14 novembre 2012
I due PM che a Bari hanno sostenuto l’accusa di abuso d’ufficio contro Vendola non ci stanno all’assoluzione
A Bari - sostenevo alcuni giorni fa - è stato scippato un reato.
Dire, infatti, che un reato non sussiste è cosa diversa dal dire che l'intenzionalità del reato e il suo fine non sono stati ritenuti rilevanti.
Ma il reato c'era!
Non si può dire che non ci fosse l'abuso d'ufficio, per aver fatto valere la posizione dominante di Governatore pugliese, nel riaprire i termini di un concorso per primario.
E per il reato la condanna è obbligatoria.
Si era capito che il reato era stato scippato sin da quando, qualche giorno prima della sentenza, il governatore pugliese aveva annunciato che avrebbe lasciato la politica in caso di condanna.
Questa sua sicurezza può essere la prova evidente di una certezza già anticipatamente maturata.
Ve lo immaginate Vendola fuori dalla politica dopo che di questa si è nutrito da sempre?
«Già prima del processo eravamo a conoscenza che la dottoressa De Felice fosse amica della sorella di Vendola, Patrizia. Li lega una amicizia diretta, sia la frequentazione di amici in comune quali il collega e attuale senatore Gianrico Carofiglio e la moglie dottoressa Pirrelli, sostituto di questo ufficio, entrambi amici stretti di Patrizia Vendola».
Queste cose le dicono i due magistrati baresi titolari dell’inchiesta su Vendola. Ai due PM, infatti, la conclusione della vicenda non è andata giù.
Si può non essere ritenuti responsabili del reato, se ne può ridurre la portata, motivandolo con finalità di bene, non cancellarlo. Non "non sussiste".
Non scherziamo con la Giustizia!
Per i magistrati baresi Desirée Digeronimo e Francesco Bretone, titolari dell'inchiesta che aveva portato Vendola al rinvio a giudizio per abuso d'ufficio, il Giudice che con rito abbreviato ha mandato assolto Vendola, perché il reato “non sussiste”, avrebbe avuto le giuste ragioni per astenersi dal giudicare il fratello della sua amica.
Il Gip che ha emesso la sentenza, d’altra parte, consapevole di voci che circolavano, respingendo la circostanza dell’amicizia con la sorella di Vendola, aveva chiesto con motivazione scritta al capo del suo ufficio di potersi astenere, ma la sua richiesta era stata respinta.
L’episodio e il gip che ha assolto Vendola sono così oggi al centro di un carteggio tra i due sostituti, il procuratore capo e il procuratore generale di Bari.
Ora resta la curiosità di capire se in Italia la parola Giustizia ha ancora un suo significato
Vito Schepisi
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