L’annuncio di Calderoli della Lega di voler predisporre una nuova legge elettorale da presentare in Parlamento, per raccogliere i voti di chi tra i partiti rappresentati vorrà sostenerla, riapre i giochi della politica dei misteri e delle geometrie variabili. Conosciamo questo gioco nelle sue regole elementari. Per la sinistra, secondo la tradizione post comunista, sono criminali, rozzi, brutti e cretini tutti coloro che si pongono di mezzo ai loro progetti, mentre diventano bravi, lucidi, intelligenti ed onesti coloro che invece contribuiscono al raggiungimento dei loro obiettivi.
Il fine è, e resta sempre quello, il potere. Per raggiungerlo va bene tutto, anche allearsi con coloro che un minuto prima hanno definito razzisti e xenofobi. Le geometrie variabili fanno si che non esista una maggioranza strategica, ma una che si formi a secondo delle opportunità, specie se la sinistra nel complesso è minoranza. Chi ci casca, però, nello stesso modo in cui è accettato, dopo l’utilizzo, come un vuoto a perdere, viene subito scaricato.
Questa volta l’attenzione del PD verso la Lega non è rimasta solo un intimo e contorto pensiero dei suoi leader. Si è subito concretizzata in un segnale preciso su come scavalcare l’eventuale esito positivo del referendum del 21 giugno. Si è materializzata in un calcolo aritmetico di Franceschini nel ricordare al premier che il Pdl ha soltanto 271 deputati su 630, non la maggioranza assoluta, e che in Parlamento ci sarebbe una maggioranza diversa per una nuova legge elettorale. Se Udc, Lega, Idv e PD concordassero una nuova legge, l’eventuale esito positivo del referendum verrebbe annullato. Franceschini, però, continua a sostenere il voto favorevole del PD al quesito referendario.
La chiarezza è così labile, rispetto alla confusione del segretario PD, da porre a tanti più di un problema di comprensione.
Dalle contraddizioni di Franceschini emerge immutabile l’unica strategia di questa sinistra, benché perdente, di voler considerare Berlusconi il problema, il solo. A nessuno sembra interessare della coerenza, del Paese e delle difficoltà. Nel PD c’è indifferenza per la crisi economica, per i disastri naturali, per la logica, per i numeri, per la volontà degli elettori, per la popolarità di un Presidente impegnato a trarre l’Italia fuori dalla crisi. Al PD oggi interessa più il gossip e l’intrigo, domani troverà forse un altro spunto polemico. Franceschini ed i suoi compagni di strada sanno solo creare confusione, come se le soluzioni ai problemi fossero quelle di crearne altri.
Si aveva la sensazione che bastasse un parere favorevole o un’iniziativa del Cavaliere per vedere il PD e Franceschini schierarsi a muso duro dall’altra parte, ma, ora che Berlusconi ha annunciato il suo voto favorevole al referendum, Franceschini ha cambiato tattica. Non lo contraddice. Conferma il suo parere favorevole. Si mostra, però, pronto a schierarsi con la Lega e con gli altri partiti minori per mutare la legge. Sono i misteri della politica!
Ma questo referendum, se poi si vuole cambiare la legge, perché lo si deve necessariamente fare? Non si poteva cambiare la legge prima, ed evitare di spendere soldi inutili per celebrarlo? Ma – ed è la domanda più misteriosa - Franceschini perché dice di volere modificare la legge elettorale, sostenendo il si al referendum, e poi si dispone a volerne cambiare l’esito attraverso una legge del Parlamento? E’ un mistero anche questo!
L’esito del referendum spaventa più di un partito, ma l’unica formazione politica ad uscire allo scoperto è stata la Lega: ha chiesto ed ottenuto di evitare di far coincidere la data del 7 giugno, per scongiurare la certezza del quorum; minaccia la crisi di governo, in caso di esito favorevole e senza l’impegno del Pdl a mutare la legge.
Franceschini gli tiene la corda, nascondendosi. La rottura della Lega col Pdl, con 15 punti percentuali di differenza dal partito di Berlusconi, sarebbe già un grosso risultato per un PD in profonda crisi e senza strategie di riferimento per una proposta politica di governo.
Invece di minacciare crisi di governo, impopolari e forse inutili, la Lega dovrebbe mutare la sua alleanza con il Pdl, da tattica a strategica. Il Popolo delle Libertà, forte del 40% elettorale, non può rinunciare al suo ruolo di responsabile riferimento nella conduzione politica del Paese, dalle Alpi alla Sicilia, per sottostare alle pressioni di chi stringe alleanze politiche per tatticismo, senza la pronuncia di un comune sentire di orientamento politico e di obiettivi.
Il fine è, e resta sempre quello, il potere. Per raggiungerlo va bene tutto, anche allearsi con coloro che un minuto prima hanno definito razzisti e xenofobi. Le geometrie variabili fanno si che non esista una maggioranza strategica, ma una che si formi a secondo delle opportunità, specie se la sinistra nel complesso è minoranza. Chi ci casca, però, nello stesso modo in cui è accettato, dopo l’utilizzo, come un vuoto a perdere, viene subito scaricato.
Questa volta l’attenzione del PD verso la Lega non è rimasta solo un intimo e contorto pensiero dei suoi leader. Si è subito concretizzata in un segnale preciso su come scavalcare l’eventuale esito positivo del referendum del 21 giugno. Si è materializzata in un calcolo aritmetico di Franceschini nel ricordare al premier che il Pdl ha soltanto 271 deputati su 630, non la maggioranza assoluta, e che in Parlamento ci sarebbe una maggioranza diversa per una nuova legge elettorale. Se Udc, Lega, Idv e PD concordassero una nuova legge, l’eventuale esito positivo del referendum verrebbe annullato. Franceschini, però, continua a sostenere il voto favorevole del PD al quesito referendario.
La chiarezza è così labile, rispetto alla confusione del segretario PD, da porre a tanti più di un problema di comprensione.
Dalle contraddizioni di Franceschini emerge immutabile l’unica strategia di questa sinistra, benché perdente, di voler considerare Berlusconi il problema, il solo. A nessuno sembra interessare della coerenza, del Paese e delle difficoltà. Nel PD c’è indifferenza per la crisi economica, per i disastri naturali, per la logica, per i numeri, per la volontà degli elettori, per la popolarità di un Presidente impegnato a trarre l’Italia fuori dalla crisi. Al PD oggi interessa più il gossip e l’intrigo, domani troverà forse un altro spunto polemico. Franceschini ed i suoi compagni di strada sanno solo creare confusione, come se le soluzioni ai problemi fossero quelle di crearne altri.
Si aveva la sensazione che bastasse un parere favorevole o un’iniziativa del Cavaliere per vedere il PD e Franceschini schierarsi a muso duro dall’altra parte, ma, ora che Berlusconi ha annunciato il suo voto favorevole al referendum, Franceschini ha cambiato tattica. Non lo contraddice. Conferma il suo parere favorevole. Si mostra, però, pronto a schierarsi con la Lega e con gli altri partiti minori per mutare la legge. Sono i misteri della politica!
Ma questo referendum, se poi si vuole cambiare la legge, perché lo si deve necessariamente fare? Non si poteva cambiare la legge prima, ed evitare di spendere soldi inutili per celebrarlo? Ma – ed è la domanda più misteriosa - Franceschini perché dice di volere modificare la legge elettorale, sostenendo il si al referendum, e poi si dispone a volerne cambiare l’esito attraverso una legge del Parlamento? E’ un mistero anche questo!
L’esito del referendum spaventa più di un partito, ma l’unica formazione politica ad uscire allo scoperto è stata la Lega: ha chiesto ed ottenuto di evitare di far coincidere la data del 7 giugno, per scongiurare la certezza del quorum; minaccia la crisi di governo, in caso di esito favorevole e senza l’impegno del Pdl a mutare la legge.
Franceschini gli tiene la corda, nascondendosi. La rottura della Lega col Pdl, con 15 punti percentuali di differenza dal partito di Berlusconi, sarebbe già un grosso risultato per un PD in profonda crisi e senza strategie di riferimento per una proposta politica di governo.
Invece di minacciare crisi di governo, impopolari e forse inutili, la Lega dovrebbe mutare la sua alleanza con il Pdl, da tattica a strategica. Il Popolo delle Libertà, forte del 40% elettorale, non può rinunciare al suo ruolo di responsabile riferimento nella conduzione politica del Paese, dalle Alpi alla Sicilia, per sottostare alle pressioni di chi stringe alleanze politiche per tatticismo, senza la pronuncia di un comune sentire di orientamento politico e di obiettivi.
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