07 settembre 2007

Ma i diritti sono uguali per tutti?


Mi sono sempre astenuto dal trattare argomenti che trattassero i cattivi costumi degli uomini politici. Non mi piace la cronaca scandalistica e non mi piacciono le strumentalizzazioni. Avverto l’esigenza, però, che l’informazione possa riportare i fatti di malcostume anche politico. I partiti, infatti, quali organismi rappresentativi del sistema democratico, se in continua osservazione nei contenuti e nei comportamenti, sono stimolati a diventare una casa di vetro. Anche le marachelle dei parlamentari più furbi, in quanto usurpatori della fiducia del popolo, è opportuno che siano conosciute dai cittadini. La speculazione politica, sempre pronta e puntuale, caratteristica comune a politici e media schierati, è invece spesso interessata ed ingiusta perché mira a coinvolgere con gli uomini i pensieri e la storia.
Anche la questione delle intercettazioni su Fassino, D’Alema e Latorre pongono in evidenza i limiti degli uomini. E se rendono, contrariamente a ciò che alcuni andavano spacciando, l’immagine del partito di questi signori equivalente a quei partiti della prima repubblica, spazzati da tangentopoli, non tolgono o mettono una virgola in più o in meno alla storia ed alla tradizione della sinistra comunista italiana.
Per quanto, infatti, revisionista e trasformista sia la sua evoluzione, e per quanto abbiano preso atto del fallimento del comunismo internazionale, e si sia aperta una discussione su quei valori che andavano predicando come essenza della democrazia e del benessere, l’idea del marxismo deve rimanere e rimane ferma nei suoi aspetti teorici. Non sono i comportamenti di Fassino o D’Alema, tra il sentirsi padrone di una banca ed il “fammi sognare”, a rendere più credibile la convinzione di tanti uomini liberi sulla inadeguatezza del sistema socialista a risolvere i problemi sociali, etici e civili dei popoli.
Da qualche giorno, però, mi frullano tra le dita della tastiera alcune riflessioni ed ho fatto fatica a controllarle e trattenere le dita . Ho violentato la mia spontaneità e la mia irriverenza per evitare di scriverne, finché non mi sono convinto che alcuni episodi un risvolto politico ed un moto d’indole l’hanno.
Il fenomeno dell’acquisto di appartamenti, molti di pregio, a prezzi che un comune cittadino non riuscirebbe ad acquistare nemmeno nelle periferie delle grandi città, tra il degrado ed una pessima qualità della vita, e per fabbricati di nessun valore storico ed architettonico, non può restare solo un fatto di malcostume di un sistema o di alcuni.
Ho tratto la convinzione che esista una diversa maniera di rispettare la cosa pubblica. Mentre l’uomo di sinistra si impossessa dei beni comuni, come se fossero parte integrante della sua natura di uomo sociale e quindi non un privilegio ma un beneficio di cui disporre, ed a maggior ragione per la sua funzione di persona che si dice impegnata a gestire il sociale, l’uomo di destra ha rispetto per ciò che non gli appartiene e rifugge dal disporre di beni e servizi che non paga e che non sono in suo possesso.
Questo fenomeno è noto nell’ambito degli enti locali e degli enti di servizio e di gestione pubblica, dove la sinistra diffonde una rete di interessi e di funzioni, finanziate dalla collettività, i cui benefici ricadono verso gli uomini di apparato e sui militanti di sicura e consolidata fedeltà alla causa: una sorta di massoneria spontanea che non ha riti anacronistici e ridicoli ma è ferrea ed inflessibile nell’applicazione del privilegio per chi è dentro “la casta”.
La cultura è la stessa di quella della Lega delle Cooperative che, nelle regioni governate da sempre dalla sinistra, ha reso pressappoco capillare la sua diffusione e gestisce il lavoro, la produzione e la distribuzione di una parte quasi assoluta dell’economia locale. Nella cronaca e negli anni sono stati tanti gli episodi di malcostume che hanno visto soccombere il pubblico interesse in operazioni di impiego di denaro pubblico che ha favorito uomini o gruppi riconducibili alla sinistra, anche operazioni di bancarotta sospette.
Se negli elenchi di “affittopoli” di qualche anno fa a pagare canoni di locazione ridicoli e fuori mercato prevalevano uomini di sinistra e sindacalisti, anche negli elenchi di “svendopoli” prevalgono i soliti noti. Dal tenore delle proteste, però, sembra che tutti abbiano esercitato i loro diritti e questa loro convinzione mi induce a pensare che la loro sia frutto di una abitudine ben radicata a godere di benefici, come se la loro fosse un’attività con tanto di contratto di lavoro in cui sono previsti diritti e benefici fruibili.
La domanda che sorge spontanea è che se sono diritti, ed in Italia sono uguali per tutti, perché sono solo alcuni, e tra i più agiati, a poterli esercitare e non l’uomo comune che si barcamena stringendo la cinghia per pagare la rata del mutuo di un modesto appartamento in periferia?
Vito Schepisi

Nessun commento: