La rottura era nell’aria. Le fasi della politica sono come le stagioni. Non sono solo le date dei calendari che le segnano, ma è l’aria chi si respira che le annuncia.
La stagione degli opportunismi e dei sofismi sembra che sia destinata così a chiudersi, spinta soprattutto da un’Italia che è stanca di sentirsi mortificata da una politica che si trasforma in nicchia di privilegi e che cambia spesso gli scenari per disperdere le responsabilità. Non è più tempo di cambiare le carte sul tavolo e di usare mazzi di carte truccate, come i bari di professione.
Dalle viscere dell’Udc è già sorto un nuovo partito, la rosa bianca, per iniziativa di alcuni parlamentari oramai convinti che non poteva realizzarsi, se non al di fuori del partito di provenienza, il progetto di un movimento nel mezzo tra la componente liberale e quella di sinistra.
Che senso avrebbe ora che la stessa Udc percorra la stessa strada? Cosa si propone di fare? Non è morale la politica del doppio forno, con la duplicità della scelta dopo le elezioni. E’ una logica vecchia, già consumatasi nella prima repubblica tra Craxi e De Mita. Mantenere l’identità di un partito che non ha tradizioni storiche da vantare e che è inserito nel Partito Popolare Europeo, come Forza Italia e come il nascente Popolo delle Libertà, non ha senso alcuno, se non in funzione di una diversa strategia politica. E quale sarebbe questa logica se non quella di un partito che abbia lo scopo di candidarsi al condizionamento di uno schieramento e dell’altro, e poi magari apparire come chi si muove nell’interesse del Paese?
Ma il tempo è finito. Ora è come nei western di una volta, dove alla fine ciò che conta è la scena finale del film, con la sfida, a mezzogiorno, sotto il sole cocente, tra i due contendenti.
C’è ed è forte in alcuni l’illusione di poter imbrigliare ancora il Paese nelle scelte da sospendere, nella ricerca di concertazioni che soddisfino gli appetiti delle caste. Ma questo spazio nella politica deve essere cancellato. Non può esistere più: gli elettori ed il buon senso non lo tollerano ancora. Il gioco del stare nel mezzo è scoperto ed a crederci è solo una parte minoritaria del Paese. Non serve che ora Casini supplichi Montezemolo perché entri in scena. Non serve rendere ancora più confuso il quadro della reazione alla rivoluzione liberale che il paese si aspetta.
Ora il voto avrà il compito di spazzare le illusioni, di riporre dinanzi alle proprie responsabilità chi ancora si illude che niente sia cambiato, di ricondurre alla ragione tutti coloro che neanche le difficoltà di vita di larghi strati di cittadini italiani hanno sospinto ad assumersi il senso della realtà, dell’umiltà e della coerenza.
Non ci sono gli spazi per i Buttiglione di oggi ed i Follini di ieri. I loro articolati ed ambiziosi progetti, in vero molto al di sopra della loro statura politica, sono stati chiusi dalla saggezza di Berlusconi e Fini che oramai fermamente respingono le iniziative di prestarsi ancora al gioco delle tre carte. L’esperienza è servita, e perseverare può essere solo diabolico. Siano lasciati a richiedere con Cesa ulteriori indennità ai parlamentari per ricongiungere, a spese dei contribuenti, le loro famiglie a Roma, onde evitare che i loro deputati facciano festini erotici, in lussuosi alberghi romani, con donnine a pagamento e con uso di droga, mentre in modo demagogico e patetico il leader del partito, dinanzi al parlamento, fa fare il test sull’uso della droga.
Il movimento del Popolo delle Libertà presume, giustamente, che sia giunto il tempo di doversi appellare al popolo per la condivisione di un programma comune che serva a rilanciare il Paese. Chiamare i cittadini elettori a dare il loro consenso col voto a soluzioni che liberino gli italiani dalla morsa di una pressione fiscale ai limiti della tolleranza, dal dirigismo illiberale, dai privilegi delle caste, dalla politica delle emergenze. Una maggioranza che rilanci le attività produttive, l’occupazione, i salari, le opportunità, la crescita.
Per questo debito di chiarezza verso il popolo, che invoca coerenza e compattezza, è necessario che sia chiara l’identità dei valori richiamati. E’ indispensabile che non vi siano ingiustificate divisioni. Gli appelli al mantenimento del simbolo sottendono distinguo non più tollerabili per un’attività di governo con scenari difficili, in cui le scelte devono essere chiare e senza quelle tensioni, tipiche della visibilità politica e delle lobby, che ne rallentino o annullino la sostanza.
La stessa chiarezza, invece, viene a mancare a Veltroni. Aveva sfidato Berlusconi con la sua corsa solitaria e coraggiosa. E’ rimasto, invece, il Veltroni di sempre tra l’illusionista e l’americano sbruffone, tra sceneggiature e fiction, tra realtà e finzione.
La sua sfida si è così dispersa. Il caravanserraglio gli si ritorce contro. Imbarca Di Pietro preferendolo al socialista Boselli. Imbarca un partito costruito sull’immagine di una persona controversa, tra autoritarismo e personalismo, e respinge un partito di tradizioni antiche riformiste e di sinistra. Tutto il contrario di quanto per logica ci si poteva e doveva aspettare.
Ora è il Pdl che corre da solo per scelta di coerenza e di lealtà, mentre Veltroni cannibalizza i voti della sinistra moderata e dei radicali ed imbarca i voti della lotta al sistema, dell’antipolitica, della protesta e del giustizialismo. Respinge la storia per imbarcare la visceralità della reazione. Chiude la porta alla civiltà del confronto tra simili, per aprirla alla rozzezza di un linguaggio incerto e violento.
La stagione degli opportunismi e dei sofismi sembra che sia destinata così a chiudersi, spinta soprattutto da un’Italia che è stanca di sentirsi mortificata da una politica che si trasforma in nicchia di privilegi e che cambia spesso gli scenari per disperdere le responsabilità. Non è più tempo di cambiare le carte sul tavolo e di usare mazzi di carte truccate, come i bari di professione.
Dalle viscere dell’Udc è già sorto un nuovo partito, la rosa bianca, per iniziativa di alcuni parlamentari oramai convinti che non poteva realizzarsi, se non al di fuori del partito di provenienza, il progetto di un movimento nel mezzo tra la componente liberale e quella di sinistra.
Che senso avrebbe ora che la stessa Udc percorra la stessa strada? Cosa si propone di fare? Non è morale la politica del doppio forno, con la duplicità della scelta dopo le elezioni. E’ una logica vecchia, già consumatasi nella prima repubblica tra Craxi e De Mita. Mantenere l’identità di un partito che non ha tradizioni storiche da vantare e che è inserito nel Partito Popolare Europeo, come Forza Italia e come il nascente Popolo delle Libertà, non ha senso alcuno, se non in funzione di una diversa strategia politica. E quale sarebbe questa logica se non quella di un partito che abbia lo scopo di candidarsi al condizionamento di uno schieramento e dell’altro, e poi magari apparire come chi si muove nell’interesse del Paese?
Ma il tempo è finito. Ora è come nei western di una volta, dove alla fine ciò che conta è la scena finale del film, con la sfida, a mezzogiorno, sotto il sole cocente, tra i due contendenti.
C’è ed è forte in alcuni l’illusione di poter imbrigliare ancora il Paese nelle scelte da sospendere, nella ricerca di concertazioni che soddisfino gli appetiti delle caste. Ma questo spazio nella politica deve essere cancellato. Non può esistere più: gli elettori ed il buon senso non lo tollerano ancora. Il gioco del stare nel mezzo è scoperto ed a crederci è solo una parte minoritaria del Paese. Non serve che ora Casini supplichi Montezemolo perché entri in scena. Non serve rendere ancora più confuso il quadro della reazione alla rivoluzione liberale che il paese si aspetta.
Ora il voto avrà il compito di spazzare le illusioni, di riporre dinanzi alle proprie responsabilità chi ancora si illude che niente sia cambiato, di ricondurre alla ragione tutti coloro che neanche le difficoltà di vita di larghi strati di cittadini italiani hanno sospinto ad assumersi il senso della realtà, dell’umiltà e della coerenza.
Non ci sono gli spazi per i Buttiglione di oggi ed i Follini di ieri. I loro articolati ed ambiziosi progetti, in vero molto al di sopra della loro statura politica, sono stati chiusi dalla saggezza di Berlusconi e Fini che oramai fermamente respingono le iniziative di prestarsi ancora al gioco delle tre carte. L’esperienza è servita, e perseverare può essere solo diabolico. Siano lasciati a richiedere con Cesa ulteriori indennità ai parlamentari per ricongiungere, a spese dei contribuenti, le loro famiglie a Roma, onde evitare che i loro deputati facciano festini erotici, in lussuosi alberghi romani, con donnine a pagamento e con uso di droga, mentre in modo demagogico e patetico il leader del partito, dinanzi al parlamento, fa fare il test sull’uso della droga.
Il movimento del Popolo delle Libertà presume, giustamente, che sia giunto il tempo di doversi appellare al popolo per la condivisione di un programma comune che serva a rilanciare il Paese. Chiamare i cittadini elettori a dare il loro consenso col voto a soluzioni che liberino gli italiani dalla morsa di una pressione fiscale ai limiti della tolleranza, dal dirigismo illiberale, dai privilegi delle caste, dalla politica delle emergenze. Una maggioranza che rilanci le attività produttive, l’occupazione, i salari, le opportunità, la crescita.
Per questo debito di chiarezza verso il popolo, che invoca coerenza e compattezza, è necessario che sia chiara l’identità dei valori richiamati. E’ indispensabile che non vi siano ingiustificate divisioni. Gli appelli al mantenimento del simbolo sottendono distinguo non più tollerabili per un’attività di governo con scenari difficili, in cui le scelte devono essere chiare e senza quelle tensioni, tipiche della visibilità politica e delle lobby, che ne rallentino o annullino la sostanza.
La stessa chiarezza, invece, viene a mancare a Veltroni. Aveva sfidato Berlusconi con la sua corsa solitaria e coraggiosa. E’ rimasto, invece, il Veltroni di sempre tra l’illusionista e l’americano sbruffone, tra sceneggiature e fiction, tra realtà e finzione.
La sua sfida si è così dispersa. Il caravanserraglio gli si ritorce contro. Imbarca Di Pietro preferendolo al socialista Boselli. Imbarca un partito costruito sull’immagine di una persona controversa, tra autoritarismo e personalismo, e respinge un partito di tradizioni antiche riformiste e di sinistra. Tutto il contrario di quanto per logica ci si poteva e doveva aspettare.
Ora è il Pdl che corre da solo per scelta di coerenza e di lealtà, mentre Veltroni cannibalizza i voti della sinistra moderata e dei radicali ed imbarca i voti della lotta al sistema, dell’antipolitica, della protesta e del giustizialismo. Respinge la storia per imbarcare la visceralità della reazione. Chiude la porta alla civiltà del confronto tra simili, per aprirla alla rozzezza di un linguaggio incerto e violento.
Vito Sc hepisi
3 commenti:
Sei sempre a commenti zero!!!!!!
Ma come cazzo fai a persistere nello scopiazzare gli articoli del Giornale di famiglia dello psico nano e lanciarli nel tuo pomposo blog, che praticamente non caga nessuno?
Se non sei pagato, dovresti farti visitare, o non hai proprio un cazzo da fare.
Con affetto tuo
Gerardo Nocera
Caro Nocera
Se non avessi letto la firma, stia certo che avrei immediatamente capito he il commento non poteva che essere il suo. Cosa la spinge il vento elettorale e la ricerca spasmodica di contenere il vento che spazzerà gli effetti delle sue fobie? Se leggesse il Giornale forse si accorgerebbe che non sono abituato a scopiazzare. Forse sottovaluta tante cose. Ma lascio a lei ogni beneficio del dubbio. Non ho da darle spiegazioni. Buona domenica
Si Si,come dici tu!!!!
Continua, se ti da gusto.
Gerardo Nocera
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