Il governo Letta è nato tra mille difficoltà. Il Pd con lo 0,3% di voti in più del Pdl alla Camera, in accordo con il Sel di Vendola e con le pattuglie dei principianti allo sbaraglio di Grillo, aveva già occupato tutte le Istituzioni.
Bersani aveva cercato invano, e insistendo, una maggioranza con il M5S, respingendo invece le offerte di disponibilità del Pdl ad una maggioranza dalle larghe intese. L’aggravamento della crisi, innescato dalle misure fiscali di Monti, consigliava, però, di mettere in piedi, con premura e per responsabilità, un governo solido, con una larga maggioranza in Parlamento, per fronteggiare le serie difficoltà del Paese (recessione e disoccupazione).
Trovatosi dinanzi ad una strada chiusa che portava direttamente verso un nuovo test elettorale che l’avrebbe visto perdente, Il PD, dopo oltre due mesi dall’esito elettorale, cedeva, finalmente, alle insistenze del Presidente della Repubblica.
E’ nato così il Governo Letta. Il Capo dello Stato, mostrando più lucidità, nonostante l'età, dei suoi vecchi compagni di partito, aveva indicato il tragitto delle larghe intese, ritenendole, a ragione, più che un percorso politico, una necessità di responsabilità democratica, resa inevitabile dall'esito delle elezioni che avevano visto i due principali protagonisti, PD e Pdl, attestarsi sullo stesso livello di voti, con solo una leggera preferenza per i primi.
Anche in questa fase, con il Paese in difficoltà, gli uomini nel PD avevano continuato a fare solo ciò che hanno sempre mostrato di saper ben fare (sin da quando militavano nella Dc e nel Pci): occupare poltrone. Facendo valere la legge dei numeri, gonfiati dal premio di maggioranza, il PD si allargava nei ministeri, mentre il Pdl si concentrava sugli aspetti programmatici su cui intervenire. Bisognava dare risposte alle domande di crescita e alle difficoltà delle famiglie: il Pdl si batteva così per l'abolizione dell'IMU sulla prima casa e si predisponeva a battersi per lo stop all’aumento dell’IVA. Se il Pdl mostrava coi fatti di credere nella riduzione della pressione fiscale in Italia, per rendere competitive le nostre aziende e per mirare alla crescita ed all’occupazione, il PD si mostrava, invece, impegnato ad ostacolare la riduzione delle tasse e gli alleggerimenti fiscali sulle famiglie, sostituendoli con la consueta retorica sul lavoro o sullo “ius soli” della Kyenge.
Sta ora assumendo precisi contorni politici il muro contro muro, nella Giunta per le elezioni e per le immunità del Senato, sulla decadenza di Berlusconi. Il PD si rifiuta di valutare il ricorso alla Corte Costituzionale, come sarebbe nelle prerogative della Giunta, si rifiuta di attendere l’esito del ricorso in Europea, e tanto meno sembra disposto a discutere sulla pregiudiziale di non retroattività della legge Severino.
Se il PD mostra la volontà di eliminare il suo avversario di sempre, cavalcando una sentenza giudiziaria che ha destato molta sorpresa e tantissimi dubbi, il Pdl e Berlusconi non ci stanno ad assecondare il percorso extra-elettorale e giustizialista del PD. Il Pdl non ci sta a soddisfare la voglia di conquista del potere (assoluto) di quel partito che ha ancora al suo interno, e tra i suoi alleati, gli eredi del comunismo italiano, e che, soprattutto, ancor oggi, non mostra di volersi discostare dai metodi tipici dei regimi totalitari.
Se, sempre il PD, mostra rabbia e vendetta verso chi non gli ha mai consentito di (con)vincere, né ha mai reso possibile, smascherandoli nelle furbizie e nelle ipocrisie, una loro ben precisa gestazione identitaria, nella chiarezza degli ideali e della collocazione politica, il Pdl non ci sta a subire ed a far da comparsa. Se l’identità politica del PD è stata sempre incerta e mutevole, e se lo stesso PD non ha mai avuto una leadership credibile e condivisa da mostrare con orgoglio al Paese, facendo di volta in volta ricorso a leader di apparato, o a consumati gestori del potere economico-finanziario, mandatari e garanti delle caste, il Pdl non ci sta a consentire che la maggioranza di larghe intese a guida PD prosegua, come se niente fosse successo.
Non sarebbe serio, né responsabile, governare fianco a fianco con chi si attiva per la scomparsa politica degli alleati di governo, né con chi non mostra di porsi dubbi e non si fa domande sulla persecuzione giudiziaria di venti anni contro il leader dello schieramento alleato.
Vito Schepisi
Bersani aveva cercato invano, e insistendo, una maggioranza con il M5S, respingendo invece le offerte di disponibilità del Pdl ad una maggioranza dalle larghe intese. L’aggravamento della crisi, innescato dalle misure fiscali di Monti, consigliava, però, di mettere in piedi, con premura e per responsabilità, un governo solido, con una larga maggioranza in Parlamento, per fronteggiare le serie difficoltà del Paese (recessione e disoccupazione).
Trovatosi dinanzi ad una strada chiusa che portava direttamente verso un nuovo test elettorale che l’avrebbe visto perdente, Il PD, dopo oltre due mesi dall’esito elettorale, cedeva, finalmente, alle insistenze del Presidente della Repubblica.
E’ nato così il Governo Letta. Il Capo dello Stato, mostrando più lucidità, nonostante l'età, dei suoi vecchi compagni di partito, aveva indicato il tragitto delle larghe intese, ritenendole, a ragione, più che un percorso politico, una necessità di responsabilità democratica, resa inevitabile dall'esito delle elezioni che avevano visto i due principali protagonisti, PD e Pdl, attestarsi sullo stesso livello di voti, con solo una leggera preferenza per i primi.
Anche in questa fase, con il Paese in difficoltà, gli uomini nel PD avevano continuato a fare solo ciò che hanno sempre mostrato di saper ben fare (sin da quando militavano nella Dc e nel Pci): occupare poltrone. Facendo valere la legge dei numeri, gonfiati dal premio di maggioranza, il PD si allargava nei ministeri, mentre il Pdl si concentrava sugli aspetti programmatici su cui intervenire. Bisognava dare risposte alle domande di crescita e alle difficoltà delle famiglie: il Pdl si batteva così per l'abolizione dell'IMU sulla prima casa e si predisponeva a battersi per lo stop all’aumento dell’IVA. Se il Pdl mostrava coi fatti di credere nella riduzione della pressione fiscale in Italia, per rendere competitive le nostre aziende e per mirare alla crescita ed all’occupazione, il PD si mostrava, invece, impegnato ad ostacolare la riduzione delle tasse e gli alleggerimenti fiscali sulle famiglie, sostituendoli con la consueta retorica sul lavoro o sullo “ius soli” della Kyenge.
Sta ora assumendo precisi contorni politici il muro contro muro, nella Giunta per le elezioni e per le immunità del Senato, sulla decadenza di Berlusconi. Il PD si rifiuta di valutare il ricorso alla Corte Costituzionale, come sarebbe nelle prerogative della Giunta, si rifiuta di attendere l’esito del ricorso in Europea, e tanto meno sembra disposto a discutere sulla pregiudiziale di non retroattività della legge Severino.
Se il PD mostra la volontà di eliminare il suo avversario di sempre, cavalcando una sentenza giudiziaria che ha destato molta sorpresa e tantissimi dubbi, il Pdl e Berlusconi non ci stanno ad assecondare il percorso extra-elettorale e giustizialista del PD. Il Pdl non ci sta a soddisfare la voglia di conquista del potere (assoluto) di quel partito che ha ancora al suo interno, e tra i suoi alleati, gli eredi del comunismo italiano, e che, soprattutto, ancor oggi, non mostra di volersi discostare dai metodi tipici dei regimi totalitari.
Se, sempre il PD, mostra rabbia e vendetta verso chi non gli ha mai consentito di (con)vincere, né ha mai reso possibile, smascherandoli nelle furbizie e nelle ipocrisie, una loro ben precisa gestazione identitaria, nella chiarezza degli ideali e della collocazione politica, il Pdl non ci sta a subire ed a far da comparsa. Se l’identità politica del PD è stata sempre incerta e mutevole, e se lo stesso PD non ha mai avuto una leadership credibile e condivisa da mostrare con orgoglio al Paese, facendo di volta in volta ricorso a leader di apparato, o a consumati gestori del potere economico-finanziario, mandatari e garanti delle caste, il Pdl non ci sta a consentire che la maggioranza di larghe intese a guida PD prosegua, come se niente fosse successo.
Non sarebbe serio, né responsabile, governare fianco a fianco con chi si attiva per la scomparsa politica degli alleati di governo, né con chi non mostra di porsi dubbi e non si fa domande sulla persecuzione giudiziaria di venti anni contro il leader dello schieramento alleato.
Vito Schepisi
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