31 dicembre 2013

2013 … 2014 … un Paese così, spaccato tra chi abusa e chi sopporta, non ha futuro


Finisce il 2013 senza tanti rimpianti. E’ stato un anno orribile che ci lascia con la drammatica percezione del disastro italiano. 
Sembrerà ovvio, ma il 2013 si è sviluppato come il naturale prosieguo del 2012. L’anno del bocconiano Monti era partito con l’idea di tagliare le spese e di rilanciare il mercato del lavoro e si è ritrovato, al contrario, per opportunismo, perché mal consigliato, per mancanza di coraggio, se non anche per i pressanti condizionamenti politici e sindacali, a fare le stesse cose che fanno tutti i politici: prendersela con i lavoratori e con la gente onesta. 
Con il consueto ricorso alla leva fiscale, si è percorsa la strada meno efficace, se non addirittura più pericolosa, per risollevare il Paese. 
Il 2013 è stato così figlio legittimo del 2012. Enrico Letta è apparso come un clone solo un po’ più smaliziato di Mario Monti, imbalsamato invece nella presunzione e nella sua supponenza cattedratica. 
Qualche settimana fa tra le mie note ho ricordato l’aforisma di Churchill: "Una nazione che si tassa nella speranza di diventare prosperosa, è come un uomo in piedi in un secchio che cerca di sollevarsi tirando il manico". 
Il 2013 è stato un anno in cui gli italiani hanno finalmente compreso che la nostra classe dirigente è inadeguata a risolvere la crisi del Paese. Le motivazioni sono negli interessi particolari, nell’ipocrisia, nelle convenienze politiche, nella furbizia e persino nell’ignoranza di chi fa politica per professione con lo scopo di occupare ruoli di potere e di mettere le mani su fonti di agiatezza personale. E se questo governo parla di riduzione della pressione fiscale, vantandosene, lo deve principalmente all’abbattimento dell’IMU sulla prima casa, cioè a Berlusconi che da questo governo, invece, ha preso le distanze. 
Per il resto i dati parlano di 1,4 miliardi di nuove tasse nel 2013, di aumento della spesa pubblica e del debito sovrano che s’impenna. 
Una Nazione libera, civile, occidentale, inserita in un circuito di collaborazioni e alleanze con stati che s’ispirano, per assetto sociale ed economico, all’economia di mercato, va in conflitto di coerenza con una realtà interna in cui il risparmio e gli investimenti sono diventati una colpa. Ne stanno facendo le spese chi ha pensato di costruirsi un futuro risparmiando ed investendo e pensando persino, così facendo, di sostenere la crescita del proprio Paese. 
Una Nazione così non ha futuro. 
Finisce un anno e, come d’abitudine, i buoni propositi indurrebbero a mettere da parte le recriminazioni perché, rimuginando sul passato non si perda il coraggio del nuovo. Questa volta, però, è più difficile farlo. Ci dicono che sarà l’anno della svolta, ma nessuno ci crede veramente. Le ragioni sono evidenti: non c’è alcun segnale che ci possa far sperare nel superamento della congiuntura e nel cambiamento di marcia. 
Per onestà bisognerebbe dire che si va incontro ad ulteriori difficoltà, senza che sia veramente visibile un segnale di inversione di tendenza. La nuova segreteria del PD ci fa persino capire che sarà ancora la spesa pubblica a soddisfare gli appetiti della nuova classe dirigente che spinge e che è già pronta ad affacciarsi dai balconi del potere. L’ultimo decreto del 2013, inoltre, è pieno di “marchette” con le quali si tiene in piedi un governo che, visti i dati elettorali di 10 mesi fa, appare figlio illegittimo di un Parlamento che, assieme alla credibilità, ha perso anche la sua legittimità. 
Tutte le Istituzioni dello Stato, lungi da rappresentare l’unità del Paese, nei fatti oggi non rappresentano più nessuno. Se si potesse scattare un’istantanea dell’Italia, questa ci mostrerebbe solo un Paese in frantumi, spaccato in due tra chi abusa e chi sopporta. 
Vito Schepisi

12 dicembre 2013

L'Italia e il Congo


Questo nostro mondo è strano. La gente si azzuffa parlando di libertà e di democrazia, esulta se l'avversario politico subisce violenza, si spertica dalle risate quando si fa ironia sull’aspetto fisico di chi ha idee diverse, riversando su costoro un carico di pregiudizi, ma poi si scalda se si parla d’immigrazione, d’accoglienza e di questioni di genere. 
C’è un razzismo che non è rilevato perché passa per ‘politicamente corretto’. E’ rilevato, invece, quale atteggiamento xenofobo e omofobo, l’atto di porsi domande sul futuro, sui giovani, sulle tradizioni, sull’identità, sui modelli di civiltà radicati sulla famiglia e sull’educazione dei figli. 
Piace a tanti questo mondo rovesciato in cui dominano alterigia, presunzione, opportunismo e ipocrisia. Si parla d’integrazione tra diversi e c’è odio per il pluralismo, e c’è odio verso chi immagina un paese libero e intraprendente che si contrapponga agli schemi pianificati. Non piace a molti lo stato liberale in cui sono i cittadini che fanno le scelte. Piace, invece, il paese indottrinato, controllato, programmato e irreggimentato. 
Nel ventennio gli italiani erano tutti fascisti e si tuonava contro il complotto giudaico massonico; oggi sono sempre ‘anti’ qualcosa, raramente per qualcosa. Pensare richiede impegno: nei regimi, invece, c’è sempre chi pensa per gli altri.
Il razzismo in Italia inizia dalla satira che è unidirezionale ed è parte integrante dell’informazione: serve a sdoganare la calunnia e a creare l’indignazione. Il “che aria tira” oggi si misura dalle arringhe manettare di Travaglio, dalle imboscate di Santoro, dalla faziosità beffarda di Floris, dalla compiacenza apparentemente signorile di Fazio, dalla comicità e dalle battute di Grillo, di Crozza, di Benigni, di Littizzetto, di Renzi, e dagli atti di Napolitano. 
In una grande commedia la scena conta più della trama. E per far scena in Italia c’è anche un ministro dal passato clandestino. E' del Congo, un paese che agli italiani della terza età ricorda l'eccidio di Kindu nel 1961, quando furono trucidati 13 aviatori italiani, in missione ONU nell’ex colonia belga sconvolta dalla guerra civile. I nostri 13 militari furono aggrediti, catturati ed uccisi coi mitra e poi lasciati allo scempio della folla che con i machete infieriva sui loro cadaveri. 
La signora Kyenge è arrivata clandestina in Italia, ha fatto la badante, si è laureata, si è sposata e ora è cittadina italiana e si batte per l'integrazione, reclama per gli immigrati il diritto di cittadinanza e chiede l'abrogazione del reato di clandestinità. Lotta perché l’Italia sia un paese di libera immigrazione. Non è questa, però, la prospettiva migliore per le nuove generazioni. 
L'episodio dell'eccidio di Kindu sarà pure superato, ma in Congo la democrazia, le regole, i diritti e le belle parole su libertà e integrazione sono ancora molto distanti. L’utilità della Kyenge in Congo, come medico e come persona sensibile alle questioni sociali, apparirebbe molto più corretta. Invece è in Italia e fa il ministro. 
In Congo sono bloccate da oltre un mese 26 coppie italiane che, dopo le assicurazioni della Kyenge, sono partite dall’Italia per adempiere alle procedure previste per l’adozione di 32 bambini congolesi. Sbrigate le formalità, però, i 52 cittadini italiani sono ancora là alle prese con ostacoli burocratici. Le condizioni di vita in Congo sono ben diverse dagli standard italiani. I nostri connazionali si trovano in serie difficoltà, l’acqua non è potabile, sono senza aiuti, con problemi di gastroenterite e di febbre, ed è stato accertato anche un caso di malaria. 
Per le fonti ufficiali il ritardo nell’iter delle pratiche è dovuto al timore che i bimbi adottati possano essere riaffidati ad altre famiglie. Meno note sono le reali motivazioni. La nostra ministra parla la stessa lingua, conosce le abitudini e i modi, ha un profilo di autorevolezza, ed ha persino la stessa collocazione politica del regime congolese (la Repubblica Democratica del Congo è, infatti, uno stato socialista), ma gli interventi della Kyenge hanno avuto scarso successo. 
Nel suo paese la ministra potrebbe certamente far molto di più; in Italia, invece, come ha già scritto qualche mese il prof. Sartori sul Corriere, è solo una “nullità”. 
Vito Schepisi

14 novembre 2013

Regione Puglia e nuova sede: dove sono stampa e ambientalisti?


Su EPolis del 14.11.2013

La nuova sede della Regione Puglia, prima di essere realizzata, si è già rivelata insufficiente a soddisfare le necessità degli spazi.
In Città nessuno ne parla, tanto meno i quotidiani locali, ad eccezione di EPolis che sabato 9 novembre ha riportato la notizia in prima pagina.
L’idea di eliminare il ricorso agli stabili in locazione, e di allocare la Sede del Consiglio e tutti gli uffici e gli assessorati in un unico contesto edilizio, mostra già le prime falle. La sede unica della Regione in via Gentile doveva servire ad abbattere i costi di locazione e a ridurre le diseconomie di una rete di uffici (dislocati in diverse località) che crea mobilità improduttiva e svantaggi all’utenza. Non è confortante, però, osservare che con i lavori già in corso (l’ultimazione e la definitiva e completa consegna degli immobili è prevista per il 2015) e con alcuni edifici già ultimati e consegnati, sia già emersa una difficoltà per la sistemazione degli spazi per uffici e servizi istituzionali.
E’ stata la Giunta a prenderne atto, adottando una delibera nella quale è stato stabilito: “il preminente interesse regionale, per l’obiettivo di concentrare nell’area di Via Gentile la massima parte degli uffici regionali (non tutti? ndr), mediante la realizzazione dei necessari ulteriori volumi edilizi, in ampliamento di quelli già realizzati e in fase di realizzazione, previa redazione dei relativi progetti ed acquisizione delle necessarie autorizzazioni.”
Leggendo la delibera di Giunta si rileva, però, che la questione non si riduce soltanto a esigenze di ampliamento dei volumi e alla verifica positiva delle cubature consentite dagli indici urbanistici vigenti. I nuovi edifici andrebbero a sostituire realizzazioni diverse, in particolare un eliporto e un’area destinata alle attività sportive, ma per essere realizzati necessitano di una deroga ai vincoli stabiliti dalla legge Galasso sulla distanza dalla battigia (meno di 300 metri).
Come immagine per la Regione e per il suo Presidente non sarebbe una questione di poco conto, se solo si pensasse che l’Ente, e sempre sul lato sud della costa barese, andrebbe a riproporre le stesse violazioni dei vincoli che hanno portato all’abbattimento degli edifici di Punta Perotti. Auguriamoci almeno che questa volta si faccia a meno della dinamite e che non si debba arrivare alla distruzione di risorse, con l’Italia e la Puglia che non se lo possono assolutamente permettere.
La stampa tace, però, come se fosse tutto normale, come se la Città non lo debba sapere, come se i baresi non fossero interessati. Nessun dito alzato per ripristinare il principio. Nessun lamento ambientalista. Nessuna osservazione. Nessuna mobilitazione, come se la Città fosse diventata, d’un tratto, disattenta e indifferente. E’ vero che questo silenzio è anche una fortuna, per quanto sono odiosi i toni da crociata, ma perché non doverne parlare con toni pacati, senza arringare le folle? Perché non se ne debba discutere come cittadini coscienziosi e riflessivi?
Tra chi discute e argomenta potrebbe anche esserci chi faccia osservare agli amministratori regionali che gli spazi ben presto, da essere insufficienti, possano, invece, rivelarsi in esubero. Tra le ipotesi al Ministero degli Affari Regionali, infatti, è allo studio un ddl sul riordino dell’amministrazione pubblica locale che andrebbe a modificare gli assetti quantitativi e geografici delle regioni italiane.
Con l’abolizione delle Province, le regioni italiane potrebbero passare da 20 a 36, naturalmente di dimensioni più piccole, e la Puglia potrebbe persino scindersi in tre, assorbendo il materano e il Molise. Bari potrebbe ritrovarsi sede soltanto della Regione “Terra di Bari”. Se il ddl andasse in porto, il personale della Regione Puglia di Bari potrebbe ridursi, e di molto, e gli spazi rivelarsi in esubero.
Vito Schepisi

07 novembre 2013

Il nostro futuro? Proviamoci con l’eresia


EPolis del 7.11.2013

LA BARI CHE PENSA...
C’è la Bari che pensa e vuol fare. Il nostro dibattito non si arresta e oggi si arricchisce del contributo di Vito Schepisi, coordinatore dei gruppi di lavoro Rinasci Bari.  

Ciò che non manca al Sud è la fantasia. A Bari e in Puglia sono nati laboratori politici, rilanciati poi sul territorio nazionale, che volgevano lo sguardo su scenari e strategie politiche, su aperture storiche, persino su strane convergenze e cambi di maggioranze in corsa. Né è mancata la fantasia d’immaginare per Bari una Città che non c'è, o di volerne cambiare abitudini e vocazioni, facendo e disfacendo per gli interessi di pochi. 
Rispolverare Voltaire, però, e il suo Zadig, come fa Palmisano, significherebbe dare alla comune furbizia, o alle stesse lagnanze, un valore più ampio di ciò che non hanno. Non è solo l’intolleranza delle classi agiate e non è solo l’isolamento di chi si trova chiuso e tenuto distante da una classe dominante cinica e impenetrabile. A Bari è anche l’esatto contrario: spesso sono le classi agiate e parassitarie che, per furbizia e mancanza di scrupoli, si pongono nella cordata dei mestieranti di turno. Manca l’autonomia di pensiero e, se l’individuo trova spazio alla sua genialità solo al servizio di chi organizza e manovra gli strumenti per la conquista del potere, diventa una questione d’indifferenza alla libertà. 
John Locke, nella prefazione al Saggio sull'intelletto umano, scrive: “… essendosi cinque o sei amici miei riuniti nella mia stanza a discutere di argomenti molto diversi dal presente soggetto, ben presto ci trovammo in un vicolo cieco, e dopo aver fatto alquanti sforzi senza con ciò progredire verso la soluzione, a me venne il sospetto che avessimo adottato un procedimento errato; e che prima di applicarci a ricerche di quel genere, fosse necessario esaminare le nostre facoltà e vedere con quali oggetti il nostro intelletto fosse atto a trattare e con quali invece non lo fosse”. 
Oggi i più non si pongono domande e il conformismo interessato sta demolendo il futuro. L’intelletto è parcellizzato. Senza la cultura della libertà, manca chi scuota le coscienze in nome dei principi di giustizia e dignità. Il coraggio dei pochi confligge contro una classe dirigente che parcellizza le professionalità. Si perdono di vista i bisogni, e c’è disinteresse per il futuro e per le nuove generazioni. 
Sarebbe antistorico immaginare Bari senza la sua operosità commerciale e folle immaginarla, Città Metropolitana e Città Regione, tagliata fuori dalla centralità dei trasporti. E’ già un delitto osservare Bari priva di un terminal container e senza una gestione strategica del suo porto turistico, scalo di un milione di croceristi. I fatti di cronaca in Città ci parlano, ancora, di burocrazia ottusa che scarica il suo nervosismo su un bar del centro o sui venditori di sgagliozze e di caldarroste. Bisognerebbe invece finirla con il sistema medioevale delle istituzioni usate contro i cittadini. 
Desirèe Digeronimo, citando Rousseau, scrive di un “patto sociale” per il bene comune, ma occorrerebbe prima che la Città si chieda cosa voglia essere o diventare: se riprendere a essere una città dei commerci, di cultura e di terziario, o se cambiare. E con cosa? Le centralità devono tornare a essere sviluppo e lavoro. Bisogna dirlo. Sono le imprese che possono generare occupazione e ricchezza. Oggi, però, le imprese sono vessate dal fisco e dalla burocrazia. 
All’intelligenza, all’inventiva, alla creatività ed alla progettualità, che hanno già permesso in passato di costruire una grande città, si deve unire un sistema di “burocrazia amica”, così definita in un Convegno dall’Associazione Rinascibari, un gruppo di “eretici” che un bel giorno, preso atto che non andava bene niente di ciò che c’era, si sono chiesti: Che cosa facciamo? Di che cosa parliamo? Per poi aggiungere: proviamoci con l’eresia! 
Vito Schepisi  
Coordinatore dei gruppi di lavoro di Rinasci Bari.

I precedenti interventi di Leonardo Palmisano, Annamaria Monterisi, Gianni Spinelli, Gianvito Spizzico, Eugenio Lombardi, Vitandrea Marzano, Desirée Digeronimo e Massimo Lupis sono disponibili integralmente sulla pagina Facebook di EPolis Bari mentre le edizioni del giornale possono essere scaricate dal sito www.epolisbari.com e dall’app per iPad. 

14 ottobre 2013

Letta sta portando l'Italia al collasso



Il Consiglio dei Ministri sta per presentare la legge di stabilità. Le polemiche, i moniti, gli aut aut, le mani in avanti si susseguono a ritmo più serrato man mano che ci si avvicina alla vigilia della presentazione.
Niente di diverso. Prima accadeva la stessa cosa con la legge finanziaria che, a differenza di quella attuale di stabilità, regolava le poste di bilancio, invece che le scelte economiche del Paese.
Dalle indiscrezioni sembra di capire che la legge per l’economia e la finanza italiana si muoverà attorno ad alcune questioni come:
- la trasformazione dell’IMU nella Service tax che sostituirà anche la Tares in una tassa unica sugli immobili, prima o seconda casa che siano, su aliquote che non si discosteranno dall’incidenza voluta da Monti per l’IMU del 7,6 per mille per la prima casa e del 10,6 per mille per le altre. Una patrimoniale mascherata che vedrà l’unificazione della tassa sulla proprietà degli immobili con quella sui rifiuti e sui servizi comunali, con la variante del coinvolgimento degli inquilini alla nuova imposta;
- la rivisitazione delle aliquote IVA. Sembra che sia allo studio l’aumento dell’aliquota, su alcuni beni di consumo, dall’attuale minima del 4% a quella tutta nuova del 7%. Non sono pervenute, invece, ipotesi di riduzione di quella massima del 22%, in vigore già dal primo ottobre di quest’anno per il “colpo di genio” di Letta che in Consiglio dei Ministri ha recitato da offeso;
- la riduzione selettiva del cuneo fiscale alle imprese che assumono e investono (ma quante tra le piccole e medie sono ancora in grado di farlo?) per un costo complessivo di 2,5 miliardi di euro; 
- la distribuzione in busta paga dei lavoratori, anche questa selettiva, di tasse per 150/250 euro l’anno per stimolare gli acquisti;
- il taglio su alcuni capitoli di spesa dei ministeri. (Si parla anche di sanità e le regioni sono in subbuglio. Vendola manda a dire al Governo che i tagli alla sanità sarebbero “inaccettabili”. Lo stesso Vendola che ha consentito che sotto la sua gestione si sperperassero due miliardi di Euro. Una faccenda con responsabilità penali ancora tutte da definire, ma con “responsabilità” finanziarie già addossate ai contribuenti pugliesi;
- rifinanziamento degli ammortizzatori sociali e alcune misure di stimolo alla crescita economica, come la deducibilità del costo del lavoro ai fini dell’IRAP.;
- Allentamento del patto di stabilità degli enti di governo locale con adeguamento alla capacità di spesa creata ai comuni con la “Services tax”.
Saranno sufficienti le misure su esposte a ribaltare le difficoltà economico-finanziarie dello Stato?
Rispondere di si vorrebbe dire solo continuare a prenderci in giro.
L’Italia con queste misure nel 2014 si troverà a navigare in un mare ancora più tempestoso di quello attuale.
Si vuole ancora nascondere al cittadino la gravità della cosa. L’Italia, progressivamente, perde pezzi d’impresa e di lavoro. E’ un’emorragia che non accenna ad arrestarsi perché si pensa di fermarla con interventi superficiali, perché non si ha il coraggio di dire ciò che in Italia non va.
Finché si penserà di coprire le spese aumentando le entrate, non sarà possibile discostarsi dalla discesa verso il baratro.
Vanno fermate le spese. 
Il nostro è un Paese che per pagare solo gli interessi sul debito e per la spesa energetica, fuori dai nostri confini, spende quasi quanto le intere entrate irpef dei lavoratori dipendenti.
E’ in moto un processo maniacale che ci sta portando al collasso. Molti lo sanno, ma lo nascondono. Tra un po’, però, non sarà più possibile nascondersi dietro un dito.
Letta basta a giocare! Lei fa come il prestigiatore che all’angolo della piazza fa il gioco delle tre carte. Carta che vince e carta che perde. Ma è pazzesco! Renzi fa le battute e Alfano fa finta di arrabbiarsi. Sulla nostra pelle! O sono tutti pazzi o non hanno capito una mazza.
A questo punto non bastano più le forbici, ci vuole la scure. Tagliare, tagliare, tagliare. Altro che resistere, resistere, resistere. Tagliamo le regioni, ad esempio. Le regioni sono la fonte più proficua del malaffare. Per la spesa sono pozzi senza fondo.
Pensiamo ad una architettura costituzionale della democrazia rappresentativa più snella e più parsimoniosa in cui le autonomie siano attente ai servizi sul territorio, ma con un sistema di controllo sulla congruità della spesa.
Il governo delle larghe intese poteva avere un significato se fosse stato usato per due cose: adottare le misure impopolari, prima di trovarsi fuori tempo massimo, e fare le riforme (Giustizia, Stato, Lavoro).
Doveva portare alla pacificazione sociale, invece ci ha regalato il “ricatto” del PD sulla responsabilità di tenere forzatamente in piedi un Governo d’incapaci. 
Vito Schepisi

08 ottobre 2013

Elogio dell'idiota


Chiariamolo subito. Se mi trovo qui a tratteggiare un elogio all’idiota non è per pura e occasionale avventura, ma per una meditata analisi.
Partiamo da un dato italiano: in Italia è idiota almeno un italiano su due. Sono ottimista questa mattina. Ma il meglio deve ancor esser detto: il 50% degli italiani sa di essere idiota e se ne compiace. Quello nostrano non è un fenomeno circoscritto al Paese: è comune a tutti i paesi di simile livello sociale ed economico, con simile retroterra culturale e con pari livello di civiltà.
L’idiota di cui si parla non è la persona del tutto ignorante o il cosiddetto stupido del villaggio e neanche il violento che fa il gradasso con i più deboli. Non è chi alza la voce immaginando che gridando di più si possa avere anche più ragione sugli altri. Se pensassimo a questi, uniti agli altri, di non idioti, in verità, in Italia ne resterebbero in pochi.
Stiamo parlando di persone che immaginano di rappresentare e di dire qualcosa, che si presentano come persone che ragionano, di quelli che attorno alle proprie azioni cercano di costruire delle motivazioni logiche, che chiedono il consenso a ciò che fanno. Parliamo anche degli idioti che fanno parte della classe dirigente del Paese. Degli idioti di rango insomma, anche di quelli che fanno parte della medio-alta borghesia e di quelli che si arrampicano per entrarci o per rimanerci; di quelli con i modi gentili, premurosi e corretti, ligi e legati alle forme, o volgari, autoritari e altezzosi, presuntuosi e intolleranti. 
E’ da qui che parte il primo pensiero sull’utilità dell’idiota: se non ci fossero, non ci sarebbero i non idioti e quindi verrebbero a mancare le persone positive e capaci.
Non è un primo buon motivo, seppure semplicistico, per pensare che l’idiota serva a qualcosa?
Se ci fosse un mondo di persone tutte capaci, tutte intelligenti, tutte razionali, tutte riflessive, tutte positive, il nostro mondo sarebbe banale. La società è complessa e articolata in livelli di competenze e di responsabilità e sapere di prevalere sugli altri solo per un colpo di culo ci porterebbe già alla depressione, ma sapere di dover invece soccombere solo per un colpo di iella sarebbe ancor più insopportabile.
Un mondo di uomini capaci sarebbe scialbo e senza competizione. Tutto sarebbe piatto e senza colpi di genio. Nessun gusto per la creatività, perché tutto sarebbe nella norma. Sarebbe un mondo di uguali, tutti con le stesse doti d’inventiva, con l’estro, con le idee chiare. Ma così tutto sarebbe anche monotonamente razionale e perfetto. L’unica alternativa starebbe nella tentazione d’essere un po’ idioti, per provare qualche emozione diversa. Ma essere idioti in una società di capaci potrebbe trasformarsi in un rischio molto grosso.
Un capace, infatti, sarebbe come uno che coglie l’idea del perfetto e si uniforma ad essa. E, siccome l’idea del perfetto non è sulla terra, rischieremmo di trovarci in un popolo di fanatici che ritengono blasfema ogni idea che si discosti dalla parola del Perfetto.
Cadrebbero le teste! Anche questa sarebbe una ragione per pensare che avere almeno il 50% degli idioti sia indispensabile per motivare l’articolazione della società e scongiurare il pericolo di involuzioni autoritarie.
Si dice che il buon umore faccia bene alla salute. Ma si ride, quasi sempre, quando c’è un idiota che ci fa ridere. Benigni, ad esempio, non ci fa ridere perché declama i versi della Divina Commedia o perché rimescola da anni le sue battute su Berlusconi, ci fa ridere perché nei suoi modi gli spettatori ci scorgono i modi del giullare che fa l’idiota.
I nostri comici per farci ridere dicono idiozie. L’idiota, pertanto, ci fa sorridere, alimenta il buon umore, ci distrae dai pensieri e dalle responsabilità ed è un antidoto allo stress.
Si prenda Crimi, il senatore del M5S che, membro della Commissione sulle immunità del Senato, nelle fasi della discussione sulla decadenza di Berlusconi, non ha trovato di meglio da fare se non, in odio a Berlusconi, d’essere volgarmente offensivo verso il mondo degli anziani. Crimi rappresenta benissimo una buona parte della nostra società.
Come, diversamente, poteva essere rappresentato in Parlamento il mondo degli idioti se non ci fosse stato?
Vito Schepisi

04 ottobre 2013

Vittime di responsabilità politiche

Quante tragedie ancora devono verificarsi per porre termine alle inammissibili responsabilità politiche sul fenomeno dell'immigrazione? 
L'Italia è diventata l'anello debole dell'Europa. La nostra Nazione è considerata dagli extracomunitari, certamente a ragione, il Paese in cui tutto è permesso ed in cui il rischio di doverne pagare le spese non esiste. 
Da noi si parla di xenofobia e di razzismo, ma in effetti è il Paese più tollerante e garantista per i reati degli immigrati. L’Italia è il Paese che sulla questione immigrazione è considerato il più molle ed incapace d'Europa. 
Sbaglierebbe chi pensasse che per la tragedia al largo di Lampedusa non ci siano responsabilità politiche italiane ed europee. Far pensare, ad esempio, che in Italia, nonostante il previsto reato di clandestinità, poi tutto si accomoda, e osservare la presenza di ministri e Istituzioni pronti a difendere queste vittime delle guerre e del sottosviluppo è un errore. 
E’ un gravissimo errore che si paga anche con centinaia di vittime umane. I nostri ministri e le nostre istituzioni dovrebbero invece sostenere che la legalità debba essere riconosciuta come il principio fondamentale su cui si costruisce un processo d’integrazione tra le genti. La legalità deve essere il primo presupposto senza il quale tutto diventa più difficile, ma alcuni ministri e politici non la pensano affatto così. 
Senza legalità e senza il rispetto di leggi e persone, e di luoghi e costumi, non ci può essere integrazione: un principio quest’ultimo che sarebbe bene che fosse pronunciato in modo chiaro da tutti, magari stampato in tutte le lingue e affisso ai nostri valichi di confine, nei nostri centri di accoglienza, nei nostri porti, aeroporti e nelle nostre stazioni ferroviarie.
Mettere in discussione lo "ius sanguinis", per correr dietro alla demagogia dello "ius soli", spinge eserciti di migranti a raggiungere le nostre coste per far nascere un figlio in Italia e stabilire così un diritto. Crea aspettative negli immigrati. L'Italia di oggi, però, non se lo può permettere, né si può pensare che il diritto di uomini e donne, seppur disperati, seppur arrivati in Italia da paesi in guerra o in difficoltà sociale e civile, si sostituisca al diritto di tanti italiani in situazioni di bisogno. 
L'Italia da sola non si può far carico delle situazioni di crisi sociale nei paesi sottosviluppati. La responsabilità delle comunità internazionali sta nel lavarsi le mani e nel limitarsi a giudicare, senza intervenire a sostegno di chi è coinvolto e subisce le "invasioni". Il giudizio etico su chi fa fronte, pur con atti di umanità e con diffuso spirito di solidarietà, ai diversi episodi di disperata follia, è cinismo irresponsabile, ed è irricevibile. 
L'Europa è tra queste. La nostra comunità, che ci detta le regole per "affossare" la nostra economia, si guarda bene da fissare anche le regole per aiutare i paesi in difficoltà e per comprendere il fenomeno dell'immigrazione in una questione comunitaria e non solo italiana. 
Neanche gli immigrati, infine, ci aiutano a sostenere la loro causa, inondandoci di atti criminali di grande e piccola dimensione. Gli interventi per garantire la sicurezza e per reprimere la criminalità, e quelli per porre riparo agli atti di vandalismo, sottraggono risorse economiche e destano inquietudine sociale, sottraendo buona parte della buona qualità della vita della nostra gente. 
Se si volesse davvero aiutare questa gente disperata, in condizioni di bisogno e di sfruttamento, e che paga una cifra per affrontare il viaggio della speranza verso le coste dell’Italia, senza limitarsi alla demagogia e al versamento di lacrime da coccodrillo, e senza alimentare aspettative, sarebbe necessario cambiare registro e intervenire in accordo con la Comunità Europea per stabilire le regole, i flussi, la collocazione e gli aiuti economici per creare lavoro e vita nei paesi interessati. 
Non ci sono soluzioni diverse. 
Vito Schepisi

28 settembre 2013

Letta ha stabilito che per salvare il PD debba pagare l'Italia



Ciò che è grave è che il Presidente Letta, complice il PD, dinanzi ad una scelta del Pdl - politica, legittima e responsabile - di protesta verso la sinistra intollerante che mira a liberarsi dell'avversario politico, barricandosi dietro una sentenza che lascia perplessi, si vendica penalizzando il Paese.
Come se in Italia si debba sempre subire in silenzio, come se la democrazia non debba consentire a ciascuno di dissentire nei modi, urbani, che più ritiene opportuni e che siano proporzionati all'offesa subita. Dimettersi dal Parlamento è un atto di grande rilevanza politica. E’ il termometro di un disagio. Deve far riflettere. E’ da intendere come la misura estrema contro la prepotenza.
Ci sono i margini politici e procedurali per ragionare sulla decadenza di Berlusconi, invece si preme in modo sbrigativo per farlo fuori. E’ già pronto e schierato il plotone di esecuzione che aspetta di mettere in atto la sentenza di condanna a morte della democrazia. In Italia siamo ai limiti, se non si sono già superati, della tolleranza democratica. Il Presidente Napolitano, invece di lasciarsi prendere dall’ingiustificata indignazione, rifletta.
C'è sete di vendetta, in un clima di odio che neanche "le grandi intese", nell'interesse della Nazione, hanno minimamente scalfito.
Non si può non osservare che ciò che si vede da noi accade solo nei paesi totalitari. La magistratura, ad esempio, che, invece d’essere al di sopra delle parti, gioca in un campo dell'arena politica, la legge che non è uguale per tutti, la ragione che si riversa contro la tradizione e la civiltà dei sentimenti e dell'organizzazione sociale di un modello che si è sempre salvato dalle orde barbariche e dai totalitarismi degli uomini e delle ideologie, la stessa democrazia degli uomini liberi che si pretende debba sottostare alla pressione mediatica ed al popolo del web.
Sono tutti sordi e tutti rivolti verso l’obiettivo di far fuori chi da 20 anni mette in discussione lo strapotere della sinistra e dei suoi complici in Italia, nonostante che giuristi e costituzionalisti, persino di area di sinistra e del PD, ritengano ingiustificata tanta fretta e tanto sbrigativo semplicismo.
Gli italiani temono che, in questo modo, la parte politicizzata della magistratura, si possa liberare di tutti i politici scomodi. Pensano che sia in corso una manovra intimidatoria sottile e pericolosa. I tempi sono quelli che ci vede impegnati, con una richiesta referendaria, a mettere in discussione l’irresponsabilità della magistratura.
La riforma complessiva della corporazione, anche nella coscienza del popolo è diventata, però, improcrastinabile. L’Ordinamento giurisdizionale non può trasformarsi in potere: si deve mettere al servizio del Paese e delle sue leggi, autonomamente e indipendentemente, come previsto dalla Costituzione. Non può sostituirsi a niente e nessuno, perché non ha la legittimità democratica per farlo. Il potere in democrazia è solo del popolo, e il popolo si è espresso nel febbraio di quest’anno, attribuendo 10 milioni di voti, quasi quanti quelli del PD, al partito di Berlusconi.
Dove sono le coscienze democratiche del Paese? Dove sono gli indignati? Che sia pelosa questa coscienza democratica o che sia ipocrita l'indignazione di cui si sente parlare? 
Gli italiani, i giovani, i disoccupati, la gente che perde il lavoro, le famiglie prese a bersaglio da ciò che chiamano il nuovo ed il progresso e che invece è cosa vecchia ed è reazione, sono così serviti da questa sinistra senza pudore: non slitterà l’aumento dell’IVA.
Il nuovo balzello partirà dall'1 ottobre e passerà DAL 21% AL 22%.
Letta irresponsabilmente ha bloccato il decreto nel Consiglio dei Ministri. Una vendetta senza senso, folle, che trascinerà l'Italia in un dramma ancora più serio. Avrà l’effetto di deprimere ulteriormente i consumi. Rallentare il mercato in questo momento è cosa grave per l'economia del Paese, per lo sviluppo, per le famiglie, per l'occupazione e per i giovani.
Solo la sinistra italiana ed il PD potevano arrivare a tanto.
Vito Schepisi

18 settembre 2013

L'anticamera della dittatura


Se Silvio Berlusconi abbia mai pensato che la vittoria elettorale del 2008, con cui il centrodestra prese la maggioranza assoluta alla Camera ed al Senato, gliela avrebbero fatta passare liscia e senza una reazione feroce, alla luce di ciò che poi è accaduto, politicamente e giudiziariamente, è evidente che si sia sbagliato di grosso. 
Persino i tradimenti ricevuti rientrano in una complessa e inquietante strategia di demolizione e di persecuzione. Chi ha tradito ha fatto una misera fine, quella di tutti gli utili idioti, ma era prevedibile: non poteva non essere messa nel conto da chi della politica ne aveva fatto un mestiere. 
Non che la vita privata e imprenditoriale di Berlusconi, con i suoi interessi economici, non fossero già stati, prima del 2008, il bersaglio preferito di truppe d’assalto di magistrati politicizzati, collaterali a quella sinistra post comunista che nel leader del centrodestra vedeva il nemico da abbattere ad ogni costo. Berlusconi dal 1994 è stato, infatti, l’ostacolo insormontabile che si è frapposto, con successo, alla conquista del potere assoluto, come, per inderogabile obiettivo, è stampato nel manuale ideale di ogni buon marxista. 
Le contraddizioni e l’incapacità di coniugare la propaganda con la realtà hanno sempre impedito alla sinistra italiana, camuffata dietro la maschera della democrazia, la continuità nel consenso. La sinistra italiana è rimasta quella di sempre: illiberale, antidemocratica, reazionaria, corrotta, violenta, ipocrita, cinica e falsa. Come lo era ai tempi di Togliatti. 
La necessità di liberarsi del “nemico” rientra nel dna politico e storico dei marxisti-leninisti. Eliminare l’avversario toglie anche il fastidio di dover rispettare le promesse, il popolo e il Paese. 
C’è la convinzione, a sinistra, penso a ragione, che dopo Berlusconi non ci saranno più ostacoli. Se la giocheranno in casa tra chi è più ipocrita e falso tra loro. E con questo PD confuso, idealmente disorientato dalle esibizioni del lessico strumentale dei suoi rocamboleschi personaggi, fra rottamati e rottamatori, smacchiatori e asfaltatori, finiranno con essere rottamati, smacchiati e asfaltati tutti quegli italiani che s’impegnano nel lavoro e che non sono abituati a mendicare niente a nessuno. 
E’ il popolo che pagherà il conto di tutto questo insistente imbroglio sociale d’imprese collassate, di banche saccheggiate, di burocrazia esosa ed asfissiante, di famiglie affamate, di donne e uomini caricati di tasse e privati dei propri diritti, di milioni di giovani disoccupati. I fannulloni, i galoppini sindacali e politici, i ruffiani e gli impostori, gli imbroglioni, i corrotti e le caste degli intoccabili continueranno, invece, indisturbati, a prendersi beffa delle persone per bene. 
Se, all’eliminazione politica di Berlusconi, si unirà anche l’esproprio del suo patrimonio, sarà impartita una lezione tremenda a chi non gorgheggia nel coro. Un monito che non potrà che destare preoccupazione per chiunque ci voglia ancora provare. Chi avrà, infatti, ancora la forza e il coraggio di denunciare le ingiustizie e di battersi contro la nuova barbarie autoritaria? Si pensi allora a quanto possa valere, per la propaganda comunista, questa lezione! Almeno 100 delle loro menzogne. 
Nel silenzio di chi non avrà più voce, la sinistra potrà concludere il suo processo di appiattimento dell’informazione televisiva e cartacea. Come nei regimi più classici, ci sarà chi si occuperà della dispersione e della criminalizzazione del dissenso: avremo un altro servizio pubblico di agenti provocatori che snideranno e denunceranno i “disfattisti”. I “compagni” di provata fede occuperanno tutti i centri decisionali del Paese. Il “Partito” eserciterà il controllo dei vertici delle funzioni di sicurezza dello Stato. Il governo potrà infierire su tutti o su alcuni con tasse e patrimoniali. La sinistra potrà continuare a saccheggiare il Paese, invadendolo con i suoi famelici galoppini, con i fannulloni che vivono sul lavoro degli altri, sindacalizzando le imprese, uniformando l’informazione, disperdendo e criminalizzando il dissenso. 
Ciò che sta succedendo al leader del centrodestra non è che la nuova rappresentazione autoritaria di una trama che già conosciamo, in cui il grottesco si sposa con la viltà e l’indifferenza di tanti. 
Siamo nell’anticamera della nuova dittatura. 
Vito Schepisi

16 settembre 2013

Epifani e Kim Yong



Nei regimi totalitari niente del popolo e dei sudditi è segreto. Persino il capo condomino di un fabbricato ha l'obbligo di origliare e di riferire sulle abitudini e sui sospiri degli inquilini. E’ riservato, invece, l’esercizio incondizionato del potere ed è riservata la conoscenza della realtà sociale ed economica dello Stato.
I regimi illiberali si reggono sul ricatto e sulla discrezionalità degli apparati. Tutto deve essere convergente per l'esercizio indiscusso ed esclusivo del potere. Nei paesi totalitari, nelle dittature militari o in quelle populiste o, ancora, nelle altre emanazioni politico-amministrative di estrazione etica e fondamentalista, c'è l'odio e la repressione per tutto ciò che è plurale: non esiste la libera espressione del pensiero, né l'autonomia della propria coscienza. C’è la necessità dell'omologazione totale del pregiudizio verso gli avversari. Questa componente ideologica è come se fosse la sostanza stessa dell'azione politica e della strategia sociale e culturale del Paese. Si odia il capitalismo piuttosto che il liberalismo, ed i regimi diventano centri di rieducazione e divulgatori dei principi dell’etica e della morale.
In democrazia, invece, soprattutto il giudizio che incide sulla "dignità" delle persone, cioè sulla sua sfera individuale, non può ridursi ad un voto di opportunità politica, quanto, invece, ad una espressione ragionata della propria coscienza. Pensare e dire, come ha fatto Epifani, per il voto in Giunta sulla decadenza di Berlusconi, che il PD, compatto, voterà si alla decadenza del leader del centrodestra lo fa apparire, invece, come un mero voto di opportunità politica.
Ma la Giunta per le immunità schierata come riflesso dei partiti a che serve?
Se non servisse far prevalere la coscienza dei componenti la Giunta, basterebbe far votare i capigruppo con il peso dei propri parlamentari ed il gioco sarebbe già fatto, senza perdere ulteriore tempo e denaro.
Se il Parlamento, però, perdesse, anche formalmente, la sua funzione di rappresentare i cittadini, la nostra non sarebbe più democrazia. Potremmo anche deputare alla magistratura, scalpitante e bramosa di esercitare un potere, il compito di pensare e di agire per tutti! Così diverrebbe anche tutto più evidente. Sarebbe la traduzione visibile di ciò che sta avvenendo oggi in Italia. Ed il regime che si sta instaurando nel nostro, invece di apparire e di dirsi democratico, per onestà intellettuale, sarebbe più visibilmente autoritario e illiberale.
Mi chiedo ancora a cosa valga una Giunta per le immunità il cui Presidente si è espresso prima ancora che fosse stata convocata la Giunta, se non una parvenza di democrazia, ove l’azione democratica sarebbe sola quella di ratificare ciò che già si è stabilito?
Quella del senatore Stefàno è solo una smania di protagonismo, alla "Esposito", o è una forma d’incultura della democrazia?
Nel primo caso, l'Italia alla "Esposito" avrebbe un che di burlesco che non può piacere, anzi sarebbe disgustosa, nel secondo dovremmo incominciare a chiederci se 65 anni di retorica democratica ed antifascista non siano serviti che a reincarnare l'orrore.
Se quello della giunta diventasse un voto politico, con i segretari dei partiti che indicassero la strada da seguire, il ruolo del segretario del PD sarebbe doppiamente ingannevole. Epifani renderebbe visibile la doppia intenzione del PD: liberarsi dello scomodo avversario politico, dopo averci provato per 20 anni - senza riuscirci - e bocciare l'alleanza di governo con il Pdl a guida di un uomo dello stesso PD.
Quando c'è il PD di mezzo la confusione regna sempre sovrana, e se non c'è il saccheggio materiale del Paese, c'è quantomeno il consueto tentativo del saccheggio delle coscienze e della democrazia liberale. E siccome non si fidano dei loro uomini, come accade a tutti i dittatori, ad Epifani piacerebbe il voto palese sulla decadenza di Berlusconi, per potere esercitare il potere di condizionamento del partito sulle coscienze dei suoi senatori.
Come ad un Kim Yong qualsiasi.
Vito Schepisi

11 settembre 2013

Il PD sta facendo di tutto per far cadere il Governo Letta



Il governo Letta è nato tra mille difficoltà. Il Pd con lo 0,3% di voti in più del Pdl alla Camera, in accordo con il Sel di Vendola e con le pattuglie dei principianti allo sbaraglio di Grillo, aveva già occupato tutte le Istituzioni.
Bersani aveva cercato invano, e insistendo, una maggioranza con il M5S, respingendo invece le offerte di disponibilità del Pdl ad una maggioranza dalle larghe intese. L’aggravamento della crisi, innescato dalle misure fiscali di Monti, consigliava, però, di mettere in piedi, con premura e per responsabilità, un governo solido, con una larga maggioranza in Parlamento, per fronteggiare le serie difficoltà del Paese (recessione e disoccupazione).
Trovatosi dinanzi ad una strada chiusa che portava direttamente verso un nuovo test elettorale che l’avrebbe visto perdente, Il PD, dopo oltre due mesi dall’esito elettorale, cedeva, finalmente, alle insistenze del Presidente della Repubblica.
E’ nato così il Governo Letta. Il Capo dello Stato, mostrando più lucidità, nonostante l'età, dei suoi vecchi compagni di partito, aveva indicato il tragitto delle larghe intese, ritenendole, a ragione, più che un percorso politico, una necessità di responsabilità democratica, resa inevitabile dall'esito delle elezioni che avevano visto i due principali protagonisti, PD e Pdl, attestarsi sullo stesso livello di voti, con solo una leggera preferenza per i primi.
Anche in questa fase, con il Paese in difficoltà, gli uomini nel PD avevano continuato a fare solo ciò che hanno sempre mostrato di saper ben fare (sin da quando militavano nella Dc e nel Pci): occupare poltrone. Facendo valere la legge dei numeri, gonfiati dal premio di maggioranza, il PD si allargava nei ministeri, mentre il Pdl si concentrava sugli aspetti programmatici su cui intervenire. Bisognava dare risposte alle domande di crescita e alle difficoltà delle famiglie: il Pdl si batteva così per l'abolizione dell'IMU sulla prima casa e si predisponeva a battersi per lo stop all’aumento dell’IVA. Se il Pdl mostrava coi fatti di credere nella riduzione della pressione fiscale in Italia, per rendere competitive le nostre aziende e per mirare alla crescita ed all’occupazione, il PD si mostrava, invece, impegnato ad ostacolare la riduzione delle tasse e gli alleggerimenti fiscali sulle famiglie, sostituendoli con la consueta retorica sul lavoro o sullo “ius soli” della Kyenge.
Sta ora assumendo precisi contorni politici il muro contro muro, nella Giunta per le elezioni e per le immunità del Senato, sulla decadenza di Berlusconi. Il PD si rifiuta di valutare il ricorso alla Corte Costituzionale, come sarebbe nelle prerogative della Giunta, si rifiuta di attendere l’esito del ricorso in Europea, e tanto meno sembra disposto a discutere sulla pregiudiziale di non retroattività della legge Severino.
Se il PD mostra la volontà di eliminare il suo avversario di sempre, cavalcando una sentenza giudiziaria che ha destato molta sorpresa e tantissimi dubbi, il Pdl e Berlusconi non ci stanno ad assecondare il percorso extra-elettorale e giustizialista del PD. Il Pdl non ci sta a soddisfare la voglia di conquista del potere (assoluto) di quel partito che ha ancora al suo interno, e tra i suoi alleati, gli eredi del comunismo italiano, e che, soprattutto, ancor oggi, non mostra di volersi discostare dai metodi tipici dei regimi totalitari.
Se, sempre il PD, mostra rabbia e vendetta verso chi non gli ha mai consentito di (con)vincere, né ha mai reso possibile, smascherandoli nelle furbizie e nelle ipocrisie, una loro ben precisa gestazione identitaria, nella chiarezza degli ideali e della collocazione politica, il Pdl non ci sta a subire ed a far da comparsa. Se l’identità politica del PD è stata sempre incerta e mutevole, e se lo stesso PD non ha mai avuto una leadership credibile e condivisa da mostrare con orgoglio al Paese, facendo di volta in volta ricorso a leader di apparato, o a consumati gestori del potere economico-finanziario, mandatari e garanti delle caste, il Pdl non ci sta a consentire che la maggioranza di larghe intese a guida PD prosegua, come se niente fosse successo.
Non sarebbe serio, né responsabile, governare fianco a fianco con chi si attiva per la scomparsa politica degli alleati di governo, né con chi non mostra di porsi dubbi e non si fa domande sulla persecuzione giudiziaria di venti anni contro il leader dello schieramento alleato.
Vito Schepisi

05 settembre 2013

I licenziamenti e la corsa degli idioti


I partiti godono di mille privilegi, vivono tra l'altro con i soldi dei contribuenti e non hanno tanti obblighi se non quello di presentare un bilancio alla presidenza delle Camere, ma senza che si possa entrare nel merito, né nella destinazione e né nella congruità delle poste, tanto che c'è stato chi si è comprato alcuni appartamenti e li ha affittati al partito, pagando con i ricavi le rate del mutuo. 
Ma questa è altra storia che da una parte la partitocrazia, vera fabbrica degli impuniti, e dall’altra la magistratura, braccio armato della casta, hanno consentito in modo selettivo.
Per restare impuniti in Italia occorre un requisito essenziale, consigliato a voce, al massimo per telefono: abbaiare contro Berlusconi. 
Il "non ci sto" è riservato solo ai pochissimi personaggi - a cui sono anche stati permessi passati torbidi - che assolvono con conveniente merito il loro meretricio compito. 
Non è consentito, però, né a voce e né per telefono, licenziare un dipendente. 
E' vero che nel nostro Bel Paese ciascuno può fare ciò che crede, purché lo faccia dalla parte giusta, mentre se lo fa dalla parte sbagliata prima o poi gli arrivano guai giudiziari, ed è anche vero che, sempre in Italia, spesso son guai anche per chi non fa niente di male, ma non tace, anzi scrive, denuncia e protesta, ma non bisogna esagerare. 
Sarebbe stato consentito ad un partito licenziare un dipendente per iscritto, motivandone le ragioni, ma non farlo a voce e per telefono. Avrebbero fatto una brutta figura politica, ma con una corretta procedura legale. A voce, però, non ci sarebbe stata traccia: forse così l’hanno pensata. 
Se il partito di Berlusconi, ad esempio, licenziasse un dipendente per telefono la cosa farebbe cadere il mondo. Il leader del centrodestra sarebbe accusato d’essere un padrone freddo e insensibile, abituato all’arroganza e all’abuso, ed il Pdl di tollerare la trasgressione e l’illegalità. L’episodio avrebbe alimentato il clamore, scatenando sentimenti di odio, quantunque non possa essere considerata una vera notizia per un Pdl già ampiamente tratteggiato dalla stampa come un partito di trasgressori della legalità. 
La verità è che tutti i partiti lo sono (trasgressori della legalità) perché i vuoti di legge ed i privilegi di cui godono agevolano gli abusi. Non dovrebbe far notizia, come quella classica della scuola di giornalismo del cane che morde il suo padrone, mentre farebbe invece notizia quella del padrone che morde il suo cane. 
Ma se lo facesse il partito di Epifani, vecchio e duro sindacalista della Cgil, dovrebbe far notizia, dovremmo, invece, trovarci nella seconda ipotesi, in quella del padrone che morde il suo cane. 
Perché invece non la fa? 
Anzi, dovrebbe far notizia due volte: la prima perché il suo partito, il PD, si comporta da datore di lavoro che senza giusta causa, adotta un atto discriminatorio verso un suo dipendente; la seconda perché un partito che si dice dei lavoratori dovrebbe sapere che licenziare a voce, addirittura per telefono, è contro ogni interpretazione delle leggi sul lavoro e non può essere consentito a nessuno. Neanche al PD. Neanche ai prepotenti e agli amici dei media e dei giudici. 
Ma del PD oramai non ci meraviglia più niente. Le contraddizioni sono tante e le domande da porsi altrettante. Non ci meraviglia, pertanto, neanche assistere periodicamente alla sagra nazionale della corsa degli idioti. 
Cosa è questa novità? Ve la spiego. 
A differenza delle sagre strapaesane in cui si organizzano le corse coi sacchi, tra scene buffe e agonismo vero, nella corsa degli idioti è tutto buffo, ed anche l'agonismo è falso. E' come un concorso immediato. C'è la corsa a chi scatta prima. 
Se c'è qualcuno in odore di “santità”, si verifica uno smottamento umano. 
I concorrenti partono in tutte le condizioni in cui si trovano: alcuni ancora con le mutande tra le gambe, perché sorpresi mentre già fornicavano con altri. 
E’ un po’ la filosofia della “cosa” nuova. La storia si ripete sempre. 
In Italia, però, la chiamano diversamente: la chiamano la corsa sul carro del vincitore. Non cambia, però, la sostanza, e soprattutto non cambiano i protagonisti: gli idioti. 
Vito Schepisi

01 settembre 2013

Per Berlusconi hanno già deciso


Se mi fosse consentito dare un Consiglio al Presidente Berlusconi gli direi che, dopo la nomina dei 4 senatori a vita (Napolitano ne avrebbe anche nominati 5, se non ne avesse già fatto la stessa cosa con Monti lo scorso anno), l'intenzione del Presidente Napolitano appare tanto chiara da ravvisare l’opportunità di un suo discorso agli italiani. 
Con un minimo di ragione, non può sfuggire che il modo del Presidente della Repubblica non è previsto dalla nostra Costituzione, che è un abuso di potere, che non è democratico e che è in stridente contrasto con il rispetto della sovranità popolare.
Un brutto e autoritario atto di forza. Un’azione volgare per l'esercizio arrogante di un potere che, da essere previsto come garanzia e rappresentanza dell’unità nazionale, viene, invece, usato per modificare, se non per sovvertire, le regole della democrazia.
Un atto del tutto simile, anche se visto in contesti differenti, all'impeto che il medesimo Napolitano aveva mostrato nel chiedere nel 1956 la repressione dei rivoluzionari ungheresi che reclamavano l'indipendenza e la libertà e che venivano invece massacrati dall'esercito di Nikita (ha ispirato il nome di Vendola) Kruscev, erede di Stalin.
Ma è mai credibile che un uomo autoritario e violento possa diventare un uomo democratico e tollerante?
Il Capo dello Stato ha deciso da che parte stare. L’ha deciso da tempo. Nessuna meraviglia, perché è la stessa parte che l’ha scelto per il Quirinale.
Berlusconi possiede i mezzi e la forza per denunciare la congiura a suo danno. Tanto più ora che ha le prove che di congiura si tratta. La congiura di Palazzo non è prevista da nessuna democrazia liberale: è antidemocratica a prescindere dalle idee e dalle convinzioni che ciascun italiano ha maturato sul Cavaliere, sulla sua vita privata e sui suoi rapporti con la legalità.
Berlusconi, finché gli sarà consentito di farlo, usi i suoi diritti di libertà di parola, e se la giustizia italiana non è ritenuta credibile, come è evidente, si difenda dinanzi al Paese, denunciando la congiura a suo danno e sveli a tutti ciò che sa, compresi i ricatti, le intercettazioni telefoniche sulla sua vita privata e tenute nei cassetti e pronte ad essere usate, sveli le magagne degli impuniti d'Italia, gli abusi ed i privilegi di casta, gli intrighi, le ipocrisie e le falsità. Dica tutto ciò che sa e di tutti.
Al Cavaliere non mancano i mezzi e la capacità di farlo, e avrebbe anche il diritto di farlo parlando a nome e per conto di 10 milioni di elettori e di un terzo del corpo elettorale.
Sperare che la commissione sulle immunità del Senato, presieduta da Stefàno, che ha già anticipato le sue “conclusioni”, abbia intenzione di guardare le cose in modo imparziale è un’illusione. Anche Epifani è stato chiarissimo. Aspettare è del tutto inutile. Hanno già deciso la sua sorte. Sono anni che il popolo di sinistra sta aspettando questo momento.
Dopo la conferenza di Berlusconi agli italiani, che suggerisco, i ministri del Pdl presentino le dimissioni dal Governo, motivate dall’inagibilità politica del Partito che li ha espressi, garantendo al Governo il sostegno esterno e solo per i tempi necessari per consentire l'iter parlamentare per la conversione del decreto sull'IMU, per evitare l’aumento dell’IVA e per gli eventuali provvedimenti che servano a ridurre le difficoltà delle famiglie e della povera gente.
Questa sinistra italiana non è democratica: è arrogante; è ipocrita; è immatura; è condizionata dalla storia del suo passato con cui non ha mai fatto i conti. E in Italia ci vuole un’opposizione credibile ad un sistema che diventa sempre più autoritario e illiberale.
Un’opposizione che in un Paese di caste, d’intrighi, d’affari e d’impuniti, richiami il popolo alla rivoluzione liberale. Un’opposizione che non sia quella rissosa, velleitaria e irrazionale di Beppe Grillo ma che, invece, sia visibile e credibile per quegli uomini che vogliano dare un futuro ai giovani italiani e per quegli che, fermi sull’imprescindibile valore dell’identità nazionale, non siano disponibili a svendere niente a nessuno, Europa compresa.

Vito Schepisi