Dopo che D’Alema sul Corriere della Sera ha parlato di crisi della politica è stato un via vai di dichiarazioni, persino ad alto livello istituzionale. Gli interventi, in qualche misura, hanno dato veridicità e peso alle furbizie del nostro Ministro degli Esteri. Questi, infatti, con interessato tempismo ha solo anticipato il responso delle urne e tentato di dare un’interpretazione preventiva alle difficoltà ed allo sfaldamento della credibilità di questo Governo. Come si usa dir tra la gente: ha messo le mani avanti.
D’Alema ha evocato la prima repubblica e la crisi dei partiti del 1992, paventando persino un’altra stagione di prevalenza della centralità giudiziaria su quella politica. Aspettiamoci, pertanto, episodi di nuova corruzione, o di continuità della vecchia, ma questa volta con la partecipazione di coloro che negli anni novanta si erano chiamati, o erano stati tenuti fuori da compiacenze sospette. Allora si erano definiti “diversi”. La tempestività di D’Alema dinanzi ai due episodi “politici” più importanti di questi giorni, elezioni (coi risultati già ampiamente previsti dai sondaggi) e caso Visco, non può non destare sospetti.
Il Vice Ministro delle Finanze, ex Pci ed ora DS, dello stesso partito di D’Alema, è sotto schiaffo per gravissime ingerenze nel contrastare il corso della verifica investigativa e della giustizia. Altro che le accuse a Cesare Previti d’aver corrotto un magistrato! Se quanto è emerso sarà confermato, il crimine è di quelli che lasciano il segno, aggravato dal fatto che a commetterlo sia stato un Viceministro che ha giurato fedeltà allo Stato. Si è trattato di un gravissimo abuso della delega ministeriale ricevuta nel tentativo di rallentare e persino modificare il corso della giustizia. Un episodio gravissimo che si è cercato di nascondere o di eludere, e che vede persino il Presidente del Consiglio impegnato a sminuirne la portata.
Non si può, però, evocare la crisi della politica quando a ben vedere si tratta della crisi dei partiti e della inesistente progettualità della sinistra. La cosiddetta diaspora socialista non si è mai esaurita e strada facendo trova altri motivi di conflittualità e di inquietudine. La sinistra italiana, per mancanza di un percorso di maturazione democratica e pluralista, per mancanza di chiarezza e di autocritica, per mancanza di un effettivo revisionismo ideologico, è un crocevia di contraddizioni e di intenzioni represse.
L’Unità, ad esempio, trova opportuno sollevare dubbi sulle recenti imprese autoritarie di Chavez, per offrire un ulteriore saggio di odio politico e di intolleranza contro il leader dell’opposizione; e mentre sembra criticare il dittatore venezuelano, non riesce a sottrarsi dal dar l’impressione di un auspicio di soluzioni simili anche in Italia contro le televisioni di Berlusconi.
Nella sinistra, anche in quella che si dice distante dai neo comunisti e dai gruppi alternativi e radicali, c’è una larga e profonda fascia di illiberalità. Un sentimento diffuso radicato nelle coscienze di lunghi anni di militanza all’ombra del comunismo reale, tra disinformazione ed intolleranza.
La responsabilità della mancata maturazione della sinistra italiana, come è avvenuto nel secolo scorso per buona parte di quella europea, è di larghi settori della stampa italiana spessa asservita e partigiana, e di altrettanto ampi settori del mondo della cultura. La produzione editoriale si è spesso appiattita su luoghi comuni e sulla vetusta concezione antagonista, ovvero semplicistica, del rapporto destra-sinistra, quasi fossero espressioni dirompenti di scontri sociali e di civiltà a confronto. La politica vissuta in modo manicheo dove i buoni sono tutti da una parte ed i cattivi dall’altra. In democrazia, invece, gli schieramenti politici in competizione dovrebbero concorrere al principio dell’alternanza e del confronto sulle scelte in un quadro istituzionale costante.
E’ in crisi la sinistra italiana perché al naturale evolversi dei principi del pensiero, con espedienti suggestivi, va a contrapporre la forzata realizzazione di un contenitore che vorrebbe assimilare estrazioni culturali diverse, e persino il diverso sentire non solo del rapporto sociale tra i soggetti diversi del Paese ma anche etico e culturale.
Il Partito Democratico, voluto da Prodi, non è altro che una gabbia in cui far maturare un nuovo soggetto ideologico che, privo di un movimento ideale di base, si sviluppa solo sul percorso dell’occupazione e della gestione del potere, sviluppando persino un’indecente braccio di ferro tra le oligarchie correntizie dei vecchi partiti. I segnali di questa nuova diatriba della sinistra italiana sono già oggi evidenti e, sebbene nel riserbo e nei sottili conflitti di posizione, sviluppano i loro “gas nervini” che paralizzano i centri nervosi della materia pensante.
La lezione elettorale, dunque, non è servita, se è vero che non sotterrano la loro arroganza e non comprendono quanto di più elementare è emerso con le recenti elezioni. Non si può governare contro qualcosa o qualcuno, ad esempio, e soprattutto non si può governare a dispetto del 50% degli elettori italiani. Se il Paese viene mortificato è il Paese che in gran misura si pone contro il governo … e poi gridano alla crisi della politica.
D’Alema ha evocato la prima repubblica e la crisi dei partiti del 1992, paventando persino un’altra stagione di prevalenza della centralità giudiziaria su quella politica. Aspettiamoci, pertanto, episodi di nuova corruzione, o di continuità della vecchia, ma questa volta con la partecipazione di coloro che negli anni novanta si erano chiamati, o erano stati tenuti fuori da compiacenze sospette. Allora si erano definiti “diversi”. La tempestività di D’Alema dinanzi ai due episodi “politici” più importanti di questi giorni, elezioni (coi risultati già ampiamente previsti dai sondaggi) e caso Visco, non può non destare sospetti.
Il Vice Ministro delle Finanze, ex Pci ed ora DS, dello stesso partito di D’Alema, è sotto schiaffo per gravissime ingerenze nel contrastare il corso della verifica investigativa e della giustizia. Altro che le accuse a Cesare Previti d’aver corrotto un magistrato! Se quanto è emerso sarà confermato, il crimine è di quelli che lasciano il segno, aggravato dal fatto che a commetterlo sia stato un Viceministro che ha giurato fedeltà allo Stato. Si è trattato di un gravissimo abuso della delega ministeriale ricevuta nel tentativo di rallentare e persino modificare il corso della giustizia. Un episodio gravissimo che si è cercato di nascondere o di eludere, e che vede persino il Presidente del Consiglio impegnato a sminuirne la portata.
Non si può, però, evocare la crisi della politica quando a ben vedere si tratta della crisi dei partiti e della inesistente progettualità della sinistra. La cosiddetta diaspora socialista non si è mai esaurita e strada facendo trova altri motivi di conflittualità e di inquietudine. La sinistra italiana, per mancanza di un percorso di maturazione democratica e pluralista, per mancanza di chiarezza e di autocritica, per mancanza di un effettivo revisionismo ideologico, è un crocevia di contraddizioni e di intenzioni represse.
L’Unità, ad esempio, trova opportuno sollevare dubbi sulle recenti imprese autoritarie di Chavez, per offrire un ulteriore saggio di odio politico e di intolleranza contro il leader dell’opposizione; e mentre sembra criticare il dittatore venezuelano, non riesce a sottrarsi dal dar l’impressione di un auspicio di soluzioni simili anche in Italia contro le televisioni di Berlusconi.
Nella sinistra, anche in quella che si dice distante dai neo comunisti e dai gruppi alternativi e radicali, c’è una larga e profonda fascia di illiberalità. Un sentimento diffuso radicato nelle coscienze di lunghi anni di militanza all’ombra del comunismo reale, tra disinformazione ed intolleranza.
La responsabilità della mancata maturazione della sinistra italiana, come è avvenuto nel secolo scorso per buona parte di quella europea, è di larghi settori della stampa italiana spessa asservita e partigiana, e di altrettanto ampi settori del mondo della cultura. La produzione editoriale si è spesso appiattita su luoghi comuni e sulla vetusta concezione antagonista, ovvero semplicistica, del rapporto destra-sinistra, quasi fossero espressioni dirompenti di scontri sociali e di civiltà a confronto. La politica vissuta in modo manicheo dove i buoni sono tutti da una parte ed i cattivi dall’altra. In democrazia, invece, gli schieramenti politici in competizione dovrebbero concorrere al principio dell’alternanza e del confronto sulle scelte in un quadro istituzionale costante.
E’ in crisi la sinistra italiana perché al naturale evolversi dei principi del pensiero, con espedienti suggestivi, va a contrapporre la forzata realizzazione di un contenitore che vorrebbe assimilare estrazioni culturali diverse, e persino il diverso sentire non solo del rapporto sociale tra i soggetti diversi del Paese ma anche etico e culturale.
Il Partito Democratico, voluto da Prodi, non è altro che una gabbia in cui far maturare un nuovo soggetto ideologico che, privo di un movimento ideale di base, si sviluppa solo sul percorso dell’occupazione e della gestione del potere, sviluppando persino un’indecente braccio di ferro tra le oligarchie correntizie dei vecchi partiti. I segnali di questa nuova diatriba della sinistra italiana sono già oggi evidenti e, sebbene nel riserbo e nei sottili conflitti di posizione, sviluppano i loro “gas nervini” che paralizzano i centri nervosi della materia pensante.
La lezione elettorale, dunque, non è servita, se è vero che non sotterrano la loro arroganza e non comprendono quanto di più elementare è emerso con le recenti elezioni. Non si può governare contro qualcosa o qualcuno, ad esempio, e soprattutto non si può governare a dispetto del 50% degli elettori italiani. Se il Paese viene mortificato è il Paese che in gran misura si pone contro il governo … e poi gridano alla crisi della politica.
Vito Schepisi
Nessun commento:
Posta un commento