Smacchiare il giaguaro, asfaltare l’avversario, la rottamazione, la
generazione Telemaco. Sembra più una gara a scolpire nella storia la frase del
secolo. Spazzatura, però, che dura il tempo di un’altra illusione. Poi
s’inventerà ancora qualcosa di banale o niente, perché tornerà ciò che era, con
l’ascesa di un altro che si rifaccia allo stesso pensiero di quando c’era Lui:
“Governare gli italiani non è difficile, è inutile”.
La politica è cambiata. Si è trasformata non solo nella passione e
negli strumenti di confronto, quanto nell’uso delle parole, nel modo e nello
stile di discutere e di proporsi.
Se l’effetto una volta sintetizzava la sostanza, oggi serve a creare
una carica di evanescenti emozioni.
Se una volta l’effetto delle parole trascinava le folle, perché dietro
ogni frase c’era una scelta di vita, una strategia per il dopo, una lotta di
valori e di spazi sociali da presiedere e riempire, oggi dietro il fiume di
parole c’è l’immagine di Fonzie, l’uomo di successo, il vincente, il cinico
cordiale, il rampante determinato circondato da carrieristi plaudenti.
Non più i vecchi discorsi di respiro storico-culturale che
affrontavano le conquiste dell’uomo e l’evoluzione dei sentimenti popolari. Non
più lotta di pensiero tra scelte e strategie orientate al benessere. Sono state
superate le passioni e le ideologie. Non si percepiscono più le trasformazioni
sociali. Non si distingue più la disputa aspra tra progresso e conservazione.
Non c’è più il confronto sulla scelta tra democrazia liberale e socialismo
reale che nel secolo scorso aveva diviso il mondo in due blocchi.
Ancora oggi Piero Gobetti tornerebbe a dire: “Senza conservatori e
senza rivoluzionari, l’Italia è
diventata la patria naturale del costume demagogico” ( La Rivoluzione
Liberale).
Non c’è più discussione neanche sullo scontro di civiltà. Con
l’uscita di scena di Papa Ratzinger, in Italia sono scomparse le analisi
storico-culturali sui sentimenti etici che hanno visto svilupparsi nel mondo
civiltà profondamente diverse. Il caso Università Sapienza di Roma del 2008 che
aveva visto 60 docenti universitari opporsi alla Lectio Magistralis di
Benedetto XVI, oggi, nell’era di Renzi, non avrebbe senso. Il problema non si pone neanche. Come
se non esistesse.
Oggi è la generazione dell’hashtag, quella del
#staisereno così ti pugnalo prima e meglio.
E’ la generazione 2.0, quella un po’ cinica e un po’ tecnologica che
vorrebbe cambiare il mondo con una tastiera. E’ il tempo della lotta tra i nuovi
barbari tra cui le volgarità, le offese, il dileggio, le accuse valgono più di
una scelta. Se prima in Parlamento pascolavano molte singole capre ora
pascolano le mandrie dei caproni.
La nuova frontiera della politica si è trasferita dai luoghi
tradizionali del confronto (le piazze, le assemblee, i circoli, i salotti,
etc.) alle sedie girevoli. Oggi seduti dietro una scrivania, in casa, dinanzi
ad un video, una tastiera e un mouse si fanno le scelte. Chi c’è, c’è!
La rapidità della comunicazione è diventata
strategica e fondamentale. Con il tempo di un “twit” si stabilisce un orientamento o persino una nuova linea politica.
Nei fatti, più che nei giudizi, quella di oggi appare una generazione più
cinica e spietata.
Il risultato di questi cambiamenti? Zero o quasi. L’impressione è che ci sia più impegno per una lotta di
genere e di generazione (più donne e più giovani) che non per risolvere
i problemi. Forse mancano le conoscenze e le idee per affrontare le difficoltà. Se è vero che tra le vecchie
generazioni ci sono stati esempi di cattiva politica, quelle nuove, però, lasciano molto a pensare.
Con le “parlamentarie", ad esempio, cioè con i voti di poche
migliaia di persone su internet, si scelgono deputati, senatori ed
europarlamentari. L’imperatore romano Caligola fece di meglio, nominando senatore Incitatus,
il cavallo a cui era molto legato e su cui riponeva tutta la sua fiducia, perché oggi nel Parlamento
italiano c’è anche di peggio.
Vito Schepisi
Su EPolis del 12 luglio 2014
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