarichi istituzionali.
Sappiamo, anche, quanto i mestieranti della politica siano rozzi e violenti e quanto siano capaci di far riferimenti all’appartenenza politica ed ai richiami alla solidarietà ed alla riconoscenza verso i militanti degli stessi partiti che sono alla base della loro nomina.
Quello di Giudice Costituzionale è un esclusivo incarico quindicennale!
In Italia da anni ed in modo particolare dal 1994, con la prima legislatura della cosiddetta seconda repubblica, ogni azione della Corte Costituzionale è stata preceduta da campagne di stampa, da dichiarazioni politiche, ed anche da rindondandi e stucchevoli moniti di discussi Presidenti della Repubblica.
Le pressioni, i moniti, gli interessati suggerimenti hanno umiliato il rispetto e l’imparzialità della Corte.
Sono stati spesso offesi e calpestati i principi della libertà e della democrazia.
Non si è tenuto alcun conto del rispetto dei ruoli nel tirare la giacca a giudici e Consulta e nell’ammonirli a irrorare sentenze con forte valenza politica, o interpretare leggi e provvedimenti secondo utilità e convenienze della propria parte parlamentare.
Finalmente un giudice coraggioso che non ci sta, non come altri squallidamente famosi!
Finalmente qualcuno che fuori dai denti dia implicitamente dell’irresponsabile e dello zoticone a coloro che si cimentano in questa impresa meschina.
Ogni provvedimento, in democrazia, è sottoposto al giudizio del popolo e le libere opinioni sono i condimenti di ogni sano principio di libertà e civiltà.
Anche i giudizi della Corte Costituzionale, quanto quelli della magistratura ordinaria, devono essere sottoposti alla libera interpretazione della pubblica opinione, ma dopo che le sentenze siano state espresse.
Discutere e capire fa parte di un bagaglio di crescita delle coscienze di ciascuno ed il diritto al dissenso deve essere riconosciuto nella sua integralità e senza eccezioni.
Si possono discutere i meriti dell’intervento, se ciò che si voglia sottoporre a giudizio abbia gli estremi, ad esempio, nella magistratura ordinaria, di un reato o se i modi e gli indizi rilevati siano conformi e completi o siano compatibili con la civiltà giuridica, ovvero costituiscano persecuzione ed esclusività di un’azione giudiziaria mirata a fini diversi.
Si può ancora richiedere l’intervento della Corte Costituzionale per valutare la legittimità di un provvedimento legislativo, ma fare pressione per irrorare un giudizio o un altro diverso non è corretto.
Suggerire ancora un’interpretazione, o inviare un indecente messaggio come fa il Ministro Pecoraro Scanio ad esempio:
“Guardate bene, dico ai giudici, non fate passare un sistema anti-democratico”
è invece un modo incivile di esercitare pressioni.
Se a premere sulla Corte Costituzionale sono ministri e sottosegretari della Repubblica, e Pecoraro Scanio non è stato il solo, è l’arroganza della politica che prende il sopravvento.
Gli uomini delle istituzioni, a differenza degli interventi di cittadini comuni, dovrebbero avvertire il dovere di rispettare gli spazi delle loro funzioni, senza invadere quelli di altri organismi deputati al presidio delle istituzioni.
In caso contrario è la democrazia che viene meno, sono le garanzie civili che vengono mortificate, è la libertà che soffre carenze, sono le istituzioni democratiche che corrono pericoli.
Vito Schepisi