30 maggio 2008

Il Governo "nemico" di Epifani

Cofferati è stato un leader carismatico della Cgil. Con la faccia da duro, l’atteggiamento da inflessibile vendicatore, con fede cieca ed inossidabile, ha guidato il sindacato di sinistra contro l’innovazione, le riforme, l’efficienza, lo sviluppo, l’impresa e soprattutto contro la ragione di un sistema globale che vedeva invece la sinistra sindacale impegnata nella difesa conservativa dei vecchi equilibri. Come se tutto fosse fermo ed il mondo del lavoro e della produzione fossero chiusi in una realtà autarchica. L’ha fatto, però, da leader credibile nella società. L’ha fatto con grande capacità di compattare i lavoratori anche confrontandosi con i distinguo di Cisl e Uil. Anche a rischio di incrinare l’unità sindacale.
I suoi “no” reggevano al confronto con la realtà di un Paese pregiudizialmente diviso. Quando parlava Sergio Cofferati occupava, come Luciano Lama prima di lui, non solo le piazze ma anche tutte le prime pagine dei giornali di ogni orientamento politico. L’attuale sindaco di Bologna è stato un grande leader sindacale, uno di quelli che passeranno alla storia per la sua durezza e la sua determinazione. E’ inciampato sulla responsabilità nella criminalizzazione di Marco Biagi, il giuslavorista ucciso dalle Brigate Rosse per l’elaborazione della legge che prende il suo nome su lavoro e precariato (i lavori a progetto).
Ora fa il sindaco di Bologna e, passato dalla parte delle “istituzioni”, è diventato decisionista, severo, intransigente e soprattutto concreto.
Cofferati è stato l’ultimo vero leader comunista del sindacato di sinistra. Come Berlinguer per il pci.
L’attuale segretario della Cgil, Guglielmo Epifani, invece è solo un post comunista a metà strada tra Veltroni e Diliberto, una quinta colonna della sinistra politica che lotta contro il Governo “nemico” solo in quanto tale.
Il suo è un antagonismo senza sbocchi credibili, privo di visione strategica, e senza proposte alternative realizzabili. Ha sviluppato in passato e si appresta a sviluppare per il futuro una opposizione battagliera ma sterile nella sostanza e soprattutto senza fondate idee su modelli sociali diversi. Appare come uno di quelli che ritengono che sia opportuno che ci sia tizio al posto di caio, solo perché è di sinistra, anche se fa guai e massacra i lavoratori come è stato con Prodi.
L’attuale leader della Cgil è uno stratega della doppia verità e cultore dell’opportunismo a geometria variabile. Un oppositore, senza se e senza ma, dalla faccia arcigna e dall’atteggiamento risentito per nascondere un antagonismo senza senso e senza ragione. La sua contrapposizione dà l’idea d’essere così palesemente preconcetta da spingerlo a dover abbandonare un tavolo di confronto solo perché limitato ad un rappresentante per ogni parte sociale, come è accaduto per la convocazione del ministro Brunetta per discutere e confrontarsi sul pubblico impiego. Una giustificazione priva di senso compiuto e che nasconde più una parvenza di difficoltà per il confronto che motivo di rottura per un metodo non condiviso.
Nei due anni precedenti, mentre Prodi governava, Epifani ha assistito senza moti d’impeto al massacro dei lavoratori, alle vessazioni verso le fasce deboli, al tentativo di demolire le politiche dell’occupazione (legge Biagi) del precedente governo di Berlusconi. Al grido delle garanzie da conquistare per i giovani precari, non ne ha favorito l’introduzione d’una. L’azione del sindacato di sinistra si è invece solo distinta nel garantire privilegi agli occupati, con aumenti di costi (l’abolizione dello scalone Maroni del costo di oltre 10 miliardi di Euro) che hanno pure contribuito a comprimere risorse dello Stato altrimenti utilizzabili.
Sono soprattutto le difficoltà sulle politiche di sviluppo che mirano a rendere precario il futuro delle giovani generazioni. Non è, infatti, solo precario il lavoro, ma anche la condizione dei giovani che non riescono a trovare lavoro. L’occupazione, invece, si realizza se c’è fiducia e rispetto tra impresa, istituzioni e parti sociali. Servono le condizioni sociali perché ci sia impulso alla crescita e si dia corso ai necessari investimenti
Stranamente il governo più impopolare della storia d’ Italia dal dopoguerra in poi ha goduto di una straordinaria “pax” sociale. La Cgil si è distinta maggiormente per la sua presenza sui temi del finto pacifismo della sinistra e sulla lotta contro i simboli dei paesi liberi e democratici, come Israele ed USA, ad esempio, che nella difesa del potere di acquisto di salari e pensioni. Più contro i valori occidentali, la sua cultura e le sue tradizioni che contro gli sprechi, le caste, le inefficienze dei servizi dello Stato. Sono state tollerate carenze verso i cittadini, indifferenza sulle politiche del bisogno che si sono, come sempre accade, riversate contro i diritti dei cittadini più bisognosi. Contro gli ammalati, i pensionati, l’infanzia, le donne e le mamme.
Non potrà che risultare “patetico” il tentativo di Epifani di riportare il Paese indietro in un conflitto che punta all’immobilismo ed alla conservazione dei privilegi dei diversi livelli di quelle caste di cui il sindacato non può essere considerato elemento estraneo.
Vito Schepisi

20 maggio 2008

I buffoni di corte

I giullari di regime erano coloro che divertivano i monarchi e le loro corti. La storia ha registrato la loro presenza sotto tutte le corone, ma la storia ci racconta anche della loro ingloriosa fine quando non riuscivano più a far sorridere. Erano tra i primi ad essere scaricati quando non erano più utili ed esaurivano la loro carica di comicità o di utile idiozia.
In Italia le azioni dei guitti, accompagnati da nani e ballerine, non si è fermata con la monarchia. A lungo, infatti, e fino ai tempi nostri, la pratica dei cosiddetti “artisti”al servizio dei potenti ha proseguito il suo corso, tanto da doverci ancora avvalere, con alternante successo, delle loro prestazioni. Da Benigni a Grillo, da Luttazzi a Fazio, dai Guzzanti a Crozza e poi Rossi, Vauro, Celentano ma anche truppe di uomini immagine dello spettacolo comunicativo per la carica di sensazioni che riescono a sviluppare come Travaglio, Santoro, e persino Di Pietro (è un “artista” anche lui nel suo campo). Per essere giullari non è richiesto un mestiere specifico o un ruolo particolare, lo si è quando si interpreta, senza lasciarsi prendere da un accenno di dubbio, il ruolo di cantore di una verità compiacente. Lo si è quando si mistifica alla propria convenienza ideologica, ovvero all’interesse economico ed alla carriera, il copione di una produzione troppo spesso monotematica ed a bersaglio costante, quando si baratta la democrazia e la libertà di espressione con il dileggio, i racconti zoppi, le “verità” degli atti giudiziari che spesso sono radicalmente diverse dalle verità provate.
Sono mutati i modi perché anche le abitudini e le espressioni sono cambiate. Sono cambiati i mezzi di diffusioni perché la tecnologia ha reso più facile la divulgazione delle immagini e delle parole. E’ cambiata la base degli utenti perché la democrazia ha reso fruibile al popolo anche l’arte e le rappresentazioni teatrali. La satira, una volta riservata al divertimento degli aristocratici, o alla lotta clandestina contro gli oppressori del popolo, l’oscurantismo e la censura, ha rafforzato la sua espressione dissacrante ma solo per renderla più congeniale al compiacimento dei potenti.
La satira è divenuta a larghi tratti una forma di manifestazione di servilismo utile ad incassare la benevolenza del principe e di tutti coloro che riservano ai guitti ed ai compiacenti un posto al tavolo delle ingordigie e dello spreco delle risorse pubbliche. L’espressione artistica ha assunto persino la dimensione di lotta politica surrettizia, laddove l’antipatia cieca, la faziosità ed il rancore ideologico hanno preso il sopravvento sulle ragioni di un temperamento dissacrante.
Come in un grande domino, però, quando parte la caduta delle tessere inesorabilmente viene tutto giù. La politica ha le sue regole, anche se chi le detta non sa sempre interpretarne un percorso virtuoso. E quando le regole sono dettate, i più sprovveduti, e coloro che si mostrano più realisti del re, restano inevitabilmente col cerino acceso in mano.
Chi glielo spiega, ad esempio, ora a Di Pietro che le sciocchezze che fino ad ora erano ripetute sino alla noia contro Berlusconi (conflitto di interessi, leggi ad personam, editto bulgaro, abolizione del reato di falso in bilancio, etc. etc…) era solo propaganda e sciacallaggio politico? Chi glielo spiega ora a Di Pietro e Travaglio che l’assalto giudiziario, unico nelle realtà democratiche del mondo per durata, concentrazione, impegno di uomini e di mezzi, caparbietà e persino aggressività è fallito per la inconsistenza delle ipotesi di reato, per diversità dello svolgimento dei fatti, per essere molto spesso i reati ipotizzati soltanto frutto di semplici teoremi ideologici?
Chi spiega a quel mondo di blogger, di forumisti, di commentatori spesso anonimi che ancora si lasciano andare al dileggio ed a commenti deliranti, che la “guerra” è finita perché il loro “nemico” ha resistito all’aggressione ed ha avuto ragione per l’inconsistenza dei suoi avversari?
Niente si costruisce demolendo! Ci ha provato Prodi mettendo in piedi una maggioranza contro la volontà del popolo, obbligata a raccontare bugie per restare compatta, incapace di assumere qualsivoglia provvedimento necessario. E la ragione, come sempre accade, alla fine prevale!
E mentre Berlusconi si è dimostrato lo statista che la storia ricorderà per aver fortemente caratterizzato gli anni a cavallo tra il secondo ed il terzo millennio, Prodi, invece, sarà ricordato per la sua incapacità di rappresentare il cambiamento, per le sue bugie, per la mancanza di un definito progetto politico.
Per molti è ancora duro ammetterlo, ma è così! Lo ha stabilito il popolo! E’ così anche se la democrazia e le sue regole non sempre sono condivise da coloro che hanno nell’indole l’abitudine ai metodi sbrigativi e violenti. Ci sono e ci saranno sempre coloro che, lungi dal rassegnarsi al verdetto del giudice istituzionale della democrazia che è il popolo, discriminano persino sull’intelligenza degli elettori. Ed è così che Santoro e Travaglio, improvvisamente, si trovano a loro fianco soltanto Di Pietro in Parlamento, come l’ultimo dei giapponesi, e pochi altri al di fuori a combattere ancora una guerra che invece sembra sia già esaurita. L’odio e la demonizzazione si apprestano a lasciar spazio alla civiltà del confronto tra le idee, i contenuti e le soluzioni.
Anche le trasmissioni della tv pubblica più caratterizzate da forme di aggressione politica siano ora chiamate a rispondere su obiettività e pluralismo. E’ un diritto di ogni cittadino quello di non essere messo alla berlina, o tacciato pubblicamente di nefandezze, senza che questi abbia la possibilità di difendersi nello stesso contesto in cui avviene la sua lapidazione. Basta con lo sciacallaggio e con le imboscate televisive, retaggio di culture totalitarie, antipopolari e poliziesche. Il rispetto delle diverse posizioni è il metro con cui si misura la legittimità di rappresentare il popolo. La vittoria del Popolo delle Libertà alle ultime consultazioni elettorali è anche l’espressione della volontà di compostezza, di tolleranza e di pluralismo degli elettori italiani.
Riuscirà ora Santoro, che non è poi uno stupido, a comprendere i limiti di un servizio pubblico?
Resta la convinzione che le democrazie liberali non dovrebbero consentire il reiterarsi del metodo diffamatorio delle accuse lanciate come pietre nello stagno, dove si diramano in spazi sempre più larghi, e che lasciano traccia nella coscienza degli uomini. La civiltà democratica ha il dovere di contrastare l’espediente teorizzato da Francis Bacon “Diffama sempre il tuo nemico e vedrai che qualcosa resta nella memoria della gente”, metodo fatto proprio dalla scuola marxista (Togliatti)con l’uso di sostenere ripetutamente quelle falsità che alla lunga diventano “verità” politiche. Si vorrebbe insomma conquistare quella normalità, diversa da quella sostenuta dal sofista D’Alema, che manca alla politica italiana. E si vorrebbe tutto questo senza azioni ed affermazioni che prestino il fianco a clamorosi vittimismi, tipici proprio di coloro usi a compiacere la loro parte olitica. Si vorrebbe che accadesse attraverso la consapevolezza della responsabilità di un servizio pubblico, ad esempio, e nella convinzione che il confronto politico non può essere una rissa da condominio in cui si forma sempre un “partito” che accusa l’amministratore d’essere un ladro ed in cui alcuni condomini assumono comportamenti prevaricatori ed arroganti.
Un po’ di civiltà e di rispetto reciproco non guasterebbe e tornerebbe utile ai bisogni ed alla dignità di tutti, perché la chiarezza delle tesi esposte ed il rispetto verso gli altri sono alla base della libertà e del diritto naturale degli uomini, mentre l’insinuazione e l’opacità sono strumenti di grigiore e di oppressione.
Vito Schepisi

http://www.loccidentale.it/articolo/cosa+c%27%C3%A8+dietro+il+declino+della+satira


06 maggio 2008

Lettera aperta al Presidente Berlusconi

Signor Presidente Berlusconi, innanzitutto vorrei complimentarmi con Lei per il successo elettorale che ha premiato il suo progetto politico. Vincere in una tornata elettorale non è mai solo il fruttuoso raccolto di una buona campagna elettorale o ancora l’adesione dei cittadini elettori ad una squadra credibile, ma è spesso l’insieme di una proposta complessiva che include motivazioni e speranze. Ciò che per gli uomini liberi e pragmatici, abituati a cogliere farina dal grano, può sembrare un’ovvietà, per tanti sembra sia invece difficile da comprendere. Non ha vinto la destra nostalgica e neanche l’Italia incolta e stupida, contro una sinistra senza identità: ha vinto la speranza di cambiare il Paese.
La sinistra che ha perso non ha saputo offrire motivazioni e speranze. Ha perso perché è apparsa poco credibile la sua idea di trasformare in senso moderno, giusto ed efficiente il Paese. Ha perso per aver mostrato ancora una volta il risvolto ideologico della sua strategia politica e con esso calpestato il rispetto del cittadino, sacrificato nella frenesia dell’odio e della vendetta politica. La sinistra ha perso perché, quando ha potuto, non ha saputo e voluto comprendere il popolo e si è schierata in modo arrogante ed indisponente contro la metà, almeno, degli elettori italiani.
Signor Presidente si ricordi, però, che più che Berlusconi ha vinto l’Italia che è stanca e che spera. In questa tornata elettorale, infatti, per la sinistra non è stato più sufficiente il collante dell’antiberlusconismo lasciando come speranza solo quella di un’improvvisata conversione verso il freno alla pressione fiscale, o verso la sicurezza nelle città, ovvero una maggiore attenzione verso il mondo del lavoro. L’Italia si è rivolta invece verso di lei per la speranza del cambiamento: l’ultima spiaggia prima di precipitare nel vuoto dell’antipolitica.
Sono emerse dalle urne le opzioni degli italiani verso soluzioni definitive per l’ammodernamento e la trasformazione di un sistema e di un metodo di governo. Il voto è stato una petizione popolare per chiedere dignità e doveroso rispetto verso i cittadini che, pur contribuendo per la diffusione dei servizi di pubblica utilità, con una pressione fiscale oltre il limite del sopportabile, hanno ottenuto in cambio insicurezza, inefficienza, arroganza, disservizio, e fondati motivi di allarme e preoccupazione. Si pensi tra l’altro ai ritardi per la raccolta differenziata dei rifiuti e per la realizzazione dei termovalorizzatori, ai pericoli sanitari per la spazzatura, alla carenza delle fonti di energia, all’immigrazione clandestina, al fermo delle grandi opere per la viabilità che rischiano di emarginare il paese o parti del Paese dall’Europa e dagli scambi commerciali frenandone così lo sviluppo.
I cittadini adesso chiedono, metaforicamente, le teste che rotolano. Non si può tollerare che continuino a far danni coloro che hanno sviluppato potere e carriere sul controllo e la capziosa gestione del territorio. Gli italiani si attendono l’abbattimento radicale di quella casta che si annida tra politica e parti sociali, tra istituzioni e servizi dello Stato, tra informazione e potere economico-finanziario, tra impresa e burocrazia. Gli intoccabili, gli impuniti, coloro che sono abituati a guardare con cinismo al declino del Paese per trarne vantaggio politico, economico, di potere cedano finalmente il passo all’Italia che lotta e che si impegna.

I modelli di società non si improvvisano per l’occasione. Esistono nelle intuizioni della parte democratica e pluralista del Paese, anche di coloro orientati a scelte mediate e più complesse. Si fronteggiano in una efficace scelta tra ispirazioni di prevalenza sociale ovvero di prevalenza individuale. Si nutrono del confronto ineluttabile tra ricette di maggiori contenuti di solidarietà ovvero di libertà dei cittadini.
Il modello indicato dagli lettori è dunque quello orientato all’incentivazione della crescita produttiva, secondo le regole del mercato, sensibile ai bisogni, in un ambito di attenzione verso i valori della famiglia e delle tradizioni, in un contesto di libertà e di sicurezza. È il modello che pone l’uomo, consapevole delle sue responsabilità, al centro del suo futuro benessere.
Il modello di società che gli italiani invocano è quindi quello di un Paese giusto ed efficiente, ma anche capace di far ammenda degli errori passati e di sapersi liberare dai lacci di meccanismi funzionali inefficaci e spreconi e soprattutto auto referenti e privi della condivisione popolare.
Tutto questo non è una nuova cultura della classe politica nei rapporti con i cittadini ma è l’insieme di quelle regole e di quel soffio di libertà che prende il nome di democrazia liberale.
In questa dimensione culturale non è consentito prendere a prestito, alternativamente a seconda delle opportunità, ora l’una o l’altra dimensione della società degli uomini. Non esiste libertà dove si pensi solo al benessere personale o laddove si pretenda solo responsabilità dell’individuo, senza che gli siano concesse le opportunità della crescita. Ciò che la politica ha il dovere di registrare, e di far propria, è la spinta naturale delle cose e la sua attitudine ad intervenire per il rispetto delle regole e per liberare i meno fortunati dal bisogno. E’ la politica che ha il compito di interpretare la società e di individuare, attraverso la rappresentanza del popolo, stabilita dalla Costituzione, l’insieme delle sue regole condivise, e non il contrario, come vorrebbero rumorose e contraddittorie minoranze di orientamento prevalentemente assembleare.

Il voto dei cittadini ora è già stato espresso. Chi ha voluto scegliere ha esercitato il suo diritto ed i risultati inappellabili sono sotto gli occhi di tutti. Sembrerebbe finita qui ma siamo in Italia dove da sempre chi ha perso dice invece d’aver vinto, Di Pietro ad esempio più degli altri, e chi ha vinto viene persino invitato a vergognarsi d’averlo fatto. Tutto, purtroppo, continua a proseguire secondo lo stereotipo usuale. Sembra un rito demenziale delle democrazie incompiute. E’ un’abitudine che andrebbe smentita da una stagione di governo e di riforme continua ed efficace.
E’ stato anche già detto, com’era prevedibile per la solita rancorosa abitudine di coloro che vantano, a sproposito e senza legittima ragione, una supremazia culturale, che ha prevalso il Paese ignorante e che l’elettore di centrodestra sia pressappoco un cretino. L’ignoranza più grande, però, sembra sia più quella di non saper comprendere le ragione del popolo, anziché quella di non saper apprezzare un film di Moretti o il cinefilo di Veltroni. Soprattutto se i risultati sono quelli che sono.

Siano però ora chiuse le polemiche e le recriminazioni. Giunga finalmente il momento in cui tanti siano capaci di imparare che l’intelligenza è diversa dalla quantità di “orientamento” acquisito e che le citazioni classiche non reggono al confronto della consapevolezza di offrire soluzioni di governo percorribili ed efficaci. Serva, soprattutto, di lezione per tutti la consapevolezza che c’è un limite alla tolleranza dell’elettore ingannato.
Anche la polemica sul risanamento economico di Prodi resta un’oziosa barzelletta che fa solo sorridere ed a cui non vale più la pena replicare. Mai infatti l’Italia si è trovata in un così devastante “empasse” economico dove l’insostenibile pressione fiscale finanzia i costi dell’enorme spesa corrente, mortificando famiglie, politiche sociali e sviluppo.
Non è più il tempo ed il caso di lasciarsi trascinare in inconcludenti distinguo e, soprattutto, non è più tempo di farsi frenare dai mille lacci di un Paese sostanzialmente corporativo. E’ opportuno quindi focalizzare l’attenzione sulla struttura anacronistica di quella miriade di piccoli e grandi privilegi divenuti nel tempo insopprimibili e protetti grazie ai veti delle istituzioni, della politica e delle organizzazioni sociali.
Non servono, ad esempio, 10 dirigenti in un ufficio che funzionerebbe meglio con uno solo effettivamente responsabile. Si abolisca il principio paralizzante del diritto acquisito. Ogni funzione sia messa in discussione sulla base della necessità e dell’efficienza. Se ci sono contratti sindacali che proteggono sprechi ed abusi siano denunciati e soppressi. Tutto alla luce del sole senza eccezioni o particolarità e, se necessario, in piena conoscenza e consapevolezza. Il popolo deve esser messo in grado di valutare ed apprezzare le ragioni del taglio delle spese improduttive e dei privilegi carpiti, ovvero del ripristino della necessaria efficienza e del senso di responsabilità. Si parlerà di autoritarismo e di negazione dei diritti ma se tutto si farà col consenso del popolo, stanco di tanti privilegi concessi, sarà piuttosto autorevolezza e senso di giustizia.

Anche i soggetti economici che di fatto esercitano attività produttive, commerciali o di servizi in concorrenza con le tipiche imprese private è tempo che siano regolati, ai fini degli oneri e del fisco, senza alcun privilegio, onde evitare la creazione di concorrenza sleale, e soprattutto per recuperare quel maggior gettito fiscale da sostituire a quello prelevato in modo esorbitante dalle famiglie e dal lavoro. Non hanno, infatti, funzione sociale le cooperative che accumulano fondi per le scalate alle banche! L’impresa, ancora, con le sue regole, i suoi diritti ed i suoi doveri, è bene che sia sotto la partecipazione ed il controllo dei privati cittadini e non invece, attraverso reti di funzioni sussidiarie, sotto controllo della politica.
E’ questo, nei fatti concreti, da sempre, il reale e stridente conflitto di interessi del Paese!

La giustizia è poi l’asse centrale della credibilità democratica di una nazione, ed è noto che in Italia la “Giustizia” sia del tutto carente. E’ tempo che si passi finalmente dalla cultura della distinzione che emerge tra magistrati buoni e cattivi, o quelli visibili od invisibili, a quella della disamina tra un ordinamento capace di produrre giustizia ed un altro ordinamento, invece, capace solo di distribuire privilegi e garanzie agli addetti ai lavori. Tra autonomie gestionali capaci di servire la legge e quelle invece di compiacere le cordate politiche.
E’ necessaria una riforma che parta dalla divisione della carriere, quale ineluttabile metodo di civiltà politica, ed arrivi alla responsabilità dei magistrati nell’esercizio della loro autonomia. E’ necessaria persino una verifica democratica dell’efficienza e dell’imparzialità dell’azione penale, perché non si trasformi in mezzo di disturbo del confronto democratico del Paese, ovvero in copertura di illeciti e di arroganza del potere, come siamo stati purtroppo abituati ad osservare dagli scorci dello scorso millennio all’inizio del nuovo.

Signor Presidente Berlusconi, la speranza a cui mi sono richiamato in apertura è l’invito ad un insieme di scelte e provvedimenti che segnino una svolta alle cattive abitudini ed alle inefficienze del sistema Italia. Lei è in grado di segnare questa svolta. Nessun professionista della politica, invece, sarebbe capace di incidere in modo determinante sulle cattive abitudini della politica. Si è liberato di Buttiglione e Casini e dell’ancoraggio che questi rappresentavano con la vecchia logica degli intrecci burocratici e delle gestioni dei poteri diffusi.
Coraggio! Mostri ora di meritare il consenso che gli italiani, con fiducia e speranza, Le hanno voluto attribuire.
Il lavoro sarà difficile ed i nemici saranno tantissimi, ma gli ostacoli si possono superare se si ha la consapevolezza d’avere il popolo dalla propria parte. Utilizzi la grande forza di volontà che ha mostrato di possedere come imprenditore, ma anche come politico, oltre alla spinta della caparbia ostinazione degli italiani nel ricercare i motivi della speranza. Se ne faccia, così, fedele e coraggioso portavoce.
La storia l’aspetta. In bocca al lupo!
Vito Schepisi

Diritti negati

Sugli effetti umilianti dei diritti negati non si ha mai un’idea precisa finché non capita d’esser parte lesa. Ed è per questa ragione che mi preme segnalare l’episodio di cui sono vittima e che lede il mio diritto di cittadino e di utente.
Nel dicembre dello scorso anno, trovandola economicamente vantaggiosa, ho aderito ad una promozione per il passaggio, dal gestore Wind telecomunicazioni Spa al gestore Tiscali Spa, sia del traffico telefonico che del servizio ADSL per l’accesso ad internet
Mentre per la telefonia non ho subito alcun disservizio e nessuna interruzione della linea, il 22 marzo (il giorno di Pasqua), senza alcun preavviso, Wind Infostrada mi ha privato del collegamento ad Internet. Fin a questo punto, a parte i modi incivili di interrompere un servizio senza preavviso, nessuna questione. Ma non è finita qui! Tanto più se oggi mi trovo a constatare, con disagio e rammarico, che sono ancora privato del servizio internet. Il nuovo gestore, infatti, è impedito ad attivarlo perchè la linea su cui erogarlo risulta ancora occupata dal precedente gestore ( Wind Infostrada).
Mi risulta un po’ ostica la materia, ma alla fine ho capito che un gestore può interrompere l’accesso ad internet all’utente, ma continuare a tenere occupata “la portante”. Ciò che invece mi è più difficile comprendere è il perché un gestore, quando distacca l’utente dall’accesso ad internet, non liberi anche la portante?
La spiegazione mi è stata data da Telecom e Tiscali, a cui mi sono rivolto tramite i numeri verde: sembra che lo si faccia per ostruzionismo alla concorrenza.
Dal 22 marzo, giorno dell’interruzione del servizio internet, ad oggi la mia linea è occupata da Wind Infostrada impedendomi di ottenere il servizio internet da un altro gestore. Un abuso, un metodo di maleducazione da cortile, una vessazione, forse un illecito. E’ come se un commerciante presso cui sono abituato a fare la spesa, per il semplice fatto che ora mi servo altrove, mi muri la porta di casa, isolandomi. E’ davvero una prepotenza! E’un atto d’inciviltà! E’un modo che lede i diritti dei cittadini!
Ho telefonato più volte all’unico numero che Wind Infostrada mette a disposizione dell’utenza, ma mi hanno sempre risposto evasivamente, spesso attribuendo ad altri la responsabilità: a Telecom, ad esempio. Ho anche inoltrato un ricorso a Wind Infostrada, mi è stato dato il numero di protocollo, e dopo alcuni giorni riferito che per loro era tutto in regola. Mi sono rivolto all’AG.COM, inoltrando per fax un modulo predisposto per i ricorsi degli utenti. Ho anche contattato di persona il Comitato Regionale per le Comunicazioni della mia regione, dove mi è stato riferito che forse tra un mese sarò chiamato per un atto di conciliazione tra le parti (conciliazione di che?).
I tempi però sono biblici. E’ come se un malvivente occupi casa mia, impedendo a me ed alla mia famiglia di usufruirne, e le autorità preposte alla difesa dei miei diritti, su mia denuncia di violazione di domicilio, mi rispondano che tra circa un mese sarò chiamato per un tentativo di conciliazione con il malvivente.
Siamo in uno Stato di diritto o in una giungla?
Se si parla di liberalizzazioni, il pensiero va al diritto di libera scelta del consumatore – utente. Per liberalizzazione, infatti, si intende la facoltà del cittadino di scegliere in piena libertà di acquistare un prodotto o un servizio tra più produttori in libera concorrenza tra di loro. Ma liberalizzare non significa far pagare all’utente le beghe concorrenziali dei gestori!
Spesso, infatti, questa libertà di scelta viene negata. Ed è mortificante pensare all’individuo indifeso, disorientato dinanzi all’abuso, al disservizio, all’inganno, alle barriere burocratiche che vengono innalzate. E’ davvero umiliante dover constatare d’esser disarmati ed inermi dinanzi all’assoluta mancanza di accesso informativo verso figure professionali responsabili, capaci di accogliere le istanze dei cittadini sui diritti negati, abilitati ad offrire con senso civico risposte ragionate ai bisogni dell’utenza.
E’ di questo disagio che mi faccio portavoce per trovarmi mio malgrado ad esserne coinvolto personalmente.
Una volta esisteva la figura, mutuata dalla legislazione scandinava, del Difensore Civico. Dov’è finito? Come fa oggi un cittadino a difendersi?
Se sono state istituite delle autorità, per ostacolare i comportamenti dominanti e vessatori nella gestione dei servizi in concessione verso i cittadini ed i diritti di tutti, queste autorità dovrebbero intervenire senza indugio per rimuovere in modo definitivo ogni tentativo di lesione dei diritti di ciascuno, e persino provvedere a sanzionarne l’abuso perché non s’abbiano per il futuro ulteriori reiterazioni di atteggiamenti arroganti. Per creare, invece, nuova burocrazia era proprio necessario costituire un’Autority?
Vito Schepisi