Ma i componenti la Direzione Nazionale del PD si contano o si pesano?
Se il valore è rappresentato dal numero, si potrebbe dire che fuori non ne sia rimasto nessuno. Quelli che ci sono, però, non sono adeguati per proporsi alla guida del Paese. Se invece si pesano il risultato è quello che conosciamo: a parte i portatori di tessere, ed i capi locali e nazionali di DS e Margherita, c’è ben poco d’altro!
Anche l’illustre ed “ingrato” ideatore di questo nuovo partito ne fa parte, in quanto membro di diritto assieme a coloro che hanno rivestito incarichi di presidenza di Consiglio, Camera e Senato. Non ne fanno parte, però, gli ex presidenti della repubblica. Strano! L’hanno detto a Scalfaro? Che sollievo per tanti, però!
Una direzione di partito? Sembra più un assemblea legislativa!
Le direzioni politiche si è abituati a pensarle più ridotte e più essenziali. E’ numerosa quanto una camera legislativa di alcuni paesi con una rappresentanza parlamentare meno pletorica di quella italiana. L’Assemblea Nazionale di questo pachiderma politico, infatti, ha eletto ben 120 membri della sua direzione, ma quanto è a sua volta ancor più pletorica questa assemblea? Tanto valeva cooptarsi per intero!
A questi 120 componenti eletti si aggiungono venti personalità nominate dal segretario, cioè da Veltroni, 5 nominati dall’organizzazione giovanile, non ancora costituita, ed ancora una nutrita pattuglia di membri di diritto in quanto presidenti di commissioni, vice presidenti delle assemblee parlamentari italiane ed europee, capi e vice capigruppo nel parlamento italiano ed europeo, persino presidenti e relatori delle commissioni costituenti il PD.
Dispiace un po’ per le “veline” rimaste fuori!
L’osservazione che nasce spontanea è che anche la volontà dell’assemblea conta poco perché, se esprimesse una maggioranza di membri eletti in direzione, questa maggioranza può essere facilmente ribaltata dai componenti cooptati.
E che dire del segretario che nomina ben 20 componenti la direzione? E se gli venisse il complesso di Caligola?
Ciò che per di più convince ancor meno è che il PD, a detta dei suoi fondatori, doveva essere un partito che nasceva dalla base della sinistra democratica. Non una somma di diverse e preesistenti macchine partitiche organizzate, ma una spontanea iniziativa dei sedicenti progressisti e riformatori italiani che si proponevano di mettere da conto le vecchie gabbie di un tempo e di aprirsi al confronto di una politica di ampio respiro, vicina ai problemi del Paese, alle sue esigenze, al ripristino della legalità.
Doveva essere un movimento politico proteso verso il recupero mediato di alcuni valori da inserire in una società multietnica, multiculturale e per larghi tratti persino eticamente diversa.
Si proponevano, insomma, di far sviluppare dal basso le espressioni di una democrazia laica, partecipata, aperta, progressista, rispettosa dei sentimenti popolari ed attenta a non emarginare le diverse tensioni religiose. Si è finito invece col consentire che su poltrone e seggiole fossero depositati i cappelli dei soliti mestieranti.
Tutte chiacchiere e manfrine sostengono in molti, e tra questi anche un consistente numero di italiani che hanno creduto in questo progetto. Le solite finzioni di coloro che dinanzi alla crisi propositiva della sinistra, incapace di indicare nuovi modelli sociali di riferimento, si inventano accattivanti contenitori, sostengono invece coloro che da tempo pongono l’attenzione sulle contraddizioni che emergono e che si sono manifestate sin dalla nascita del nuovo soggetto politico. Dai passi finora compiuti è evidente che a questi ultimi non si possa proprio dar torto.
Il passo falso più clamoroso è stato compiuto alla vigilia dell’ultima tornata elettorale, quando tra i socialisti di Boselli ed i giustizialisti di Di Pietro, i “democratici” del PD hanno scelto questi ultimi.
E’ come se i democratici nel ’22, tra Mussolini e Turati, avessero scelto Mussolini. E’ tutto dire!
Il PD sembra lo spazio del possibile dove, per caratteristica identitaria prevale la confusione totale. Ancora oggi, a distanza di circa 8 mesi dalla sua nascita, sono ancora in tanti a non aver compreso su quali ispirazioni trae le sue fondamenta e dove vuole arrivare, oltre che alla conquista del potere.
Fossero, però, solo i numeri pletorici di una direzione i problemi! Le contraddizioni che preoccupano sono soprattutto quelle politiche. Nel PD coesistono una miriade di correnti e di feudi personali assieme a strategie politiche differenti. Tante per cui emerge spontanea la richiesta di sapere da dove traggano le risorse economiche per reggerne l’organizzazione.
Quello dei finanziamenti alla frammentazione politica resta un percorso della trasparenza da esplorare ancora. Finanziamento pubblico? Finanziamento alla stampa politica? E’ un mondo da rivisitare, perché c’è anche chi non gradisce sapere che una parte degli euro che il fisco preleva finisca per finanziare, ad esempio, “italianieuropei” di D’Alema o i valori immobiliari di Di Pietro.
Sui quotidiani, tra le lettere dei cittadini che protestano, si legge di tutto, come ad esempio se sia possibile sottrarre dal pagamento del canone rai una percentuale corrispondente al costo delle trasmissioni di Santoro. Anche con i finanziamenti ai partiti si dovrebbe fare come con l’otto per mille. Potrebbe essere una soluzione! Forse solo così, per guadagnarsi le firme nell’apposito spazio, la politica si troverebbero costretta a rispettare la volontà degli elettori!
Vito Schepisi
Nessun commento:
Posta un commento