12 dicembre 2013
L'Italia e il Congo
Questo nostro mondo è strano. La gente si azzuffa parlando di libertà e di democrazia, esulta se l'avversario politico subisce violenza, si spertica dalle risate quando si fa ironia sull’aspetto fisico di chi ha idee diverse, riversando su costoro un carico di pregiudizi, ma poi si scalda se si parla d’immigrazione, d’accoglienza e di questioni di genere.
C’è un razzismo che non è rilevato perché passa per ‘politicamente corretto’. E’ rilevato, invece, quale atteggiamento xenofobo e omofobo, l’atto di porsi domande sul futuro, sui giovani, sulle tradizioni, sull’identità, sui modelli di civiltà radicati sulla famiglia e sull’educazione dei figli.
Piace a tanti questo mondo rovesciato in cui dominano alterigia, presunzione, opportunismo e ipocrisia. Si parla d’integrazione tra diversi e c’è odio per il pluralismo, e c’è odio verso chi immagina un paese libero e intraprendente che si contrapponga agli schemi pianificati. Non piace a molti lo stato liberale in cui sono i cittadini che fanno le scelte. Piace, invece, il paese indottrinato, controllato, programmato e irreggimentato.
Nel ventennio gli italiani erano tutti fascisti e si tuonava contro il complotto giudaico massonico; oggi sono sempre ‘anti’ qualcosa, raramente per qualcosa. Pensare richiede impegno: nei regimi, invece, c’è sempre chi pensa per gli altri.
Il razzismo in Italia inizia dalla satira che è unidirezionale ed è parte integrante dell’informazione: serve a sdoganare la calunnia e a creare l’indignazione. Il “che aria tira” oggi si misura dalle arringhe manettare di Travaglio, dalle imboscate di Santoro, dalla faziosità beffarda di Floris, dalla compiacenza apparentemente signorile di Fazio, dalla comicità e dalle battute di Grillo, di Crozza, di Benigni, di Littizzetto, di Renzi, e dagli atti di Napolitano.
In una grande commedia la scena conta più della trama. E per far scena in Italia c’è anche un ministro dal passato clandestino. E' del Congo, un paese che agli italiani della terza età ricorda l'eccidio di Kindu nel 1961, quando furono trucidati 13 aviatori italiani, in missione ONU nell’ex colonia belga sconvolta dalla guerra civile. I nostri 13 militari furono aggrediti, catturati ed uccisi coi mitra e poi lasciati allo scempio della folla che con i machete infieriva sui loro cadaveri.
La signora Kyenge è arrivata clandestina in Italia, ha fatto la badante, si è laureata, si è sposata e ora è cittadina italiana e si batte per l'integrazione, reclama per gli immigrati il diritto di cittadinanza e chiede l'abrogazione del reato di clandestinità. Lotta perché l’Italia sia un paese di libera immigrazione. Non è questa, però, la prospettiva migliore per le nuove generazioni.
L'episodio dell'eccidio di Kindu sarà pure superato, ma in Congo la democrazia, le regole, i diritti e le belle parole su libertà e integrazione sono ancora molto distanti. L’utilità della Kyenge in Congo, come medico e come persona sensibile alle questioni sociali, apparirebbe molto più corretta. Invece è in Italia e fa il ministro.
In Congo sono bloccate da oltre un mese 26 coppie italiane che, dopo le assicurazioni della Kyenge, sono partite dall’Italia per adempiere alle procedure previste per l’adozione di 32 bambini congolesi. Sbrigate le formalità, però, i 52 cittadini italiani sono ancora là alle prese con ostacoli burocratici. Le condizioni di vita in Congo sono ben diverse dagli standard italiani. I nostri connazionali si trovano in serie difficoltà, l’acqua non è potabile, sono senza aiuti, con problemi di gastroenterite e di febbre, ed è stato accertato anche un caso di malaria.
Per le fonti ufficiali il ritardo nell’iter delle pratiche è dovuto al timore che i bimbi adottati possano essere riaffidati ad altre famiglie. Meno note sono le reali motivazioni. La nostra ministra parla la stessa lingua, conosce le abitudini e i modi, ha un profilo di autorevolezza, ed ha persino la stessa collocazione politica del regime congolese (la Repubblica Democratica del Congo è, infatti, uno stato socialista), ma gli interventi della Kyenge hanno avuto scarso successo.
Nel suo paese la ministra potrebbe certamente far molto di più; in Italia, invece, come ha già scritto qualche mese il prof. Sartori sul Corriere, è solo una “nullità”.
Vito Schepisi
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