25 maggio 2009

L'uso privato dei rimborsi elettorale è reato?

Una delle leggi più odiate dagli italiani è quella sul finanziamento pubblico ai partiti. La riprova ne fu l’alta percentuale di affluenza alle urne, ben il 77%, ottenuta per il referendum abrogativo del 1993, che con oltre il 90% dei SI cancellò la legge del 2 maggio 1974 “Contributo dello Stato al finanziamento dei partiti politici”.
La politica non finanziata, però, durò solo tre anni, i più duri dopo tangentopoli, vennero meno quasi tutti i partiti tradizionali e sopravvisse solo il vecchio pci che, dopo il fallimento comunista, aveva cambiato nome in Pds. Nel 1996 un decreto, però, consentiva di aggirare l’esito referendario. Il finanziamento diventava, così, rimborso elettorale per le elezioni del 21 aprile dello stesso anno. Nel giugno del 1999, poi, col Governo D’Alema, veniva varata la legge ancora in vigore: "Nuove norme in materia di rimborso delle spese per consultazioni elettorali e referendarie e abrogazione delle disposizioni concernenti la contribuzione volontaria ai movimenti e partiti politici" .
Le motivazioni sono parte integrante della storia del finanziamento pubblico e si potrebbero sintetizzare in alcune semplici considerazioni. La politica per la presenza dei partiti attivi sul territorio nazionale, per il mantenimento delle sedi e del personale, per le attività di diffusione delle iniziative di partito, per le attività di stampa e per quelle organizzative, per la propaganda, per le campagne elettorali, per l’installazione di cartelloni e per l’affissione dei manifesti, per l’allestimento dei palchi nelle piazze per i comizi, per i fitti delle sale e dei teatri, per i rimborsi spese, per gli spot televisivi, ha costi di normale gestione anche rilevanti.
Una volta queste spese venivano coperte dai finanziamenti ottenuti dalle imprese produttive e commerciali, dalle tessere e dalle erogazioni liberali degli iscritti. Il Pci mostrava però di avere grandi risorse, sosteneva di ricavare fondi anche dalle feste dell’Unità, benché si stenta ancor oggi a credere che potessero essere di natura così rilevante. Si è portati invece a pensare che arrivassero in modo rilevante dalle mediazioni commerciali coi paesi dell’est europeo e dal sistema delle cooperative dell’Italia centrale, monopolizzatore in quei luoghi di lavori e forniture pubbliche.
Soldi arrivavano anche dal sostegno politico dei cosiddetti partiti fratelli, al di fuori del territorio nazionale, ed arrivavano, ai tempi della guerra fredda, dai paesi dell’Est europeo, pur in presenza di blocchi di influenza militare contrapposti (Nato e patto di Varsavia, ad esempio).
Il finanziamento pubblico doveva avere lo scopo di impedire che le somme di danaro potessero condizionare i partiti, ed attraverso questi ultimi il Parlamento. Le lobbies, le iniziative industriali, i monopoli produttivi, le caste e tutti i soggetti impegnati a perseguire una molteplicità di interessi particolari, hanno fatto sempre pressione sulla politica per spingere verso scelte legislative più agevoli ai loro affari. Anche le mafie e la delinquenza organizzata si sono infiltrate nella politica per governare l’economia del territorio, direttamente o intrecciandosi con i politici locali per aggiudicarsi, spesso aggirando le norme, gli appalti sulle realizzazioni, sui servizi e sulle forniture.
I risultati ottenuti sono stati però deludenti. Il finanziamento pubblico si è rivelato parallelo ad altre forme, spesso illecite, di finanziamento della politica, come le cronache hanno spesso registrato. Negli anni 80 e fino a tangentopoli è sembrato che i flussi di denaro del finanziamento pubblico facessero aumentare le esigenze e favorire gli illeciti con l’aggravante, per i soggetti economici finanziatori, di dover ricorrere all’accumulo dei fondi neri per poter finanziare i partiti.
Quest’accresciuta disponibilità finiva col rendere la politica più un’impresa del lusso e degli agi, più una casta di privilegiati, e sempre meno un impegno sociale.
Sull’attuale sistema dei rimborsi, c’è da rilevare che il legislatore ha lasciato molte zone d’ombra. Il contribuente, che è il finanziatore dei partiti, non può esercitare alcun controllo. Non vi sono regole di trasparenza e di legittimità democratica per l’incasso dei fondi. Non vi sono controlli sui rendiconti e sulle formalità di approvazione dei bilanci dei partiti e sulla destinazione dei fondi erogati. Esiste persino il pericolo di un uso personale dei rimborsi. Questa eventualità, però, sarebbe così moralmente inammissibile da doverci necessariamente chiedere se l’uso privato sia previsto come reato e se ci siano norme di prevenzione che il Parlamento possa attuare. E’già così sconfortante dover concorrere, come contribuenti, a finanziare l’attività di alcuni politici!
Vito Schepisi

20 maggio 2009

Puntuale come un orologio svizzero

“Se Atene piange, Sparta non ride”. Il richiamo alla locuzione, con cui sembra che Epaminonda abbia sintetizzato le guerre di logoramento nel Peloponneso tra le due città della Grecia, ci riporta alle valutazioni degli storici nello stabilire che tra Atene e Sparta a vincere furono prima Tebe e poi i macedoni.
Una premessa che torna utile a tutti, perché gli stessi signori che oggi sembrano sorridere sono quelli che stanno ancora piangendo a tutto vantaggio dello sgrammaticato molisano che, nonostante la sciagurata condotta del figlio e la gestione autoritaria e troppo personale del suo partito, resta radicato nel suo forsennato giustizialismo a togliere voti al PD.
Il Partito di Franceschini, intento tra gli altri a strumentalizzare la cronaca giudiziaria, rende un pessimo servizio alle istituzioni ed alla democrazia, favorendo l’antipolitica violenta e massimalista su cui lo stesso ex magistrato, colpevolmente, soffia sul fuoco. Cavalcare la colpa compromette persino la credibilità del potere giurisdizionale dello Stato, qualora la giustizia nei suoi gradi successivi dovesse smontare un teorema elaborato senza elementi di prova, senza logica giuridica e carente nelle legittime istanze della difesa, e dovesse così emergere un castello costruito sulla sabbia dell’odio politico, con l’aggravante di aggirare le leggi, interpretandole in modo fantasioso.
Questa contabilità, tra colpe e delegittimazioni, tra pregiudizi e teoremi ideologici, non ci piace, ma citarla torna utile per comprendere quanta ipocrisia ci sia da parte di coloro che nel confronto politico optano per lo scontro e che ritengono, come tante statue di bronzo, di poter far la morale al prossimo, cercando in casa d’altri scheletri che forse non ci sono, e sorvolando, invece, sul cimitero di vittime dell’onestà politica e della correttezza amministrativa che invece è ben visibile nelle regioni, nelle province e nei comuni d’Italia amministrati dalla sinistra.
Si avverte la sensazione di un susseguirsi continuo di colpi di scena che servano solo a riempire il vuoto politico dell’opposizione. La questione della signora Berlusconi, quella della giovane Noemi - su cui prima la politica e poi i media, anche stranieri, si stanno sbizzarrendo in modo indecoroso e volgare - la questione dei respingimenti dei barconi degli immigrati - unitamente al varo alla Camera del decreto sicurezza - ed ora la condanna di Mills, vengono utilizzati dall’opposizione solo per nascondere i successi del governo e l’assoluto vuoto propositivo di Franceschini e compagni.
Il PD le prova tutte per limitare i danni della condanna popolare: quella del voto. Il giudizio degli elettori, però, avrà un valore di gran lunga superiore a quello di primo grado di un giudice verso un’interposta persona, Mills, rendendolo così ancora più ingiusto ed inquietante. Una condanna preannunciata con grande anticipo ed ottenuta dopo aver stravolto persino i criteri della decorrenza dei tempi, con l’assurdo principio che un reato di corruzione si concretizza non la momento della corruzione stessa, ma al momento dell’utilizzo della somma versata. Una sentenza di colpevolezza che ha ignorato la mancanza assoluta di prove, che ha ignorato le motivazioni della presunta corruzione e respinto tutte le verifiche richieste dalla difesa.
Avremmo gradito un’opposizione più matura, attenta al rispetto delle regole e della democrazia, un’opposizione vigile verso i diritti della difesa e la linearità interpretativa delle leggi, invece di trovarla sulla stessa lunghezza d’onda di un ex magistrato noto, al contrario, per la sua interpretazione piuttosto sbrigativa delle fasi requisitorie nei procedimenti giudiziari e per i suoi eccessi, sia verbali che psicologici, nelle fasi inquisitorie. Questa logora opposizione, invece, ha come unico scopo il logoramento della maggioranza che lavora per il Paese.
C’è una puntualità disarmante nei tempi della Giustizia italiana. Il leader del partito opposto alla sinistra, nelle fasi politiche più importanti della storia d’Italia, viene a trovarsi sempre coinvolto in questioni giudiziarie, rivelatesi poi sempre infondate ed eccessive.
Berlusconi ne è uscito sempre indenne, anche se infangato dalla quantità di letteratura giudiziaria fatta di gravissime accuse. In questa grossa mole di fatti giudiziari affondano invece le mani i “gazzettini” parlanti delle procure, per scrivere libri ed articoli fatti passare per verità rivelate, anche se sono puntualmente smentite dalle verità processuali, e si avvantaggia l’antipolitica senza proposte, capeggiata da uomini senza idee e soprattutto senza scrupoli.
Vito Schepisi

11 maggio 2009

Multietnico perchè?

Soffermarsi sulla differenza che c’è tra una società multiculturale ed una realtà multietnica può essere un esercizio di grande interesse, non soltanto per comprendere le ragioni per le quali sia sempre opportuno fare una scelta di civiltà, ma anche per scoprire i tentativi di confondere le vere dimensioni delle questioni e le strumentalizzazioni che se ne fanno.
La cultura è di per se un ventaglio di tante espressioni. Riflette la molteplicità delle sensazioni, i gusti e le diverse emozioni. La cultura è fantasia, storia, pensiero, arte e poesia e si diffonde attraverso la conoscenza, la formazione, i luoghi, le terre e la storia. E’ l’amore per la ragione, il narcisismo della ricerca di una traccia da lasciare alle generazioni future, è il riporto della riflessione sui modi del tempo, è il piacere di esprimersi, è la tracciabilità di un insieme di fatti, di circostanze, e di sentimenti degli uomini. La cultura è un moto perpetuo di opinioni, riflessioni, arricchimenti e ricerche, dove solo voler parlare d’orientamento univoco è di per se un ostacolo alla crescita ed alla comprensione.
Come fa una società civile, forgiata da esperienze di scienza, di religione, d’arte, pensiero e letteratura a non doversi, necessariamente, definire d’orientamento multiculturale? Come si farebbe a rifiutare il confronto solo per diverse provenienze, o solo per un modo diverso di sentire la propria spiritualità? E’ così ozioso usare il termine multiculturale come arma d’offesa o di divisione politica! Usarlo come motivo di discrimine non ha affatto senso!
Multiculturale è una parola che è usata spesso a sproposito e che serve solo a dar sostanza ad un vizio costante di ricercare motivazioni antropologiche di contrapposizione nel confronto delle opinioni. Un liberale, un socialista, un popolare vivono le stesse realtà quotidiane. Hanno avuto, spesso, gli stessi percorsi formativi e nascono anche dalle stesse famiglie. E’ l’identica presunzione della ventilata superiorità culturale della sinistra, laddove per cultura si fa la somma dei titoli di studio, dei premi letterari e dei ruoli ricoperti nelle caste.
Accade in Italia che siano poste queste differenze “antropologiche” nei giudizi sulle cose, come accade che dinanzi ad un delitto efferato se ne voglia trarre un motivo di discriminazione (clima razzista, nazista), ovvero lo si voglia comprendere in un atto provocato da una pretesa responsabilità altrui, come per una degradata condizione sociale e/o umana.
Ci sono modi nel confronto politico che emergono ripetutamente e che lasciano perplessi e sono sostanzialmente idioti.
Diverso, invece, è parlare di società multietnica. Ogni società occidentale oggi è in parte multietnica, perché in quasi tutti i Paesi dell’occidente esistono comunità provenienti da diverse parti del mondo. Il problema è nel significato che si vuole attribuire al termine o ancor più nell’implicazione di un ipotetico obiettivo diverso. Alcuni sottendono il proposito della trasformazione del modello sociale che è riferimento preciso di una cultura di provenienza. Niente più e niente meno, in sostanza, del disegno d’uomini come Ahdaminejad che si votano alla missione della trasformazione in caos della società occidentale infedele, corrotta e dominata da satana.
La trasformazione richiesta, in multietnica, se fa presupporre che sia necessario modificare gli usi e le tradizioni del Paese, è qualcosa di diverso dalla necessaria comprensione per gli usi e le tradizioni differenti di uomini che vengono da terre diverse. Nessuna volontà di assimilare o vietare, purché si stabilisca che le nostre città rimangano le stesse comunità urbane che si sono andate a formare nei secoli, e forse nei millenni, intorno a valori fondanti che ne hanno costituito il nucleo di origine.
Se per multietnico, invece, si voglia modificare l’insieme delle ragioni che uniscono le comunità urbane, allora sì che cambiano le cose. Per induzione è facile ritenere che nessuna comunità italiana sia disposta a modificare le fondamenta della sua civiltà e, sempre per induzione si pensa che neanche gli immigrati, che già hanno difficoltà ad integrarsi con i costumi e la nostra civiltà emancipata, ritengono possibile, qualora lo si imponesse, di dover modificare il proprio costume di vita ed il proprio modo di pensare. Non è peccaminoso immaginare di voler continuare a vivere in una società che resti integralmente italiana, in cui gli immigrati siano rispettati perchè rispettano i nostri valori e le nostre leggi.
Vito Schepisi

07 maggio 2009

Il Segretario del PD fa l'estremista

Non si capisce dove sia la strumentalizzazione della paura che Franceschini stigmatizza nel valutare la volontà della maggioranza di varare attraverso la fiducia il decreto sicurezza. Sono eccessive le parole del segretario del PD: ''non e' moralmente giusto strumentalizzare la paura e tornare alle leggi razziali 60 anni dopo''. Vanno ben oltre la durezza di una rigida opposizione.
Tutta la campagna elettorale dello scorso anno è stata condotta da PD e Pdl + Lega avendo fra i temi centrali del confronto la sicurezza. Ora è un dovere della parte politica scelta dall’elettorato mantener fede al patto con gli elettori. L’attività parlamentare benché prevista dalla Costituzione senza vincoli di mandato, è sempre legata al dovere morale di corrispondere alla volontà degli elettori che col voto hanno conferito l’incarico.
La fiducia parlamentare chiesta dal Governo è una scelta di prudenza, ma anche di coerenza. Il venir meno di una parte importante del programma del centrodestra motiverebbe la presunzione della dissociazione della maggioranza dall’esecutivo e dovrebbe richiamare una doverosa presa d’atto del Consiglio dei Ministri. Esiste pertanto la volontà del Governo di evitare che con il voto segreto emergano alcune forme di risentimento, più metodico che politico, tra settori del Pdl e la Lega, frizioni che riguardano questioni del tutto differenti dal contenuto del decreto sicurezza. Il governo se ne deve far carico per senso di responsabilità verso il Paese, e lo fa nel porre la fiducia su di un capitolo importante e centrale del suo programma elettorale. E’ persino ineccepibile che lo faccia perché mette sul tavolo la sua legittimità a governare
L’immigrazione clandestina è una piaga per tutto il Paese ed è un tema su cui le preoccupazioni dei cittadini sono trasversali rispetto al sentire politico. Esasperare i toni non serve se non a far sorgere davvero il pericolo di pericolose derive. E’ del tutto fuori luogo ed immotivato il riferimento del segretario del PD alle leggi razziali. Solo una persona irresponsabile può richiamarsi a simili e così vergognosi episodi della storia del Paese. Franceschini di queste responsabilità storiche avrebbe dovuto chieder conto ai molti uomini della sinistra che le leggi razziali le hanno approvate ed esaltate durante il ventennio, e non ad un Governo che assolve con correttezza il compito di tener fede ai suoi impegni e si adegua a garantire il massimo della comprensione e della tolleranza.
Le accuse su queste questioni sono come boomerang che rischiano di ritorcersi contro la civiltà di un paese che deve garantire ai suoi ospiti tutti gli strumenti disponibili del suo sistema di sicurezza sociale, economica, sanitaria e politica. Gli extracomunitari regolari potranno e dovranno essere parte dei cittadini italiani di domani e comunque genitori di bambini con tutti i diritti civili della popolazione nata in Italia. Lanciare al Governo l’accusa di varare provvedimenti propedeutici alle leggi razziali è assolutamente da irresponsabili.
Bisognerebbe parlare di integrazione e parlare di diritti, ma tutti sanno che la chiave per iniziare a discutere del futuro degli immigrati in Italia è riposta nel rispetto delle nostre leggi e soprattutto nella sicurezza che i flussi di ingresso nel Paese siano regolari e controllati. L’abusivismo è sempre un reato. Lo è per i nostri connazionali, quando violano le leggi, e diverrebbe difficile non comprenderlo per coloro che entrano clandestinamente nel territorio nazionale.L’Italia, come tutti i paesi industrializzati, attraversa una pesante crisi che si riflette sull’occupazione. Anche le attività che una volta i nostri connazionali stentavano a prendere in considerazione, creando ampi spazi di lavoro per gli immigrati, in mancanza di lavoro, vengono adempiute dai nostri connazionali. In agricoltura e nelle imprese stanno perdendo il posto immigrati regolarizzati perché la produzione è ferma per mancanza della domanda. Si vende sempre meno, o non si vende per nulla. Anche il piano casa attende stancamente i tempi burocratici e qualche ostruzionismo delle regioni, e ritarda il rilancio delle attività produttive e la circolazione del danaro, dei salari e dei consumi. Sospendere i flussi dell’immigrazione clandestina diviene un’esigenza che va oltre le questioni della sicurezza. Un’opposizione seria che si vanta di rappresentare i ceti meno garantiti dovrebbe prenderne atto. Franceschini, invece, fa l’estremista in un gioco immorale contro il Paese, ed in sbracciata concorrenza all’estremismo di Di Pietro.
Vito Schepisi su Il Legno Storto

05 maggio 2009

Il Referendum e le geometrie vriabili

L’annuncio di Calderoli della Lega di voler predisporre una nuova legge elettorale da presentare in Parlamento, per raccogliere i voti di chi tra i partiti rappresentati vorrà sostenerla, riapre i giochi della politica dei misteri e delle geometrie variabili. Conosciamo questo gioco nelle sue regole elementari. Per la sinistra, secondo la tradizione post comunista, sono criminali, rozzi, brutti e cretini tutti coloro che si pongono di mezzo ai loro progetti, mentre diventano bravi, lucidi, intelligenti ed onesti coloro che invece contribuiscono al raggiungimento dei loro obiettivi.
Il fine è, e resta sempre quello, il potere. Per raggiungerlo va bene tutto, anche allearsi con coloro che un minuto prima hanno definito razzisti e xenofobi. Le geometrie variabili fanno si che non esista una maggioranza strategica, ma una che si formi a secondo delle opportunità, specie se la sinistra nel complesso è minoranza. Chi ci casca, però, nello stesso modo in cui è accettato, dopo l’utilizzo, come un vuoto a perdere, viene subito scaricato.
Questa volta l’attenzione del PD verso la Lega non è rimasta solo un intimo e contorto pensiero dei suoi leader. Si è subito concretizzata in un segnale preciso su come scavalcare l’eventuale esito positivo del referendum del 21 giugno. Si è materializzata in un calcolo aritmetico di Franceschini nel ricordare al premier che il Pdl ha soltanto 271 deputati su 630, non la maggioranza assoluta, e che in Parlamento ci sarebbe una maggioranza diversa per una nuova legge elettorale. Se Udc, Lega, Idv e PD concordassero una nuova legge, l’eventuale esito positivo del referendum verrebbe annullato. Franceschini, però, continua a sostenere il voto favorevole del PD al quesito referendario.
La chiarezza è così labile, rispetto alla confusione del segretario PD, da porre a tanti più di un problema di comprensione.
Dalle contraddizioni di Franceschini emerge immutabile l’unica strategia di questa sinistra, benché perdente, di voler considerare Berlusconi il problema, il solo. A nessuno sembra interessare della coerenza, del Paese e delle difficoltà. Nel PD c’è indifferenza per la crisi economica, per i disastri naturali, per la logica, per i numeri, per la volontà degli elettori, per la popolarità di un Presidente impegnato a trarre l’Italia fuori dalla crisi. Al PD oggi interessa più il gossip e l’intrigo, domani troverà forse un altro spunto polemico. Franceschini ed i suoi compagni di strada sanno solo creare confusione, come se le soluzioni ai problemi fossero quelle di crearne altri.
Si aveva la sensazione che bastasse un parere favorevole o un’iniziativa del Cavaliere per vedere il PD e Franceschini schierarsi a muso duro dall’altra parte, ma, ora che Berlusconi ha annunciato il suo voto favorevole al referendum, Franceschini ha cambiato tattica. Non lo contraddice. Conferma il suo parere favorevole. Si mostra, però, pronto a schierarsi con la Lega e con gli altri partiti minori per mutare la legge. Sono i misteri della politica!
Ma questo referendum, se poi si vuole cambiare la legge, perché lo si deve necessariamente fare? Non si poteva cambiare la legge prima, ed evitare di spendere soldi inutili per celebrarlo? Ma – ed è la domanda più misteriosa - Franceschini perché dice di volere modificare la legge elettorale, sostenendo il si al referendum, e poi si dispone a volerne cambiare l’esito attraverso una legge del Parlamento? E’ un mistero anche questo!
L’esito del referendum spaventa più di un partito, ma l’unica formazione politica ad uscire allo scoperto è stata la Lega: ha chiesto ed ottenuto di evitare di far coincidere la data del 7 giugno, per scongiurare la certezza del quorum; minaccia la crisi di governo, in caso di esito favorevole e senza l’impegno del Pdl a mutare la legge.
Franceschini gli tiene la corda, nascondendosi. La rottura della Lega col Pdl, con 15 punti percentuali di differenza dal partito di Berlusconi, sarebbe già un grosso risultato per un PD in profonda crisi e senza strategie di riferimento per una proposta politica di governo.
Invece di minacciare crisi di governo, impopolari e forse inutili, la Lega dovrebbe mutare la sua alleanza con il Pdl, da tattica a strategica. Il Popolo delle Libertà, forte del 40% elettorale, non può rinunciare al suo ruolo di responsabile riferimento nella conduzione politica del Paese, dalle Alpi alla Sicilia, per sottostare alle pressioni di chi stringe alleanze politiche per tatticismo, senza la pronuncia di un comune sentire di orientamento politico e di obiettivi.

04 maggio 2009

I fatti privati e la stampa

Le notizie dei fatti personali della signora Veronica Lario prendono la scena dei media, oscurando fatti di grande rilevanza in campo politico, finanziario ed industriale. E’ la seconda volta, dopo quella già scoppiata alla vigilia delle politiche del 2006, che vengono diffuse notizie sulla crisi nei rapporti tra il Presidente del Consiglio e la sua signora.
Questa volta, come l’altra, non sono le riviste di gossip ad occuparsene, ma i quotidiani di informazione più diffusi. Tra questi spiccano quelle gazzette già impegnate in campagne di stampa contro il leader del Pdl che durano 365 giorni in un anno.
Alle indiscrezioni sui rapporti privati della coppia c’è stato un prologo politico. Era da tempo che il PD e Di Pietro accusavano il Pdl di voler candidare per le prossime europee un esercito di ragazze di spettacolo, definite “veline”. Sostenevano che il Pdl volesse privilegiare le sembianze fisiche alla qualità e che l’occasione elettorale servisse a compensare i buoni servigi che un gruppo di belle ragazze avevano reso e rendevano a Berlusconi. Per l’opposizione le “veline” dovevano essere un gruppo di donnine, comandate da una regia, come soggetti di fiction, ed asservite al Mecenate. Un nugolo di belle ragazze ubbidienti e capaci di mantenere la scena. Le preoccupazioni di Franceschini e Di Pietro, però, nei fatti si sono rivelate solo fantasiose.
In questo clima di interessata moralizzazione e mentre è in corso la campagna elettorale fatta anche di piccoli flash di popolarità, come le apparizione a sorpresa in pubblico del premier, come quella in discoteca a Napoli, che si innesta il colpo di scena della signora Veronica.
Una scena di risentimento per l’offesa alla dignità di donna e di madre accende ancora una volta, in tornata elettorale, un dibattito falsato dalle frivolezze del gossip. L’attenzione che passa dal confronto politico ai fatti privati, la cui conoscenza e risonanza, con tutto il rispetto per i protagonisti, non ce ne può importar di meno, non può non destare sospetti.
E’ strano che in un confronto politico che ha visto momenti di grande interesse l’attenzione sia stata spostata sulla richiesta di divorzio della signora Berlusconi.
Con la novità di un Paese che sostituiva, alla retorica sui valori della liberazione e della resistenza, una più ampia definizione d’immagine dell’evento storico che ha liberato l’Italia dal regime fascista e dal gioco nazista, e con la celebrazione del primo maggio come festa di tutti i lavoratori e non solo di quelli marxisti, l’attenzione viene invece spostata sul commento velenoso della signora Lario che definisce “ciarpame” un mondo che anche lei molti anni fa ha conosciuto e frequentato.
E’ lecito chiedersi se non sia stata così falsata la solennità del momento storico che ha seppellito anni di odio e di intolleranza e che ha respinto la presunzione di una parte politica di impadronirsi di un periodo della storia?
Sono cadute le contraddizioni, le incomprensioni ed il silenzio delle molte viltà. È stato accantonato il rancore per il sospetto che in Italia sul finire della guerra sia stata condotta una doppia lotta: per la liberazione dal regime fascista e per l’occupazione da parte di quello comunista, con la regia di Togliatti. E’ un fatto politico rilevante! E ci si ritrova, invece, a parlare della signora Lario?
E’ emersa l’attenzione al pluralismo delle forze in campo (liberali, cattolici, socialisti, azionisti oltre che marxisti) e si è richiamato l’onore ed il rispetto di tutti, anche di coloro che, sbagliando, sono stati dall’altra parte in buona fede, com’è giusto che un popolo civile faccia e riconosca. Le parole del Presidente della Repubblica e del Presidente del Consiglio hanno ridato dignità e condivisione all’evento storico più importante della nostra democrazia e rigenerato i motivi della commemorazione del 25 aprile. Berlusconi l’ha fatto nella cornice del territorio nazionale devastato dal terremoto, per ricostituire con più forza le ragioni dell’unità nazionale.
Che ha a che fare il fallimento del matrimonio tra il premier e la sua signora, con la Storia d’Italia?
Nel momento in cui l’industria italiana ha grande rilevanza, con la Fiat chiamata negli Usa a fornire tecnologia italiana per risolvere la crisi del colosso Chrysler, con i sindacati USA che accettano tagli ai salari e concedono una tregua sindacale fino al 2015 (la Cgil non lo farebbe neanche fino a fine mese) e sempre con la Fiat impegnata in Germania per l’acquisizione di una fetta di Opel, la stampa è impegnata invece a porre l’attenzione del Paese sul gossip:
ma non è questo il “ciarpame”?
Vito Schepisi