31 dicembre 2008

Buon 2009


Non c’è niente di più banale che augurare Buon Natale e Buon Anno, anche se non è una consuetudine superflua, perché serve a compattare gli affetti, le amicizie e forse anche i pensieri.
Ci vorrebbe forse una legge, emessa per decreto, che stabilisca che con la fine del vecchio anno debbano scadere tutte le liti e le incomprensioni tra gli uomini ed i popoli. A parte Di Pietro, e qualche altro politico perverso e pervaso dal malanimo, penso che la legge riscuoterebbe un’adesione parlamentare grandissima.
In fondo siamo un po’ tutti come quei bimbi delle letterine di Natale che promettono di ubbidire ai genitori, di essere buoni, di studiare di più; riusciamo a comprendere ciò che è bene e sappiamo distinguerlo da ciò che è male.
L’uomo è nato si con la capacità di comprendere ma ha la furbizia del dar ragione al suo istinto, come un animale che per lo stesso istinto è portato a ricercare lo spirito d’insieme con i suoi simili, ma delimita il suo territorio mostrandosi pronto a difenderlo con ogni mezzo.
Non sempre, però, la sua difesa ha una ragione. Non sempre c’è davvero qualcosa da difendere, spesso è solo un principio o un capriccio: è una logica di potere; è una volontà di dominio.
Diventa così una consuetudine descrivere il vecchio anno come un contenitore di tante delusioni e di tanto malessere. Disastri, incidenti, guerre, toni da trivio nel confronto politico, sono presi ad esempio per stabilire il fardello di colpe del vecchio anno che va via.
Chi poi non ha avuto una delusione, o un lutto, o qualcosa da dimenticare e superare? Chi non ha imprecato contro il destino o contro qualcuno?
Il 2008 va via, ma si riuscirà a cancellare i ricordi più brutti?
Ci vorrebbe un decreto che entri in vigore dalla mezzanotte del 31 dicembre di ogni anno, perché veramente si possa cancellare ciò che è stato e si possa ricominciare tutto da capo e tutti con maggior serenità. Dovrebbe restare solo ciò che non è motivo di screzio, ciò che è condiviso, ciò che è giusto che sia.
Ma a parte Di Pietro, un’analfabeta violento che non fa testo, saremmo proprio sicuri che nessuno presenterebbe i propri emendamenti al decreto?
Siamo proprio sicuri che non ci sarebbe chi voglia approfittarne per introdurci un comma, per cambiare la moglie, ad esempio? E chi per cambiar residenza da Quarto Oggiaro a Villa San Martino ad Arcore? E chi per togliere qualcosa a qualcuno per aggiungere a se stesso?
Nella scorsa legislatura, Luxuria si sarebbe dotata di tette a spese delle collettività: non che non l’abbia fatto lo stesso (che orrore!), ma l’avrebbe fatto, come sosteneva, usando il servizio sanitario nazionale, sottraendo magari le risorse necessarie a curare l’anziano malato di Alzheimer.
Anche Veltroni ne avrebbe approfittato per inserire nel decreto un intero articolo che stabilisca il suo diritto a contare qualcosa.
Prodi col decreto avrebbe cancellato la spazzatura di Napoli e stabilita la coesione della sua maggioranza per poter continuare a tassare e condurre all’indigenza l’intero popolo italiano e, dopo la vendita di Alitalia ai francesi, avrebbe venduto anche Montecitorio e Palazzo Madama a De Benedetti, Repubblica, Montezemolo e Corriere della Sera.
Abbiamo scherzato…ma un decreto, invece, contro tutti gli idioti però ci vorrebbe davvero, perchè poi a pagare è sempre il popolo bue!
Buon 2009 per tutti.
Vito Schepisi

30 dicembre 2008

Pensavano che fosse un valore, invece era un nuovo calesse

E’ strano, ma proprio chi si richiama ai valori e che fa della correttezza nei comportamenti degli eletti la ragione principale, e forse unica, della propria identità politica, assume oggi i tratti del più contorto politichese ed agisce da struzzo, come tanti, come sempre, come tutti.
Il poliziotto Di Pietro Cristiano, eletto al Comune di Montenero di Bisaccia ed alla Provincia di Campobasso per l’Idv, poliziotto in aspettativa per motivi politici, si è dimesso dal partito dove comanda solo ed indisturbato il padre, anche se…“poi, quando tutto sarà chiarito, ne riparleremo”.
Ed il padre è quell’Antonio Di Pietro, ex PM, dimessosi dalla magistratura per ragioni che sono ancora ignote, che dichiara che il gesto del figlio è stato “un gesto corretto e per certi versi forse eccessivo”.
Sembra un’opera pirandelliana, un classico tocco da commedia degli equivoci.
Signor Di Pietro Jr, ma delle sue dimissioni dal partito di suo padre non ce ne pò fregà de meno!
Lei, per coerenza con quanto sostiene il suo papà, dovrebbe dimettersi dai consigli in cui è stato eletto e dovrebbe ritornare a lavorare come fanno i suoi colleghi poliziotti, e milioni di italiani che non hanno un partito tagliato su misura dal proprio genitore, approfittando dell’onda della notorietà di una stagione giudiziaria densa di ombre e con seri e diffusi dubbi sull’imparzialità giudiziaria, e con forti sospetti di strumentalizzazione politica.
Suo padre, distintosi come fustigatore dei cattivi costumi degli altri, ma restio a dare spiegazioni agli italiani sulle tante ombre della sua carriera di studente, poliziotto, magistrato, politico e leader di partito, è quel signore che, ministro di Prodi, è apparso così raffinato nel definire “magnaccia” il leader dell’opposizione Berlusconi, quando questi aveva chiesto al Direttore di Rai Fiction Agostino Saccà di far fare un provino ad un paio di attricette.
Figuriamoci cosa avrebbe detto di lei, se non fosse stato suo padre e se aderente ad un altro partito!
Si è mai chiesto come si entra a lavorare in Rai? Avrà però certamente chiesto invece a suo padre come si diventa famosi in Italia, dove più che la giustizia valgono le caste ed il “politicamente corretto”! Ci pensi, appuntato Cristiano chieda, nel caso, e ci faccia sapere!
Nel frattempo ci spieghi quanto possa interessare, invece, al Paese il fatto che lei debba passare dai gruppi dell’Idv al gruppo misto, nelle amministrazioni locali dove è presente?
E dato che siamo nel campo delle spiegazioni, ci confermi pure che l’incarico di capogruppo dell’Idv alla Provincia di Campobasso le sia stato affidato per i suoi meriti e per le sue capacità, più che per essere il rampollo di cotanto genitore.
Ci sono molti italiani che ritengono che sarebbe stato più corretto se lei si fosse dimesso da entrambi i consessi elettivi, dove ha raccolto i voti di coloro che hanno ritenuto, seguendo il giustizialismo dell’ex magistrato Di Pietro, di poter moralizzare la vita politica.
Lei, pertanto, non doveva affatto dimettersi dal partito, dove mi sembra sia ben inquadrato, ma dai consigli degli enti in cui è stato eletto. Gliel’ha suggerito suo padre di dimettersi solo dal partito?
Ma se suo padre era interessato a questa nuova sceneggiata, ai danni dell’intelligenza degli italiani, doveva avere il coraggio di espellerla.
Lei, se ci pensa bene, è stato sorpreso a praticare le stesse trame affaristiche che l’Antonio Di Pietro, col suo partito forcaiolo, contesta ogni giorno agli altri protagonisti della politica del Paese.
Che sagoma quel suo papà!
A che vale, invece, come lei ha fatto, dimettersi dal partito, con riserva di rientrarci dopo l’esito (mi auguro positivo per lei) dell’inchiesta sugli appalti di Napoli?
Anche senza rilevanza penale, come afferma suo padre, lei ha mostrato un profilo simile a tutti gli altri, al contrario di ciò che suo padre dice che debba essere per un militante dell’Idv.
L’ha fatto per non rinunciare al vantaggio del suo ruolo di amministratore ed a quello dell’aspettativa per motivi politici dal lavoro certamente più duro di poliziotto?
Ho sentito spesso parlare dell’Idv come del partito di opposizione più fermo contro il malcostume. Ho sempre avuto qualche dubbio che fosse veramente così: ora ho la certezza dell’esatto contrario.
Tutti pensavano che fosse un valore, ma era soltanto un nuovo calesse.
Vito Schepisi

29 dicembre 2008

In politica per qualcosa da dire e non per qualcosa da chiedere

C’è gente che lo vorrebbe vedere ammanettato ed in galera, come i tanti imputati passati dai suoi duri e sbrigativi metodi inquisitori, quando era PM a Milano.
C’è chi vorrebbe indurre Di Pietro a dover meditare sulla serenità persa da molti personaggi risultati innocenti, e chi indurlo, invece, a soffermarsi sulle vite spezzate di quegli imputati che per i suoi metodi si sono tolti la vita. Altri vorrebbero che per la nemesi storica si trovasse per lui, e per il suo simbiotico figlio, l’uguale rigore del giustizialismo forcaiolo e della cultura del sospetto che ha tolto il sorriso a tante persone, compromettendone irrimediabilmente l’immagine.
Noi invece vorremmo solo conoscere la verità.
Vorremmo che non ci fossero né privilegi e né accanimenti nei suoi confronti, e neanche nei confronti delle persone a lui vicine. Vorremmo che la legge fosse uguale per tutti e che fosse rispettata anche da coloro che godono dei favori di alcune procure.
Auspichiamo una magistratura responsabile e garantista, al servizio esclusivo del diritto e della legge, senza occhi di riguardo e senza accanimento per nessuno.
Un compagno di partito di Di Pietro, Leoluca Orlando (lo stesso respinto dalla maggioranza parlamentare per una commissione di garanzia come quella della Vigilanza Rai), ha sostenuto in passato che il sospetto sia l’anticamera della verità.
Ed ora i sospetti di tanti cittadini italiani sono sui motivi, sulle situazioni, sulle storie e sui rapporti che un uomo pubblico, leader di un partito, dovrebbe chiarire.
Gli italiani vorrebbero che fossero resi noti da Di Pietro, tra gli altri:
- i motivi del suo abbandono della magistratura;
- le situazioni di favore ottenute quando era PM a Milano;
- le diverse storie connesse ai contrasti coi suoi compagni di strada politica, collegate, stranamente per un partito che si richiama ai valori, alla divisione del finanziamento pubblico;
- i rapporti mantenuti dall’ex PM, dal suo figliuolo e da eventuali altri esponenti dell’Idv, con personaggi risultati inquisiti ed arrestati nell’ambito dell’inchiesta della Procura di Napoli sugli appalti.
C’è, inoltre, un’ipotesi degli investigatori della Dia di Napoli che riguarda un reato grave. Lo stesso reato per cui, con sentenza di primo grado, un anno fa, è stato condannato a 5 anni di carcere Totò Cuffaro, Presidente della Regione Sicilia, giudicato colpevole di favoreggiamento e rivelazione di segreto d'ufficio: il reato d’informare una persona indagata d’avere il telefono sotto controllo.
Nel caso di Di Pietro, la Dia di Napoli ha sostenuto la tesi di una fuga di notizie, sulle indagini relative agli appalti del capoluogo campano, trapelate molto tempo prima (sei mesi) che arrivassero alla stampa.
Chi è stato informato? E da chi?
L’ex PM ha riferito ai giornali di aver trasferito il provveditore alle opere pubbliche della Campania e del Molise, Mario Mautone, perché era venuto a conoscenza di indagini a suo carico.
Di Pietro dica allora agli italiani chi l’ha informato delle indagini e perché suo figlio da qual momento non ha più risposto alle telefonate dell’ex provveditore Mautone?
Suo figlio sapeva che le utenze telefoniche erano sotto controllo?
E da chi l’ha saputo?
Un magistrato lo chiederebbe a chiunque e vorremmo che lo chiedesse anche a Di Pietro e suo figlio!
Di Pietro che pone la questione morale come presupposto per lo svolgimento dell’attività politica, non può rifiutarsi di fare chiarezza. Non può lasciare nel dubbio tutti i quesiti che in questi giorni vengono posti. Non può non sentire il dovere di chiarire le sue eventuali responsabilità e quelle del suo figliolo, anche a costo di dover rinunciare a far politica, come chiederebbe di fare ad altri.
Non è poi necessario che la famiglia Di Pietro faccia politica, soprattutto se gli esiti sono quelli che sembrano: nessun progetto politico, nessuna attività riformista e nessun buon esempio.
Di Pietro faccia allora ciò che dice che gli altri debbano fare nelle sue condizioni: si dimetta!
Faccia dimettere dagli incarichi anche il suo figliolo che, a quanto pare, sembra sia sintatticamente persino meno dotato di lui, pur essendo abbastanza propenso a ricercare favori ed a fruirne.
La storia del nepotismo e dei figli trainati dai padri per godere dei privilegi di casta sembrava una pratica abbandonata, un antipatico retaggio di immoralità nei comportamenti della politica.
E’ una pratica che purtroppo scoraggia chi ha qualcosa da dire, e non chi ha qualcosa da chiedere.
Vito Schepisi

22 dicembre 2008

Avviso di garanzia al PD

Che abbia ragione Andreotti!
A pensar male si fa peccato, ma spesso ci si azzecca”.
E’ da qualche settimana che c’è un pensiero che circola, anche se non chiaramente espresso.
E’ come la sensazione di un avviso di garanzia virtuale che la magistratura avesse inviato al PD.
Il complottismo in Italia è uno sport ben praticato, al pari della dietrologia più fantasiosa, ma questa volta c’è l’impressione di qualcosa di più rispetto alle solite trame immaginarie. C’è qualcosa che si materializza più facilmente rispetto a quel solito evocare il grande vecchio, quando l’illusionista politico di turno voglia aumentare la tensione e fomentare le piazze, alludendo a manovratori e possibili pericoli di derive autoritarie.
Per capirci non è la dietrologia pecoreccia, come la P2 evocata da Di Pietro o le trame fasciste, razziste o autoritarie attribuite a Berlusconi.
Non è roba da populisti e demagoghi che, privi di argomenti validi per farsi capire ed accettare dal popolo, ricorrono alle suggestioni.
Questa volta c’è la concretezza di episodi reali, e tutti convergenti verso un preciso obiettivo. Anche gli attori giocano un ruolo troppo coerente con il fine da perseguire da potersi pensare che sia una semplice coincidenza.
Si ha la sensazione che ogni qualvolta ci sia in Italia una possibile convergenza del Parlamento sulla riforma della giustizia accade sempre qualcosa che faccia venir meno il possibile accordo.
Il Senatore Cossiga, per ogni governo che si forma, presta particolare attenzione al ministro della giustizia. Per l’ultimo, Angelino Alfano, al momento della sua nomina ha detto: “attento che arrestano tua moglie”. Ha tenuto a ricordargli di prestare molta attenzione per se e per la sua famiglia. L’ha informato che in Italia chi fa il ministro della giustizia è in serio pericolo giudiziario. L’ex Presidente della Repubblica è uomo che parla per iperboli ma, da profondo conoscitore degli uomini e dei sistemi della politica, dei servizi e degli ordinamenti dello Stato, mostra sempre di sapere molto bene ciò che dice.
In Italia c’è una vera emergenza giustizia.
Con la bufera giudiziaria cascata sul PD, sembra che sia stato inviato un virtuale avviso di garanzia a Veltroni e compagni per diffidarli dal consentire il varo della riforma del sistema giudiziario, per diffidarli dal voler consentire di sottrarre alla magistratura il potere di stabilire la legittimità della politica.
La casta, come ogni corporazione che esercita un potere reale, attiva la sua autodifesa e lo fa coi mezzi che meglio conosce: un avviso di garanzia.
C’è nella magistratura la preoccupazione che la politica, col consenso democratico e nell’esercizio del potere legislativo, possa con la riforma stabilire, com’è normale per tutto ciò che è esercitato in nome e per conto del popolo, l’imparzialità e la legittimità anche degli atti giudiziari.
La giustizia in Italia è rimasta quella corporativa ed autoreferente del regime fascista. L’avvento della democrazia non trascina per automatismo la trasformazione di uno strumento di regime in uno di giustizia. Se col fascismo la parvenza dell’autonomia serviva al potere come paravento di equità, mentre imponeva un pensiero unico e possedeva l’autorità per rimuovere tutto ciò che si poneva in contrasto, con la democrazia i paraventi non servono e non esiste la facoltà di rimuovere ciò che l’esecutivo non dovesse gradire.
Ma un potere senza controllo esercita anche atti senza controllo.
Se dev’essere considerata giusta l’autonomia della magistratura dal potere politico, per il rispetto delle regole della democrazia non si può ritenere invece legittimo il controllo della magistratura sulla politica, con intereventi che stabiliscono, com’è accaduto, persino il consenso o meno alla formulazione e promulgazione delle leggi in Parlamento.
Ci sono delle regole da osservare per poter dire che gli ordinamenti dello Stato siano conformi alla volontà del popolo. In caso contrario non si può parlare di democrazia ma, appunto, con l’azione prevalente della magistratura, di stato etico, alla stregua di quelli fondamentalisti di tipo islamico.
Sono anni che, con il sostegno della sinistra, la riforma viene osteggiata dai magistrati: sembra che tangentopoli abbia motivato un compromesso giustizialista tra la magistratura e la stessa sinistra.
Quello delle procure, pertanto, appare come un avviso di garanzia al PD, per informare che ciò che non è stato fatto in passato potrà esser fatto in futuro, e che sia sufficiente un Di Pietro per prendere le redini del fondamentalismo giudiziario, con il suo partito dei giudici che arraffa i voti in libera uscita dal PD.

Vito Schepisi

20 dicembre 2008

Il PD decide di non decidere

Come cambiano gli scenari politici a distanza di giorni!
Nella Direzione PD fino a qualche giorno fa era dato per certo che ci sarebbe stato un braccio di ferro tra Veltroni e D’Alema. Si parlava insistentemente, dopo il pizzino di La Torre a Bocchino in tv, di una sfida con strascichi e vittime che dovesse portare ad indebolire il marinaretto del PD. A conti fatti, invece, a dispetto di ciò che si diceva, scoppia quasi la pace tra i due. Solo schermaglie e l’accusa di una fusione mal riuscita. Insieme tornano ad essere come due coppie di gambe di un tavolo che si compattano sui quattro appoggi per reggere il confronto interno e lasciare tutto com’è, rimandando la resa dei conti alla prossima rissa.
Per la gestione della base, divisa tra i due contendenti, se cadesse il primo, cadrebbe anche il secondo e viceversa. E se cadessero insieme, con loro, ad un pezzo alla volta, cadrebbe tutto il PD, come un domino, come un instabile castello di carte.
C’è la consapevolezza tra i due che le responsabilità politiche, soprattutto sulla questione morale, sono equamente distribuite e che, per la presenza dei fuochi incrociati già pronti ad alzo zero, a nessuno conviene liberarsi dell’altro, pena il rischiare di proprio.
La linea nuova, la tutela di Veltroni attraverso una direzione condivisa, che in tanti speravano che emergesse risulta, invece, perdente. La partita non viene neanche giocata per l’impraticabilità del campo. Solo le dimissioni, subito rientrate, del ministro ombra Chiamaparino. Arretrano così le proposte dello stesso sindaco di Torino e di Cacciari per un PD che acquisti una sua fisionomia riformista, che si smarchi da Di Pietro e dalle scorie populiste, per rilanciare nuove proposte, a partire dal partito federale. Si allontanano le speranze di fornire il PD di un progetto politico e gli auspici di veder avviare un serio confronto propositivo con la maggioranza di centrodestra per una stagione di riforme, quanto mai necessarie al Paese.
Il PD, stordito dalla questione morale, indebolito ed attaccato sulle fasce laterali, decide di non potersi permettere di doversi anche difendere dalle incursioni del centravanti di sfondamento Di Pietro che, proprio sulla questione morale, incalza il PD, come un avvoltoio che girandogli attorno bracca la sua preda in agonia.
I nemici per il PD sono sempre gli stessi: la maggioranza del Paese ed il Governo di Berlusconi.

L’avversario, invece, di questa fusione mal riuscita, come sostiene D’Alema, resta il buonsenso: un avversario che viene regolarmente battuto.
Il discorso di Veltroni è sembrato più un arringa difensiva che il rilancio di un’azione politica: “C’è un’offensiva politica contro il PD” – ha sostenuto - perché è la vera alternativa possibile al centrodestra. “Indietro non si torma - Sarebbe un suicidio”. I toni sembrano quelli del richiamo all’orgoglio di partito, come se il loro fosse il fortino dei buoni, accerchiato dai nemici cattivi.
Si consolida la sensazione della volontà di difesa di una scelta già fatta da cui non si possa più indietreggiare. La sensazione è del volersi arroccare intorno ad inesistenti valori di riferimento da consolidare. Tutto questo mentre da più parti nel PD si pongono questioni reali, interrogativi sui riferimenti veri coi quali potersi identificare e farsi riconoscere dal popolo, sui contenuti da dover dare alla propria azione politica: se schierarsi, ad esempio, come sostiene Chiamparino, a fianco degli operai in cassa integrazione o accanto alle aziende in crisi.
Sono tanti i dubbi ed i motivi di confusione che restano irrisolti tra i sostenitori della sinistra democratica che si è trovata trascinata a difendere le caste, i baroni universitari, i piloti, i magistrati, e persino i privilegi di Murdoch; che si è trovata trascinata il 12 scorso in uno sciopero generale senza senso a protestare contro una crisi che ha radici lontane e responsabilità nazionali tutte a sinistra, per la contrazione delle possibilità economiche della famiglie tartassate dal fisco.
Apre a Casini e non chiude a Di Pietro. “Non abbiamo l’illusione di fare da soli - argomenta Veltroni - ma le alleanze devono essere affidabili sulla tenuta di governo…le alleanze, le decideremo lungo il cammino, ma non dovranno essere mai più contro l’avversario”. Cose già vecchie e conosciute e si ritorna a girare come una giostra del Luna Park.
Il PD, ancora una volta, decide di non decidere.
Vito Schepisi

18 dicembre 2008

Sciacalli e diversità antropologica

I venti giudiziari, come da tempo annunciato, hanno ripreso a soffiare e la questione morale è tornata prepotentemente ad affacciarsi sulla scena politica nazionale.
La corrente del Golfo è arrivata e con l’aria che tira scoperchia i cassonetti, e non solo quelli dei rifiuti inermi.
L’acqua che non è venuta giù – si sostiene in un detto popolare - sta ancora tra le nuvole, in cielo. Ed è così perchè, fuori dalla metafora, nessuno possa vantare di esserne rimasto fuori solo perché la sua responsabilità è stata tenuta nascosta. Ciò che si è tenuto nascosto non poteva, infatti, impedire che la malversazione politica, radicata nel sistema, prima o poi finisse invece per emergere.
A chi può oggi sfuggire il ricordo del richiamo di Bettino Craxi in Parlamento, il 29 aprile del 1993, quando chiese se ci fosse qualcuno in quell’Aula estraneo al sistema del finanziamento illecito alla politica? "Basta con l'ipocrisia!" – disse tra l’altro il leader del PSI nel sostenere che tutti i partiti ricorrevano alle tangenti per finanziare l’attività politica, anche quelli "che qui dentro fanno i moralisti". Nessuna voce si alzò quel giorno nell’Aula della Camera per profferire l’estraneità o la sorpresa per essere rimasto all’oscuro del sistema delle tangenti.
Questa volta, però, la pioggia che era nel cielo, tra le nuvole, ha riempito di acqua sporca di fango gli invasi dei territori del Partito Democratico, tra cui gli eredi diretti di quel partito della sinistra, il Pds di Occhetto, trasformatosi fino al PD di Veltroni, che aveva cavalcato tangentopoli e che ne aveva incassato i vantaggi per essersi ritrovato dopo il fallimento del comunismo, invece di scomparire assieme all’ignominia del sostegno ad una ideologia. ed alla sua azione nel mondo che per ferocia si era rivelata paragonabile al nazismo, a competere, invece, per il governo del Paese.
E quanto dirompente e inimmaginabile sarebbero state le manifestazioni di indignazione e le vesti stracciate dinanzi ai simulacri della democrazia e della pubblica moralità se nelle acque fangose e tra i rifiuti attivi si fossero ritrovati i sostenitori di Berlusconi invece che di Veltroni?
Per essere però sciacalli ci vuole, questa volta si, una diversità antropologica!
Il moralismo sentenzioso e la cultura della diversità etica ripetutamente sostenuta, nella circostanza hanno invece lasciato spazio a dichiarazioni inerenti le difficoltà organizzative nell’insediamento di una classe dirigente da rinnovare ed alle difficoltà nel gestire il ricambio con le nuove generazioni.
Tutte chiacchiere di circostanza che poi finiscono solo per confermare la regola che ci fa ritenere che in Italia ci sia qualcosa che non funziona nella trasparenza e nei controlli dei centri delle decisioni a tutti i livelli, dalle realtà periferiche a quelle centrali.
La verità strutturale è che nel PD, molto più che nel Pdl, la politica come professione sia più radicata e difficile da gestire. C’è una casta che si mette di traverso e rende impossibile il ricambio.
La verità politica è che l’Italia è gravata da una burocrazia elefantiaca che occulta e disperde il diritto e che consente al sotterfugio ed all’illegalità di annidarsi.
Non esiste invece la diversità.
Sarebbe ridicolo solo pensarlo: se ci fosse sarebbe preoccupante e bisognerebbe impegnarsi per la ricerca di una vera ragione antropologica. Non è un’idea di società, piuttosto che un’altra, che facilita l’uso improprio ed illegittimo di un potere acquisito attraverso un incarico elettivo. E non esiste neanche il problema del sistema di aggiornamento, controllo e gestione della forma partito, perché spesso è più l’occasione che fa l’uomo ladro.
Il rimedio sarebbe solo quello di intervenire nel ridurre al minimo le occasioni. Intervenire, ad esempio, attraverso un programma rivoluzionario di riforme. Servono interventi nella pubblica amministrazione per lo snellimento dell’apparato burocratico, servono una serie di riforme tra cui quelle sul federalismo fiscale e sulla modifica di alcune norme inserite nella seconda parte della Costituzione per ridisegnare l’Ordinamento della Repubblica, anche alla luce dei tanti conflitti tra i poteri esercitati dagli ordinamenti dello Stato.
Un Paese è come un grande edificio che ha bisogno periodicamente di restauri e lavori di consolidamento. Per l’edificio Italia c’è una lobby conservatrice a sinistra che blocca tutto e non consente restauri e lavori di consolidamento, se non l’opera di imbianchini di turno che passano la vernice solo per nascondere le crepe, le infiltrazioni e lo sporco, lasciando sempre tutto com’è.
Vito Schepisi su l'Occidentale

16 dicembre 2008

Dopo Sky, quando l'equiparazione del regime fiscale anche per le Cooperative?



Non è servita l’indagine della Procura di Palermo del 2000 sugli intrecci di affari tra cooperative rosse e mafia per focalizzare l’attenzione intorno al mondo delle cooperative. Eppure non ci sembra possibile sottovalutare una presenza produttiva e commerciale tra le più grosse d’Italia, soprattutto alla luce dei ripetuti episodi di ingerenze sospette e di attività ben più larghe e lucrose di quanto fossero previste dal legislatore nelle finalità di una forma societaria senza fini di lucro.
La moralizzazione del Paese deve passare anche attraverso il monitoraggio dei giusti principi che giustificano misure di agevolazioni fiscali. Dopo che per Sky, si rivedano pertanto le aliquote anche per quelle associazioni non più impegnate solo a produrre e commercializzare, in cooperazione, beni e servizi di utilità sociale. Ben ci stanno le economie sulle spese, bene anche le iniziative sul piano dell’associazionismo e dell’occupazione, ma le agevolazioni fiscali, se non per forme di comprovato interesse sociale, non sono affatto giustificabili.
Non lo sono per almeno due motivi: sottraggono all’erario risorse da poter invece destinare ad interventi ritenuti più utili; sviluppano concorrenza sleale a quelle imprese che, pagando per intero le imposte, si trovano a dover fare i conti con margini più ridotti, con evidente pregiudizio ai principi della concorrenza e del libero mercato. L’impresa privata viene così a doversi difendere da una preoccupazione in più. In competizione con un soggetto economico privilegiato, infatti, il rischio impresa è più incalzante ed il pericolo di soccombere diviene reale. Nei periodi di recessione economica, come l’attuale, cresce anche il timore della perdita dei posti di lavoro, con il danno aggiuntivo alla collettività delle spese per gli ammortizzatori sociali.
Sarebbe persino troppo facile osservare che non sia giusto che, per far comprare una banca o una compagnia di assicurazione a qualcuno, si finisca col disperdere i requisiti della funzione sociale che lo Stato ha il dovere di assegnare alle agevolazioni fiscali. Non devono trasformarsi in un favore a qualcuno, o ad una parte del Paese, ma devono essere, senza ombre, misure da prendere nella loro funzione indifferibile di utilità sociale. In caso contrario, sarebbero un privilegio amorale.
Facendo come Travaglio (chiedo scusa ai lettori più seri - ndr), abile a riportare i virgolettati delle Procure, è al Tribunale della Libertà di Palermo, nell’ottobre del 2000, che si deve l’espressione “Le cooperative rosse hanno stipulato accordi con i più alti vertici dell'associazione mafiosa per la gestione degli appalti pubblici”. Pur con tutte le cautele, perché non si può usare la magistratura a giorni alterni, ma è sotto gli occhi di tutti il vasto raggio di interessi del sistema cooperativo. Non possono, inoltre, sfuggire gli intrecci col mondo della politica e degli affari, L’esondazione dell’intervento cooperativo nel mondo dell’impresa ordinaria sviluppa una concorrenza che di per se deve essere considerata sleale.
Sempre seguendo le indagini della magistratura, il PM Carlo Nordio, negli anni ‘90, aveva scoperto l’esistenza di un consistente patrimonio immobiliare, del valore di un migliaio di miliardi di lire, intestato a diversi prestanome, ma riconducibile direttamente al vecchio Pci, nel frattempo diventato Pds. Nel settembre del 1993 la procura di Milano in una perquisizione della sede del Pds, in Via delle Botteghe Oscure, trovava un’intera stanza piena di fascicoli relativi alla proprietà degli immobili. Non fu effettuato l’immediato sequestro, come avviene per prassi, ed i giorni successivi tutti i fascicoli scomparvero. E nessuno chiese conto a nessuno!(?) Il Sostituto Procuratore della Repubblica, Nordio, sempre negli anni ’90, aveva ricostruito alcune trame dei flussi di denaro che passavano dalle cooperative al partito post comunista. Non solo Nordio, ma anche altri magistrati nelle regioni rosse hanno seguito alcune vicende in cui si è sviluppato un interesse reciproco, fatto di scambi di uomini e voti, tra le cooperative ed i partiti della sinistra. Un conflitto di interessi che ancora permane ed agisce, come si è visto nella passata legislatura con le “lenzuolate” di Bersani, già presidente negli anni ‘90 della Regione Emilia e Romagna, sede storica del sistema cooperativo in Italia, mirate a favorire interessi ed opportunità per le associazioni cooperative.
Dopo Sky, allora, cosa si aspetta ad unificare il regime fiscale di quelle società cooperative strutturate come aziende produttive e/o industriali?
Vito Schepisi

12 dicembre 2008

Il dialogo con la Sinistra in Italia

Non c’è dubbio che se c’è chi si aspetta una mano da questa opposizione per le riforme, ed in particolare per quelle che per anni hanno visto contrapporsi con durezza maggioranza ed opposizione, questi viva fuori dal mondo.
Piacerebbe a molti, ad esempio sulla giustizia, osservare che la sinistra, dopo aver affermato per anni che i provvedimenti chiesti da Berlusconi fossero voluti per crearsi leggi “ad personam”, possa poi condividere con la maggioranza la separazione delle carriere dei magistrati o possa accettare di regolamentare l’ipocrisia della obbligatorietà della azione penale, o riformare l’Oracolo di Delphi costituito dal Consiglio Superiore della Magistratura.
A sinistra c’è un’abitudine oramai collaudata che rende lecita e virtuosa ogni loro proposta e densa di opacità ogni iniziativa presa da altri. Sembra che la stessa spocchia della spacciata superiorità antropologica per le scelte di linearità morale, di supremazia culturale e di spessore umanitario, sia alla base di una diversità metodologica che li guida verso scelte politicamente corrette.
Le scorie classiste della sinistra post comunista suggeriscono, per i provvedimenti da adottare, risvolti di presunta finalità sociale. Anche le leggi, secondo certa teoria, non servono a regolare i doveri di tutti, per poter garantire i diritti di ciascuno, ma diventano strumenti di un’ipotetica regola sociale che sostiene più doveri da una parte e più diritti dall’altra.
Peccato che quando la sinistra sia al potere le realtà si mostrano ben più complesse e le azioni si riducono a provvedimenti vessatori per i cittadini e di privilegio, invece, per caste e corporazioni!
A sinistra chi non è allineato è un nemico sociale. Chi è di destra è per definizione un cretino con l’unica alternativa d’essere invece un criminale.
Ma a volte è necessario lasciarli gingillare nelle loro contraddizioni. Sono come coloro che non ci arrivano con il cervello, e che si buttano avanti a testa bassa, ed a furia di sbattere contro gli ostacoli prima o poi capiscono che bisogna usare anche il cervello. Se la sinistra è ancora immatura, sorda alle regole della democrazia, supponente, offensiva, vendicativa e incosciente, non bisogna dargli corda. Fornendo una giustificazione per questi atteggiamenti, la sinistra non maturerà mai.
E’ sbagliato, pertanto, sostenere, come fa Berlusconi, che con questa sinistra non ci sia possibilità di dialogo. Se ne comprendono le ragioni, ma è sbagliato perché si fornisce un alibi per la loro opposizione pregiudiziale. Veltroni e compagni devono invece rispondere al Paese, giorno per giorno, della loro intollerante animosità e devono, giorno per giorno, far sapere agli italiani quali siano le loro proposte. Non bisogna dar loro l’alibi di non averne. I no si devono spiegare. E neanche l’abilità di creare il caos e di sollevare le piazze militanti, alla lunga, può prevalere.
Ieri Berlusconi ha parlato di modifiche alla Costituzione, per la giustizia, anche senza il concorso dell’opposizione, e subito si è levata a sinistra un coro tra l’ironia e la sfida epocale. C’è chi ha ribadito che la Costituzione sia intoccabile e chi ha sostenuto che non sia questo il momento a causa della recessione in atto. Sono tutte fregnacce perché tra Camera e Senato ci sono oltre mille parlamentari che lavorando alle modifiche non inciderebbero in nessun modo sulle questioni economiche e sulla crisi recessiva. Uscire dal guado della ingovernabilità della Giustizia potrebbe invece giovare all’economia del Paese. Nel mezzogiorno, in particolare l’impresa per investire ha bisogno di fiducia, chiede il rispetto e la certezza delle leggi per sentirsi garantita dalle organizzazioni mafiose che strozzano i margini della convenienza economica.
E’ stato un errore di Berlusconi sostenere che con questa sinistra non si siederà mai intorno ad un tavolo perché è proprio ciò che la sinistra non è disposta a fare. Non ha nessuna voglia di sedersi intorno al tavolo con Berlusconi e non ha nessuna voglia di sostenere una riforma seria della Giustizia, ma vuole invece far da sponda ancora una volta alla magistratura per due chiari obiettivi: utilizzarla sempre contro Berlusconi e recuperarne la vecchia benevolenza.
A Veltroni, stretta la mano a D’Alema, senza un orientamento riformista, ora conviene solo inseguire Di Pietro che di dialogo e di riforma della giustizia non ne vuol sentir affatto parlare.
Berlusconi avrebbe, invece, dovuto dire che il tavolo del confronto è aperto e che si discuta senza perdersi in chiacchiere, e porre un termine per evitare di lasciarsi imbrigliare dai fannulloni politici.
Vito Schepisi

10 dicembre 2008

La Dichiarazione Universale dei Diritti Umani

Oggi 10 dicembre 2008, compie 60 anni la Dichiarazione Universale dei Diritti Umani.

E’ la Carta fondamentale dei principi umani e liberali che, con la fine della guerra e la caduta del nazifascismo, con il crollo dell’infamia delle teorie sulla razza ed ispirata proprio da quelle tragiche esperienze appena trascorse, raccoglie la volontà dei popoli liberi di sancire regole umane universali.
E’ la Carta che sancisce i diritti inalienabili dell’individuo e dei popoli ed i doveri dei paesi della Terra.
Sessanta anni di lotte ed incertezze che hanno visto cadere una dietro l’altra la barbarie dei rigurgiti autoritari e delle ideologie massificanti e illiberali. Ma anche 60 anni che lasciano intatta l’attualità della Dichiarazione, per la presenza di uomini e regimi che ancora mortificano il diritto alla libertà dell’uomo, ne calpestano la dignità, discriminano sulle scelte, alienano le coscienze.
Ogni parola ed ogni principio racchiuso nell’articolato della Dichiarazione andrebbe letto con attenzione perché richiama l’umanità e la responsabilità di tutti e stabilisce un preciso indirizzo di metodo e di merito.
Mi piace, però, ricordare una motivazione, tra quelle riportate nella premessa, che ha la dimensione di un monumento da classificare tra i patrimoni dell’umanità e che andrebbe scolpito nella coscienza di ogni essere umano:
“… il disconoscimento e il disprezzo dei diritti umani hanno portato ad atti di barbarie che offendono la coscienza dell'umanità, e che l'avvento di un mondo in cui gli esseri umani godano della libertà di parola e di credo e della libertà dal timore e dal bisogno è stato proclamato come la più alta aspirazione dell’uomo”.
Nessuna altra parola e nessuna immagine può racchiudere nella sua sintesi più stringente il messaggio di valori umani che questa premessa racchiude.

Perché siano proprio questi valori, e non il pregiudizio e l’intolleranza, anche nel nostro Paese, a raccoglierci tutti intorno ai principi sanciti di uguaglianza e libertà, nel sentimento ideale della pacificazione e del buonsenso.
Vito Schepisi

08 dicembre 2008

La questione morale a sinistra

Non c’è voglia di giustizialismo quando si parla della presenza di una questione morale. Non c’è voglia di sostenere pagliuzze o travi che siano negli occhi dei personaggi della politica. Queste cose le sostengano Franceschini o la Finocchiaro, affetti da smania di giustificazionismo e presuntuosi possessori del giusto metro per il giudizio sugli altri. Si vorrebbe invece una seria riforma della giustizia che riporti fiducia nell’azione della magistratura e che la sottragga, finalmente, al condizionamento della politica: perché non ci siano né blindature giudiziarie per alcuni, né un colpevolismo inossidabile per altri.
Sin dai tempi di Enrico Berlinguer, aver sostenuto la diversità sulla questione morale della sinistra è stato un falso storico ed un espediente propagandistico. Ed è stato così anche con tangentopoli, quando la sinistra ha beneficiato della benevolenza della magistratura. D’Alema, lo scorso anno, per nascondere la crisi propositiva e morale della sinistra, sosteneva la presenza di una crisi della politica, mentre c’era invece un Paese che giudicava severamente l’Unione che, oltre a non essere affatto diversa sulla questione morale, si mostrava arrogante, incoerente e persino incapace.
Il garantismo dovrebbe prevalere sempre e comunque, soprattutto se esista qualche ragionevole dubbio che le leggi siano state utilizzate per finalità diverse da quelle di rendere giustizia. Il ragionevole dubbio, soprattutto dinanzi a indubitabili posizione ideologiche, lo si dovrebbe ritenere sufficiente a richiedere la presunzione di innocenza dell’imputato. Ci sono stati troppi orribili errori giudiziari, e tante azioni devastanti della magistratura requirente, da poter ritenere infallibile l’esito delle vicende giudiziarie. C’è una gestione della Giustizia in Italia che lede in maniera inaccettabile l’immagine della valenza positiva del diritto.
Siano lasciate a Di Pietro ed ai suoi emuli e sostenitori l’intolleranza e la presunzione di infallibilità della magistratura. E’deplorevole la ferocia del sentimento forcaiolo che mortifica il valore dell’umanità. C’è da battersi per la salvaguardia della dignità dell’uomo, sempre e comunque, e contrastare, per scelta di civiltà, l’utilizzo dei metodi inquisitori assimilabili alle pratiche di tortura medioevali. La cultura dell’uso della cattività come strumento di pressione psicologica, ancora cara alla formazione di alcuni, è orribile e squallida. L’Italia civile deve avere, invece, la dignità morale di ricordare con orrore la sorte di coloro che, umiliati come uomini, si sono tolti la vita, e meditare altresì sull’affronto alla dignità umana di chi chiamato in causa, con superficialità e forse malanimo, dopo aver subito la tortura mediatica e l’alterazione della vita privata, è risultato innocente.
E’ esecrabile usare i toni della ferocia giudiziaria per istigare, per meri fini politici, la sommarietà di giudizio del popolo: una forma di viltà che è forse il reato morale più grave per un uomo, benché non ci sia legge penale che in tempo di pace ed in ambito civile ne sancisca una pena.
Non si vuole far moralismo, e non si vuole stabilire la contabilità dell’abuso e dell’illecito di uno schieramento o dell’altro, interessa, invece, il fenomeno per stabilire, per giustizia, che non ci sia una diversa forma partito per contenere i comportamenti degli uomini. Non esiste una questione morale che interessi la sinistra o la destra per definizione, ma esiste un sistema insostituibile, quello democratico e pluralista, che per funzionare bene avrebbe bisogno di regolamentare un modo diverso di agire, fatto di trasparenza concreta, di controlli e ricambi.
La politica non è un mestiere. L’affermazione non deve apparire come la solita retorica antipolitica. Anche l’antipolitica, infatti, è diventata un mestiere. Non è neanche una questione di generazioni o di genere, benché le donne abbiano spesso mostrato un senso pratico dimostratosi più trasparente ed efficace. Non è vero che tra i giovani e gli anziani esista una diversa tensione morale. Bando perciò ai luoghi comuni. L’onestà e la buona amministrazione trovano ostacoli nella smania del potere, nella rincorsa agli agi personali e nella ricerca del consenso elettorale. Più che le generazioni, prevalgono le occasioni. Ed è su queste che occorre intervenire. C’è anche tanta ipocrisia in coloro che sostengono, ad esempio, che la cura sia il ripristino delle preferenze elettorali. Sono solo fantocci polemici di chi non vuole risolvere niente. Le preferenze sono state in passato, e sarebbero ancora in futuro, fonte di maggiore corruzione e stimolo al rafforzamento del clientelismo politico. Sarebbe persino opportuno abolirle anche a livello amministrativo locale.
Vito Schepisi

05 dicembre 2008

Veltroni e le chiacchiere

Come nei giorni precedenti alla data del 25 ottobre scorso, quella fissata per la manifestazione del PD al Circo Massimo di Roma, quando tra interviste e dichiarazioni sembrava che dovesse conquistare almeno la Florida da assegnare al suo “alter ego” Obama, anche in questo periodo, in previsione della riunione della direzione PD del prossimo 19 dicembre, Veltroni fa autotraining.
“Adesso basta con le confessioni anonime – afferma Veltroni in un’intervista a Repubblica - basta con i retroscena, basta con i veleni". Si carica, s’impone ottimismo, mostra i muscoli, si vuole convincere che sia un vincente, che può farcela, che si può fare. E dichiara d’esser disposto al più banale e ritrito dei modi di dire, mutuato dall’ipocrisia dei tanti manager e dei parolai che vogliono far breccia: Veltroni è pronto a “mettersi in gioco se questa si rivelerà la soluzione più condivisa”.
Nell’intervista rilasciata a Repubblica si attribuisce grandi successi politici, fra questi, naturalmente, anche la vittoria di Obama negli USA, oltre che il successo nel lancio della tv satellitare Youdem, rete televisiva del PD, naturalmente, con assonanza “americana”. Si loda per il successo della manifestazione di Roma e per la conferma del candidato in Trentino, spacciata per conquista elettorale ( è stato rieletto l’uscente, ma con calo dei consensi - ndr).
Omette, però, al contrario di Prodi e D’Alema, di citare tra i suoi successi la rimozione della spazzatura di Napoli, dimostrandosi persino più modesto dei suoi due compagni della sinistra. Non ha parlato neanche delle amministrative di Roma, dove era sindaco uscente, perse in malo modo dal centrosinistra e dal suo predecessore Rutelli. “A Veltrò….te possano” è stato il commento più sereno di un uomo di sinistra romano che mi è capitato di ascoltare e che aveva votato Rutelli, ma solo per “fede a sinistra” come ci ha tenuto a precisare.
Il leader del PD nell’intervista non ha fatto, naturalmente, cenno alla scivolata sulla questione Sky ed ha svicolato sui focolai di difficoltà nelle situazioni locali in cui il PD è presente a livello di gestione amministrativa. Realtà locali che interessano l’Italia in modo trasversale dal sud al nord e viceversa, investite da vicende diverse che vanno da quelle giudiziarie emerse ed emergenti, a quelle di crisi per questioni di lotta nella gestione del potere locale, con ampi dissidi interni al PD, ed anche alle tensioni nei rapporti con le altre formazioni politiche della sinistra.
Sembra che sia come se, dinanzi ad un incendio dirompente che sta distruggendo la casa, ci si compiaccia d’aver salvato l’album delle foto di famiglia. Va bene che è un’importante testimonianza dei tempi della vita, ma diviene difficile compiacersi dinanzi alla distruzione di tutto il resto.
Veltroni, però, è fatto così! Per recuperare risorse, può sempre scrivere un libro, magari questa volta, invece dell’alba, sarebbe bene che scoprisse il tramonto, e ricomprarsela la casa, come per quella per la figlia che studia cinema, non nelle università italiane (quelle sono per il popolo e per l’onda anti-Gelmini - ndr), ma tra i grattacieli di Mahanattan dove vivono i vip di New York.
Arturo Parisi del 2008 del PD ha un’idea differente. Commentando l’intervista di Veltroni a Repubblica, infatti, osserva: “quest'anno io me lo ricordo completamente diverso, ma soprattutto non riesco a dimenticare il disastro delle politiche e la sconfitta di Roma, dove lui era il sindaco uscente. Evidentemente dobbiamo ripassarci il calendario insieme”. Bene! Fatelo!
Leggendo l’intervista del leader del PD si scopre che “Berlusconi è impegnato in un attacco contro di noi che non ha precedenti”. I toni sono apocalittici, ma gli italiani hanno avuto l’impressione che sia accaduto l’esatto contrario e che sia stato invece Veltroni, con Di Pietro, per il gusto di mettere in difficoltà Berlusconi, ad agire cinicamente persino contro il Paese.
C’è uno sciopero generale il 12 dicembre prossimo, indetto dalla Cgil da sola, di cui Veltroni non parla, e che è uno sciopero contro l’Italia. Il leader del PD dovrebbe sapere che la recessione non è altro che la flessione del Prodotto Interno Lordo, e sapere anche che uno sciopero generale incide proprio sul PIL. Tutto il resto “so’ chiacchiere”.
Vito Schepisi

04 dicembre 2008

Dichiarazioni destabilizzanti di un magistrato

Ci sarebbe da non crederci. Un PM di Milano rivolge apprezzamenti pesanti contro il Premier in carica, ed il suo predecessore Prodi, per aver posto il segreto di stato su questioni di interesse nazionale che si intrecciavano con le indagine sul rapimento, da parte di agenti dell’intelligence statunitense, dell’egiziano Abu Omar, Imam di Milano, indagato per terrorismo.
“Gli ultimi due presidenti del Consiglio hanno utilizzato in modo strumentale il segreto di Stato per impedire all'autorità giudiziaria l'accertamento della verità" è quanto ha sostenuto il PM Armando Spataro. La dichiarazione è grave per la forma ed anche per il luogo in cui è stata formulata. E’ avvenuta, infatti, nell’aula del tribunale, durante l’udienza fissata per decidere sull’istanza, presentata dai difensori di un agente dei servizi, di annullamento delle testimonianze sottoposte al segreto, di rinvio del processo a data successiva a quella in cui la Corte Costituzionale deciderà sul conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato, a suo tempo sollevato da Prodi, ed in subordine di proscioglimento dell’imputato. Il Giudice ha poi deciso di sospendere il processo fino al 18 marzo prossimo, in attesa della pronuncia della Consulta sul conflitto di attribuzione ravvisato.
Per il PM Spataro, sia Prodi che Berlusconi avrebbero fatto “un uso del segreto di Stato che ostacola la giustizia e l'accertamento della verità”, trasformando il conflitto giuridico citato, in gravi accuse sull’esercizio delle funzioni di Capo del Governo. Viene da chiedersi se le garanzie, sempre sbandierate dai magistrati, in difesa della loro dignità e della loro funzione giurisdizionale, trovino, anche per questo caso, nel Consiglio Superiore della Magistratura, l’attenzione richiesta per riportare alla cautela ed al rispetto per le istituzioni e per le funzioni dello Stato gli atti e le parole dei magistrati. Gli atti pubblici assumono valenza di liceità e devono, pertanto, essere valutati per responsabilità e per prudenza, e ricondotti al rispetto del sistema della democrazia.
Si ha l’impressione, invece, d’essere dinanzi ad un uso improprio della funzione requirente. La giustizia in democrazia regola di norma i comportamenti pubblici e privati, per ricondurli ai principi sanciti dai codici che stabiliscono gli equilibri tra i diritti ed i doveri di tutti.
La funzione giurisdizionale contiene, però, dei limiti che attengono alla sicurezza dello Stato ed alla conseguente tutela del cittadino. Sono limiti posti per scoraggiare l’uso improprio della legge: perché questa, in sostanza, non finisca per tutelare coloro che minano la sicurezza nazionale, limitando così di fatto la difesa di inermi cittadini dinanzi al pericolo del terrorismo. Per il diritto alla sicurezza lo Stato ha il dovere di prevenire le azioni di coloro che col terrore vogliano minare la fiducia nelle istituzioni e destabilizzare il Paese. Per queste funzioni, delicate e particolari, ma fondamentali e necessarie, agiscono i servizi segreti cautelati per l’appunto dal segreto di stato.
Le attività dei servizi sono in relazione a circostanze in cui i rapporti con uomini e paesi non vengono affrontati né in via riservata, tra le diplomazie, e né in rapporti diretti tra i governi dei paesi interessati. Attengono soprattutto alla creazione di una rete informativa sulle questioni di sicurezza nazionale, utili a prevenire attentati, trame ed atti contro uomini e beni nel nostro Paese.
La segretezza viene resa necessaria dall’interesse nazionale e non dal capriccio o dall’interesse personale di alcuni. Anche i limiti della legalità eventualmente violata nel merito è direttamente proporzionale alla pericolosità dei soggetti coinvolti ed alle circostanze ravvisate.
Il controllo delle finalità dei servizi è lasciato di norma alla responsabilità degli uomini indicati dai governi ed ad un Comitato di controllo che per prassi è presieduto da un rappresentante dell’opposizione per garantire l’uso democratico e non politico degli interventi.
Le notizie di cronaca sulle intercettazioni a Milano di fanatici fondamentalisti che progettavano attentati appartiene, ad esempio, ad un’azione di prevenzione quantomai necessaria e tempestiva. Sarebbe, invece, un bel danno se in nome del protagonismo giudiziario, ora di questo, ora di quel magistrato, venisse meno la fiducia nell’azione informativa e preventiva della nostra “intelligence”.
Vito Schepisi su l' Occidentale

01 dicembre 2008

C'è grande confusione nel PD

Chi ci capisce qualcosa è bravo. Il PD mostra così tanta intransigenza verso la maggioranza e così tanta confusione al suo interno. Oramai è in corso una lotta senza esclusione di colpi: è un tutto contro tutti, quasi un si salvi chi può.
Sono in tanti a commettere errori, ma è normale che coloro che s’accorgono d’aver sbagliato corrano ai ripari. Il Pd invece persiste nei suoi errori ed il suo diviene un perseverare diabolico.
Quando è sorto, tra i fasti di un Lingotto faraonicamente addobbato per l’occasione, si sostenne che il PD dovesse avere un obiettivo più o meno preciso: capovolgere l’idea nel Paese di una sinistra post comunista per farne emergere una moderata e riformista.
Dopo il discorso del Lingotto, in cui si prefigurarono cambiamenti immediati, con un governo amico a Palazzo Chigi a cui si ponevano istanze nuove per il Paese, sulle scelte, sulle riforme, c’era chi aveva già cominciato a nutrire speranze. Nel discorso di Veltroni si delinearono persino scenari diversi, ed anche l’impegno per scelte omogenee nelle alleanze della sinistra. Aleggiò persino la volontà di rivedere la spinta imposta dalla sinistra radicale al Governo Prodi sui modelli di sviluppo, per non perdere gli appuntamenti importanti con l’esigenza di crescita e con la necessità di offrire soluzioni non demagogiche alle aspirazioni dei giovani, al precariato, all’impresa.
Cosa è rimasto ora di quel PD che aveva diffuso speranze persino a chi non votava a sinistra? Dove sono gli auspici nutriti di poter finalmente intraprendere un percorso politico comune con la sinistra, soprattutto per le grandi scelte attinenti i diritti, i valori, la struttura dello Stato e dei suoi Organi, la disciplina dei suoi servizi?
In molti avevano effettivamente pensato che fosse arrivato il tempo in cui potesse prevalere il metodo del confronto. Anche i mutevoli scenari politici ed economici nei rapporti internazionali richiedevano, con urgenza, che anche l’Italia recuperasse la sua capacità di procedere per scelte rapide e precise. Sembrava volesse nascere la cultura delle scelte da adottare, in parte con la condivisione, laddove possibile, ed in altra per opzioni prevalenti con il metodo della democrazia.
Perse le elezioni, tutto è invece cambiato nel PD. L’unica strada che poteva percorrere per tener fede al suo impegno questo partito l’ha abbandonata da tempo. Sarebbe stato sufficiente solo tener fede alle promesse elettorali costruendo un’opposizione integra sui principi, forte nella proposta e pragmatica nelle risposte al Paese. Ed invece è stato l’esatto contrario. L’opposizione è apparsa dispersa nei principi, finendo persino per ignorare le sue origini popolari, per proporsi invece elitaria; si è rivelata inesistente nella proposta e capziosa e cavillosa sulle risposte al Paese.
Si è appena concluso a Madrid il congresso del Partito Socialista Europeo a cui il PD non appartiene. A questo gruppo resta invece associato il partito dei DS. Hanno, così, dovuto richiamare Fassino dall’Africa, più magro che mai poverino, ultimo segretario dei DS, formazione estinta, per fargli rappresentare nel PSE una parte del PD, gli ex DS. Una confusione pazzesca. L’emaciato Fassino si è fatto accompagnare da Veltroni per essere aiutato a spiegare ai socialisti europei che così si può fare. L’intervento del leader PD, non dissimile dai suoi soliti, pieni di enfasi e senza sostanza, ha aperto alla famiglia allargata “più larga sarà e meglio sarà per tutti noi”. Poveri noi! Veltroni si è confermato così d’ essere tutto ed il suo perfetto contrario!
Il segretario del PD ha preso la parola da ospite, senza poter firmare il documento con cui il PSE si presenterà alle prossime elezioni europee per non essere sconfessato dal suo partito. Ma su quali basi comuni è stato fondato questo partito democratico se i componenti non hanno un’ispirazione comune a cui far riferimento? Quali impegni potrà prendere con gli elettori?
Quando ci sono di mezzo gli ex comunisti niente è chiaro fino in fondo. Una volta, ad esempio, c’erano gli indipendenti di sinistra che erano eletti nel pci senza essere iscritti al partito e, per disciplina di partito(?), votavano compatti nella stessa maniera dei loro compagni comunisti.
Ci sarebbe da chiedersi per cosa si uniscono se non hanno le idee chiare tra di loro? Fanno come quelle coppie che arrivano al matrimonio avendo già legami diversi: il loro diventa un matrimonio di interesse, ma le contraddizioni sono destinate prima o poi ad emergere.
Come si pensa accadrà nel PD.
Vito Schepisi