Se ci fosse l’avvisaglia di una possibile alluvione che possa inondare vasti territori del Paese e qualcuno decidesse di aprire le dighe per allagare i campi ed i piccoli insediamenti rurali, tutti penserebbero che si sia in presenza dell’azione di un folle.
Se in Italia il Pil è in recessione e si fatica a mantenere il ritmo della produzione, perché i costi rischiano di superare i ricavi, ed i sindacati decidessero lo sciopero generale, tutti i cittadini dotati di buon senso penserebbero che sia una decisione sbagliata, presa in un momento sbagliato.
Se fosse ancora uno sciopero generale programmato in largo anticipo, in modo pregiudiziale ed al buio, con la motivazione della difesa dei lavoratori in difficoltà nel far fronte alle esigenze delle famiglie per via dei bassi salari, con l’aggiunta della preoccupazione per la contrazione dell’offerta di lavoro per il precariato ed anche, perché in questo caso ci sta, generalmente e per definizione, contro la politica del Governo, penseremmo di stare in un Paese di pazzi.
Per fortuna non è proprio così! Il sindacato, quello di ispirazione democratica, avverte le difficoltà, e nei momenti importanti non manca all’appuntamento con i lavoratori per difendere i loro diritti e per sostenere i salari e l’occupazione.
“In nessun Paese industrializzato – sostiene Bonanni leader della Cisl - il sindacato risponde alla crisi con una protesta di questo tipo, senza pensare alle ripercussioni. Nessuno si sognerebbe di fare uno sciopero generale, figuriamoci se l’iniziativa è di un solo sindacato”.
Per ogni regola, però, c’è l’eccezione ed è il caso della Cgil, il sindacato di sinistra, quello con forti presenze comuniste, con la base cosiddetta dura e pura, schierata contro il sistema, in particolare se a governarlo è l’odiato centrodestra, votato dagli italiani e guidato da Silvio Berlusconi..
Una diversa impostazione quella della Cgil di oggi, quella di Epifani, da quella del “piano del lavoro” di Giuseppe Di Vittorio tra la fine del 1949 e l’inizio del 1950, quando il sindacalista di Cerignola si preoccupava del contributo delle forze sociali all’avvio di grandi opere infrastrutturali, con l’obiettivo di favorire l’espansione del Paese attraverso la spinta sui consumi e sulle opportunità occupazionali.
La Cgil oggi appare sempre più un sindacato senza ideali e senza coscienza sociale, come si è visto per il caso Alitalia, incapace di far da traino, con l’equilibrio e la moderazione che occorre nei momenti difficili, per la difesa dei valori universali del mondo del lavoro, minati come si è visto dall’egoismo corporativo di incoscienti minoranze e di categorie privilegiate. Nessun paragone è possibile con Di Vittorio, leader della Cgil nei momenti difficili del dopoguerra, quando l’interesse degli italiani , anche con il sostegno del sindacato di sinistra, era quello di ricostruire il Paese.
Le misure europee orientate a sospendere per due anni la rigidità dei parametri richiesti dagli accordi di Maastricht, per iniziativa congiunta di Sarkozy-Merkel, per sostenere misure eccezionali di stimolo ai consumi attraverso interventi di riduzione fiscale, trova per l’Italia l’ostacolo del debito pubblico che andrebbe, invece, ridotto. Il debito agisce in modo perverso: alimenta, infatti, il fabbisogno corrente per gli interessi da corrispondere sull’esposizione complessiva. La sospensione dei parametri, per favorire la spesa, non potrebbe così essere così inteso come un provvedimento strutturale sulla pressione fiscale.
E le indicazioni di Epifani che si riflettono in alcune proposte del PD, come quella di Bersani per la riduzione della pressione fiscale sulle buste paga dei lavoratori (Bersani è lo stesso che faceva il ministro di Prodi quando la pressione fiscale è stata inopinatamente aumentata per finanziare la crescita “strutturale” della spesa) non possono essere adottate in presenza di riduzione del fatturato e dell’occupazione che agiranno di proprio nella riduzione del gettito fiscale, creando già prevedibili difficoltà nel finanziare la spesa.
Nessuno a sinistra e nei sindacati che parli, invece, di tagli alla spesa pubblica, se non per quella dei costi della politica, sempre valida per i demagoghi, ma che da sola non serve per reperire fondi significativi per il fabbisogno; e nessuno che parli di riqualificazione della spesa, come quella di spostare fondi dal costo del personale a quello delle infrastrutture nella scuola, ad esempio.
Ecco Epifani! Faccia il suo sciopero il 12 dicembre: e sarà uno sciopero contro l’Italia.
Se in Italia il Pil è in recessione e si fatica a mantenere il ritmo della produzione, perché i costi rischiano di superare i ricavi, ed i sindacati decidessero lo sciopero generale, tutti i cittadini dotati di buon senso penserebbero che sia una decisione sbagliata, presa in un momento sbagliato.
Se fosse ancora uno sciopero generale programmato in largo anticipo, in modo pregiudiziale ed al buio, con la motivazione della difesa dei lavoratori in difficoltà nel far fronte alle esigenze delle famiglie per via dei bassi salari, con l’aggiunta della preoccupazione per la contrazione dell’offerta di lavoro per il precariato ed anche, perché in questo caso ci sta, generalmente e per definizione, contro la politica del Governo, penseremmo di stare in un Paese di pazzi.
Per fortuna non è proprio così! Il sindacato, quello di ispirazione democratica, avverte le difficoltà, e nei momenti importanti non manca all’appuntamento con i lavoratori per difendere i loro diritti e per sostenere i salari e l’occupazione.
“In nessun Paese industrializzato – sostiene Bonanni leader della Cisl - il sindacato risponde alla crisi con una protesta di questo tipo, senza pensare alle ripercussioni. Nessuno si sognerebbe di fare uno sciopero generale, figuriamoci se l’iniziativa è di un solo sindacato”.
Per ogni regola, però, c’è l’eccezione ed è il caso della Cgil, il sindacato di sinistra, quello con forti presenze comuniste, con la base cosiddetta dura e pura, schierata contro il sistema, in particolare se a governarlo è l’odiato centrodestra, votato dagli italiani e guidato da Silvio Berlusconi..
Una diversa impostazione quella della Cgil di oggi, quella di Epifani, da quella del “piano del lavoro” di Giuseppe Di Vittorio tra la fine del 1949 e l’inizio del 1950, quando il sindacalista di Cerignola si preoccupava del contributo delle forze sociali all’avvio di grandi opere infrastrutturali, con l’obiettivo di favorire l’espansione del Paese attraverso la spinta sui consumi e sulle opportunità occupazionali.
La Cgil oggi appare sempre più un sindacato senza ideali e senza coscienza sociale, come si è visto per il caso Alitalia, incapace di far da traino, con l’equilibrio e la moderazione che occorre nei momenti difficili, per la difesa dei valori universali del mondo del lavoro, minati come si è visto dall’egoismo corporativo di incoscienti minoranze e di categorie privilegiate. Nessun paragone è possibile con Di Vittorio, leader della Cgil nei momenti difficili del dopoguerra, quando l’interesse degli italiani , anche con il sostegno del sindacato di sinistra, era quello di ricostruire il Paese.
Le misure europee orientate a sospendere per due anni la rigidità dei parametri richiesti dagli accordi di Maastricht, per iniziativa congiunta di Sarkozy-Merkel, per sostenere misure eccezionali di stimolo ai consumi attraverso interventi di riduzione fiscale, trova per l’Italia l’ostacolo del debito pubblico che andrebbe, invece, ridotto. Il debito agisce in modo perverso: alimenta, infatti, il fabbisogno corrente per gli interessi da corrispondere sull’esposizione complessiva. La sospensione dei parametri, per favorire la spesa, non potrebbe così essere così inteso come un provvedimento strutturale sulla pressione fiscale.
E le indicazioni di Epifani che si riflettono in alcune proposte del PD, come quella di Bersani per la riduzione della pressione fiscale sulle buste paga dei lavoratori (Bersani è lo stesso che faceva il ministro di Prodi quando la pressione fiscale è stata inopinatamente aumentata per finanziare la crescita “strutturale” della spesa) non possono essere adottate in presenza di riduzione del fatturato e dell’occupazione che agiranno di proprio nella riduzione del gettito fiscale, creando già prevedibili difficoltà nel finanziare la spesa.
Nessuno a sinistra e nei sindacati che parli, invece, di tagli alla spesa pubblica, se non per quella dei costi della politica, sempre valida per i demagoghi, ma che da sola non serve per reperire fondi significativi per il fabbisogno; e nessuno che parli di riqualificazione della spesa, come quella di spostare fondi dal costo del personale a quello delle infrastrutture nella scuola, ad esempio.
Ecco Epifani! Faccia il suo sciopero il 12 dicembre: e sarà uno sciopero contro l’Italia.
Vito Schepisi
Nessun commento:
Posta un commento