12 febbraio 2008

Una pausa di riflessione per l'Udc

Come capita per i matrimoni oramai dissoltisi tra incomprensioni, tradimenti, capricci e sospetti, anche i partiti si prendono le “pause di riflessione”. In questa parentesi di tempo, spesso non definita, in cui per regola vengono meno tutti i presupposti della convivenza e della reciproca fedeltà, di solito si consolida invece l’unione con altri.
Tutti i luoghi comuni che si adottano per dar parvenza di voler veder chiaro nella propria conflittualità interiore, sono di solito solo interlocuzioni verbali. Quando si dice che la pausa serve per poter meglio valutare i propri sentimenti e verificare la solidità stessa dell’affetto, dell’amore, del desiderio di riprendere il dialogo interrotto, oppure dar inizio ad una nuova vita, a nuove esperienze e nuovi affetti, si dicono solo chiacchiere. Sono stereotipi della comunicazione in un contesto già stabilito di incomunicabilità. Spesso le scelte sono già belle e che fatte ed il dado, il più delle volte, è già definitivamente tratto.
Così avviene anche per la politica. E dove c’è titubanza nella convivenza e nell’unificare il proprio percorso politico, in verità c’è il sospetto che si pensino soluzioni diverse e si facciano i calcoli sul valore della propria fedeltà o sul possibile valore aggiunto nell’iniziare una nuova storia con altri. Anche il richiamo all’esigenza di mantenere i propri spazi, ed a voler meditare, si traduce solo in calcoli di altra natura. Da qui la metodica e puntuale richiesta di voler esser prudenti e di voler procedere a piccoli passi per far eventualmente maturare le scelte anche e soprattutto nell’elettorato e nella base del proprio partito. E poi l’affondo di grande scena mediatica con l’affermazione, che vale una valle di lacrime, di non poter consentire che si disperda l’identità di una coscienza politica.
Funziona sempre così, sia nel matrimonio tra esseri umani sia nell’unione tra partiti. Spesso la chiarezza nella vita, come nella politica, passa attraverso percorsi tortuosi: si ha l’impressione tipica di coloro che gettano la pietra nello stagno e si fermano a guardare cosa succede.
Ora ci sono le elezioni e c’è un progetto politico, iniziato da tempo e che rischia di affondare e di essere seppellito definitivamente. E’ la stessa strategia, perdente, che in Francia ha tentato Bayrou. La collocazione centrista che, dalla tradizionale idea di moderazione, si traduce nel progetto nel porsi nel mezzo con l’ambizione di essere determinanti. Ci provano in tanti. L’ha azzardata prima Follini, naufragata senza pudore all’interno del PD. Ora ritentata ancora da Tabacci e Baccini con l’ambizione di poter trascinare con loro Luca Cordero di Montezemolo, che invece nicchia temendone il fallimento. E domani chi lo dice che la possibilità di una nuova fuga in avanti non possa tentare le ambizioni di Cesa, Casini e Buttiglione, folgorati dall’idea di poter contare di più palleggiandosi da una parte all’altra degli schieramenti politici?
La richiesta di porre il confronto su di un piano di parità e di reciproco rispetto è una rivendicazione che funziona nell’immaginario collettivo. Ha le sue diverse chiavi di lettura, a seconda dei casi o della quantità della raccolta. Lascia una porta sempre aperta perché in politica, come si è visto, anche una percentuale dello 0,50% può valere tantissimo. Ma in definitiva è offensivo verso gli elettori che principalmente fanno una scelta di campo e nei sondaggi in gran maggioranza vorrebbero la semplificazione del quadro politico e possibilmente due soli partiti. In politica, poi, il reciproco rispetto e la parità di espressione valgono relativamente. Come principio di tolleranza, beninteso, hanno la loro importanza, ed anche nel confronto tra gli uomini e nel rispetto della legittimità di ogni idea politica, ma in democrazia devono contare anche i numeri ed i rapporti di forza. Il 40%, ad esempio, è diverso dal 5%, con tutto il rispetto e l’asserita parità delle opportunità di espressione.
Ora per passare dalle metafore ai fatti, la questione non è affatto come la pone Buttiglione dell’Udc che sostiene che se si ha fiducia del suo partito, qualora entri nella casa comune dello schieramento moderato, non si capisce perché non si abbia fiducia della stesso Udc, qualora ne sottoscriva il programma e dichiari di volersi alleare con il Pdl. La questione la si deve porre invece in modo diverso, sia per questione di chiarezza verso l’elettorato, che non comprende la necessità dell’esistenza di piccoli partiti interessati a concentrare su di loro un potere che va oltre la specifica consistenza elettorale, e sia per il principio che in politica la fiducia va conquistata giorno per giorno ed atto per atto. il principio non si debba aver fiducia in politica.la democrazia vuole che contino anche i numeri ed i rapporti di forzalioneal
Anche nel 2001 l’Udc ha sottoscritto il programma della Cdl ma Follini nei giorni pari, come in quelli dispari, ne ha messo in discussione l’attuazione. Persino l’attuale legge elettorale è ascrivibile alla caparbia volontà di Follini e dell’Udc di passare al sistema proporzionale, con le motivazioni, inespresse ma evidenti, di ottenere maggior facoltà di condizionamento. Ora si vorrebbe rendere più difficile e meno agevole questa interposizione dei partiti minori, tra cui anche quella di passare con grande indifferenza da uno schieramento all’altro, come capita spesso di fare a Mastella, facendo pesare anche un singolo parlamentare. Buttiglione dovrebbe quindi ricordare anche i suoi salti mortali con doppio avvitamento, prima di porre i quesiti che pone.

Vito Schepisi

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