27 aprile 2007

In Francia non c’è spazio per un partito Democratico


E’ ancora troppo presto per trarre conclusioni politiche dalle consultazioni elettorali francesi. Il primo turno ha solo indicato i competitori del ballottaggio. Nella corsa ciascuno ha rappresentato un profilo della propria area politica e i francesi hanno scelto solo i due che si contenderanno la posta. Sui due candidati il profilo si allarga ad un’area più vasta, un’area che diviene un polo di convergenze politiche. Si passa, in sostanza, alla scelta di campo. I giochi sono ancora da fare e, sebbene ci siano valutazioni che vedono favorito Sarkozy, penso che la Royal rimanga saldamente in corsa.
Non esiste nel sistema francese un criterio che tenga conto di un gruppo che si proponga come ago della bilancia e che sia il luogo della centralità, di una cosa di mezzo tra una scelta politica e l’altra, spesso di un modo per essere da una parte o dall’altra a seconda delle circostanze, degli interessi e delle opportunità. Diciamo che in Francia non si pongono problemi di inventarsi discontinuità. Se si è fuori, si è fuori, e non si è dentro, come in Italia, in virtù dell’uno per cento determinante e quindi giocabile alla Mastella. Non si regge l’esecutivo sul voto di un singolo Follini, passato da una parte all’altra dello steccato, ma sull’indicazione degli elettori attraverso l’elezione di un Presidente con ampi poteri, tra i quali la nomina del primo ministro. Rispetto all’Italia, in Francia, le scelte le fa l’elettore, e sono definitive per la durata del mandato presidenziale.
Anche le preferenze politiche sono trasversali, senza steccati, senza gli eccessi di un odio politico. Il confronto, benché ricco di colpi bassi, è più civile, si dispiega sui programmi e sui progetti politici. In Francia non avrebbe spazio un Piero Fassino che dica, come ha fatto in chiusura del congresso DS, che essere democratici vuol dire essere di sinistra, non sarebbe credibile come non lo dovrebbe essere in Italia, laddove si pensi che solo col passaggio dal Pci al Pds è iniziato il progresso di democratizzazione degli ex comunisti, e che in Italia nel dopoguerra ci siamo dovuti difendere dai veri pericoli per la democrazia e per la libertà che arrivavano dalla sinistra. Viene il sospetto che Fassino sia rimasto ancora legato ai principi di classe in cui la democrazia non è volontà e consenso del popolo, nel pluralismo delle idee e delle opportunità ma, a guisa dei paesi di socialismo reale, solo apparente unanimismo popolare con partito unico, sindacato unico, controllo poliziesco e repressione dei dissidenti. Sorge il sospetto che il Partito democratico in Italia nasca con un vizio di fondo che fa pensare che ben presto emergeranno problemi per l’impatto tra ciò che si dice e la sostanza dei fatti. Eppure si pensava che solo Diliberto e Bertinotti ed i loro partiti rimanessero legati ai principi delle democrazie popolari di tipo castrista.
La componente ideologica che in Italia induce a vedere come il fumo negli occhi il proprio avversario, in Francia è molto meno evidente, a volte solo limitata a frange più radicali da una parte o dall’altra. Non è detto ad esempio che un elettore di Le Pen del fronte nazionale, formazione di destra, sia naturalmente disposto a votare per il candidato del centrodestra moderato, anzi penso proprio che per il prossimo ballottaggio siano questi i voti più incerti: prevarrà l’astensione, e tra i voti espressi la divisione tra i due candidati . Questa opinione emerge chiaramente dai sondaggi. Diversa è la posizione della sinistra: sembra impossibile, infatti, pensare che un elettore dei comunisti o dei verdi o dei trozkisti francesi possa votare per Sarkozy, la sinistra post comunista, un po' dappertutto nel mondo, ha un pensiero unico, come a Fassino. La differenza la faranno gli elettori di centro che si divideranno tra i due con netta prevalenza per il candidato di destra Sarkozy. L’elettorato di Bayrou è in buona parte un elettorato che proviene già dalla destra, dove il centrista ha militato fino al 2002, ed è per questa ragione che il leader dell’Udf non può dichiarare la sua preferenza per la signora Royal. La maggioranza del suo elettorato non lo seguirebbe.
Il leader centrista forte del 18,50% dei voti è la novità, è l’astro che brilla sulla scena politica francese. Un’indicazione di voto per la candidata di sinistra trasformerebbe la sua parziale vittoria in sconfitta, e proprio alla vigilia delle elezioni politiche per il Parlamento francese. La stampa italiana sembra ignorare però che, nonostante il buon risultato di Bayrou, ad uscire rafforzato sia il bipolarismo francese e che a restare sconfitto sia, il tentativo di modificare gli equilibri politici con la formazione, ad esempio, già ventilata in campagna elettorale di un partito democratico francese che veda alleati il centro e la sinistra socialista. Sono la sinistra e la destra al netto delle estreme le aree del maggior interesse politico. Il centro alla resa dei conti non ha spazio, nonostante il tentativo del suo candidato di strappare a Segolene Royal il compito di competere per la Presidenza, giocando sul frazionamento e la frammentazione della sinistra e sui voti degli scontenti di una parte e dell’altra.
Un significativo desiderio di non voler restare legato all’immagine di una possibile sconfitta ha persino consigliato al nostro Prodi, invitato dalla candidata socialista, di restare in Italia e disertare la manifestazione di sostegno alla Royal in cui doveva emergere il disegno di un possibile partito democratico in chiave francese.

Vito Schepisi

24 aprile 2007

Sentirsi ... un alieno



Da qualche tempo ogni mattina mi sveglio e mi chiedo a cosa ormai non abbiamo ancor fatto l’abitudine.
Un training autogeno per prepararmi alle notizie fresche di giornata.
Sono tante le cose che 10 anni fa o giù di lì avrebbero fatto inorridire il Paese.
Sono tante le persone che sempre 10 anni fa sarebbero state destinatarie di una sonora risata o, se andiamo più indietro negli anni a tempi ancor più remoti, quando De Filippo e Totò facevano letteralmente sbellicare dal riso la gente, gratificati dall’arte suprema della napoletanità: il pernacchio.
Qualche mattina fa, forse sabato scorso o forse domenica, ho sorriso sentendo della nuova proposta del signor Guadagno Wladmiro, in arte Luxuria, sedicente transgender, equivoco essere tra un uomo ed una donna, incerto per quanto si sappia persino nella sua vera interiorità.
La proposta consisteva nel portare a carico del servizio sanitario pubblico le spese di operazioni di modellamento del fisico, di modifica estetica o per dirla a suo modo:
“Si tratta di un adeguamento di genere.
Adeguo la mia esteriorità alla mia interiorità.
Nel progetto di legge che sarà presentato a breve reputo che il servizio sanitario nazionale dovrebbe sostenere quegli interventi cosiddetti di adeguamento di genere.
Perchè, secondo la Costituzione, nel concetto di salute deve rientrare non solo il fattore fisico ma anche la salute psichica.
Chi come noi non si sente rappresentato dal proprio corpo, deve poter usufruire di quegli interventi che servono ad ottenere la salute psichica”.

Dapprima ho pensato che fosse un espediente per fare notizia, per far parlare di se, forse non avendo niente altro da dire o proporre.
Il signore in questione, deputato nel parlamento italiano grazie ai comunisti di rifondazione, era già assurto agli onori della cronaca “gossip” qualche mese fa per un rimbrotto del deputato di Forza Italia Elisabetta Gardini.
La parlamentare del partito di Berlusconi si era mostrata risentita e turbata per l’uso del bagno di Montecitorio, destinato alle donne, da parte del deputato bertinottiano, che fa i suoi bisogni fisiologici alla stregua di un maschio.
Il paese aveva sorriso e si era schierato da una parte e dall’altra, ma senza acredine, con umore scherzoso, tra una gag ed un’alzata di spalle.
Nella nostra Italia, tra i tanti problemi di intolleranza e di legittimazione, tra denunce di brogli reali, e bufale indecenti di personaggi in malafede che hanno tentato di introdurre la pulce del negazionismo persino sulla maggiore raccolta di voti al senato della Cdl, nelle pieghe di una finanziaria punitiva e mortificante, ecco spuntare un caso di dibattito, un caso che non era politico ma solo di stile e di sensibilità.
Scusate l’irriverente crudezza: l’Italia si confrontava su dove dovesse orinare il signor Guadagno, più noto col suo nome d’arte Luxuria.
Sembrava una vera commedia italiana!
La proposta del neo comunista “transgender” mi è sembrata così irritante e offensiva per la gente che soffre e che non riceve adeguata assistenza, da considerarla degna di quelle che negli archivi del parlamento giacciono e sono sepolte da quintali di polvere per essere del tutto fuori di senso.
Queste proposte da scandalo vanno lasciate cadere senza seguito di interesse serio di governi, maggioranze e partiti che ne rendano concreto l’iter parlamentare.
Mi sono sbagliato, però!
Ho la maledetta abitudine di andarmene per logica, anche dove questa è l’ultima tra le ragioni ad esser considerata: ho pensato che tutti ponessero la propria maggiore attenzione alle necessità dei malati, e degli anziani.
Ho pensato alle esigenze reali dei bisognosi, dei portatori di handicap, alle attese di mesi per le analisi, alla malasanità, alle pensioni minime.
Ho fatto prevalere la logica e neanche mi sono posto il problema se sia giusto che io debba pagare le tette rifatte di questa o quest’altra, o debba contribuire a finanziare il taglio del pisello di chi ha problemi nel riconoscersi nella propria esteriorità.
Questa mattina, però, leggendo la dichiarazione della Turco, ahinoi ministro della sanità del governo più insipido e indecoroso della nostra Repubblica:
«Non ci trovo niente di scandaloso nel riconoscere ai transessuali maggiori attenzioni da parte del servizio pubblico.
L’intimità della persona va rispettata e, quindi, credo che il nostro sistema sanitario debba fare uno sforzo.
E’ una questione di etica»

questa mattina, però, mi sono dovuto ricredere e mi sono sentito davvero un alieno.
Vito Schepisi

20 aprile 2007

I Congressi della svolta


Appena chiusi i congressi di Sdi e Udc, si aprono quelli di DS e Margherita.
Sembra un copione scritto da uno sceneggiatore interessato.
Come se una regia ben equilibrata, sotto elezioni amministrative, con forte valenza politica per la sfiducia dei cittadini verso la coalizione di governo, voglia mostrare l’apertura di scenari di sviluppo politico aperto, in cui si vengono ad intrecciare architetture prospettiche di edifici dall’aspetto rinnovato.
La sostanza, però, ci dice che all’interno non sia cambiato granché: non si possono celare con un semplice trucco estetico le contraddizioni di sempre.
Devo confessare che questa volta non posso nascondere le difficoltà di scriverne.
A volte capita, prima di argomentare su qualcosa, di non sapere da dove iniziare.
Capita anche che le cose da dire siano in definitiva così tante da non poter essere possibile raccontarle tutte, e da non sapere quale profilo ignorare, e di conseguenza quali siano gli aspetti da focalizzare.
Capita anche, quando si inizia a scrivere, di perdere prima qualche minuto per cercare di metter ordine alle idee e di imprimere nella mente, se non il testo, almeno i pensieri da esprimere.
Ebbene in questo caso ho rinunciato anche a fermarmi a pensare.
Se devo scrivere sulle motivazioni ideali o sulle ragioni politiche del nascente Partito Democratico non saprei cosa dire ed in definitiva penso che non ne valga la pena.
Andrò a braccio, pertanto, anche perché, in questo caso, ogni cosa non ha una logica, tutto è uno strumento ed un inganno di cui non vale assolutamente la pena analizzare i contenuti.
I popolari ex democristiani, la parte che va da Marini a De Mita, dagli Scalfaro e Colombo alla Rosy Bindi ed Andreotti; Gli eredi di Moro e Donat Cattin, di Rumor e di Fanfani, di Gaspari e Gava, di De Gasperi e Scelba si uniscono ai post comunisti da Fassino a D’alema, da Veltroni a Violante, da Bersani a Visco; contraggono matrimonio politico con gli eredi di Togliatti e di Longo, di Pajetta, Berlinguer e Natta.
Si attua il compromesso storico che negli anni remoti è stato considerato, anche da alcuni dei protagonisti di oggi, l’anticamera di un accordo di potere, persino letale per la democrazia.
Anche se con percentuali variate, ai tempi di Moro, Andreotti e Berlinguer i compromettenti rappresentavano un 65% abbondante dell’elettorato italiano, ora per fortuna sembra che sfiorino a malapena il 25%.
L’elettorato è maturato ed ha tolto, nel tempo, il consenso alle due espressioni storiche più chiuse e conservatrici della politica italiana, democristiani e comunisti, monopolisti di maggioranza ed opposizione in un gioco delle parti che ha mortificato e frenato lo sviluppo dell’Italia.
Mentre l’Europa cresceva come società aperta, sensibile al mondo del lavoro e dell’impresa, aperta ai bisogni dei suoi cittadini, l’Italia ancor oggi, nei servizi sociali e nell’adeguamento delle strutture, ha da compiere intere rivoluzioni.
Per lungo tempo è rimasto imbalzamato sia il riformismo pragmatico del socialismo post marxista, sia il liberalismo dinamico di una efficiente struttura sociale con affinità produttiva.
E così, tanto per completare l'opera, ci ripropongono ancora oggi una forma rinnovata di compromesso storico, e ne danno una bandiera nominale altisonante “Partito Democratico”.
La realtà come è facile intuire è ben diversa.
Nasce perché Prodi abbia un partito, e perché l’anomalia italiana abbia una logica europea dato che i DS e la Margherita spaziano in Europa in gruppi che si confrontano tra loro e che rappresentano il fulcro su cui prende forza e si diffonde la dialettica democratica ( socialisti, popolari e liberali).
La formazione di questo Partito Democratico rimane pur sempre una forma di assimilazione integrata di almeno tre idee, di tre modi, spesso contrapposti, di considerare lo Stato, l’uomo, il cittadino, i suoi valori, le sue libertà, le sue funzioni, le origini e la stessa civiltà fondante di una identità nazionale, e persino ancora i riferimenti storici e di area politica nonché di scelte di alleanze di indirizzo internazionale e di margini di dialogo e di confronto con le civiltà radicate su altri principi.
"Non è un'esigenza dei Ds o della Margherita o di un ceto politico – sostiene Fassino nella sua relazione al congresso dei DS- ma una necessità del Paese, cioè serve all'Italia".
Quante volte abbiamo sentito Fassino e Rutelli, Prodi e D’Alema dire le stesse cose?
Che io ricordi, ad esempio, anche per l’ultima finanziaria!
La realtà però è stata del tutto diversa.
Vito Schepisi

18 aprile 2007

Censura, censura, censura....


“ E’ un grande ed esaltante momento di attività parlamentare”.
Sono le parole di Clemente Mastella, dopo l’approvazione alla Camera dei Deputati del ddl sulla pubblicazione delle intercettazioni e degli atti di un processo penale coperti da segreto istruttorio.
Anche noi blogger non potremo commentare e parlare delle nostre sensazioni dinanzi a questioni che investono i rapporti tra politici e magistratura!
Non si potranno citare e dare notizie di vicende giudiziarie tra uomini noti del mondo dell’attualità, dello spettacolo, dello sport, dell’arte, dell’editoria, dell’impresa.
Non potremo conoscere i loro rapporti con la giustizia e conoscere gli sviluppi delle loro questioni giudiziarie.
Non potremo valutare, ad esempio, anche se la giustizia sia veramente “uguale per tutti”.
Non potremo sapere e scrivere di Moggi o di Wanna Marchi e neanche di Corona e di Fassino e delle sue aspirazioni di possedere una banca.
Non potremo leggere e protestare per la Parmalat e gli istituti finanziari e di controllo e certificazione.
Non potremo conoscere i misteri del direttore di Oggi per cui compra le foto del portavoce del governo di Prodi, Sircana, pagando ben 100 mila euro e non le pubblica, mentre invece il suo giornale pubblica, e commenta in modo allusivo, alcune foto che invadono la privacy all’interno della casa di Berlusconi in Sardegna, dove l’ex presidente del consiglio appare in compagnia di 5 ragazze, mentre passeggia, chiacchiera e scherza.
Non potremo leggere di Prodi e delle sue eventuali questioni giudiziarie e neanche di Lele Mora e di Consorte.
Non potremo più conoscere le abitudini ed i gusti di Sircana e neanche i risultati dell’impegno dei copia ed incolla di pezzi di atti processuali dell’abile Travaglio.
Non potremo persino sapere di come Berlusconi possa essere accusato anche di terremoti ed eruzioni vulcaniche.
Ci mancherà tutta la letteratura del sospetto che per Orlando Cascio Leoluca da Palermo era l’anticamera della verità.
“In nome del popolo italiano…” e sembra suonare in modo retorico e privo di veridicità sostanziale il richiamo alla volontà del popolo italiano.
L’esercizio della giustizia, già fuori del controllo e del sentimento popolare, per essere la Magistratura un organo che si autogoverna e che mantiene impermeabile il suo spirito di corpo e l’autoreferenza della sua espressione, diviene ancor più distinta dal popolo e dal suo giudizio, dalla sua volontà e dalla sua tensione, dalla sua democratica valutazione.
L’esagerazione e l’ingerenza nella vita privata è alla base delle misure di cautela della privacy e della dignità dei soggetti interessati.
Si è sviluppata nel Paese una spinta verso forme di giustizia sommaria in cui l’imputato, a prescindere dalla sua provata o meno colpevolezza, viene additato all’opinione pubblica come il reo, come se ci fossero elementi di colpevolezza certi e documentati.
E’ vero tutto questo.
Sono stati pubblicati brani di intercettazioni telefoniche del tutto private ed ininfluenti rispetto ai fatti delle inchieste ed agli estremi di reato.
Si sono sbattuti ripetutamente i mostri in prima pagina.
A volte anche divulgate sensazioni di preoccupazione e di tensione sociale spropositate rispetto ai fatti reali.
Si sono addirittura, nel recente passato, sovvertiti gli equilibri istituzionali e la volontà politica degli elettori.
Ma per impedire tutto questo si deve necessariamente arrivare al bavaglio dell’informazione?
E’ necessario stabilire severe ammende pecuniarie e persino l’arresto per i giornalisti?
Non sarà più possibile, ad esempio, ipotizzare e documentare interessi privati di uomini pubblici nell’adempimento delle loro funzioni o che svolgano attività che il sentimento popolare possa ritenere non adeguate, o finanche incompatibili, con il loro ruolo pubblico.
Tutto questo a prescindere dal fatto che i fatti e le circostanze siano veritiere ed a prescindere dal diritto di ciascuno di esporre querela.
Se lo scopo era quello di punire la diffusione di notizie sottoposte a segreto istruttorio, ovvero le registrazioni di intercettazioni telefoniche, perché punire solo coloro che pubblicano i fatti divenuti noti e non coloro che lasciano filtrare e divulgano queste notizie?
Sembra che la domanda abbia una sola risposta: perchè dovrebbero punire i magistrati inquirenti o tutto il sistema della giustizia in Italia.
Chissà perchè questa esigenza s'avverte solo in Italia e solo dopo che alcuni nodi sono venuti al pettine ed altri rischiano di arrivarci a breve!
Vito Schepisi

12 aprile 2007

Quando si cammina per Strada!



Il rischio dello sfaldamento della maggioranza è nelle cose.
Si sa che questa compagine non ha un comune sentire politico in nessuno dei pilastri portanti di una gestione di governo.
Non ha una visione d’insieme dell’economia, né nei diritti civili, nel welfare e nelle politiche sociali e tanto meno in politica estera.
Ha un’idea molto particolare e variegata su tutto ciò che attiene le libertà formali e nessuna convergenza sulle scelte sostanziali che distinguono una società liberale da un’altra di tipo collettivo.
I partiti di governo hanno persino un diverso modo di distinguere le liberalizzazioni dalle politiche di trust e privilegi economico-industrali.
Anche le libertà di professare liberamente la propria fede e di focalizzarne le fondamenta, in questa maggioranza trova ostacoli di comprensione e di tolleranza.
E’ questa la ragione che porta un po’ tutti a pensare che la pazienza dei moderati del centrosinistra, messi alle strette da iniziative politiche fuori anche del buon senso, possa da un momento all’altro saltare.
E’ proprio, infatti, questa parte moderata della maggioranza che ha subito le maggiori mortificazioni politiche.
Ha dovuto subire l’ultima finanziaria redatta soprattutto per penalizzare i ceti medi e quella parte del paese che, pur lontana dalle lobbies della politica e delle organizzazioni sociali, ne costituisce l’ossatura imprenditoriale e produttiva.
Ha dovuto subire la responsabilità della penalizzazione dell’intero Paese per correr dietro alla logica della discontinuità, che a volte è sembrata l’unica ispiratrice della politica di questa compagine ministeriale.
La sinistra alternativa, invece, in 10 mesi di governo ha messo a segno, una dietro l’altra, una serie di affermazioni politiche, naturalmente intese tali secondo il loro particolare punto di vista.
Tra queste la più importante è certamente l’aver ribaltato il ruolo dell’Italia nella politica estera.
Il nostro Paese, infatti, da alleato leale dell’occidente ha intrapreso la strada del sostanziale neutralismo.
Si declama ora una equivicinanza che quasi sempre, però, si trova sbilanciata verso paesi e gruppi che sono contro gli alleati tradizionali dell’Europa e persino solidale con quei paesi che, in nome di principi etici e di influenza politica, si schierano contro le politiche di sviluppo della civiltà occidentale.
La politica estera dell’Italia viene persino meno al sostegno convinto alla lotta contro il terrorismo, trovando in movimenti ed organizzazioni senza scopi politici, ma politicamente sfacciatamente schierate come Emercency di Gino Strada, collaborazione e dialogo, e offrendo alla loro organizzazione spazio per inserimento, voce e riconoscimento politico.
Una politica estera, quella italiana, che ha affievolito la spinta a contrastare le politiche di oppressione, di minacce e di terrore, proveniente dall’espandersi del fondamentalismo islamico, e di contrapposizione allo sviluppo della civiltà laica, democratica e pluralista.
Una scelta che, spesso, pur di porsi contro gli Usa o Israele o la Nato, si presta a valorizzare le società oppressive, autoritarie di stampo totalitario e di chiara impronta nazista.
La discontinuità in politica estera ha significato l’abbandono del ruolo di protagonista attivo nella formazione della strategia della fermezza sui principi della civile convivenza tra i popoli e sulla lotta al terrorismo.
Si può anche essere d’accordo con ciò che ha appena detto il Presidente Napolitano e cioè che non sia possibile esportare la democrazia.
Ma si dovrebbe anche affermare che non dovrebbe essere neanche possibile tollerare di importare il terrorismo.
Non si può esportare la democrazia se si pretende di imporre principi e regole che siano espressione di una modo diverso di concepire lo sviluppo civile di un popolo.
Si può, però, pretendere di esportarla se si intende diminuire e rendere innocui comportamenti di cieca intolleranza, e si riduce o si elimina la pretesa di imprimere, speculando sull’ignoranza e sui “vantaggi” del martirio, forme di rapporti che penalizzino e rendano schiava una parte dell’umanità.
Quando l’Onu, ad esempio, ha consentito la presenza della Nato in territorio Afgano l’ha fatto in ossequio ai due principi che tuttora ne dovrebbero costituire l’ossatura portante: lotta al terrorismo e autodeterminazione del popolo afgano secondo i principi della democrazia.
Su questi valori si costruisce la convivenza civile tra i popoli ed ha significato il compito delle Nazioni Unite.
Il Governo italiano che, invece, affida a Gino Strada il compito di seguire la liberazione di un nostro connazionale, preoccupato della tenuta della maggioranza, e che da questi si lascia gestire la soluzione del rapimento del giornalista italiano è un Paese che ha perso il filo dell’equilibrio delle cose.
L’aver fatto pressione su Karzai, facendo leva sulla presenza italiana in Afghanistan e sul contributo italiano agli interventi economico-strutturali in quel paese, è motivo di grave preoccupazione morale per lo spessore, davvero sottile, di dignità ed autorevolezza politica di un Presidente del Consiglio.
L’Italia in questo modo certo non esporta democrazia ma rischia, invece, di importare la confusione e le contraddizioni di Strada, il suo pacifismo strabico, la sua arroganza, il suo orientamento politico, l’uso spregiudicato di persone e metodi privi di trasparente legittimità.
Si era detto che il rischio di sfaldamento della maggioranza è nelle cose. Si aspettava, però, l’alt dei moderati al governo.
Si aspettava la parola fine alla confusione ed alla pretesa di spingere sull’acceleratore dell’estremismo.
La maggioranza, invece, sembra sfaldarsi per iniziativa delle forze radicali che inciampano sulle loro contraddizioni e finiscono col rendersi conto di trovarsi in una realtà ben diversa da quella che avevano vagheggiato.
La pace, la tolleranza, la solidarietà, come l’impresa, il capitalismo, l’economia sono cose molto diverse, viste dall’interno del mondo reale, da quelle che si sviluppano sulla bocca dei teorici e dei demagoghi.
Le strumentalizzazioni di sempre, inevitabilmente, si ritorcono contro chi finora ne ha fatto professione.
Che la maggioranza possa venir meno proprio a causa delle contraddizioni all’interno della sinistra più estrema?
Quando si cammina per Strada!
Vitoschepisi

05 aprile 2007

Il Partito Democratico tra proclami e realtà


Le contraddizioni della sinistra e l’incapacità di rappresentare un riferimento coerente per un movimento politico su cui incentrare la spinta di un programma innovativo, pluralista e coerente, hanno reso già deludente, prima della sua nascita, il “Partito Democratico”.
Da ciò che emerge dalle intenzioni di voto degli italiani, questa formazione, su cui convergerebbero forze di estrazione marxista, cattolica e di democrazia liberale, prenderebbe meno consensi dei partiti che la comporrebbero.
E’ evidente che nonostante la semplificazione richiesta dagli elettori, l’unione tra ex o post comunisti e laici e cattolici lascia sul campo la posta delle sue contraddizioni.
Agli occhi dei cittadini offre l’idea di una coperta dai lati più corti del necessario che voglia coprire miserie, illusioni, realtà e l’arroganza di chi ritiene di poter bluffare e prendersi gioco degli elettori.
Un movimento politico, più che sui numeri, nasce nelle coscienze.
Il risultato non è mai la somma algebrica dei sentimenti che si uniscono.
Può essere superiore, ma anche inferiore come nel caso in questione.
E’ superiore se è la convergenza su un metodo ed una linea politica, con riferimenti radicati nella società, che spesso allarga lo spazio del suo interesse, incontrando credibilità ed equilibrio sufficiente per diventare un programma di governo, una scelta di sviluppo sociale, una fonte di politiche virtuose e potenzialmente un progetto per la diffusione del benessere.
E’ superiore se viene riconosciuta l’omogeneità degli obiettivi, la convergenza di idee politiche che abbiano i presupposti della realizzazione di un preciso progetto politico.
Al contrario la convergenza strumentale di diversità che hanno riferimenti spesso separati e contraddittori nella società riduce il suo spazio di azione, perché evoca compromessi e condizionamenti che non sono sempre accettabili.
L’essere poi uniti per essere contro non è mai un valore, anzi è un limite al percorso politico perché è una finzione di unitarietà: un sofisma politico.
Il “partito Democratico” che si vuole realizzare in Italia l’ho sempre definito una finzione storica prima che politica.
E’ la realizzazione dopo circa 30 anni dell’idea del “compromesso storico”.
Questo concetto lo vado ripetendo da tempo.
Lo scorso anno ho già avuto modo di osservare che l’idea di creare un partito unico della sinistra riformista si scontra contro tre realtà nello stesso tempo.
La prima è che la sinistra che lo promuove è per molti versi conservatrice.
L’incontrario della definizione che a questo nuovo soggetto politico si vuole dare.
La seconda è che le anime che lo animerebbero sono in antitesi storica.
La terza realtà è che questo partito sarebbe una sintesi di almeno tre, se non più, correnti di pensiero espresse in Europa.
Se così fosse nella Comunità, dove liberali, popolari e socialisti rappresentano la stragrande maggioranza, non ci sarebbe confronto ma pensiero unico.
Tutto questo è percepito dall’elettore che si pone domande ed immagina prospettive ed epiloghi di politiche che non sempre riescono ad interpretare le indicazioni della società e che il più delle volte non risultano chiare.
L’Italia, al contrario, avrebbe bisogno di due schieramenti “moderati” (dove per moderati si intende, liberi dai condizionamenti delle ali estreme) che riflettano due visioni laiche del percorso politico.
Da una parte spinte di scelte di libertà e di mercato, con le garanzie proporzionate allo sviluppo e, dall’altra, spinte di scelte di solidarietà e con lo sviluppo proporzionato alle garanzie.
Sembrerebbe così semplice!
Nel dibattito degli ultimi mesi il “Partito Democratico” è sembrato che si schierasse all’interno della sinistra europea, facendo osservare a molti ex popolari che non avrebbero finito i loro giorni con la divisa dei socialisti.
Viceversa l’ipotesi di un partito democratico, fuori dalla famiglia del socialismo europeo, ha motivato la reazione di quanti hanno ritenuto di dover ribadire che la loro aspirazione non fosse quella di dover finire di avere le sembianze dei democristiani.
Alla luce di quanto emerge e delle difficoltà avvertite, appare azzardata la profezia di Bersani:
«Sarà come un treno in corsa, nessuno si butterà sui binari per arrestarlo».
Tanto azzardata ed improvvida per quanto sembra ora lenta la corsa del treno e per quanto incerta la sua direzione.
Vito Schepisi

01 aprile 2007

Iran e terrorismo


Negli ultimi tempi al nord dell’Iraq i soldati americani hanno arrestato 5 iraniani accusati di sostenere e fomentare la guerriglia irachena.
La cattura dei 15 militari inglesi in acque irachene, come i satelliti hanno dimostrato, può rappresentare la risposta dell’Iran e forse il tentativo di negoziare lo scambio.
I 5 uomini iraniani arrestati in Iraq sono membri dei Pasdaran, la cosiddetta guardia nazionale di Ahmadinejad, sono accusati di essere ufficiali della “Brigata Gerusalemme”, fazione responsabile delle operazioni segrete all’estero.
La stessa brigata che agli inizi degli anni ‘80 ha dato origine alla formazione di Hezbollah in Libano.
In molti si chiedono quale sia la strategia dell’Iran di Ahamadinejad, ed in particolare se valesse la pena arrivare al fermo dei militari britannici per la liberazione di 5 dei suoi emissari inviati in Iraq a fomentare terrorismo ed aizzare le fazioni di fede sciita.
La risposta è che ne vale la pena per l’Iran e non solo per riavere i 5 suoi uomini esperti.
E’ necessario leggere in maniera più articolata l’azione dell’Iran, ed ogni obiettivo non può che essere complementare.
In gioco, infatti, c’è ancora un altro diverso interesse, quello finale, il vero scopo di tutto.
Un principio sottile, un gioco meschino, l’epilogo di una escalation di provocazioni che è tutto racchiuso nello scontro, che non si può continuare ancora ad ignorare, e che è l’emergere in toni sempre più gravi dello scontro di civiltà.
La lotta, non più sottaciuta, all’intero occidente; la volontà di piegarlo ed umiliarlo, di porlo supino ad accettare condizioni e ricatti.
L’Iran ha voluto rimarcare il concetto che la parte ritenuta più forte, in sostanza, è la parte invece più debole, la più vulnerabile per la realtà di questa parte del mondo.
Nessun Governo occidentale rapirebbe un cittadino mediorientale per esercitare un ricatto politico, e nessuna comunità civile accetterebbe di sacrificare la vita di uomini per perseguire scopi di pressione politica.
Anche il braccio di ferro sulla questione nucleare, per paradosso, diviene un freno alla soluzione della crisi in atto.
Un’azione di guerra, una minaccia e l’intervento di altri paesi o della comunità internazionale, sarebbe fatto passare per il pretesto di un’aggressione per ragioni diverse.
E' questo un momento di forte dispersione dell’identità culturale di una parte del mondo, si è in una realtà in cui si avverte la difficoltà a distinguere, senza grandi scontri ideologici, tra imperialismo ed autodifesa.
Il presidente iraniano, con la mobilitazione interna al suo paese, alimenta il processo all’occidente e minaccia di processare i militari rapiti, anzi fa ancora di più, anticipa la sentenza con un processo fatto celebrare dagli studenti che diviene il processo al regno di satana.
L’ampio risalto interno e le richieste di scuse della Gran Bretagna esaltano il fanatismo verso la richiesta dell’umiliazione dell’Inghilterra.
Le confessioni estorte a uomini e donne in stato di grave cattività, in territorio straniero e senza conforto diplomatico, stabiliscono i metodi incivili e spietati di un regime fanatico.
Anche l’immagine della soldatessa inglese con il velo islamico è un modo per far prevalere l’immagine di una cultura che prevale: vuole stabilire l’idea, da spacciare al popolo musulmano, della superiorità di una civiltà che non teme la forza degli altri, perché è sorretta dai principi della fede nell’Islam.
Tutti ingredienti di una strategia di sfide umilianti per mostrarsi in grado di confrontarsi con chiunque sul proprio territorio ed anche al di fuori.
Chi non ricorda i diplomatici americani negli anni 80, circa 25 anni fa, rapiti in territorio iraniano dai seguaci dell’ayatollah Khomeini?
Ed oggi i marinai britannici rapiti anche loro, e con Tony Blair a cui è chiesto di chiedere scusa.
Trenta anni circa di terrore seminato nell’aria mediorientale dai Pasdaran iraniani, i cosiddetti “guardiani della rivoluzione” letteralemente la “legione dei devoti”, istituita per legge dallo stesso Khomeini nel 1979 per affiancare l’esercito regolare di leva: Ahamadinejad era uno di loro.
Forte di circa 125.000 uomini l’esercito dei Pasdaran, ben addestrato e pronto al sacrificio supremo, si muove in una strategia fatta di terrore e di diffusione dei principi del fondamentalismo.
Dal loro lavoro si muove la lotta, attraverso la provocazioni ed il terrorismo, all’occidente ed ad Israele.
Nel 1983 alimentano la destabilizzazione del Libano per trasformalo nell’avamposto alla guerra di sempre con Israele e l’occidente.
Addestrano e assecondano la formazione nel paese dei cedri degli Hezbollah, il ramo armato dei seguaci del “Partito di Dio”.
Da provocazione in provocazione, fino alla recente, contro i marinai inglesi, impegnati nel pattugliamento delle acque irachene per il controllo dei trasporti mercantili e per impedire il traffico delle armi nell’aria del golfo.
Una strategia, quella iraniana, di attenzione per tutto il mondo arabo, un richiamo ad infiammarlo nelle moschee e nelle piazze.
L’aspirazione alla formazione di un impero dell'Islam e la spasmodica ricerca dell’arma atomica, per condizionare il mondo intero ed ergersi a dominio del Medio Oriente e del mondo arabo.
Il tutto tra fervore religioso e delirio di vendetta storica, come ha fatto presagire la reazione alle parole del Papa a Ratisbona.
Da un uomo che dichiara senza mezzi termini che vuole fornirsi dell’arma atomica per cancellare Israele dalle cartine geografiche e che è arrivato a negare l’Olocausto, organizzando persino a Teheran una squallida conferenza che sostenesse la negazione della storia della persecuzione nazista, penso ci sia da aspettarsi di tutto.
Anche da Hitler c’era da aspettarsi di tutto e quello che è stato, purtroppo, ha superato anche la più fervida immaginazione.
Possa pertanto l’occidente mostrare fermezza e mostrarsi compatta.
Si alzi la voce anche con Mosca e si chieda perché, tra le sanzioni, pone il veto all’Onu al blocco dei beni dell’Iran all’estero, beni sottratti al beneficio del popolo iraniano che nonostante la ricchezza del paese vive nell’indigenza.
L’Europa, ammonita da Ahmadinejad a non interessarsi, alzi la voce e reclami e risponda compatta nell’affermare che l’azione compiuta dall’Iran è di pirateria medioevale e che si stringe compatta alla G.B. nel richiedere fermamente e senza indugio il rilascio dei marinai illegalmente detenuti.
Se passa questa vicenda nell’oblio e nell’indifferenza ci saranno altre provocazioni ed altre azioni efferate fino alla minaccia di non poterne più neanche parlare.
Vito Schepisi