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06 marzo 2009

Durban II: istruzioni per l'uso


I regimi dispotici usano la propaganda per accreditare la loro legittimità e per screditare i loro avversari. E’ un metodo usato da sempre, anche da quando le comunicazioni di massa non esistevano. La storia ci racconta di stragi di presunti cospiratori, di condanne a morte di traditori per attività sovversive, e di condanne per eresia e stregoneria: in realtà, motivazioni per la soppressione del dissenso verso i prepotenti.
Nei tempi delle comunicazioni di massa vige, in più, un metodo, anch’esso d’uso frequente per i prepotenti, che è quello di ripetere tante volte una cosa non vera per far breccia sulla gente distratta e farla passare per “verità”. Succede anche per la politica: è sufficiente aprire qualche giornale che ne fa largo uso.
E’ ciò che accade dappertutto sulla Terra, anche con la complicità di organismi internazionali. Le Nazioni Unite, ad esempio, riuniscono le rappresentanze di tutti i paesi del mondo. Nelle conferenze dove non esiste un diverso metodo rappresentativo, o l’esercizio del diritto di veto da parte della maggiori potenze mondiali, per approvare un documento vale la maggioranza degli stati, anche se di ridotte entità, anche se privi di legittimità democratica, anche se sanguinari e dispotici.
Per far approvare a maggioranza degli stati aderenti documenti di condanna, ad esempio, per razzismo contro Israele, ed assolvere paesi dove l’integralismo più assoluto esclude da ogni diritto e reprime chiunque appartenga anche ad un’etnia diversa, o laddove sia sufficiente il capriccio o il fastidio di pochi per stroncare vite umane o reprimere una protesta, è sufficiente indire una Conferenza internazionale contro il razzismo, dove i piccoli paesi contano quanto i grandi, e porsi l’obiettivo della condanna di un popolo già oggetto di un odio diffuso.
Nell’aprile prossimo, dal 20 al 24, a Ginevra si svolgerà la Conferenza mondiale contro il razzismo, la discriminazione razziale, la xenofobia e l’intolleranza, organizzata dall’Onu. Il comitato preparatorio è composto dai rappresentanti di Iran, Camerun, Sudafrica, Senegal, India, Indonesia, Pakistan, Argentina, Brasile, Cile, Armenia, Croazia, Estonia, Russia, Belgio, Grecia, Norvegia e Turchia. Il Comitato è presieduto da Libia mentre la vice presidenza è dell’Iran, di Cuba e del Pakistan. L’incarico di stilare ed illustrare il rapporto affidato a Cuba.
La conferenza di Ginevra è chiamata “Durban II” perché fa seguito alla prima tenuta nella omonima città sudafricana dal 31 agosto all’8 settembre del 2001.
Nella precedente conferenza del 2001 a Durban fu approvato un documento di condanna contro Israele. Le delegazioni di Stati Uniti ed Israele si ritirarono nel corso dei lavori e quelle di Canada ed Australia approntarono documenti di condanna per un metodo che fu giudicato “ipocrita”. Più che una conferenza contro il razzismo dette l’idea di un processo intentato contro lo Stato di Israele ed i suoi alleati, soprattutto gli USA. Un documento che destò un enorme clamore, non ancora sopito, per le diffuse polemiche suscitate. Da quel momento si accentuò il clima di odio per lo Stato ebraico e per i suoi sentimenti religiosi. Il testo approvato, con forti tinte antisemite, dette luogo al riaccendersi di tensioni antiamericane ed antisioniste. I discorsi di Arafat, di Castro e di Mugabe ebbero una cassa di risonanza mondiale ed eccitarono, nei paesi islamici, con la complicità sia dei governanti che della autorità religiose, un furore antiebraico ed antiamericano che vide le città arabe percorse da cortei e manifestazioni che inneggiavano a Bin Laden.
Poi ci fu l’11 settembre con la strage alle Twin Tower di New York e le 3.000 vittime civili.
La prossima conferenza si annuncia ancora più caratterizzata della prima per la condanna di Israele e dei paesi che lo sostengono: per questa ragione Il Ministro degli Esteri Franco Frattini ha comunicato il ritiro dell’Italia dalla Conferenza “DurbanII” di Ginevra.
Nel documento finale, in elaborazione, Israele verrebbe accusata di adottare nei territori palestinesi una politica "in violazione dei diritti umani internazionali, un crimine contro l' umanità e una forma contemporanea di apartheid". Nella bozza del documento, ispirato soprattutto da Iran e Siria, si esprimerebbe "profonda preoccupazione per le discriminazioni razziali compiute da Israele contro i palestinesi e i cittadini siriani nel Golan occupato". Lo Stato israeliano verrebbe accusato, inoltre, di "tortura, blocco economico, gravi restrizioni di movimento e chiusura arbitraria dei territori" e di rappresentare: "una minaccia per la pace internazionale e la sicurezza".
E’ troppo!
Vito Schepisi

08 gennaio 2009

Israele: una reazione eccessiva?


Una guerra è orribile sempre e comunque. L’opzione armata dovrebbe essere l’ultima, in un ventaglio molto articolato di azioni diplomatiche e di ricorsi agli organismi internazionali, per la difesa dei diritti dei popoli e per reagire ai soprusi ed agli atti ostili. Ma la guerra è l’azione indifferibile per costringere chi è sordo, prepotente e aggressivo a rinunciare alle ostilità ed alle reiterate azioni di terrore tra le popolazioni civili. La guerra diventa persino indispensabile contro la viltà ed il fanatismo.
Il pacifismo unilaterale prepara solo una guerra da perdere. Non esiste poi una proporzione in guerra. E’ cinico, ma una guerra si combatte per vincerla da tutte le parti in causa.
Ciò che accade da anni in Israele sa di incredibile. Israele è nei suoi territori per decisione degli organismi internazionali che hanno stabilito che la “Terra promessa” del popolo ebraico fosse in quei territori, una volta in gran parte desertici, assegnati nel 1947 con la risoluzione n. 181.
La modifica dei confini è successivamente avvenuta in conseguenza del consolidamento delle azioni di difesa di Israele, attaccata più volte dagli stati arabi confinanti. Questi confini sono stati ripristinati laddove con i Paesi confinanti si sono siglati trattati di pace e di reciproco riconoscimento, come è capitato con Giordania ed Egitto, ad esempio.
La stampa internazionale e la sensibilità dei governi mondiali si risveglia solo quando Israele, unico paese democratico nell’area mediorientale, decide che sia ora di rispondere alle azioni di provocazione e di terrorismo che partono dai territori rilasciati, come la Striscia di Gaza, o confinanti, come il Libano.
Israele ha chiesto ad Hamas di fermare il lancio di razzi che partono dalla Striscia di Gaza e sono diretti nelle città di confine israeliano (Sderot), indiscriminatamente lanciati sulle popolazioni civili, senza obiettivi militari o altri obiettivi tattici se non quelli di provocare terrore tra le popolazioni inermi. Il gruppo terroristico di Hamas (quello che D’Alema vorrebbe riconoscere come interlocutore politico) ha continuato ad armarsi nella Striscia di Gaza e si è reso responsabile della rottura di una tregua negoziata dall’Egitto e che, sebbene molto tenue, durava da almeno sei mesi.
Questo stillicidio di razzi sul territorio israeliano, partito dall’iniziativa esclusiva di Hamas, non può che avere un fine ed un collegamento inquietante perché, per essere irrazionale, e controproducente per la popolazione palestinese di Gaza, non può non avere finalità diverse.
Il leader di Hamas, Ismail Haniyeh, infatti, riceve l’appoggio non solo verbale di Hezbollah, come ha lui stesso dichiarato: “Hassan Nasrallah (leader di Hezbollah) ha chiesto ai libanesi di sostenere il popolo palestinese a Gaza per porre fine all’assedio”. Lo si constata con l’aggiornamento delle notizie del lancio di missili dal sud del Libano sulle città israeliane. Il conflitto si allarga, com’era nelle intenzioni degli attaccanti. Le seguenti, infatti, sono parole di chi scrive, pubblicate due giorni fa in un commento:
Una provocazione politica, forse mirata ad aprire il fronte di Siria ed Iran in Libano, per mezzo di Hezbollah. Ciò che l'opinione pubblica occidentale stenta a capire è che ad Hamas, ad Hezbollah non fa impressione il numero dei morti e le vittime civili, come non fanno impressione all'Iran di Adhaminejad, a loro interessa imbrigliare Israele...magari con l’invio a Gaza di altre forze di interposizione dell'ONU che consentano ai terroristi di fare ciò che vogliono, come nel sud del Libano, magari protetti proprio dai militari dell'ONU, di cui persino si servono. Il fine è l'atomica iraniana che appena pronta avrà un motivo politico, patriottico, morale ed etico (per il fondamentalismo islamico) per essere sganciata su Tel Aviv".
Accade così che chi afferma che l’azione di difesa israeliana sia una reazione eccessiva - come abbiamo sentito dall’ex ministro degli esteri D’Alema anche in occasione dell’attacco di Hezbollah nel sud del Libano di due anni fa, mentre d’eccessivo c’è solo la malafede di chi vorrebbe ascrivere alle responsabilità d’Israele questo nuovo focolaio di conflitto - si prepara vilmente a poter giustificare la distruzione dello Stato d’Israele.
E’ orribile solo a pensarlo, ma c’è chi si sta preparando a dire che “se la sono voluta”!
Vito Schepisi

28 agosto 2008

Il ritorno della guerra fredda

E’ saggio chi si preoccupa del domani e non chi si adagia sulle incertezze di oggi. Sembra un aforisma tratto dagli “Analecta” di Confucio più che una riflessione sulle preoccupazioni per l’evolversi delle politiche dell’oggi sulla Terra.
Gli scenari sono tutti di grande preoccupazione. L’Europa, epicentro dello sviluppo culturale e delle fucine del pensiero sulle trasformazioni sociali, si dissolve nella sua vecchia capacità politica di dirimere, con la sola persuasione della sua influenza intellettuale, l’esplosione delle controversie della Terra. Sembra abbia disperso la latente pressione sui moti del pensiero che in periodo di guerra fredda aveva diffuso tra le genti del pianeta.
Una volta le marce per la pace, contro le aggressioni militari, per la solidarietà verso i più deboli, pur dividendo all’interno le popolazioni d’Europa, esercitavano un invito, spesso prudentemente raccolto, alla moderazione. Oggi le manifestazioni di protesta, quando si realizzano, assumono le sembianze delle kermesse folcroristiche e sono evidenti strumenti di manipolazione politica.
Dopo il 21 settembre del 2001 il mondo è davvero cambiato!
Sembra che quella data sia il segnale d’inizio di un capovolgimento di fronte e che ad un “modello di sviluppo”, per gli equilibri geo-politici della Terra, voglia irrequietamente sostituirsi un altro.
In questo nuovo scenario non è la rivoluzione naturale delle cose che gioca la sua parte, quale ineluttabile impulso a modificare le coscienze e le abitudini dei popoli e delle aree della terra, ma è la restaurazione delle espressioni più integrate che fa riemergere le forme involute del legame dei popoli alle radici delle loro tradizioni più singolari.
E’ una sorta di radicalizzazione sulle nostalgie dell’imperialismo o dell’integralismo che, a seconda dei luoghi e della storia che li contestualizza, riemerge impetuosa per imporre nelle diverse realtà la supremazia economico-militare, o l’affermazione di fondamentali principi etici traslati dai secoli delle dispute teologiche.
Anche l’Organismo internazionale preposto a regolare i rapporti tra i popoli ed a far rispettare i trattati, e prevenire i rischi dei conflitti, non ha più il potere di esercitare un ruolo di moderazione e di autorevolezza nel dirimere l’acuirsi di focolai forse mai sopiti.. Non ha più la “moral suasion” di un tempo e neanche l’autorevolezza per imporre le sue risoluzioni.
All’ONU spesso manca persino la capacità d’essere davvero un organismo imparziale e finisce così per non poter più rappresentare un freno ai soprusi ed una opportunità per il ripristino della convivenza civile tra gli stati. Le sue risoluzioni sono puntualmente ignorate e capita sempre più spesso che lo stato delle cose sostituisca gli accordi faticosamente raggiunti tra le parti.
La sovranità nazionale dei paesi più deboli viene violata senza remore ed il diritto internazionale diventa carta straccia dinanzi alla minaccia delle armi e della forza, tanto che la prepotenza, sebbene ritenuta a parole ingiustificabile e controproducente, diviene uno strumento risolutivo e di vantaggio per l’interesse di un paese sull’altro.
L’intervento della Russia in Georgia è un esempio. La questione dell’Ossezia del sud è stato solo un pretesto per esercitare una vera aggressione dal doppio significato: politica di annessione e monito agli altri paesi dell’area perché si sottomettano agli interessi della Russia.
E’ bastato un pretesto alla Russia. E’ bastata un’azione maldestra della Georgia: una reazione alle provocazioni dei movimenti separatisti osseti per trovarsi i russi alle porte di Tiblisi. Ed il tutto fa pensare ad un progetto militare già ampiamente previsto e studiato.
Anche in Medio Oriente le alternative sembrano senza sbocchi. Ci sono realtà come il Libano dove la Siria ed l’Iran esercitano a loro piacimento la loro “sovranità militare” attraverso il “Partito di Dio” l’Hezbollah, armato e indottrinato ad un unico fine che è quello della guerra ad Israele. E sarebbe solo l’inizio della guerra santa invocata dal profeta.
Nello specifico le forze dell’ONU nel sud del Libano al confine con Israele sono rappresentate dai contingenti italiani per una missione di “peacekeeping”, missione appena prolungata fino al 31 agosto del 2009, ma che ignora sia la risoluzione del Consiglio di Sicurezza dell’ONU n. 1701 dell’11 agosto 2006 che imporrebbe il divieto di “vendita e fornitura di armi e materiale connesso al Libano” (Si registrano continue violazioni per la fornitura di materiale bellico proveniente dall’Iran attraverso la Siria e diretto alle milizie Hezbollah presso il confine con Israele) e sia la risoluzione 1559 del 2 settembre 2004 che imporrebbe il disarmo delle milizie Hezbollah.
Resta così solo da stabilire la data della prossima aggressione di Hezbollah ad Israele.
A tal proposito c’è chi la prevede comunque in concomitanza con la conclusione del piano atomico dell’Iran.
Ma anche il piano iraniano di completamento del programma di tecnologia per la produzione di ordigni atomici continua, nonostante le ripetute risoluzioni dell’ONU ed ogni tipo di ritorsione commerciale e la tensione dei rapporti diplomatici con buona parte dei paesi del mondo. E non è certo misteriosa la motivazione dell’ostinazione dell’Iran a voler produrre ordigni atomici, avendo già Ahmadinejad dichiarato di voler sperimentare il funzionamento degli ordigni sul territorio di Israele. E questo tanto per iniziare! La guerra santa per chi ha letto qualcosa sul fondamentalismo islamico prevede l’uccisione di tutti gli infedeli.
Come dimenticare Oriana Fallaci e le sue parole sferzanti contro la mollezza dell’occidente, sui suoi governi pavidi, sull’orgoglio, sulla fermezza, sul coraggio, sulla speranza e sulla rabbia?
Saggio è chi si preoccupa del domani e non chi si adagia sulle incertezze di oggi!
Vito Schepisi