30 giugno 2008

La paura smorza la voce degli uomini

Sulle misure per la sicurezza c’è chi lancia allarmi contro le nuove norme e ne mette in discussione la compatibilità con i trattati internazionali, la normativa europea ed i principi universali dei diritti degli uomini. Sono per lo più evasioni dalla logica di un’opposizione a corto di argomenti più seri. Si dispiega così il festival degli equilibrismi interpretativi, conditi di vere e proprie bufale, come quella del presunto contrasto con le direttive comunitarie sulle impronte digitali ai nomadi, minori compresi. La recente direttiva europea, al contrario, indica tra l’altro proprio l’adozione di questo provvedimento.
Addentrarsi su questo percorso, e cioè nel guardare all’interno della casa del vicino per sentirsi cautelati nel rispetto di ciò che può apparire, sembra, però, un esercizio del provincialismo di certa politica italiana.
Sarebbe auspicabile, invece, un Paese cosciente delle proprie esigenze e capace di risolvere i suoi problemi in autonomia, senza scimmiottare ciò che fanno gli altri, soprattutto se non sempre possono essere presi ad esempio. Il faro ovviamente deve essere la garanzia del rispetto umano e dei principi di solidarietà e di convivenza civile, ma anche della libertà di tutti di sentirsi cautelati e protetti dalle istituzioni pubbliche.
Lo Stato deve pretendere da tutti il reciproco rispetto. I cittadini devono avvertire la certezza della sua presenza, anche nella funzione di arbitro delle difficoltà sociali, per iniziative di buon senso ma anche e soprattutto per indurre al rispetto delle leggi. Le Istituzioni devono essere, inoltre, garanti dei diritti di ciascuno, anche, e forse soprattutto, di coloro che hanno la cittadinanza italiana e che contribuiscono attraverso l’imposizione fiscale al mantenimento della coscienza nazionale e della sua organizzazione politica.
Non è possibile pretendere che lo Stato abdichi a questa fondamentale funzione. Non è possibile continuare, com’è stato nel passato, che in nome dei principi della solidarietà e dell’accoglienza dei diseredati, si possa chiudere uno o tutti e due gli occhi dinanzi a questioni che mettono in discussione le origini, la cultura, le tradizioni, le abitudini, la qualità della vita, la decenza, la tranquillità e la sicurezza delle nostre famiglie, delle nostre donne, dei nostri figli, dei nostri concittadini. Questo non è possibile e non può essere consentito!
Il provincialismo non aiuta soprattutto quando non riesce a vedere le questioni nella loro complessità. E’ capitato persino che da altri paesi, ad esempio dalla Spagna, arrivassero richiami preoccupati verso alcune norme sull’immigrazione clandestina. Le iniziative parlamentari della maggioranza italiana, ritenute, su sollecitazione di ambienti della sinistra italiana, rigide e repressive, dovrebbero invece essere giudicate blande e garantiste, se paragonate ai modi del paese iberico che, retto da un primo ministro indicato come esempio per la sinistra italiana, è arrivato addirittura ad usare le armi per respingere gli immigrati alle frontiere.
L’Italia per la sua umanità e per la tolleranza della sua gente in tutti i tempi, anche quelli bui dei conflitti e delle occupazioni coloniali, non ha mai dato adito a sospetti di comportamenti violenti, xenofobi e/o razzisti, al contrario di altri paesi europei che si fanno venire pruriti di buon senso e di civiltà in casa d’altri.
Non si pretende d’essere esempio per nessuno ma nello stesso tempo non si può pretendere che altri ci facciano scuola.
La questione è, né più né meno, in questi termini: esiste un problema sicurezza in Italia.
Se c’ è un evento delittuoso la polizia interviene per garantire l’ordine e la sicurezza. Lo fa in base ai principi generici dell’ordine pubblico, ma anche per il rispetto di apposite leggi che lo Stato italiano ha adottato per prevenire e reprimere il crimine e l’illecito, oltre che per cautelare la sicurezza dei cittadini.
Se c’è un problema di sicurezza e condizioni di invivibilità civile nei consessi urbani lo Stato ha così il dovere di intervenire per rimuoverne le cause.
Le Istituzioni pubbliche hanno così anche la facoltà di dotarsi delle leggi necessarie per arginare il fenomeno. E se questo è determinato dalla massa di immigrazione clandestina ha il diritto-dovere di fermarne il flusso.
Se per pubblica sicurezza sono adottate leggi limitative della libertà di ciascuno, come nel codice della strada, ad esempio, per limitare la velocità dei veicoli, causa di incidenti con morti e feriti, le limitazioni delle libertà non possono e non devono essere intese come limiti all’uguaglianza ed alla libertà personale, ma come argine all’uso indiscriminato della propria libertà che in alcune circostanze lede sostanzialmente il diritto all’incolumità degli altri. Questo è un fondamentale principio liberale che trova riscontro in ogni disputa filosofica sul confronto di etica e politica.
La stessa cosa è per l’immigrazione clandestina, con le leggi che la pongono come reato e/o come aggravante per i reati commessi sul territorio nazionale e per le norme, come il deposito delle impronte digitali per i nomadi, soprattutto allorquando è noto che in Italia esiste una tratta inumana e spietata per lo sfruttamento dei minori e degli invalidi.
I cittadini italiani hanno il diritto di sentirsi tranquilli nelle loro città.
Non avere timore è il bene primario e fondamentale di ciascuno perché senza terrore l’individuo è libero d’esprimersi e riscuote rispetto.
La paura, invece, smorza la voce degli uomini.
Vito Schepisi

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