Quante tragedie ancora devono verificarsi per porre termine alle inammissibili responsabilità politiche sul fenomeno dell'immigrazione?
L'Italia è diventata l'anello debole dell'Europa. La nostra Nazione è considerata dagli extracomunitari, certamente a ragione, il Paese in cui tutto è permesso ed in cui il rischio di doverne pagare le spese non esiste.
Da noi si parla di xenofobia e di razzismo, ma in effetti è il Paese più tollerante e garantista per i reati degli immigrati. L’Italia è il Paese che sulla questione immigrazione è considerato il più molle ed incapace d'Europa.
Sbaglierebbe chi pensasse che per la tragedia al largo di Lampedusa non ci siano responsabilità politiche italiane ed europee. Far pensare, ad esempio, che in Italia, nonostante il previsto reato di clandestinità, poi tutto si accomoda, e osservare la presenza di ministri e Istituzioni pronti a difendere queste vittime delle guerre e del sottosviluppo è un errore.
E’ un gravissimo errore che si paga anche con centinaia di vittime umane. I nostri ministri e le nostre istituzioni dovrebbero invece sostenere che la legalità debba essere riconosciuta come il principio fondamentale su cui si costruisce un processo d’integrazione tra le genti. La legalità deve essere il primo presupposto senza il quale tutto diventa più difficile, ma alcuni ministri e politici non la pensano affatto così.
Senza legalità e senza il rispetto di leggi e persone, e di luoghi e costumi, non ci può essere integrazione: un principio quest’ultimo che sarebbe bene che fosse pronunciato in modo chiaro da tutti, magari stampato in tutte le lingue e affisso ai nostri valichi di confine, nei nostri centri di accoglienza, nei nostri porti, aeroporti e nelle nostre stazioni ferroviarie.
Mettere in discussione lo "ius sanguinis", per correr dietro alla demagogia dello "ius soli", spinge eserciti di migranti a raggiungere le nostre coste per far nascere un figlio in Italia e stabilire così un diritto. Crea aspettative negli immigrati. L'Italia di oggi, però, non se lo può permettere, né si può pensare che il diritto di uomini e donne, seppur disperati, seppur arrivati in Italia da paesi in guerra o in difficoltà sociale e civile, si sostituisca al diritto di tanti italiani in situazioni di bisogno.
L'Italia da sola non si può far carico delle situazioni di crisi sociale nei paesi sottosviluppati. La responsabilità delle comunità internazionali sta nel lavarsi le mani e nel limitarsi a giudicare, senza intervenire a sostegno di chi è coinvolto e subisce le "invasioni". Il giudizio etico su chi fa fronte, pur con atti di umanità e con diffuso spirito di solidarietà, ai diversi episodi di disperata follia, è cinismo irresponsabile, ed è irricevibile.
L'Europa è tra queste. La nostra comunità, che ci detta le regole per "affossare" la nostra economia, si guarda bene da fissare anche le regole per aiutare i paesi in difficoltà e per comprendere il fenomeno dell'immigrazione in una questione comunitaria e non solo italiana.
Neanche gli immigrati, infine, ci aiutano a sostenere la loro causa, inondandoci di atti criminali di grande e piccola dimensione. Gli interventi per garantire la sicurezza e per reprimere la criminalità, e quelli per porre riparo agli atti di vandalismo, sottraggono risorse economiche e destano inquietudine sociale, sottraendo buona parte della buona qualità della vita della nostra gente.
Se si volesse davvero aiutare questa gente disperata, in condizioni di bisogno e di sfruttamento, e che paga una cifra per affrontare il viaggio della speranza verso le coste dell’Italia, senza limitarsi alla demagogia e al versamento di lacrime da coccodrillo, e senza alimentare aspettative, sarebbe necessario cambiare registro e intervenire in accordo con la Comunità Europea per stabilire le regole, i flussi, la collocazione e gli aiuti economici per creare lavoro e vita nei paesi interessati.
Non ci sono soluzioni diverse.
Vito Schepisi
Nessun commento:
Posta un commento