01 maggio 2007

Democrazia in pericolo

La pretesa della sinistra di potersi consentire di dire o di fare ogni cosa, anche senza il rispetto delle regole e delle istituzioni, questa volta ha trovato un’indignata protesta da parte di un componente della Consulta.
Le motivazioni delle dimissioni rassegnate dal giudice Vaccarella, magistrato della Suprema Corte, fanno riferimento alle dichiarazioni di ministri e sottosegretari sulle future determinazioni che dovrà adottare la Corte Costituzionale in merito alla presunta incostituzionalità della richiesta di referendum popolare sulla legge elettorale.
Il giudice dimissionario si è attenuto agli aspetti formali delle pressioni che la Consulta è costretta da tempo a subire da parte di una fazione politica.
Quella, come si diceva in apertura, che sembra voglia anche imporre alla Suprema Corte la propria condotta e la legittimità di un giudizio politico rispetto a quello di merito.
Nessuno però potrà dirci, per rispetto dei ruoli e per la correttezza istituzionale verso l’Organo, se le pressioni che arrivano siano limitate a orientare attraverso un giudizio politico o assumano una vera e propria pressione.
Sappiamo quanto alcuni partiti ritengano militanti i loro uomini, anche quando assumono incarichi istituzionali.
Sappiamo, anche, quanto i mestieranti della politica siano rozzi e violenti e quanto siano capaci di far riferimenti all’appartenenza politica ed ai richiami alla solidarietà ed alla riconoscenza verso i militanti degli stessi partiti che sono alla base della loro nomina.
Quello di Giudice Costituzionale è un esclusivo incarico quindicennale!
In Italia da anni ed in modo particolare dal 1994, con la prima legislatura della cosiddetta seconda repubblica, ogni azione della Corte Costituzionale è stata preceduta da campagne di stampa, da dichiarazioni politiche, ed anche da rindondandi e stucchevoli moniti di discussi Presidenti della Repubblica.
Le pressioni, i moniti, gli interessati suggerimenti hanno umiliato il rispetto e l’imparzialità della Corte.
Sono stati spesso offesi e calpestati i principi della libertà e della democrazia.
Non si è tenuto alcun conto del rispetto dei ruoli nel tirare la giacca a giudici e Consulta e nell’ammonirli a irrorare sentenze con forte valenza politica, o interpretare leggi e provvedimenti secondo utilità e convenienze della propria parte parlamentare.
Finalmente un giudice coraggioso che non ci sta, non come altri squallidamente famosi!
Finalmente qualcuno che fuori dai denti dia implicitamente dell’irresponsabile e dello zoticone a coloro che si cimentano in questa impresa meschina.
Ogni provvedimento, in democrazia, è sottoposto al giudizio del popolo e le libere opinioni sono i condimenti di ogni sano principio di libertà e civiltà.
Anche i giudizi della Corte Costituzionale, quanto quelli della magistratura ordinaria, devono essere sottoposti alla libera interpretazione della pubblica opinione, ma dopo che le sentenze siano state espresse.
Discutere e capire fa parte di un bagaglio di crescita delle coscienze di ciascuno ed il diritto al dissenso deve essere riconosciuto nella sua integralità e senza eccezioni.
Si possono discutere i meriti dell’intervento, se ciò che si voglia sottoporre a giudizio abbia gli estremi, ad esempio, nella magistratura ordinaria, di un reato o se i modi e gli indizi rilevati siano conformi e completi o siano compatibili con la civiltà giuridica, ovvero costituiscano persecuzione ed esclusività di un’azione giudiziaria mirata a fini diversi.
Si può ancora richiedere l’intervento della Corte Costituzionale per valutare la legittimità di un provvedimento legislativo, ma fare pressione per irrorare un giudizio o un altro diverso non è corretto.
Suggerire ancora un’interpretazione, o inviare un indecente messaggio come fa il Ministro Pecoraro Scanio ad esempio:
“Guardate bene, dico ai giudici, non fate passare un sistema anti-democratico”
è invece un modo incivile di esercitare pressioni.
Se a premere sulla Corte Costituzionale sono ministri e sottosegretari della Repubblica, e Pecoraro Scanio non è stato il solo, è l’arroganza della politica che prende il sopravvento.
Gli uomini delle istituzioni, a differenza degli interventi di cittadini comuni, dovrebbero avvertire il dovere di rispettare gli spazi delle loro funzioni, senza invadere quelli di altri organismi deputati al presidio delle istituzioni.
In caso contrario è la democrazia che viene meno, sono le garanzie civili che vengono mortificate, è la libertà che soffre carenze, sono le istituzioni democratiche che corrono pericoli.
Vito Schepisi

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