27 gennaio 2012

Il Giorno della Memoria


Il 27 gennaio, Il Giorno della Memoria, è diventato un appuntamento fisso con la nostra coscienza.
Quest’anno compie 12 anni. E, come ogni anno, prevale quella forza interiore che ci spinge a non lasciarlo trascorrere senza soffermarci nella meditazione, e senza sentire di dover rendere omaggio alla memoria di coloro che subirono la più atroce delle sofferenze: quella di essere marchiati per via di una colpa che non avevano, per stupidità, per orrore, per follia, per viltà.
Donne e uomini, vecchi e bambini marchiati con un numero, violati nell’intimità, nella dignità, negli affetti, ghettizzati, arrestati, rinchiusi, deportati, schiavizzati, uccisi, dispersi. E la memoria dei sopravissuti che hanno portato negli occhi e nel cuore il dolore, le urla, i pianti, il terrore, il lutto.
Il 27 gennaio è la nostra coscienza che deve spingerci ad esprimerci e ciascuno di noi lo deve fare come meglio sa fare. Anche con un pensiero semplice, purché sentito, con una preghiera, con una lacrima, con un atto di amore, con una gentilezza, con un sorriso verso le persone care. Ciò che deve spingere a farlo è ciò che nello stesso tempo ci deve inquietare, è nell’insicurezza che ancora oggi abbiamo che ciò che è accaduto non possa ancora accadere.
Mi sono ricordato d’aver scritto un pezzo, lo scorso anno, dal titolo “Occorre di più”, in cui mi sono fatto trascinare dal dubbio e dall’insoddisfazione.
L’ho recuperato perché è vero che occorre di più.

Occorre di più
Non bastano le parole di circostanza pronunciate ogni anno, dal 2000 - da quando, con Legge, la Repubblica Italiana ha riconosciuto il 27 gennaio come “Giorno della Memoria” - per respingere l’orrore di una mattanza contro il genere umano per questioni di odio e di razza.
Non basta una data, un giorno, una circostanza per scollegare la storia contemporanea dall’odioso passato e per esorcizzare il pericolo di un nuovo tragico futuro.
La storia si ripete sempre, inesorabile come il destino di ognuno. Si ripete con la sua retorica e con i suoi lutti. Ritornano anche gli errori, le distrazioni, le tragedie, i tradimenti, le viltà collettive. La storia si ripete con le sue follie. Si ripete sempre, con o senza preavvisi.
La storia, però, è parte di tutti noi e si riflette, prima che nel sentimento, nelle nostre azioni e nelle nostre scelte. L’odio è sintesi d’istinto e di perversione. E’ una malevolenza irrazionale, sentimento spesso latente negli uomini. E, come per ogni attività fisica o intellettuale, anche l’odio si perfeziona con la sua pratica.
L’equilibrio dell’uomo, quando è offuscato dall’odio e dall’intolleranza, si ritorce contro la sua stessa specie e annulla d'un colpo tutte le conquiste di civiltà. Mai si deve abbassare la guardia!Ogni anno si ripetono le stesse parole, si ricordano le stesse immagini, gli stessi racconti, si leggono le stesse poesie, con l’impegno condiviso di non consentire che crimini contro l’umanità, come l’Olocausto del popolo ebraico, abbiano più compimento.
Ma basta tutto questo? E’ sufficiente ogni anno ricordare e riscrivere gli stessi concetti? Possiamo pensare che la follia nazista sia stata solo una parentesi superata della storia dell’umanità? E’ giusto cancellare ciò che è accaduto come un’idea del passato e ritrovare i motivi di una stessa origine umana che supera gli steccati della razza, della religione e delle diverse culture?
Quando i sopravvissuti all’orrore non ci saranno più, quando la storia e la memoria si mescoleranno con altre storie e altre memorie, chi impedirà ai carnefici di passare per vittime e a quest’ultime di essere due volte massacrati?
Come non accorgersi dell’antisemitismo latente che è nella nostra cultura? Come non ricordare che non esiste solo la vigilia del 27 gennaio per assumere comportamenti che segnino le differenze tra chi ha memoria e chi ancora non riesce a liberarsi dalle ideologie?
Come non ricordarsi, ad esempio, che la memoria della Shoah non è solo rifiuto del nazifascismo, ma è anche quello di ogni ideologia che non riconosca l’individuo e la sua libertà di essere?
Il clima che si vive in Italia, ad esempio, ha del paradossale. C’è ancora chi prova a creare profili antropologici in base alle scelte. Anche la cultura prova a chiudersi, a escludere e ad imporre i principi assoluti.
Non basta solo una data per la memoria. Occorre di più!
Vito Schepisi

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