24 marzo 2012

Monti è scaduto


Ho seri dubbi che il disegno di legge di riforma del mercato del lavoro uscirà dal Parlamento. E, se così sarà, ho i miei dubbi che la legge sarà migliorativa, rispetto alla rigidità attuale.
In Parlamento accadrà di tutto ... imboscate, ricatti, veti, trasformazioni, guerriglia ... mentre il Paese si infiammerà con la regia sovversiva dei sindacati e dei gruppi di odio sociale.
Questa è una finzione di cui Monti e Napolitano, il gatto e la volpe della finzione politico-economica italiana, dovranno dar conto.
Il mancato decreto è un attentato al Paese, blocca le aspettative di flessibilità, così è contro gli interessi dei giovani che aspettano che si apra il mercato del lavoro.
Servono, invece, tempi brevi per uscire dalla crisi, servono decisioni rapide e non la sensazione di confusione e di caccia alle streghe.
Sarebbe, persino, stato meglio lasciare tutto così com'era! 

Meglio far finta di niente e lasciare le cose come già stanno. Cioè male, che é sempre meglio del peggio!
Il nuovo corso di Monti si è già esaurito?
Con la crescita della tensione alimentata dallo scontro parlamentare, l'Italia perderà ancor più competitività, ancor più investimenti. Il Pil si contrarrà ulteriormente e si allargherà la disoccupazione.
Tutto per un buon gioco di Vendola e Di Pietro, grandi arruffapopolo e sobillatori.
Se il fine che si prefigge il Presidente Napolitano (la volpe) è quello di cautelare il PD ed un oramai decotto Bersani, sta sbagliando i suoi conti.
Bersani è già fuori gioco, non conta niente, non ha coraggio. 
E' un perdente! 
Fuor che dire "Berlusconi si deve dimettere" non sa far altro!
Il PD è un partito oramai senza identità che, tra pesce, mitili e gestione politica del territorio, si sta trasformando in un comitato di affari.
Ma è salutare per l'Italia arrivare a elezioni politiche in un clima da guerra civile, per una parte dell’art. 18, come quella dei licenziamenti per motivi economici, unicità demenziale rispetto a tutto il mondo?
Vito Schepisi

20 marzo 2012

La debolezza di Emiliano

Non è facile parlare di Bari, del Sindaco Emiliano, della sua amministrazione, del PD, senza farsi trascinare nella consueta retorica del rapporto tra etica e politica.
Quella morale non è questione di automatismi politici, non è antropologica, non è neanche una questione di uomini. E’ un fatto di regole, di educazione e di sistemi.
Non serve pensare che la soluzione sia, ad esempio, l’antipolitica o ancor peggio la magistratura rafforzata nei suoi poteri d’indagine e, soprattutto, nell’uso degli strumenti più invasivi di controllo delle relazioni personali tra gli individui.
I fatti di Bari possono essere sintomatici di regole e di sistemi da cambiare. Sui fatti del Capoluogo pugliese, se c’è una cosa che salta subito all’occhio, è la mancanza della trasparenza sugli atti amministrativi, ma anche qualche aspetto etico più evidente, come una lista, ad esempio, alle ultime amministrative, della famiglia De Gennaro a sostegno del Sindaco. Che ci faceva una lista dele genere a sostegno di Emiliano? Quale valore aggiunto di elaborazione politica e amministrativa aveva? Il Sindaco se l’è mai posta questa domanda?
Un altro sintomo di malessere, ancora, attiene alle regole da cambiare. Non è normale, anzi è inquietante, che un magistrato si presenti candidato sindaco nella stessa Città in cui ha esercitato la sua funzione d’inquirente e che si trovi, non per caso, ad essere controllato dagli stessi magistrati che gli erano colleghi, tra cui alcuni imparentati con altri magistrati che hanno abbandonato la toga per un seggio in Parlamento nello stesso partito del Sindaco.
Questa non è trasparenza: è confusione e non solo dei ruoli. Lo è ancor più quando, ancora, si pensi che l’ex magistrato in questione è personaggio a cui non piace dar conto a nessuno.
Dopo ciò che è uscito in questi giorni su tutti i quotidiani italiani, ripercorrere i fatti, rifuggendo le storie più pittoresche delle “cozze pelose” e degli “spigoloni”, può sembrare prendere sul serio, come fenomeno politico, ciò che di politico invece ha molto poco.
Questa è storia di uomini e di carriere. E’ storia di ambizioni e di arroganza. Solo pochi giorni prima era scoppiata la questione del Petruzzelli, lo storico Teatro barese portato sull’orlo del fallimento, usato dagli uomini per le pratiche elettorali, anziché dalla Storia della Città per perpetuare un simbolo di cultura e di arte.
E’ sbagliato pensare che il cesto natalizio donato ad Emiliano possa essere assunto come una credibile contropartita al metodo delle clientele e dei comitati di affari che condizionano di frequente la gestione delle amministrazioni delle Città, delle Province, delle Regioni e dell’intero Paese. Non è la partita di pesce, per quanto di ottima qualità, una merce di scambio che può giustificare un modo di gestire gli appalti in Città: non si può pensare che possa essere stata la contropartita alle furbizie rilevate dalla magistratura a danno della Pubblica Amministrazione.
Nelle carte dell’inchiesta della Procura si fa cenno a un «sistema di collusioni tra dirigenti apicali dell’amministrazione del Comune di Bari e il Gruppo imprenditoriale dei De Gennaro (Dec)» e a situazioni di «mercimonio della funzione pubblica all’interno degli uffici strategici per le opere pubbliche dell’amministrazione cittadina».
Come si può pensare ora che il Sindaco Emiliano che si è preoccupato degli operatori ecologici che battevano la fiacca, non si fosse invece mai occupato di una famiglia di palazzinari che agiva a suo piacimento nel Comune di Bari?
La contropartita non erano i frutti di mare e gli astici, come non era nessun altro bene materiale. La contropartita per Emiliano era ed è sempre stato il potere. Lo stesso visto ed esercitato col metodo Petruzzelli. E’ la gestione del potere che il Sindaco si prefigurava di poter esercitare confidando anche nel sostegno politico ed elettorale di un’impresa potente, operante nel suo stesso partito, la stessa impresa che al momento opportuno si trasformava essa stessa in partito, come nelle ultime amministrative nel 2009, con una propria lista al Comune di Bari forte del 3,52% dei voti.
Ed è la sua visione di potere che si andava allargando ad altre conquiste da fare che ha consentito al Sindaco Emiliano di poter non sapere.
Emergere nel PD è diventato più difficile. Le primarie stanno persino complicando le cose. Il PD, di cui Emiliano in Puglia è Presidente regionale, non ha solo le competizioni elettorali in cui i suoi uomini di punta si propongono al corpo elettorale, ma ha anche le primarie per le candidature alle gestioni apicali degli enti locali. E le primarie, come abbiamo visto in più parti d’Italia, compresa la Puglia, sono vere competizioni, tirate fino all’ultimo voto, senza alcun risparmio di munizioni. Sono costose come vere e proprie campagne elettorali e sono molto impegnative dal punto di vista organizzativo. Se non si vincono le primarie non si va avanti. E la politica per i personaggi in carriera è come un cuore: se smette di battere è la fine.
Al caudillo di Bari, dopo questa storia, il cuore politico, però, ha smesso di battere. Che si dimetta o no, Emiliano è già il passato. 
Ha fallito il suo compito. Deve mettersi da parte.
Michele Emiliano, è bene ricordarlo, è entrato in politica sapientemente sospinto da chi ha fatto leva sul suo “ego” smisurato. Non è stato forgiato dalle lotte di partito, ma è un personaggio inventato a tavolino. Affatto stupido e pronto ad imparare in fretta, si è subito guardato intorno perché gli serviva un modello. L’ha scelto e l’ha adottato. Ha scelto quello che per il suo modo d’essere gli sembrava il migliore. Non uno qualsiasi, però, non uno di quelli avvolto dai pensieri, dalle ispirazioni, dai dubbi, o dalle contraddizioni geniali dei politici di razza; non uno di quelli in lotta perenne tra l’essere e l’apparire; non uno di quelli che si consumano nel porsi la consueta domanda se lo si noti di più per la presenza o per l’ assenza. Roba vecchia! Il modello l’ha scelto nel campo avversario, perché nel suo c’erano solo mestieranti. Emiliano ha scelto quello che gli appariva vincente.
L’ha appena confessato in un’intervista a “La Stampa” attribuendogli anche le nuove responsabilità: la colpa del suo essere stato “un fesso”- dice - è dovuto al berlusconismo e al rapporto che l’ex Presidente del Consiglio ha creato tra politica ed impresa.
E’ un vecchio vizio quello di Emiliano di attribuire la colpa agli altri, specialmente se a Berlusconi, ma dovrebbe anche ben sapere che i rapporti tra i De Gennaro e la politica a Bari sono ben antecedenti alla comparsa di Berlusconi in politica.
Se paragoni possono esserci, ne azzardiamo uno più scherzoso, dicendo che tra i due c’è una differenza di scelte e di gusti:
Emiliano si è mostrato debole al pesce, il Cavaliere invece alla carne.
Vito Schepisi

08 marzo 2012

La cattiva gestione del Teatro Petruzzelli

Il sindaco di Bari Michele Emiliano, Presidente, fino al recente commissariamento, del CdA della Fondazione Lirico Sinfonica Teatro Petruzzelli di Bari, ha subito provato a scaricare le sue responsabilità dall’annunciato “fallimento” della sua gestione.
L’impressione è che il Teatro barese sia stato tradito due volte: la prima, con l’incendio e con i tempi lunghissimi della sua ricostruzione, e la seconda, per essere diventato un oggetto da usare.
Se per il primo tradimento c’è stato il connubio tra gestione e malavita locale, per il secondo tradimento le responsabilità sono unicamente del sindaco Emiliano.
Per il primo cittadino di Bari, anche in questa occasione, le ragioni dell’essere hanno prevalso su quelle del bene comune. Non tanto un Teatro e una stagione lirico sinfonica per la Città, ma prevalentemente uno strumento nelle mani del Sindaco-Presidente per apparire.
Ciò che colpisce è il metodo così spavaldo di porre le cose dinanzi al fatto compiuto, confidando di poter poi sempre trovare chi dovrà coprire i costi o i danni arrecati. Un “armiamoci e partite” che sconvolge il buon senso comune, improntato, invece, sulla responsabilità e sulla prudenza.
Con il Sindaco di Bari, questo metodo barricadiero lo stiamo osservando su tutte le questioni amministrative, ad esempio l’abbattimento e l’esproprio di Punta Perotti, o la realizzazione della Cittadella della Giustizia. Per il Teatro Petruzzelli, se il Cda l’avesse consentito, si profilava lo stesso piglio di barra dritta e avanti tutta. Tutto in grande, tutto con un decisionismo arrembante, tanto a pagare saranno sempre i cittadini baresi.
Il Petruzzelli era sempre un bell’oggetto da mostrare per il Sindaco Presidente, già in corsa per altre presidenze. Ora, però, il prestigioso Teatro, per eccesso di megalomania, rischia di veder compromesso il suo ruolo di contenitore in cui far sviluppare la vitalità teatrale e gli impulsi culturali ed artistici della Città.
Un buon amministratore ha sempre la saggezza di partire dalle disponibilità per assicurare all’impresa - in questo caso un servizio artistico e culturale per Bari e la Puglia - ciò che é possibile con le risorse finanziarie su cui può contare. Ma c’è chi fa il percorso all’inverso, spende, s’impegna, s’indebita con le conseguenze che ora sono sotto gli occhi di tutti: la nomina di un commissario, una stagione lirico sinfonica compromessa, i dipendenti in agitazione che occupano il Teatro, i debiti da ripianare.
Seguendo la storia degli ultimi giorni, dinanzi alla presa di distanza del CdA (mancata approvazione del bilancio e mancata nomina del nuovo sovraintendente), a Emiliano non restava che cercare sponde a Roma, col tentativo di promuovere un tavolo con tutte le parti interessate - Comune, Provincia, Regione e lo stesso Ministero dei Beni Culturali - «finalizzato a decidere secondo quale modello potesse essere possibile la gestione dei costi delle masse artistiche alla luce della ormai fisiologica insufficienza dei finanziamenti pubblici messi a disposizione della Fondazione».
La richiesta del Sindaco Emiliano è stata declinata dal Ministro che gli ha opposto la sua incompetenza a far da mediatore tra le diverse parti. E’ stato a questo punto che il Presidente della Fondazione Emiliano si è esibito nel suo colpo di teatro, richiedendo - motu proprio – la nomina di un commissario. Ma il commissariamento era nell’aria. Era un fatto dovuto. Tanto che la lettera di nomina del Ministero, indirizzata al Presidente, ai consiglieri di amministrazione ed ai revisori dei conti ha avuto per oggetto: “Gravi irregolarità di gestione. Apertura di procedimento ex art. 21 del decreto legislativo 29 giugno 1996, n. 367.” Il Cda non aveva approvato il bilancio di previsione del 2012, né nominato il sovrintendente. Non c’erano fondi sufficienti su cui poter contare. Per il 2011 il commissario ha trovato un buco di 8 milioni di Euro. La gestione sin dalla nascita della Fondazione (2009) è stata caratterizzata da improvvisazione e dalla rincorsa nella ricerca di fondi per far fronte agli impegni finanziari contratti.
Il dissesto finanziario della Fondazione, pertanto, riviene esclusivamente da una cattiva gestione, non da difficili situazioni di mercato, come per un’azienda privata. La ragione semplice è che si sono impegnati soldi che non c’erano e che si sapeva che non ci sarebbero stati.
Un'altra alea incombe su questa vicenda. Si vocifera, infatti, di un esposto anonimo alla Procura della Repubblica di qualche mese fa, in cui si denunciava una “parentopoli” articolata tra i dipendenti della Fondazione. Fino ad ora la Procura ha ignorato la questione perché l’esposto era anonimo. Gli sviluppi potranno, invece, far prendere strade diverse.
In questa situazione, come di solito, chi ci va di mezzo sono i lavoratori. Sono in stato di agitazione e presidiano il Teatro, spalleggiati dal sindacato, perché il loro contratto è scaduto dallo scorso 2 marzo. Molti di questi lavoratori rischiano di perdere il posto di lavoro, traditi da chi ha alimentato promesse e aspettative.
Vito Schepisi
su l'Occidentale

Il Ministro Riccardi e la vecchia politica


Il Ministro Riccardi s'è lasciato andare a valutazioni inusitate per un Ministro che è là soprattutto per il sostegno del maggior partito della coalizione. Sembra che riferendosi alla rinuncia di Alfano a partecipare ad un vertice dei partiti a Palazzo Chigi, per discutere (solo) di Rai e giustizia, abbia detto "Alfano mi fa schifo".
C'è invece chi è schifato per i tentativi di rinnovare il metodo delle spartizioni e degli inciuci.
Sulla Rai non c'è niente da discutere tra i partiti.
Se ne stiano fuori!
Per la Giustizia non ci sono accordi che tengano per compiacere chi è in fibrillazione per la responsabilità civile dei magistrati, ad esempio.
Le priorità di questo Governo sono tutte riferite ai provvedimenti sull'economia e sul lavoro: nessun compromesso politico su altro.
Il Governo tecnico nasce per la necessità di dare al Paese una larga maggioranza per portare a termine riforme strutturali in tema di tagli alla spesa e di politiche di sviluppo.
Per la Giustizia le priorità sono quelle di sempre: separazione della carriere tra magistrati inquirenti e giudicanti; responsabilità civile dei magistrati; maggiori garanzie per la difesa (la parte più debole del sistema processuale); la legge anticorruzione; la questione ancora aperta delle intercettazioni.
Su questi temi non sono ammissibili compromessi con i partiti ed il Governo. Questi temi siano affrontati in Parlamento e se ne discuta in quella sede. Ci sono, infatti, già iniziative e proposte di legge su cui confrontarsi alla luce del sole.
Ebbene se al Ministro Riccardi fa schifo Alfano, perchè il segretario del Pdl rifiuta le logiche spartitorie e i "teatrini della politica", ci sono altri a cui fa schifo chi non riesce a capire, e fa il ministro, o addirittura chi si mostri connivente con questi metodi della vecchia politica.
Si parla di trasparenza e poi .... c'è ancora chi si schiera con Bersani e Casini?
Vito Schepisi