27 gennaio 2012

Nell'acqua di Puglia annega l'inganno

Se ci fosse una graduatoria tra gli amministratori pubblici che hanno “narrato” di più, senza poi trasformare le parole in realizzazioni e soluzioni, in testa non potrebbe che esserci il campione del pensiero narrativo della politica italiana. Nessuno, infatti, più di Nichi Vendola da Terlizzi, cittadina dei fiori in Provincia di Bari, meriterebbe la testa della classifica.
Parlando del Governatore pugliese, l’imbarazzo è solo nello stabilire da dove partire. Il leader di Sinistra e Libertà non è un personaggio facile. E’ difficile da capire, con le sue narrazioni che spaziano dai toni poetici, con cui tratteggia la sua immagine della Puglia migliore - quella del bene comune, dell’attenzione all’emarginazione sociale, delle diversità, dell’integrazione - per passare poi ai soliti sistemi della politica, costituiti da promesse non mantenute, dalla pratica delle clientele, dai privilegi, dai lussi, dai disservizi e dagli sprechi.
Vendola è un Giano bifronte. Da un lato è il cantore d’immagini d’intensa armonia cromatica, sebbene appesantito da una prosa ermetica, artefatta, involuta. Dall’altro è l’uomo di governo appesantito, invece, dalla cattiva amministrazione. E’ impresa impossibile separare l’uomo delle plurime battaglie, vinte appellandosi all’impegno etico dei suoi corregionali, da quello del politico che le stesse battaglie le fa perdere ai suoi corregionali, nella mancanza di soluzioni concrete.
Non si può, però, non denunciare il degrado in cui versa la Regione Puglia: con il paesaggio deturpato dall’invasione delle pale eoliche, spettrali, devastanti come orde di barbari; con i pannelli solari che sostituiscono i vigneti, gli uliveti, gli orti e gli alberi da frutta; con i giovani senza lavoro; con le fabbriche chiuse; con l’agricoltura abbandonata.
A simbolo del degrado della Puglia vendoliana c’è poi l’Acquedotto Pugliese, già rifugio per politici trombati e fucina di pratiche clientelari. La rete idrica è piena di buchi, taglia intere comunità dall’erogazione dell’acqua potabile, perde acqua come uno scolapasta, disperdendo quel “bene comune” che i cittadini pugliesi pagano, a metro cubo, quanto la benzina verde.
Vendola è un “green” a tutto campo: si è battuto per difendere l’acqua pubblica come bene di tutti e si vanta di aver portato la Puglia ai primi posti tra le regioni d’Italia per la produzione delle energie alternative. La Puglia, però, è anche tra le regioni in cui le tariffe dell’acqua e dell’Energia elettrica sono tra le più care d’Italia. Tra i più cari d’Italia, gravati da accise regionali, sono anche i costi degli idrocarburi per trazione e per riscaldamento. Anche l’addizionale regionale sull’Irpef è da record. Solo gli extracomunitari, poi, non pagano il ticket sanitario, gli altri, anche con patologie invalidanti, lo pagano tutti.
E se “green” è salute, ammalarsi in Puglia è diventato un dramma per intere famiglie. I pugliesi, però, pagano tutto in silenzio: sono contenti di sentirsi tanto fortunati da avere un Governatore così sensibile!
Ferma nell’acqua, la Puglia è come la Costa Concordia. Ha fatto l’inchino a Vendola, ed ora galleggia, quasi affonda.
Annaspa anche sul costo del “bene comune”. Le tariffe aumentano, sebbene la vittoria del “si” al referendum dello scorso anno, abbia abrogato la norma – valida per tutti, pubblici e privati - che consentiva «al gestore di ottenere profitti garantiti sulla tariffa, caricando sulla bolletta dei cittadini un 7% a remunerazione del capitale investito, senza alcun collegamento a qualsiasi logica di reinvestimento per il miglioramento qualitativo del servizio».
I costi a carico degli utenti pugliesi con Vendola aumentano sempre, e senza che quel 7%, già messo in tariffa dalla Aqp Spa, con la ripubblicazione dell’Ente sia stato scorporato dalla bolletta dell’acqua. La politica e chi governa e governerà la Puglia, però, ora avrà mano libera nel gestire l’ente pubblico Acquedotto Pugliese, tornato per somma di beffe alla gestione dei partiti.
A muovere le acque ci ha pensato, però, il movimento “Acqua Bene Comune”. In una conferenza, a Bari lo scorso 20 gennaio, è stato invitato Riccardo Petrella, già Presidente dell’Aqp dimessosi in polemica con il Governatore. Petrella è un economista impegnato nella ricerca delle “soluzioni alternative alla mondializzazione dell’economia capitalistica di mercato” (bontà sua!) ed è stato l’animatore della campagna sull’acqua “bene comune, patrimonio dell’umanità”. Alla conferenza Petrella non ha risparmiato nessuno.
Da Monti, in modo duro: “ciò che sta accadendo con il decreto legge che il governo Monti è pronto ad approvare è un attacco frontale ai referendum sull’acqua e alla democrazia. Anche voi giornalisti dovreste ribellarvi. Scendere nelle piazze”.
A Vendola, in modo più soft: «voglia o no abbassare le tariffe per le fasce più deboli della popolazione, ha per adesso disatteso le dichiarazioni della sua stessa giunta sulla ripubblicizzazione dell’Acquedotto Pugliese, che di fatto non ha finalità pubbliche, se prevede la remunerazione del 7% del capitale».
La conclusione è che quel 7% resta là sulle bollette a carico dei cittadini pugliesi, salvo lo studio in corso per uno sconto per le famiglie con reddito (Isee) inferiore a 7.500 Euro l’anno, che passa a 10.000 con la presenza di portatori di handicap, d’invalidi, di anziani ultra sessantacinquenni e di malati che necessitano di maggiori quantità di acqua. Uno sconto è previsto anche per le famiglie con un reddito Isee inferiore 20.000 Euro l’anno, ma con almeno 4 figli a carico.
E meno male …
Vito Schepisi su l'Occidentale

Il Giorno della Memoria


Il 27 gennaio, Il Giorno della Memoria, è diventato un appuntamento fisso con la nostra coscienza.
Quest’anno compie 12 anni. E, come ogni anno, prevale quella forza interiore che ci spinge a non lasciarlo trascorrere senza soffermarci nella meditazione, e senza sentire di dover rendere omaggio alla memoria di coloro che subirono la più atroce delle sofferenze: quella di essere marchiati per via di una colpa che non avevano, per stupidità, per orrore, per follia, per viltà.
Donne e uomini, vecchi e bambini marchiati con un numero, violati nell’intimità, nella dignità, negli affetti, ghettizzati, arrestati, rinchiusi, deportati, schiavizzati, uccisi, dispersi. E la memoria dei sopravissuti che hanno portato negli occhi e nel cuore il dolore, le urla, i pianti, il terrore, il lutto.
Il 27 gennaio è la nostra coscienza che deve spingerci ad esprimerci e ciascuno di noi lo deve fare come meglio sa fare. Anche con un pensiero semplice, purché sentito, con una preghiera, con una lacrima, con un atto di amore, con una gentilezza, con un sorriso verso le persone care. Ciò che deve spingere a farlo è ciò che nello stesso tempo ci deve inquietare, è nell’insicurezza che ancora oggi abbiamo che ciò che è accaduto non possa ancora accadere.
Mi sono ricordato d’aver scritto un pezzo, lo scorso anno, dal titolo “Occorre di più”, in cui mi sono fatto trascinare dal dubbio e dall’insoddisfazione.
L’ho recuperato perché è vero che occorre di più.

Occorre di più
Non bastano le parole di circostanza pronunciate ogni anno, dal 2000 - da quando, con Legge, la Repubblica Italiana ha riconosciuto il 27 gennaio come “Giorno della Memoria” - per respingere l’orrore di una mattanza contro il genere umano per questioni di odio e di razza.
Non basta una data, un giorno, una circostanza per scollegare la storia contemporanea dall’odioso passato e per esorcizzare il pericolo di un nuovo tragico futuro.
La storia si ripete sempre, inesorabile come il destino di ognuno. Si ripete con la sua retorica e con i suoi lutti. Ritornano anche gli errori, le distrazioni, le tragedie, i tradimenti, le viltà collettive. La storia si ripete con le sue follie. Si ripete sempre, con o senza preavvisi.
La storia, però, è parte di tutti noi e si riflette, prima che nel sentimento, nelle nostre azioni e nelle nostre scelte. L’odio è sintesi d’istinto e di perversione. E’ una malevolenza irrazionale, sentimento spesso latente negli uomini. E, come per ogni attività fisica o intellettuale, anche l’odio si perfeziona con la sua pratica.
L’equilibrio dell’uomo, quando è offuscato dall’odio e dall’intolleranza, si ritorce contro la sua stessa specie e annulla d'un colpo tutte le conquiste di civiltà. Mai si deve abbassare la guardia!Ogni anno si ripetono le stesse parole, si ricordano le stesse immagini, gli stessi racconti, si leggono le stesse poesie, con l’impegno condiviso di non consentire che crimini contro l’umanità, come l’Olocausto del popolo ebraico, abbiano più compimento.
Ma basta tutto questo? E’ sufficiente ogni anno ricordare e riscrivere gli stessi concetti? Possiamo pensare che la follia nazista sia stata solo una parentesi superata della storia dell’umanità? E’ giusto cancellare ciò che è accaduto come un’idea del passato e ritrovare i motivi di una stessa origine umana che supera gli steccati della razza, della religione e delle diverse culture?
Quando i sopravvissuti all’orrore non ci saranno più, quando la storia e la memoria si mescoleranno con altre storie e altre memorie, chi impedirà ai carnefici di passare per vittime e a quest’ultime di essere due volte massacrati?
Come non accorgersi dell’antisemitismo latente che è nella nostra cultura? Come non ricordare che non esiste solo la vigilia del 27 gennaio per assumere comportamenti che segnino le differenze tra chi ha memoria e chi ancora non riesce a liberarsi dalle ideologie?
Come non ricordarsi, ad esempio, che la memoria della Shoah non è solo rifiuto del nazifascismo, ma è anche quello di ogni ideologia che non riconosca l’individuo e la sua libertà di essere?
Il clima che si vive in Italia, ad esempio, ha del paradossale. C’è ancora chi prova a creare profili antropologici in base alle scelte. Anche la cultura prova a chiudersi, a escludere e ad imporre i principi assoluti.
Non basta solo una data per la memoria. Occorre di più!
Vito Schepisi

21 gennaio 2012

Le "tasse occulte"

RAGIONIAMO UN PO’!
Monti rivolto agli italiani ha detto: “Vi tolgo le tasse occulte”.
Cacchio, ho pensato! … ma ora ci vuole l’applauso?
Sono un tipo difficile, però! Qualcuno direbbe un rompimaroni! Non mi accontento mai!
Subito prendo biro e carta e provo a fare due conti.
Da dove cominciamo?
Dalle banche? Dai servizi? Dai taxi? Dai giornalai? Dalle tariffe? Dai crediti delle imprese verso lo Stato? Dalle medicine? Dal provvedimento per lanciare le ferrovie di Montezemolo? Dai benzinai? (il costo del carburante è determinato da: accise per il 52%; costo del greggio per il 38%; lavorazione, trasporto, spese di distribuzione, aggio per i benzinai per il restante 10%, cioè circa 17 centesimi) Dai notai? Dalla scatola nera da montare sulla mia autovettura? Dall’abolizione delle tariffe minime e massime dei professionisti? Dalla separazione di Snam da Eni per la fornitura del gas? Dai giovani che mettono su una srl senza capitali di rischio? (con quali soldi?) Dal tentativo estorsivo verso chi ci fornisce 3 canali televisivi gratuiti?
Sono ancora con questa benedetta biro in mano e con il foglio ancora bianco.

MA DOVE CAZZO SONO QUESTE “TASSE OCCULTE” CHE MONTI MI HA TOLTO?

Le liberalizzazioni vanno anche bene. E’ importante stabilire per principio che si possano sciogliere quei vincoli che impediscono le iniziative dei privati e l’elasticità delle gestioni.
Si è aperta una breccia nel circuito chiuso della burocrazia e delle caste. Per ora, però, il profilo è rimasto molto basso. Sembrano più favori ad alcuni e vendette per altri. Ci vorrebbe sempre maggior coraggio e più equità.
Liberalizzazione vuol dire anche elasticizzare il mercato del lavoro e tagliare il fardello burocratico che mozza le gambe alle piccole imprese, tartassate e oberate da migliaia d’incombenze. La normativa (con le scadenze quasi sempre collegate ai pagamenti) cambia giorno per giorno, rendendo necessario un aggiornamento costante. Un impegno che per i piccoli imprenditori è impossibile da seguire, senza dover abbandonare il lavoro d’impresa. E, già in sofferenza per la crisi finanziaria, con la cassa a rosso per il calo della domanda e per la riduzione del fatturato, le piccole imprese devono anche sobbarcarsi i costi dei consulenti. Ma per queste cose non ci sono liberalizzazioni!?
E non ci sono liberalizzazioni per le aziende gestite dalla politica, soprattutto negli enti locali.
Monti ha tenuto ad informarci, però, che ora si passerà (ma Passera si scrive con l’accento sulla “a” o no?) alla terza fase … quella dei tagli!
Può apparir strano … ma l'opzione tagli resta per ultima. Come quelli che dicono sempre ... da domani!
Chissà perché?
Vito Schepisi

12 gennaio 2012

Volevano solo vivere insieme, onestamente e con dignità

La crisi, le difficoltà economiche, il taglio delle disponibilità finanziarie alle amministrazioni locali, l’enorme massa di richieste di assistenza, l’impegno non sempre costante delle istituzioni per il sociale, la sottrazione dei diritti e il senso d’ingiustizia che s’insinua nelle coscienze, la mancanza di lavoro, la difficoltà nell’assicurare i beni di sostentamento per la propria famiglia: sono queste le motivazioni più ricorrenti di disperazioni che sfociano nei gesti più drammatici, e spesso tristemente conclusivi.

Sono storie che in un’Italia presa dalla crisi dei mercati e dalle difficoltà delle famiglie, si ripetono con sempre maggiore frequenza. Sono episodi presenti nella cronaca quotidiana dei media, come accade per i delitti più efferati, come per tutti quegli episodi di disagio sociale e di disperazione ai quali non sarà mai possibile fare l’abitudine.

Destano inquietudine perché le vittime sono persone normali, come tutti, come i signori della porta accanto, come la gente che incontriamo ogni giorno per strada, nei negozi, al mercato a fare la spesa, alla fermata dell’autobus, seduti sulle panchine dei giardini pubblici. Anche per la cronaca ci sono le strisce di episodi che si susseguono, spesso simili, come se fossero collegati tra loro, o come se la stessa cronaca si attrezzi per autoalimentarsi e per garantire la sua continuità.

Ora gli operai sui tetti per difendere il posto di lavoro, ora i pacchi con materiale esplosivo a “Equitalia”, ora le buste contenenti proiettili o, come è capitato al Senatore Luigi D’Ambrosio Lettieri , una busta contenente una siringa legata ad un libro di fumetti di “Lupo Alberto”.

Quanta stranezza c’è nella disperazione, quanta nell’orrore e quanta nella stupidità degli uomini! Disperazione? Fantasia? Orrore? Intimidazione? Violenza? Vendetta? Follia? Protesta? Stupidità? Un solo motivo? Tutti insieme? Oppure passioni e pregiudizi ideologici? Di vero c'è che esiste una società che non conosciamo fino in fondo e che scegliamo di non comprendere per debolezza, per pigrizia, per rassegnazione, qualche volta per incapacità, spesso per egoismo. Ne avvertiamo, però, la presenza e ci sorprende per le lezioni di vita che a volte ci dà.

Quando, infatti, i protagonisti oltrepassano la fase del modo sensazionale con cui ci fanno avvertire il loro disagio e, per un impulso della disperazione portano a compimento i drammi annunciati, ci sorprendiamo. A quel punto, però, è già dramma e tutti ne parliamo come di un fatto che addolora e colpisce. E, naturalmente, la responsabilità è sempre di altri.

E’ accaduto a Bari, ad esempio, per i coniugi Di Salvo, vittime della loro disperazione, ma anche di un sistema che non si è mostrato indifferente, ma in un modo, purtroppo, che è ancor peggiore dell’indifferenza. Accade quando anche le istituzioni, oltre ai tanti furbi che ci sono in Italia, s’impegnano a trovare soluzioni non lineari per risolvere le questioni. Il Signor De Salvo, però, chiedeva trasparenza e linearità. Non voleva togliere niente a nessuno.

Un epilogo annunciato con lucidità, come lucida e coerente è stata la vicenda che si è trascinata dal 2004 in poi, da quando il signor De Salvo, rappresentante di commercio, ha perso il suo lavoro e si è trovato in difficoltà economiche. Video, lettere, denunce, richieste di aiuto, e persino un passaggio televisivo sulle reti nazionali, per lanciare il suo appello disperato alla società, non hanno sortito che pacche sulle spalle ed impegni puntualmente disattesi. Il signor De Salvo non era un fannullone, né aveva disagi mentali, come qualcuno voleva far apparire, ma era un uomo lucido e capace, con buone capacità relazionali. Chiedeva di rendersi utile, non di vivere alle spalle della comunità.

Il Comune di Bari per quattro anni ha speso per lui e per la moglie 110 euro al giorno per la collocazione in una casa di accoglienza, dove hanno vissuto separati in due stanze diverse, a dispetto di una vita trascorsa sempre insieme, mano nella mano, nel bene e nel male. Due stanze umide, in un contesto degradato. Chiedevano, invece, di poter rinunciare a ciò che costava al Comune di Bari quasi 40 mila euro l’anno, in cambio di un lavoro da soli mille euro al mese.

Il dramma dei coniugi De Salvo è ricco di tanti episodi, c’è un carteggio di lettere ed esposti e di circostanze tutte puntualmente e pubblicamente denunciate. Persino con un esposto alla Procura della Repubblica di Bari nell’ottobre del 2007, una settimana dopo un servizio sulla Gazzetta del Mezzogiorno in cui venivano pubblicate le frasi (registrate) di un colloquio in cui al signor De Salvo era stata offerta “la disponibilità a «costruirgli» una pratica d’invalidità psichica falsa”, per accedere, da invalido, ad una graduatoria riservata. Il signor De Salvo, però, assieme alla moglie era “determinato a conservare la sua onestà e a non defraudare i veri disabili”. Non si sa che fine abbia fatto l’esposto. Magari alla Procura di Bari, in un clima di faide, sarà stato ritenuto secondario rispetto a ben altre questioni.

De Salvo e sua moglie, però, non ci sono più. Si sono suicidati dopo le Feste di Natale. In silenzio. In un Hotel della periferia di Bari, per non turbare il clima di gioia.

Vito Schepisi per l'Occidentale