In Italia si discute di giustizia come se l’argomento fosse correlato ad una situazione, in corso, di normale gestione. Come se l’indignazione sui gravi episodi di malagiustizia, sui tempi biblici dei processi, sulle mole ed i costi delle intercettazioni, sui presunti assassini liberati per decorrenza dei termini della carcerazione preventiva, sugli sconti di pena, sui pentiti e la reiterazione dei loro reati, sui benefici discrezionali concessi a carcerati di grave pericolosità sociale e se alcuni controversi provvedimenti di magistrati non fossero ragioni sufficienti per richiedere interventi incisivi.
Si ha la sensazione che la giustizia si risolva nella diffusione di conversazioni private in cui vengono coinvolte vittime penalmente innocenti per una sorta di abitudine grottesca di sbirciare nell’intimità degli italiani più noti. Come se la giustizia fosse un gossip continuo in cui si avvicendano pettegolezzi e notizie sensazionali. E questo modo un po’ becero ed un po’ pruriginoso sta assumendo toni e colori su cui si arroventa una lotta politica sul filo del diritto. E questo modo finisce pure col mettere a nudo una situazione della giustizia lontana dai basilari principi della civiltà giuridica e persino della libertà dei cittadini di essere, nei limiti dei comportamenti leciti, ciò che si vuole nel privato.
La giustizia italiana è spesso confusionaria, disorientata, disomogenea e discriminatoria. E con queste qualità, in questo settore così dirompente per la vita di uomini e famiglie, vengono persino meno i diritti e la dignità degli individui, ed i principi stessi della democrazia. Se la quantità e qualità della giustizia in Italia fosse paragonata all’efficienza produttiva e qualitativa di un’impresa il fallimento sarebbe già stato dichiarato da tempo.
Tutti hanno la sensazione che l’obbligatorietà dell’azione penale sia l’ipocrisia più grande di un Paese dove chi ha approfittato non ha mai pagato e dove la giustizia viene esercitata sulla più plateale discriminazione. Anche politica!
Chi non ha mai avvertito che questa Italia furba annovera impuniti di reati di ogni tipo, che il popolo italiano ha subito e paga con il suo enorme debito pubblico?
Questa magistratura che si è tenuta lontana dall’indagare sulle grandi fortune di spregiudicati finanzieri, mentre ora, in connivenza con la politica di una sinistra senza identità ed allo sbando, contigua alle caste ed agli spazi dei privilegi, si concentra per sferrare l’ormai rituale aggressione giudiziaria su coloro che non hanno la responsabilità dello scempio commesso. Sembra che prevalga il timore che il nuovo vento che si contrappone al sonnacchioso conservatorismo dei poteri forti possa demolire gli spazi corporativi di un Paese che, ad oltre sessanta anni dalla liberazione, non riesce ad emergere da un sistema ancora imbrigliato dall’egemonia illiberale e presuntuosa di un antifascismo di maniera.
Sembrerebbe così che ogni modifica richiesta rappresenti un pericolo per l’equilibrio stabilito. A guisa di battaglie per evitare di compromettere un virtuoso esercizio di un servizio, e per garantirne la giusta ed imparziale fruizione, nell’interesse dei cittadini ed in nome del popolo italiano, si grida all’allarme sociale per ogni tentativo di riformare questa giustizia così discussa e così evidentemente “ingiusta”.
Si supera persino la farsa con alcuni giornalisti, attori, scrittori, comici, intellettuali e politici che si ergono a difesa della legalità, cioè di quella “cosa” che in Italia non esiste. Non esiste soprattutto perchè chi la predica molto spesso sostiene che le leggi vanno interpretate, più che applicate, ed addirittura ignorate in nome di discutibili principi umani, politici ed ideologici. Si disputa sulla giustizia con furbi di ogni specie e tromboni rancorosi, residuati di un’ideologia fallimentare, accantonata e sepolta persino dalla classe dirigente del movimento politico che ne dovrebbe vantare la naturale eredità.
Ci sono ancora personaggi così integrati nel loro ruolo: come quei giapponesi combattenti dell’ultima guerra a cui non è mai stato detto che la guerra era finita e che con la guerra si era esaurito un periodo della storia.
Molti compagni si sono ormai imborghesiti ed ora la rivoluzione la fanno nei salotti buoni o tutt’al più con qualche frivolo girotondo. Ora tra farse e comparsate, tra incredibili libri trasudanti odio e livore, c’è chi si impegna solo a far ingrossare i propri conti bancari, perché in Italia c’è sempre chi è disposto persino a pagare per farsi plagiare.
Il proletariato piuttosto che soffrire la fame per la lotta alla crescita, come è stato nel passato, preferisce lo sviluppo ed i consumi. Piuttosto che l’abbattimento del capitalismo, preferisce la sua diffusione per accrescere la ricchezza. Più che lottare per abbattere il profitto chiede un giusto salario per sostenere i bisogni della famiglia.
Di contro si ha l’impressione che ci sia la volontà di fermare le riforme che i cittadini richiedono e che il “grande vecchio” si muova sempre per mantenere la situazione “quo ante” e cioè la confusione più ampia che serva a perpetuare il controllo delle cose.
Su tutti i provvedimenti si grida al complotto, alle leggi “ad personam”, al pericolo dell’involuzione democratica del Paese. Si fa leva su tutto ed in ogni luogo anche all’estero dove, a costo di ledere l’immagine dell’Italia, non si risparmiano colpi bassi e false suggestioni. Persino vergognosi e assurdi richiami alle leggi razziali.
Personaggi che hanno solidarizzato con i più pericolosi criminali della terra presumono ora di poter rilasciare lezioni sui diritti umani.
Se la giustizia è questa e se l’opposizione cavalca il giustizialismo di Di Pietro, per poi prendere le distanze solo dai suoi eccessi, non può non porsi la necessità di adottare una legge che ponga al riparo degli assalti giudiziari le istituzioni del Paese.
L’Italia ha bisogno di un Governo capace di fare le riforme e di rilanciare la coerenza democratica di una rappresentanza politica di governo che sappia interpretare le esigenze degli elettori.
Vito Schepisi
Si ha la sensazione che la giustizia si risolva nella diffusione di conversazioni private in cui vengono coinvolte vittime penalmente innocenti per una sorta di abitudine grottesca di sbirciare nell’intimità degli italiani più noti. Come se la giustizia fosse un gossip continuo in cui si avvicendano pettegolezzi e notizie sensazionali. E questo modo un po’ becero ed un po’ pruriginoso sta assumendo toni e colori su cui si arroventa una lotta politica sul filo del diritto. E questo modo finisce pure col mettere a nudo una situazione della giustizia lontana dai basilari principi della civiltà giuridica e persino della libertà dei cittadini di essere, nei limiti dei comportamenti leciti, ciò che si vuole nel privato.
La giustizia italiana è spesso confusionaria, disorientata, disomogenea e discriminatoria. E con queste qualità, in questo settore così dirompente per la vita di uomini e famiglie, vengono persino meno i diritti e la dignità degli individui, ed i principi stessi della democrazia. Se la quantità e qualità della giustizia in Italia fosse paragonata all’efficienza produttiva e qualitativa di un’impresa il fallimento sarebbe già stato dichiarato da tempo.
Tutti hanno la sensazione che l’obbligatorietà dell’azione penale sia l’ipocrisia più grande di un Paese dove chi ha approfittato non ha mai pagato e dove la giustizia viene esercitata sulla più plateale discriminazione. Anche politica!
Chi non ha mai avvertito che questa Italia furba annovera impuniti di reati di ogni tipo, che il popolo italiano ha subito e paga con il suo enorme debito pubblico?
Questa magistratura che si è tenuta lontana dall’indagare sulle grandi fortune di spregiudicati finanzieri, mentre ora, in connivenza con la politica di una sinistra senza identità ed allo sbando, contigua alle caste ed agli spazi dei privilegi, si concentra per sferrare l’ormai rituale aggressione giudiziaria su coloro che non hanno la responsabilità dello scempio commesso. Sembra che prevalga il timore che il nuovo vento che si contrappone al sonnacchioso conservatorismo dei poteri forti possa demolire gli spazi corporativi di un Paese che, ad oltre sessanta anni dalla liberazione, non riesce ad emergere da un sistema ancora imbrigliato dall’egemonia illiberale e presuntuosa di un antifascismo di maniera.
Sembrerebbe così che ogni modifica richiesta rappresenti un pericolo per l’equilibrio stabilito. A guisa di battaglie per evitare di compromettere un virtuoso esercizio di un servizio, e per garantirne la giusta ed imparziale fruizione, nell’interesse dei cittadini ed in nome del popolo italiano, si grida all’allarme sociale per ogni tentativo di riformare questa giustizia così discussa e così evidentemente “ingiusta”.
Si supera persino la farsa con alcuni giornalisti, attori, scrittori, comici, intellettuali e politici che si ergono a difesa della legalità, cioè di quella “cosa” che in Italia non esiste. Non esiste soprattutto perchè chi la predica molto spesso sostiene che le leggi vanno interpretate, più che applicate, ed addirittura ignorate in nome di discutibili principi umani, politici ed ideologici. Si disputa sulla giustizia con furbi di ogni specie e tromboni rancorosi, residuati di un’ideologia fallimentare, accantonata e sepolta persino dalla classe dirigente del movimento politico che ne dovrebbe vantare la naturale eredità.
Ci sono ancora personaggi così integrati nel loro ruolo: come quei giapponesi combattenti dell’ultima guerra a cui non è mai stato detto che la guerra era finita e che con la guerra si era esaurito un periodo della storia.
Molti compagni si sono ormai imborghesiti ed ora la rivoluzione la fanno nei salotti buoni o tutt’al più con qualche frivolo girotondo. Ora tra farse e comparsate, tra incredibili libri trasudanti odio e livore, c’è chi si impegna solo a far ingrossare i propri conti bancari, perché in Italia c’è sempre chi è disposto persino a pagare per farsi plagiare.
Il proletariato piuttosto che soffrire la fame per la lotta alla crescita, come è stato nel passato, preferisce lo sviluppo ed i consumi. Piuttosto che l’abbattimento del capitalismo, preferisce la sua diffusione per accrescere la ricchezza. Più che lottare per abbattere il profitto chiede un giusto salario per sostenere i bisogni della famiglia.
Di contro si ha l’impressione che ci sia la volontà di fermare le riforme che i cittadini richiedono e che il “grande vecchio” si muova sempre per mantenere la situazione “quo ante” e cioè la confusione più ampia che serva a perpetuare il controllo delle cose.
Su tutti i provvedimenti si grida al complotto, alle leggi “ad personam”, al pericolo dell’involuzione democratica del Paese. Si fa leva su tutto ed in ogni luogo anche all’estero dove, a costo di ledere l’immagine dell’Italia, non si risparmiano colpi bassi e false suggestioni. Persino vergognosi e assurdi richiami alle leggi razziali.
Personaggi che hanno solidarizzato con i più pericolosi criminali della terra presumono ora di poter rilasciare lezioni sui diritti umani.
Se la giustizia è questa e se l’opposizione cavalca il giustizialismo di Di Pietro, per poi prendere le distanze solo dai suoi eccessi, non può non porsi la necessità di adottare una legge che ponga al riparo degli assalti giudiziari le istituzioni del Paese.
L’Italia ha bisogno di un Governo capace di fare le riforme e di rilanciare la coerenza democratica di una rappresentanza politica di governo che sappia interpretare le esigenze degli elettori.
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