28 settembre 2013

Letta ha stabilito che per salvare il PD debba pagare l'Italia



Ciò che è grave è che il Presidente Letta, complice il PD, dinanzi ad una scelta del Pdl - politica, legittima e responsabile - di protesta verso la sinistra intollerante che mira a liberarsi dell'avversario politico, barricandosi dietro una sentenza che lascia perplessi, si vendica penalizzando il Paese.
Come se in Italia si debba sempre subire in silenzio, come se la democrazia non debba consentire a ciascuno di dissentire nei modi, urbani, che più ritiene opportuni e che siano proporzionati all'offesa subita. Dimettersi dal Parlamento è un atto di grande rilevanza politica. E’ il termometro di un disagio. Deve far riflettere. E’ da intendere come la misura estrema contro la prepotenza.
Ci sono i margini politici e procedurali per ragionare sulla decadenza di Berlusconi, invece si preme in modo sbrigativo per farlo fuori. E’ già pronto e schierato il plotone di esecuzione che aspetta di mettere in atto la sentenza di condanna a morte della democrazia. In Italia siamo ai limiti, se non si sono già superati, della tolleranza democratica. Il Presidente Napolitano, invece di lasciarsi prendere dall’ingiustificata indignazione, rifletta.
C'è sete di vendetta, in un clima di odio che neanche "le grandi intese", nell'interesse della Nazione, hanno minimamente scalfito.
Non si può non osservare che ciò che si vede da noi accade solo nei paesi totalitari. La magistratura, ad esempio, che, invece d’essere al di sopra delle parti, gioca in un campo dell'arena politica, la legge che non è uguale per tutti, la ragione che si riversa contro la tradizione e la civiltà dei sentimenti e dell'organizzazione sociale di un modello che si è sempre salvato dalle orde barbariche e dai totalitarismi degli uomini e delle ideologie, la stessa democrazia degli uomini liberi che si pretende debba sottostare alla pressione mediatica ed al popolo del web.
Sono tutti sordi e tutti rivolti verso l’obiettivo di far fuori chi da 20 anni mette in discussione lo strapotere della sinistra e dei suoi complici in Italia, nonostante che giuristi e costituzionalisti, persino di area di sinistra e del PD, ritengano ingiustificata tanta fretta e tanto sbrigativo semplicismo.
Gli italiani temono che, in questo modo, la parte politicizzata della magistratura, si possa liberare di tutti i politici scomodi. Pensano che sia in corso una manovra intimidatoria sottile e pericolosa. I tempi sono quelli che ci vede impegnati, con una richiesta referendaria, a mettere in discussione l’irresponsabilità della magistratura.
La riforma complessiva della corporazione, anche nella coscienza del popolo è diventata, però, improcrastinabile. L’Ordinamento giurisdizionale non può trasformarsi in potere: si deve mettere al servizio del Paese e delle sue leggi, autonomamente e indipendentemente, come previsto dalla Costituzione. Non può sostituirsi a niente e nessuno, perché non ha la legittimità democratica per farlo. Il potere in democrazia è solo del popolo, e il popolo si è espresso nel febbraio di quest’anno, attribuendo 10 milioni di voti, quasi quanti quelli del PD, al partito di Berlusconi.
Dove sono le coscienze democratiche del Paese? Dove sono gli indignati? Che sia pelosa questa coscienza democratica o che sia ipocrita l'indignazione di cui si sente parlare? 
Gli italiani, i giovani, i disoccupati, la gente che perde il lavoro, le famiglie prese a bersaglio da ciò che chiamano il nuovo ed il progresso e che invece è cosa vecchia ed è reazione, sono così serviti da questa sinistra senza pudore: non slitterà l’aumento dell’IVA.
Il nuovo balzello partirà dall'1 ottobre e passerà DAL 21% AL 22%.
Letta irresponsabilmente ha bloccato il decreto nel Consiglio dei Ministri. Una vendetta senza senso, folle, che trascinerà l'Italia in un dramma ancora più serio. Avrà l’effetto di deprimere ulteriormente i consumi. Rallentare il mercato in questo momento è cosa grave per l'economia del Paese, per lo sviluppo, per le famiglie, per l'occupazione e per i giovani.
Solo la sinistra italiana ed il PD potevano arrivare a tanto.
Vito Schepisi

18 settembre 2013

L'anticamera della dittatura


Se Silvio Berlusconi abbia mai pensato che la vittoria elettorale del 2008, con cui il centrodestra prese la maggioranza assoluta alla Camera ed al Senato, gliela avrebbero fatta passare liscia e senza una reazione feroce, alla luce di ciò che poi è accaduto, politicamente e giudiziariamente, è evidente che si sia sbagliato di grosso. 
Persino i tradimenti ricevuti rientrano in una complessa e inquietante strategia di demolizione e di persecuzione. Chi ha tradito ha fatto una misera fine, quella di tutti gli utili idioti, ma era prevedibile: non poteva non essere messa nel conto da chi della politica ne aveva fatto un mestiere. 
Non che la vita privata e imprenditoriale di Berlusconi, con i suoi interessi economici, non fossero già stati, prima del 2008, il bersaglio preferito di truppe d’assalto di magistrati politicizzati, collaterali a quella sinistra post comunista che nel leader del centrodestra vedeva il nemico da abbattere ad ogni costo. Berlusconi dal 1994 è stato, infatti, l’ostacolo insormontabile che si è frapposto, con successo, alla conquista del potere assoluto, come, per inderogabile obiettivo, è stampato nel manuale ideale di ogni buon marxista. 
Le contraddizioni e l’incapacità di coniugare la propaganda con la realtà hanno sempre impedito alla sinistra italiana, camuffata dietro la maschera della democrazia, la continuità nel consenso. La sinistra italiana è rimasta quella di sempre: illiberale, antidemocratica, reazionaria, corrotta, violenta, ipocrita, cinica e falsa. Come lo era ai tempi di Togliatti. 
La necessità di liberarsi del “nemico” rientra nel dna politico e storico dei marxisti-leninisti. Eliminare l’avversario toglie anche il fastidio di dover rispettare le promesse, il popolo e il Paese. 
C’è la convinzione, a sinistra, penso a ragione, che dopo Berlusconi non ci saranno più ostacoli. Se la giocheranno in casa tra chi è più ipocrita e falso tra loro. E con questo PD confuso, idealmente disorientato dalle esibizioni del lessico strumentale dei suoi rocamboleschi personaggi, fra rottamati e rottamatori, smacchiatori e asfaltatori, finiranno con essere rottamati, smacchiati e asfaltati tutti quegli italiani che s’impegnano nel lavoro e che non sono abituati a mendicare niente a nessuno. 
E’ il popolo che pagherà il conto di tutto questo insistente imbroglio sociale d’imprese collassate, di banche saccheggiate, di burocrazia esosa ed asfissiante, di famiglie affamate, di donne e uomini caricati di tasse e privati dei propri diritti, di milioni di giovani disoccupati. I fannulloni, i galoppini sindacali e politici, i ruffiani e gli impostori, gli imbroglioni, i corrotti e le caste degli intoccabili continueranno, invece, indisturbati, a prendersi beffa delle persone per bene. 
Se, all’eliminazione politica di Berlusconi, si unirà anche l’esproprio del suo patrimonio, sarà impartita una lezione tremenda a chi non gorgheggia nel coro. Un monito che non potrà che destare preoccupazione per chiunque ci voglia ancora provare. Chi avrà, infatti, ancora la forza e il coraggio di denunciare le ingiustizie e di battersi contro la nuova barbarie autoritaria? Si pensi allora a quanto possa valere, per la propaganda comunista, questa lezione! Almeno 100 delle loro menzogne. 
Nel silenzio di chi non avrà più voce, la sinistra potrà concludere il suo processo di appiattimento dell’informazione televisiva e cartacea. Come nei regimi più classici, ci sarà chi si occuperà della dispersione e della criminalizzazione del dissenso: avremo un altro servizio pubblico di agenti provocatori che snideranno e denunceranno i “disfattisti”. I “compagni” di provata fede occuperanno tutti i centri decisionali del Paese. Il “Partito” eserciterà il controllo dei vertici delle funzioni di sicurezza dello Stato. Il governo potrà infierire su tutti o su alcuni con tasse e patrimoniali. La sinistra potrà continuare a saccheggiare il Paese, invadendolo con i suoi famelici galoppini, con i fannulloni che vivono sul lavoro degli altri, sindacalizzando le imprese, uniformando l’informazione, disperdendo e criminalizzando il dissenso. 
Ciò che sta succedendo al leader del centrodestra non è che la nuova rappresentazione autoritaria di una trama che già conosciamo, in cui il grottesco si sposa con la viltà e l’indifferenza di tanti. 
Siamo nell’anticamera della nuova dittatura. 
Vito Schepisi

16 settembre 2013

Epifani e Kim Yong



Nei regimi totalitari niente del popolo e dei sudditi è segreto. Persino il capo condomino di un fabbricato ha l'obbligo di origliare e di riferire sulle abitudini e sui sospiri degli inquilini. E’ riservato, invece, l’esercizio incondizionato del potere ed è riservata la conoscenza della realtà sociale ed economica dello Stato.
I regimi illiberali si reggono sul ricatto e sulla discrezionalità degli apparati. Tutto deve essere convergente per l'esercizio indiscusso ed esclusivo del potere. Nei paesi totalitari, nelle dittature militari o in quelle populiste o, ancora, nelle altre emanazioni politico-amministrative di estrazione etica e fondamentalista, c'è l'odio e la repressione per tutto ciò che è plurale: non esiste la libera espressione del pensiero, né l'autonomia della propria coscienza. C’è la necessità dell'omologazione totale del pregiudizio verso gli avversari. Questa componente ideologica è come se fosse la sostanza stessa dell'azione politica e della strategia sociale e culturale del Paese. Si odia il capitalismo piuttosto che il liberalismo, ed i regimi diventano centri di rieducazione e divulgatori dei principi dell’etica e della morale.
In democrazia, invece, soprattutto il giudizio che incide sulla "dignità" delle persone, cioè sulla sua sfera individuale, non può ridursi ad un voto di opportunità politica, quanto, invece, ad una espressione ragionata della propria coscienza. Pensare e dire, come ha fatto Epifani, per il voto in Giunta sulla decadenza di Berlusconi, che il PD, compatto, voterà si alla decadenza del leader del centrodestra lo fa apparire, invece, come un mero voto di opportunità politica.
Ma la Giunta per le immunità schierata come riflesso dei partiti a che serve?
Se non servisse far prevalere la coscienza dei componenti la Giunta, basterebbe far votare i capigruppo con il peso dei propri parlamentari ed il gioco sarebbe già fatto, senza perdere ulteriore tempo e denaro.
Se il Parlamento, però, perdesse, anche formalmente, la sua funzione di rappresentare i cittadini, la nostra non sarebbe più democrazia. Potremmo anche deputare alla magistratura, scalpitante e bramosa di esercitare un potere, il compito di pensare e di agire per tutti! Così diverrebbe anche tutto più evidente. Sarebbe la traduzione visibile di ciò che sta avvenendo oggi in Italia. Ed il regime che si sta instaurando nel nostro, invece di apparire e di dirsi democratico, per onestà intellettuale, sarebbe più visibilmente autoritario e illiberale.
Mi chiedo ancora a cosa valga una Giunta per le immunità il cui Presidente si è espresso prima ancora che fosse stata convocata la Giunta, se non una parvenza di democrazia, ove l’azione democratica sarebbe sola quella di ratificare ciò che già si è stabilito?
Quella del senatore Stefàno è solo una smania di protagonismo, alla "Esposito", o è una forma d’incultura della democrazia?
Nel primo caso, l'Italia alla "Esposito" avrebbe un che di burlesco che non può piacere, anzi sarebbe disgustosa, nel secondo dovremmo incominciare a chiederci se 65 anni di retorica democratica ed antifascista non siano serviti che a reincarnare l'orrore.
Se quello della giunta diventasse un voto politico, con i segretari dei partiti che indicassero la strada da seguire, il ruolo del segretario del PD sarebbe doppiamente ingannevole. Epifani renderebbe visibile la doppia intenzione del PD: liberarsi dello scomodo avversario politico, dopo averci provato per 20 anni - senza riuscirci - e bocciare l'alleanza di governo con il Pdl a guida di un uomo dello stesso PD.
Quando c'è il PD di mezzo la confusione regna sempre sovrana, e se non c'è il saccheggio materiale del Paese, c'è quantomeno il consueto tentativo del saccheggio delle coscienze e della democrazia liberale. E siccome non si fidano dei loro uomini, come accade a tutti i dittatori, ad Epifani piacerebbe il voto palese sulla decadenza di Berlusconi, per potere esercitare il potere di condizionamento del partito sulle coscienze dei suoi senatori.
Come ad un Kim Yong qualsiasi.
Vito Schepisi

11 settembre 2013

Il PD sta facendo di tutto per far cadere il Governo Letta



Il governo Letta è nato tra mille difficoltà. Il Pd con lo 0,3% di voti in più del Pdl alla Camera, in accordo con il Sel di Vendola e con le pattuglie dei principianti allo sbaraglio di Grillo, aveva già occupato tutte le Istituzioni.
Bersani aveva cercato invano, e insistendo, una maggioranza con il M5S, respingendo invece le offerte di disponibilità del Pdl ad una maggioranza dalle larghe intese. L’aggravamento della crisi, innescato dalle misure fiscali di Monti, consigliava, però, di mettere in piedi, con premura e per responsabilità, un governo solido, con una larga maggioranza in Parlamento, per fronteggiare le serie difficoltà del Paese (recessione e disoccupazione).
Trovatosi dinanzi ad una strada chiusa che portava direttamente verso un nuovo test elettorale che l’avrebbe visto perdente, Il PD, dopo oltre due mesi dall’esito elettorale, cedeva, finalmente, alle insistenze del Presidente della Repubblica.
E’ nato così il Governo Letta. Il Capo dello Stato, mostrando più lucidità, nonostante l'età, dei suoi vecchi compagni di partito, aveva indicato il tragitto delle larghe intese, ritenendole, a ragione, più che un percorso politico, una necessità di responsabilità democratica, resa inevitabile dall'esito delle elezioni che avevano visto i due principali protagonisti, PD e Pdl, attestarsi sullo stesso livello di voti, con solo una leggera preferenza per i primi.
Anche in questa fase, con il Paese in difficoltà, gli uomini nel PD avevano continuato a fare solo ciò che hanno sempre mostrato di saper ben fare (sin da quando militavano nella Dc e nel Pci): occupare poltrone. Facendo valere la legge dei numeri, gonfiati dal premio di maggioranza, il PD si allargava nei ministeri, mentre il Pdl si concentrava sugli aspetti programmatici su cui intervenire. Bisognava dare risposte alle domande di crescita e alle difficoltà delle famiglie: il Pdl si batteva così per l'abolizione dell'IMU sulla prima casa e si predisponeva a battersi per lo stop all’aumento dell’IVA. Se il Pdl mostrava coi fatti di credere nella riduzione della pressione fiscale in Italia, per rendere competitive le nostre aziende e per mirare alla crescita ed all’occupazione, il PD si mostrava, invece, impegnato ad ostacolare la riduzione delle tasse e gli alleggerimenti fiscali sulle famiglie, sostituendoli con la consueta retorica sul lavoro o sullo “ius soli” della Kyenge.
Sta ora assumendo precisi contorni politici il muro contro muro, nella Giunta per le elezioni e per le immunità del Senato, sulla decadenza di Berlusconi. Il PD si rifiuta di valutare il ricorso alla Corte Costituzionale, come sarebbe nelle prerogative della Giunta, si rifiuta di attendere l’esito del ricorso in Europea, e tanto meno sembra disposto a discutere sulla pregiudiziale di non retroattività della legge Severino.
Se il PD mostra la volontà di eliminare il suo avversario di sempre, cavalcando una sentenza giudiziaria che ha destato molta sorpresa e tantissimi dubbi, il Pdl e Berlusconi non ci stanno ad assecondare il percorso extra-elettorale e giustizialista del PD. Il Pdl non ci sta a soddisfare la voglia di conquista del potere (assoluto) di quel partito che ha ancora al suo interno, e tra i suoi alleati, gli eredi del comunismo italiano, e che, soprattutto, ancor oggi, non mostra di volersi discostare dai metodi tipici dei regimi totalitari.
Se, sempre il PD, mostra rabbia e vendetta verso chi non gli ha mai consentito di (con)vincere, né ha mai reso possibile, smascherandoli nelle furbizie e nelle ipocrisie, una loro ben precisa gestazione identitaria, nella chiarezza degli ideali e della collocazione politica, il Pdl non ci sta a subire ed a far da comparsa. Se l’identità politica del PD è stata sempre incerta e mutevole, e se lo stesso PD non ha mai avuto una leadership credibile e condivisa da mostrare con orgoglio al Paese, facendo di volta in volta ricorso a leader di apparato, o a consumati gestori del potere economico-finanziario, mandatari e garanti delle caste, il Pdl non ci sta a consentire che la maggioranza di larghe intese a guida PD prosegua, come se niente fosse successo.
Non sarebbe serio, né responsabile, governare fianco a fianco con chi si attiva per la scomparsa politica degli alleati di governo, né con chi non mostra di porsi dubbi e non si fa domande sulla persecuzione giudiziaria di venti anni contro il leader dello schieramento alleato.
Vito Schepisi

05 settembre 2013

I licenziamenti e la corsa degli idioti


I partiti godono di mille privilegi, vivono tra l'altro con i soldi dei contribuenti e non hanno tanti obblighi se non quello di presentare un bilancio alla presidenza delle Camere, ma senza che si possa entrare nel merito, né nella destinazione e né nella congruità delle poste, tanto che c'è stato chi si è comprato alcuni appartamenti e li ha affittati al partito, pagando con i ricavi le rate del mutuo. 
Ma questa è altra storia che da una parte la partitocrazia, vera fabbrica degli impuniti, e dall’altra la magistratura, braccio armato della casta, hanno consentito in modo selettivo.
Per restare impuniti in Italia occorre un requisito essenziale, consigliato a voce, al massimo per telefono: abbaiare contro Berlusconi. 
Il "non ci sto" è riservato solo ai pochissimi personaggi - a cui sono anche stati permessi passati torbidi - che assolvono con conveniente merito il loro meretricio compito. 
Non è consentito, però, né a voce e né per telefono, licenziare un dipendente. 
E' vero che nel nostro Bel Paese ciascuno può fare ciò che crede, purché lo faccia dalla parte giusta, mentre se lo fa dalla parte sbagliata prima o poi gli arrivano guai giudiziari, ed è anche vero che, sempre in Italia, spesso son guai anche per chi non fa niente di male, ma non tace, anzi scrive, denuncia e protesta, ma non bisogna esagerare. 
Sarebbe stato consentito ad un partito licenziare un dipendente per iscritto, motivandone le ragioni, ma non farlo a voce e per telefono. Avrebbero fatto una brutta figura politica, ma con una corretta procedura legale. A voce, però, non ci sarebbe stata traccia: forse così l’hanno pensata. 
Se il partito di Berlusconi, ad esempio, licenziasse un dipendente per telefono la cosa farebbe cadere il mondo. Il leader del centrodestra sarebbe accusato d’essere un padrone freddo e insensibile, abituato all’arroganza e all’abuso, ed il Pdl di tollerare la trasgressione e l’illegalità. L’episodio avrebbe alimentato il clamore, scatenando sentimenti di odio, quantunque non possa essere considerata una vera notizia per un Pdl già ampiamente tratteggiato dalla stampa come un partito di trasgressori della legalità. 
La verità è che tutti i partiti lo sono (trasgressori della legalità) perché i vuoti di legge ed i privilegi di cui godono agevolano gli abusi. Non dovrebbe far notizia, come quella classica della scuola di giornalismo del cane che morde il suo padrone, mentre farebbe invece notizia quella del padrone che morde il suo cane. 
Ma se lo facesse il partito di Epifani, vecchio e duro sindacalista della Cgil, dovrebbe far notizia, dovremmo, invece, trovarci nella seconda ipotesi, in quella del padrone che morde il suo cane. 
Perché invece non la fa? 
Anzi, dovrebbe far notizia due volte: la prima perché il suo partito, il PD, si comporta da datore di lavoro che senza giusta causa, adotta un atto discriminatorio verso un suo dipendente; la seconda perché un partito che si dice dei lavoratori dovrebbe sapere che licenziare a voce, addirittura per telefono, è contro ogni interpretazione delle leggi sul lavoro e non può essere consentito a nessuno. Neanche al PD. Neanche ai prepotenti e agli amici dei media e dei giudici. 
Ma del PD oramai non ci meraviglia più niente. Le contraddizioni sono tante e le domande da porsi altrettante. Non ci meraviglia, pertanto, neanche assistere periodicamente alla sagra nazionale della corsa degli idioti. 
Cosa è questa novità? Ve la spiego. 
A differenza delle sagre strapaesane in cui si organizzano le corse coi sacchi, tra scene buffe e agonismo vero, nella corsa degli idioti è tutto buffo, ed anche l'agonismo è falso. E' come un concorso immediato. C'è la corsa a chi scatta prima. 
Se c'è qualcuno in odore di “santità”, si verifica uno smottamento umano. 
I concorrenti partono in tutte le condizioni in cui si trovano: alcuni ancora con le mutande tra le gambe, perché sorpresi mentre già fornicavano con altri. 
E’ un po’ la filosofia della “cosa” nuova. La storia si ripete sempre. 
In Italia, però, la chiamano diversamente: la chiamano la corsa sul carro del vincitore. Non cambia, però, la sostanza, e soprattutto non cambiano i protagonisti: gli idioti. 
Vito Schepisi

01 settembre 2013

Per Berlusconi hanno già deciso


Se mi fosse consentito dare un Consiglio al Presidente Berlusconi gli direi che, dopo la nomina dei 4 senatori a vita (Napolitano ne avrebbe anche nominati 5, se non ne avesse già fatto la stessa cosa con Monti lo scorso anno), l'intenzione del Presidente Napolitano appare tanto chiara da ravvisare l’opportunità di un suo discorso agli italiani. 
Con un minimo di ragione, non può sfuggire che il modo del Presidente della Repubblica non è previsto dalla nostra Costituzione, che è un abuso di potere, che non è democratico e che è in stridente contrasto con il rispetto della sovranità popolare.
Un brutto e autoritario atto di forza. Un’azione volgare per l'esercizio arrogante di un potere che, da essere previsto come garanzia e rappresentanza dell’unità nazionale, viene, invece, usato per modificare, se non per sovvertire, le regole della democrazia.
Un atto del tutto simile, anche se visto in contesti differenti, all'impeto che il medesimo Napolitano aveva mostrato nel chiedere nel 1956 la repressione dei rivoluzionari ungheresi che reclamavano l'indipendenza e la libertà e che venivano invece massacrati dall'esercito di Nikita (ha ispirato il nome di Vendola) Kruscev, erede di Stalin.
Ma è mai credibile che un uomo autoritario e violento possa diventare un uomo democratico e tollerante?
Il Capo dello Stato ha deciso da che parte stare. L’ha deciso da tempo. Nessuna meraviglia, perché è la stessa parte che l’ha scelto per il Quirinale.
Berlusconi possiede i mezzi e la forza per denunciare la congiura a suo danno. Tanto più ora che ha le prove che di congiura si tratta. La congiura di Palazzo non è prevista da nessuna democrazia liberale: è antidemocratica a prescindere dalle idee e dalle convinzioni che ciascun italiano ha maturato sul Cavaliere, sulla sua vita privata e sui suoi rapporti con la legalità.
Berlusconi, finché gli sarà consentito di farlo, usi i suoi diritti di libertà di parola, e se la giustizia italiana non è ritenuta credibile, come è evidente, si difenda dinanzi al Paese, denunciando la congiura a suo danno e sveli a tutti ciò che sa, compresi i ricatti, le intercettazioni telefoniche sulla sua vita privata e tenute nei cassetti e pronte ad essere usate, sveli le magagne degli impuniti d'Italia, gli abusi ed i privilegi di casta, gli intrighi, le ipocrisie e le falsità. Dica tutto ciò che sa e di tutti.
Al Cavaliere non mancano i mezzi e la capacità di farlo, e avrebbe anche il diritto di farlo parlando a nome e per conto di 10 milioni di elettori e di un terzo del corpo elettorale.
Sperare che la commissione sulle immunità del Senato, presieduta da Stefàno, che ha già anticipato le sue “conclusioni”, abbia intenzione di guardare le cose in modo imparziale è un’illusione. Anche Epifani è stato chiarissimo. Aspettare è del tutto inutile. Hanno già deciso la sua sorte. Sono anni che il popolo di sinistra sta aspettando questo momento.
Dopo la conferenza di Berlusconi agli italiani, che suggerisco, i ministri del Pdl presentino le dimissioni dal Governo, motivate dall’inagibilità politica del Partito che li ha espressi, garantendo al Governo il sostegno esterno e solo per i tempi necessari per consentire l'iter parlamentare per la conversione del decreto sull'IMU, per evitare l’aumento dell’IVA e per gli eventuali provvedimenti che servano a ridurre le difficoltà delle famiglie e della povera gente.
Questa sinistra italiana non è democratica: è arrogante; è ipocrita; è immatura; è condizionata dalla storia del suo passato con cui non ha mai fatto i conti. E in Italia ci vuole un’opposizione credibile ad un sistema che diventa sempre più autoritario e illiberale.
Un’opposizione che in un Paese di caste, d’intrighi, d’affari e d’impuniti, richiami il popolo alla rivoluzione liberale. Un’opposizione che non sia quella rissosa, velleitaria e irrazionale di Beppe Grillo ma che, invece, sia visibile e credibile per quegli uomini che vogliano dare un futuro ai giovani italiani e per quegli che, fermi sull’imprescindibile valore dell’identità nazionale, non siano disponibili a svendere niente a nessuno, Europa compresa.

Vito Schepisi