27 agosto 2007

Politica e Storia

Dal suo punto di vista ha ragione il leader della Cdl Silvio Berlusconi a sostenere che il Partito Democratico costituisce una novità interessante sullo scenario politico italiano. Da esperto di comunicazione sa bene che il modo peggiore per osteggiare una espressione politica è quella di criminalizzarla e di ricercarne elementi di pregiudizio. E’ capitato farlo alla sinistra. La variopinta “gauche” italiana dai primi anni ‘90 è scivolata per aver contrapposto alle proposte di un’Italia più moderna, più efficiente e più liberale la delegittimazione dell’avversario politico.
La sinistra è crollata, sgretolata come il muro di Berlino. Era forte di rendite di posizioni che andavano dalla sperimentata ossatura della sinistra democristiana, quella cattocomunista, quella del compromesso storico, all’inossidabile organizzazione del vecchio pci; dalle istituzioni occupate, ai gruppuscoli politici di varia estrazione; dalla Rai lottizzata, al 90% dei quotidiani e dell’informazione stampata; dai sindacati oligarchici, a larghi strati del commercio e dell’industria pubblica e privata. La sinistra ed i poteri consolidati, esercitati spesso come clave contro “gli intrusi”, contro coloro che cantavano fuori dal coro, sempre pronta a far quadrato intorno alla “casta”, ha dovuto piegarsi dinanzi alla dirompente presa di un partito nuovo, guidato da un imprenditore di successo, vittima di una campagna di delegittimazione e di criminalizzazione fuori da ogni ragionevole misura. Negli anni gli italiani hanno dovuto constatare che più si accentuava la canea, il coro orchestrato dai soliti noti, e più emergeva la falsità di un castello di accuse che, se vere, avrebbero fatto di Berlusconi il criminale più efferato di tutti i tempi.
Il compromesso storico che ai tempi di Moro e, dopo il suo assassinio, con Andreotti e Berlinguer era arrivato a sfiorare il 75% dell’elettorato italiano, ora con il PD si barcamena per uscire dalla nicchia di un 25% di consensi popolari. Un patrimonio di voti disperso con il crollo delle illusioni di uno stato in cui era solo necessario essere iscritti all’anagrafe per poter continuare a tirare a campare alle spalle del prossimo. La casta ha voluto consapevolmente frenare la trasformazione del Paese, ha sguinzagliato l’artiglieria pesante per impedire l’adeguamento dell’Italia allo stile ed ai modi dell’Europa evoluta.
Fu definito “salvaladri” il decreto del liberale Alfredo Biondi che richiamava il rispetto della civiltà giuridica dinanzi all’esercizio della tortura giudiziaria osannata sia dai giornali “politicamente corretti”, sia dalla destra forcaiola e sia dalla sinistra giustizialista. La proposta di riforma delle pensioni del primo governo Berlusconi fu osteggiata fino all’inverosimile, tra bugie e contraddizioni, da una sinistra spavalda che incoraggiata dalla magistratura e dalla stampa, espressione dei poteri forti del Paese, e con il contributo miserevole di un Capo di Stato, il peggiore di ogni tempo, dette origine ad un vero anche se non cruento colpo di stato. Sarebbe interessante ripercorrere la storia di quei giorni e la storia del conseguente ribaltone che portò Dini a capo di un Governo del Presidente, dopo che con la Lega, i Popolari ed il Pds, e sotto la regia del Presidente Scalfaro, si era programmato il ribaltamento delle indicazioni democratiche dell’elettorato italiano. La riforma delle pensioni, se compiuta, avrebbe segnato una svolta e contribuito a contenere la voragine della spesa pubblica italiana. Il controllo del debito avrebbero consentito all’Italia di entrare in Europa con un’economia più stabile ed un valore di conversione della lira, rispetto all’Euro, tale da scongiurare la penalizzazione dei lavoratori sottoposti in tempi brevissimi alla perdita secca del valore dei loro salari.
Ricordare i danni che la sinistra italiana ha recato, e quelli che subiranno le giovani generazioni su cui si è scaricato col debito pubblico l’onere delle follie di ieri e di oggi, deve essere un dovere civile perché in economia niente accade per caso: i nodi vengono al pettine e gli errori si pagano. Pochi esempi del passato, anche recente, tipo l’ultima finanziaria, sarebbero sufficienti per stabilire non solo la scarsa credibilità, per le bugie che diffondono, ma anche la pericolosità della loro politica, spesso fatta di compromessi che aggirano le questioni, rinviano le decisioni e comportano quasi sempre maggiori spese.
Se ha ragione il leader della Cdl ad essere attento ai percorsi diversi di questa sinistra e di mostrarsi interessato alle svolte più moderate e riflessive che ne provengono, un osservatore politico, al contrario, non può limitarsi a guardare al presente senza rendersi conto che questo è un percorso che è partito da lontano e che ha i suoi riflessi almeno nel recente passato. Mentre un leader di partito ha il dovere del rispetto degli avversari e pensa al confronto, quale strumento di coinvolgimento di fasce più larghe, e lo ritiene necessario al processo di gestione e di partecipazione democratica, un cittadino che fa le sue scelte non può limitarsi a guardare all’oggi senza che l’esperienza passata abbia almeno un margine di effetto nell’esercizio delle sue opzioni. Pensare addirittura al futuro senza che il presente ne possa apparire propedeutico per i politologi sarebbe una grave omissione. Se Berlusconi svolge il suo ruolo e si convince che il miglior modo di essere un uomo di stato sia quello di porsi disponibile al confronto e di valutare per quello che appare il nuovo soggetto politico, per un osservatore della politica non possono sfuggire altri elementi di valutazione.
La storia è inesorabile e colloca ogni circostanza nel suo giusto ambito, alla lunga è sempre così, anche se nell’immediato è scritta da coloro che ne controllano i tipi. La forza di uno statista è quindi quella di porsi al di sopra delle passioni e delle ragioni del presente per dirigersi verso quelle della storia. Uno statista guarda ai risultati ed alle mete politiche da raggiungere in ottiche di medio e lungo periodo, si esalta nella ricerca dell’allargamento della base democratica e spesso ha il compito di sorvolare sugli episodi che emergono nell’immediato, benché sintomatici.
Il Partito Democratico, sebbene infarcito di contraddizioni e per quanto mal rappresentato in quanto espressione di manovre di vertice, e nonostante l’imbroglio per i democratici di origine socialista, liberale e cattolica, nella storia rappresenterà l’evoluzione post comunista, la Bad Godesberg dei socialcomunisti italiani in cui si laverà definitivamente il peccato originale d’essere figli di un secolo dominato dai regimi oppressivi ed illiberali in cui per storia personale, per cultura e per indole si erano più o meno consapevolmente immersi e da cui ne hanno ricavato tratti della loro cultura e del loro metodo. Lo spocchioso D’Alema ed il liberal-leninista Veltroni, il demagogo Fassino ed il bilioso Visco, il centralista Prodi e la dossettiana Bindi si preparano a rivoluzionare la biblioteca di casa e rinnegando Marx, Stalin e Togliatti la riempiranno di libri di Piero Gobetti , dei fratelli Rosselli, di Salvemini e Fortunato e qualcuno, come si è visto, persino di Einaudi.
Per gli osservatori politici che privilegiano la verità storica alla più o meno volutamente distratta correttezza intellettuale, però, resteranno sempre ex comunisti ed ex integralisti. Resteranno quelli che negli anni ’70, per formazione e cultura, hanno rincorso il compromesso storico con l’obiettivo di spartirsi il potere. Resteranno le espressioni fondamentali di dottrine confessionali con forte valenza illiberale.

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