20 aprile 2007

I Congressi della svolta


Appena chiusi i congressi di Sdi e Udc, si aprono quelli di DS e Margherita.
Sembra un copione scritto da uno sceneggiatore interessato.
Come se una regia ben equilibrata, sotto elezioni amministrative, con forte valenza politica per la sfiducia dei cittadini verso la coalizione di governo, voglia mostrare l’apertura di scenari di sviluppo politico aperto, in cui si vengono ad intrecciare architetture prospettiche di edifici dall’aspetto rinnovato.
La sostanza, però, ci dice che all’interno non sia cambiato granché: non si possono celare con un semplice trucco estetico le contraddizioni di sempre.
Devo confessare che questa volta non posso nascondere le difficoltà di scriverne.
A volte capita, prima di argomentare su qualcosa, di non sapere da dove iniziare.
Capita anche che le cose da dire siano in definitiva così tante da non poter essere possibile raccontarle tutte, e da non sapere quale profilo ignorare, e di conseguenza quali siano gli aspetti da focalizzare.
Capita anche, quando si inizia a scrivere, di perdere prima qualche minuto per cercare di metter ordine alle idee e di imprimere nella mente, se non il testo, almeno i pensieri da esprimere.
Ebbene in questo caso ho rinunciato anche a fermarmi a pensare.
Se devo scrivere sulle motivazioni ideali o sulle ragioni politiche del nascente Partito Democratico non saprei cosa dire ed in definitiva penso che non ne valga la pena.
Andrò a braccio, pertanto, anche perché, in questo caso, ogni cosa non ha una logica, tutto è uno strumento ed un inganno di cui non vale assolutamente la pena analizzare i contenuti.
I popolari ex democristiani, la parte che va da Marini a De Mita, dagli Scalfaro e Colombo alla Rosy Bindi ed Andreotti; Gli eredi di Moro e Donat Cattin, di Rumor e di Fanfani, di Gaspari e Gava, di De Gasperi e Scelba si uniscono ai post comunisti da Fassino a D’alema, da Veltroni a Violante, da Bersani a Visco; contraggono matrimonio politico con gli eredi di Togliatti e di Longo, di Pajetta, Berlinguer e Natta.
Si attua il compromesso storico che negli anni remoti è stato considerato, anche da alcuni dei protagonisti di oggi, l’anticamera di un accordo di potere, persino letale per la democrazia.
Anche se con percentuali variate, ai tempi di Moro, Andreotti e Berlinguer i compromettenti rappresentavano un 65% abbondante dell’elettorato italiano, ora per fortuna sembra che sfiorino a malapena il 25%.
L’elettorato è maturato ed ha tolto, nel tempo, il consenso alle due espressioni storiche più chiuse e conservatrici della politica italiana, democristiani e comunisti, monopolisti di maggioranza ed opposizione in un gioco delle parti che ha mortificato e frenato lo sviluppo dell’Italia.
Mentre l’Europa cresceva come società aperta, sensibile al mondo del lavoro e dell’impresa, aperta ai bisogni dei suoi cittadini, l’Italia ancor oggi, nei servizi sociali e nell’adeguamento delle strutture, ha da compiere intere rivoluzioni.
Per lungo tempo è rimasto imbalzamato sia il riformismo pragmatico del socialismo post marxista, sia il liberalismo dinamico di una efficiente struttura sociale con affinità produttiva.
E così, tanto per completare l'opera, ci ripropongono ancora oggi una forma rinnovata di compromesso storico, e ne danno una bandiera nominale altisonante “Partito Democratico”.
La realtà come è facile intuire è ben diversa.
Nasce perché Prodi abbia un partito, e perché l’anomalia italiana abbia una logica europea dato che i DS e la Margherita spaziano in Europa in gruppi che si confrontano tra loro e che rappresentano il fulcro su cui prende forza e si diffonde la dialettica democratica ( socialisti, popolari e liberali).
La formazione di questo Partito Democratico rimane pur sempre una forma di assimilazione integrata di almeno tre idee, di tre modi, spesso contrapposti, di considerare lo Stato, l’uomo, il cittadino, i suoi valori, le sue libertà, le sue funzioni, le origini e la stessa civiltà fondante di una identità nazionale, e persino ancora i riferimenti storici e di area politica nonché di scelte di alleanze di indirizzo internazionale e di margini di dialogo e di confronto con le civiltà radicate su altri principi.
"Non è un'esigenza dei Ds o della Margherita o di un ceto politico – sostiene Fassino nella sua relazione al congresso dei DS- ma una necessità del Paese, cioè serve all'Italia".
Quante volte abbiamo sentito Fassino e Rutelli, Prodi e D’Alema dire le stesse cose?
Che io ricordi, ad esempio, anche per l’ultima finanziaria!
La realtà però è stata del tutto diversa.
Vito Schepisi

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