21 febbraio 2008

Si può fare cosa?

Ma qualcosa di italiano è possibile?
Nel 2000 Veltroni lanciò “I Care” che tradotto nella nostra lingua vuol dire mi interessa, mi sta a cuore. Non si era ben capito, in particolare cosa stesse a cuore, ma conoscendo le origini si sapeva che si trattava del potere: unica cosa che sta veramente a cuore a chi della sua conquista ne ha fatto un principio ideologico.
Ed ora “Yes, we can” che letteralmente si traduce in “si, noi possiamo” da cui “si può fare”. E’ lo slogan che Veltroni, l’americano “de rroma” prende in prestito dal suo idolo Barack Obama, per tentare lui, il romano, la scalata a Palazzo Chigi.
Tutta la sua fantasia si esaurisce in queste evocazioni di ricordi anche un po' nostalgici. Il leader del PD cattura sensazioni “americane”, nel filone delle classiche commedie d’oltreatlantico, in cui tutto sembra isolato dalle complessità. Si esaltano solo i toni romantici ed un po’ frivoli, non una realtà dai volti diversi, alcuni integrati tra loro, altri da scoprire e risolvere. Non la realtà più cruda che riviene da un insieme di sofferenze e di lotte. Non la vera storia di valori condivisi che, invece, con Veltroni e le sue origini non hanno proprio niente a che fare.
Una entità nazionale molteplice e così eterogenea quella degli Stati, in cui solo con i principi della libertà è stato possibile trovare le ragioni dello stare insieme ed uniti. E’come, ad esempio, pensare ad una grande Europa politicamente unita. Un’unica entità: dai latini ai greci, dagli anglosassoni agli scandinavi, con usi, costumi, tradizioni e culture diverse. Soprattutto con storie diverse.
Si può fare cosa, Veltroni? Cosa Lei vuole, e può, fare?
Veltroni è come il personaggio “americanizzato” di Alberto Sordi che semplificava tutto per mixerare la sua scimmiottesca attitudine alle suggestioni ed ai miti. Il nostro nell’incolto e sbrigativo semplicismo di uno slogan elettorale: “si può fare”.
Lampi di flash, immagini di propaganda in cui appaiono frammenti di kennedismo e clintonismo che, presi ad esempio di valori assoluti, come se si parlasse di cristianesimo e democrazia, si intrecciano con le rappresentazioni dei buoni propositi. E’ così che con Veltroni emerge un’Italia, a sinistra, tanto incapace di adottare una strategia di governo, quanto capace di banalizzare la necessità di un cambiamento.
Una fiction elettorale, come quella nel 2006 di Prodi, non è una risposta al Paese per eliminare la sensazione di fastidio di uno stato troppo invadente ed ingordo nel mortificare e disperdere le capacità e le risorse finanziarie del Paese.
Un’Italia, quella di Veltroni e di Prodi semplicemente e cinicamente “sloganizzata” per necessità post ideologica. Una risposta politica che non offre soluzioni credibili alle esigenze di snellezza, di antiparassitismo, di modernizzazione.
Gli Usa dei grandi valori umani e delle grandi ispirazioni sociali, le spinte di integrazione nel contesto di una progressiva realtà multirazziale, 45 anni dopo Martin Luther King ed il suo “I have a dream” dell’agosto del 1963 a Washington. Su questa scia vorrebbe inserirsi con decenni di ritardo il PD di Veltroni, come se volesse segnare la continuità di una storia. Ma non è la sua storia! Non era questa la storia dell’internazionalismo comunista da cui proviene Veltroni ed il PD!
Sarebbe curioso chiedersi dov’era il “pathos” dei veltroniani di oggi ai tempi di Kennedy. E quanta tradizione diversa e storia e cultura e sensibilità dividevano i democratici liberali da coloro che allora inneggiavano al marxismo. Quanto di audacia e di coraggio nell’opporsi alle minacce (ricordiamo i missili sovietici a Cuba) e nel fronteggiare i pericoli in quella guerra fredda che vedeva l’America, e l’intero occidente libero, far da argine al blocco dell’est. I valori degli Usa e dei Kennedy e dell’Occidente erano di segno radicalmente diverso da quelli che il marxismo, con i suoi seguaci, allora rappresentava.
Con i richiami a quel mondo americano dove sogni, suggestioni, interessi, ispirazioni si confondono e si spargono, e nel nome del suo neo liberalismo parolaio, il nostro ex comunista vorrebbe annullare le differenze con le origini e le responsabilità del suo pensiero politico del tempo che, al confronto con John Kennedy, rappresentava valori tanto differenti, se non del tutto contrari.
“I Care”. “Yes, we can”. “I have a dream”. E, perché no “Ich bin ein Berliner!”? Perché no il discorso di John Kennedy a Berlino del 26 giugno del 1963?
“Ci sono molte persone al mondo che non comprendono, o non sanno, quale sia il grande problema tra il mondo libero e il mondo comunista. Lasciateli venire a Berlino! Ci sono alcuni che dicono che il comunismo è l'onda del futuro. Lasciateli venire a Berlino! Ci sono alcuni che dicono che, in Europa e da altre parti, possiamo lavorare con i comunisti. Lasciateli venire a Berlino! E ci sono anche quei pochi che dicono che è vero che il comunismo è un sistema maligno, ma ci permette di fare progressi economici. Lasst sie nach Berlin kommen! (Lasciateli venire a Berlino!) Tutti gli uomini liberi, ovunque essi vivano, sono cittadini di Berlino, e quindi, come uomo libero, sono orgoglioso di dire, Ich bin ein Berliner! (sono un Berlinese!).”

Era il 1963 e Veltroni era ancora un bambino. Ma qualche anno dopo l’abbiamo visto nelle piazze dietro le bandiere rosse con la falce ed il martello, a gridare slogan contro gli USA, non contro il muro di Berlino e non contro l’imperialismo sovietico che calpestava i diritti e soffocava gli aneliti di libertà dei popoli a noi geograficamente più vicini.
Oggi, furbescamente, Veltroni vuole confondersi nella memoria di coloro che hanno sempre sostenuto i principi del pluralismo e della molteplicità dei diritti. Tra quegli uomini che hanno sempre voluto operare e circolare liberi nel mondo, senza essere prigionieri nelle patrie a doppia bandiera, di cui una era rosso sangue.
“Io credo – afferma oggi Veltroni - che anche per noi è venuto un momento nuovo di ricostruzione, di una nuova politica che dia risposte ai cittadini, è il momento di una nuova sfida collettiva". Bene! Ha ragione! E’arrivato per loro il momento di fare i conti con quella storia fatta di disagi, degrado, squallore e tanta ipocrisia, nell’indicare i falsi valori dell’umanità, che hanno saturato di violenza e grigiore una parte consistente del mondo.
Ma arrivano tardi!
Lo spazio del fare e dei valori veri è già occupato da chi queste cose le sostiene da tempo.

Vito Schepisi

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