12 gennaio 2012

Volevano solo vivere insieme, onestamente e con dignità

La crisi, le difficoltà economiche, il taglio delle disponibilità finanziarie alle amministrazioni locali, l’enorme massa di richieste di assistenza, l’impegno non sempre costante delle istituzioni per il sociale, la sottrazione dei diritti e il senso d’ingiustizia che s’insinua nelle coscienze, la mancanza di lavoro, la difficoltà nell’assicurare i beni di sostentamento per la propria famiglia: sono queste le motivazioni più ricorrenti di disperazioni che sfociano nei gesti più drammatici, e spesso tristemente conclusivi.

Sono storie che in un’Italia presa dalla crisi dei mercati e dalle difficoltà delle famiglie, si ripetono con sempre maggiore frequenza. Sono episodi presenti nella cronaca quotidiana dei media, come accade per i delitti più efferati, come per tutti quegli episodi di disagio sociale e di disperazione ai quali non sarà mai possibile fare l’abitudine.

Destano inquietudine perché le vittime sono persone normali, come tutti, come i signori della porta accanto, come la gente che incontriamo ogni giorno per strada, nei negozi, al mercato a fare la spesa, alla fermata dell’autobus, seduti sulle panchine dei giardini pubblici. Anche per la cronaca ci sono le strisce di episodi che si susseguono, spesso simili, come se fossero collegati tra loro, o come se la stessa cronaca si attrezzi per autoalimentarsi e per garantire la sua continuità.

Ora gli operai sui tetti per difendere il posto di lavoro, ora i pacchi con materiale esplosivo a “Equitalia”, ora le buste contenenti proiettili o, come è capitato al Senatore Luigi D’Ambrosio Lettieri , una busta contenente una siringa legata ad un libro di fumetti di “Lupo Alberto”.

Quanta stranezza c’è nella disperazione, quanta nell’orrore e quanta nella stupidità degli uomini! Disperazione? Fantasia? Orrore? Intimidazione? Violenza? Vendetta? Follia? Protesta? Stupidità? Un solo motivo? Tutti insieme? Oppure passioni e pregiudizi ideologici? Di vero c'è che esiste una società che non conosciamo fino in fondo e che scegliamo di non comprendere per debolezza, per pigrizia, per rassegnazione, qualche volta per incapacità, spesso per egoismo. Ne avvertiamo, però, la presenza e ci sorprende per le lezioni di vita che a volte ci dà.

Quando, infatti, i protagonisti oltrepassano la fase del modo sensazionale con cui ci fanno avvertire il loro disagio e, per un impulso della disperazione portano a compimento i drammi annunciati, ci sorprendiamo. A quel punto, però, è già dramma e tutti ne parliamo come di un fatto che addolora e colpisce. E, naturalmente, la responsabilità è sempre di altri.

E’ accaduto a Bari, ad esempio, per i coniugi Di Salvo, vittime della loro disperazione, ma anche di un sistema che non si è mostrato indifferente, ma in un modo, purtroppo, che è ancor peggiore dell’indifferenza. Accade quando anche le istituzioni, oltre ai tanti furbi che ci sono in Italia, s’impegnano a trovare soluzioni non lineari per risolvere le questioni. Il Signor De Salvo, però, chiedeva trasparenza e linearità. Non voleva togliere niente a nessuno.

Un epilogo annunciato con lucidità, come lucida e coerente è stata la vicenda che si è trascinata dal 2004 in poi, da quando il signor De Salvo, rappresentante di commercio, ha perso il suo lavoro e si è trovato in difficoltà economiche. Video, lettere, denunce, richieste di aiuto, e persino un passaggio televisivo sulle reti nazionali, per lanciare il suo appello disperato alla società, non hanno sortito che pacche sulle spalle ed impegni puntualmente disattesi. Il signor De Salvo non era un fannullone, né aveva disagi mentali, come qualcuno voleva far apparire, ma era un uomo lucido e capace, con buone capacità relazionali. Chiedeva di rendersi utile, non di vivere alle spalle della comunità.

Il Comune di Bari per quattro anni ha speso per lui e per la moglie 110 euro al giorno per la collocazione in una casa di accoglienza, dove hanno vissuto separati in due stanze diverse, a dispetto di una vita trascorsa sempre insieme, mano nella mano, nel bene e nel male. Due stanze umide, in un contesto degradato. Chiedevano, invece, di poter rinunciare a ciò che costava al Comune di Bari quasi 40 mila euro l’anno, in cambio di un lavoro da soli mille euro al mese.

Il dramma dei coniugi De Salvo è ricco di tanti episodi, c’è un carteggio di lettere ed esposti e di circostanze tutte puntualmente e pubblicamente denunciate. Persino con un esposto alla Procura della Repubblica di Bari nell’ottobre del 2007, una settimana dopo un servizio sulla Gazzetta del Mezzogiorno in cui venivano pubblicate le frasi (registrate) di un colloquio in cui al signor De Salvo era stata offerta “la disponibilità a «costruirgli» una pratica d’invalidità psichica falsa”, per accedere, da invalido, ad una graduatoria riservata. Il signor De Salvo, però, assieme alla moglie era “determinato a conservare la sua onestà e a non defraudare i veri disabili”. Non si sa che fine abbia fatto l’esposto. Magari alla Procura di Bari, in un clima di faide, sarà stato ritenuto secondario rispetto a ben altre questioni.

De Salvo e sua moglie, però, non ci sono più. Si sono suicidati dopo le Feste di Natale. In silenzio. In un Hotel della periferia di Bari, per non turbare il clima di gioia.

Vito Schepisi per l'Occidentale

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