Sull’ultimo numero di Panorama c’è una frase di Giuliano Ferrara, nella rubrica l’arcitaliano, su cui varrebbe la pena di soffermarsi: “Che la magistratura sappia talvolta fare un uso perverso della legalità è in questo Paese da tempo un vecchio sospetto di minoranze liberali”. Il riferimento di Ferrara è alla tempestività della magistratura nel porre ostacoli allo sviluppo di attività amministrative e politiche. Come se ci fosse un partito dei giudici interessato a mantenere il paese in uno stato di conflittualità politica e sociale.
Ancora una volta - fa notare Ferrara - è quella campana e napoletana ad intervenire col rigore della legge, sebbene resti il dubbio che sia stato ben posto, per frammettere ulteriori difficoltà nello svolgimento di attività e provvedimenti dei servizi dello Stato e delle istituzioni.
Tanti in Italia e soprattutto a Napoli ed in Campania sperano che questa volta i provvedimenti adottati dalle autorità politiche siano utili al ripristino di una sufficiente normalità. C’è una volontà diffusa che siano respinti gli ostacoli dell’affarismo e della camorra e che siano respinte le strumentalizzazioni di una sinistra antagonista per definizione e, spesso, contro ogni ragione. C’è l’auspicio che siano portati al dialogo ed alla collaborazione i campanilismi trasversali di cittadini legittimamente preoccupati per tutte quelle emergenze che introducono tutti quei provvedimenti che, enunciati come provvisori, nel tempo si trasformano in stati di fatto permanenti.
Dal caso Tortora in poi non si può certo dire che i giudici a Napoli abbiano contribuito a rendere giustizia. E questa constatazione non è certo retorica, e quanto meno può sembrare un’opinabile vis polemica. I risultati, purtroppo, sono sotto gli occhi di tutti.
C’è stato anche chi ha provato a porre ordine e disciplina in una Procura che - traendo spunto dalla immondizia di Napoli - può essere definita come un pantano maleodorante. Il Procuratore Cordova, però, è stato posto nelle condizioni di lasciare. Il magistrato, noto per la sua inflessibilità e per la sua trasparenza ed impermeabilità politica, pretendeva legalità e disciplina tanto da sembrare in quella realtà un pesce fuor d’acqua e, soprattutto, un uomo inadeguato per essere accettato in uno stagno in cui da tempo sono abituati a sguazzare, indisturbati e senza decenza e limiti, camorra, malcostume, illegalità diffusa, corruzione ed affarismo. E’ sembrato davvero inadeguato quel Procuratore attento e puntiglioso in una giurisdizione dove, invece, ha sempre regnato solo molta disattenzione ed indifferenza. Il magistrato che pretendeva che i suoi pm lavorassero per la comunità civile e per la legalità, invece di ostacolarsi tra loro o di brigare contro o a favore di qualcuno, come accade quando una funzione dello Stato è gestita con un ordinamento corporativo, senza alcuna legittimazione popolare e che spesso, per autoreferenza, si trasforma in casta.
La Procura di Napoli agli occhi di molti italiani sembra una “pozza di sabbie mobili”, per usare un’immagine suggestiva ed immediata, a guisa di quella usata per il Tribunale di Roma che, per lungo tempo, negli anni passati, è stato definito “porto delle nebbie”.
Soffermarsi solo al caso Napoli e Campania, sebbene negli ultimi tempi quella magistratura ci abbia abituati ad interventi che fanno insorgere dubbi e sospetti sia per i tempi che per la valenza politica dei suoi atti, può sembrare però riduttivo.
S’avverte nel paese una voglia di giustizia che non può essere limitata al rigore della legge contro il malaffare. La domanda si diffonde in tutte le situazioni in cui i cittadini si trovano a lottare contro il bisogno, l’arroganza, le enormi disuguaglianze sociali. Ci sono realtà in cui ad alcuni manca proprio tutto ed ad altri si distribuisce senza pudore persino il superfluo.
I cassonetti svuotati e puliti ed i marciapiedi e le strade senza mucchi di spazzatura dinanzi alle case della Jervolino e di Bassolino e dei benestanti di Napoli, mentre nei quartieri periferici stazionano cumuli di immondizia, le cui immagini fanno il giro del mondo, sono la visione di un Paese senza regole veramente condivise a cui occorre porre rimedio senza alcun indugio.
Vorremmo, così, una magistratura attenta alla legalità in senso proprio, tesa a reprimere i crimini di ogni tipo: da quello perpetrato nelle strade a danno di inermi cittadini, a quello economico - finanziario, da quello affaristico, a quello contro la salute. Vorremmo provvedimenti che sottraggano spazio ai fannulloni ed ai truffatori, ai sofisticatori ed agli evasori.
Vorremmo una magistratura più indifferente invece nel compiacere o meno le parti politiche, con le orecchie meno sensibili ai fatti privati dei cittadini, meno impegnata nella ricerca della visibilità e nella ideazione di teoremi che si trasformano in strumenti di lotta politica, di dileggio o di provocazione.
Vorremmo, di converso, una politica attenta ai bisogni di tutti, meno preoccupata a difendersi dalle aggressioni giudiziarie, specie se mosse sulla base di intercettazioni telefoniche confidenziali anche prive di rilevanza giuridica, e spesso astratte da un contesto che si dimostra diverso dalle apparenze.
Dalla politica e dalla giustizia gli italiani chiedono soluzioni, interventi e certezze, chiedono amministrazione e scelte, misure per la sicurezza ed un uso corretto delle risorse, chiedono la prevenzione e la repressione del malaffare e la ripresa di un dialogo democratico in cui siano messi al bando gli eccessi, nella convinzione che in caso contrario debba prevalere la politica che ha il consenso del popolo e non il giustizialismo ed il suo tintinnio di manette.
Ancora una volta - fa notare Ferrara - è quella campana e napoletana ad intervenire col rigore della legge, sebbene resti il dubbio che sia stato ben posto, per frammettere ulteriori difficoltà nello svolgimento di attività e provvedimenti dei servizi dello Stato e delle istituzioni.
Tanti in Italia e soprattutto a Napoli ed in Campania sperano che questa volta i provvedimenti adottati dalle autorità politiche siano utili al ripristino di una sufficiente normalità. C’è una volontà diffusa che siano respinti gli ostacoli dell’affarismo e della camorra e che siano respinte le strumentalizzazioni di una sinistra antagonista per definizione e, spesso, contro ogni ragione. C’è l’auspicio che siano portati al dialogo ed alla collaborazione i campanilismi trasversali di cittadini legittimamente preoccupati per tutte quelle emergenze che introducono tutti quei provvedimenti che, enunciati come provvisori, nel tempo si trasformano in stati di fatto permanenti.
Dal caso Tortora in poi non si può certo dire che i giudici a Napoli abbiano contribuito a rendere giustizia. E questa constatazione non è certo retorica, e quanto meno può sembrare un’opinabile vis polemica. I risultati, purtroppo, sono sotto gli occhi di tutti.
C’è stato anche chi ha provato a porre ordine e disciplina in una Procura che - traendo spunto dalla immondizia di Napoli - può essere definita come un pantano maleodorante. Il Procuratore Cordova, però, è stato posto nelle condizioni di lasciare. Il magistrato, noto per la sua inflessibilità e per la sua trasparenza ed impermeabilità politica, pretendeva legalità e disciplina tanto da sembrare in quella realtà un pesce fuor d’acqua e, soprattutto, un uomo inadeguato per essere accettato in uno stagno in cui da tempo sono abituati a sguazzare, indisturbati e senza decenza e limiti, camorra, malcostume, illegalità diffusa, corruzione ed affarismo. E’ sembrato davvero inadeguato quel Procuratore attento e puntiglioso in una giurisdizione dove, invece, ha sempre regnato solo molta disattenzione ed indifferenza. Il magistrato che pretendeva che i suoi pm lavorassero per la comunità civile e per la legalità, invece di ostacolarsi tra loro o di brigare contro o a favore di qualcuno, come accade quando una funzione dello Stato è gestita con un ordinamento corporativo, senza alcuna legittimazione popolare e che spesso, per autoreferenza, si trasforma in casta.
La Procura di Napoli agli occhi di molti italiani sembra una “pozza di sabbie mobili”, per usare un’immagine suggestiva ed immediata, a guisa di quella usata per il Tribunale di Roma che, per lungo tempo, negli anni passati, è stato definito “porto delle nebbie”.
Soffermarsi solo al caso Napoli e Campania, sebbene negli ultimi tempi quella magistratura ci abbia abituati ad interventi che fanno insorgere dubbi e sospetti sia per i tempi che per la valenza politica dei suoi atti, può sembrare però riduttivo.
S’avverte nel paese una voglia di giustizia che non può essere limitata al rigore della legge contro il malaffare. La domanda si diffonde in tutte le situazioni in cui i cittadini si trovano a lottare contro il bisogno, l’arroganza, le enormi disuguaglianze sociali. Ci sono realtà in cui ad alcuni manca proprio tutto ed ad altri si distribuisce senza pudore persino il superfluo.
I cassonetti svuotati e puliti ed i marciapiedi e le strade senza mucchi di spazzatura dinanzi alle case della Jervolino e di Bassolino e dei benestanti di Napoli, mentre nei quartieri periferici stazionano cumuli di immondizia, le cui immagini fanno il giro del mondo, sono la visione di un Paese senza regole veramente condivise a cui occorre porre rimedio senza alcun indugio.
Vorremmo, così, una magistratura attenta alla legalità in senso proprio, tesa a reprimere i crimini di ogni tipo: da quello perpetrato nelle strade a danno di inermi cittadini, a quello economico - finanziario, da quello affaristico, a quello contro la salute. Vorremmo provvedimenti che sottraggano spazio ai fannulloni ed ai truffatori, ai sofisticatori ed agli evasori.
Vorremmo una magistratura più indifferente invece nel compiacere o meno le parti politiche, con le orecchie meno sensibili ai fatti privati dei cittadini, meno impegnata nella ricerca della visibilità e nella ideazione di teoremi che si trasformano in strumenti di lotta politica, di dileggio o di provocazione.
Vorremmo, di converso, una politica attenta ai bisogni di tutti, meno preoccupata a difendersi dalle aggressioni giudiziarie, specie se mosse sulla base di intercettazioni telefoniche confidenziali anche prive di rilevanza giuridica, e spesso astratte da un contesto che si dimostra diverso dalle apparenze.
Dalla politica e dalla giustizia gli italiani chiedono soluzioni, interventi e certezze, chiedono amministrazione e scelte, misure per la sicurezza ed un uso corretto delle risorse, chiedono la prevenzione e la repressione del malaffare e la ripresa di un dialogo democratico in cui siano messi al bando gli eccessi, nella convinzione che in caso contrario debba prevalere la politica che ha il consenso del popolo e non il giustizialismo ed il suo tintinnio di manette.
Vito Schepisi
2 commenti:
Come al solito lei è penoso.
Ma quando si stancherà di adorare il pastore, peggio delle pecore. Beeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeee
Critica la magistratura ccome il suo capo, spero almeno che si faccia fare qualche regalo......
Penoso è lei che continua a sviscerare sentenze. Penoso è non rendersi conto che un Paese in cui esistono funzioni dello stato per prevaricano la volontà popolare, i diritti e le scelte dei cittadini, e che vogliono sostituirsi al Parlamento ed al Governo è un Paese a sovranità limitata. Le funzioni dello Stato hanno il solo scopo di servire il Paese e di adeguarsi alle scelte che vengono fatte attraverso gli strumenti della democrazia. Un Paese invece dove la magistratura, con gli strumenti di potere che gestisce, partecipi alla lotta politica è destinato a divenire ingovernabile, se non di stampo autoritario ed oppressivo. Al suo contrario, spinto dal suo "nume supremo", l'odio, non ho capi ma solo la volontà di veder mutare rotta alla gestione di questo Paese, privilegiando la crescita e la soddisfazione del bisogno di una società, quella italiana, restata ai margini dell'evoluzione degli altri paesi europei per mancanza di sostanza nell'azione politica e per l'azione irresponsabile di moti ideologici, eredi politici di tempi ormai passati e, spero, definitivamente tramontati.
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